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66. PAPATO E IMPERO - PRIMO CONTESTO

 

Nella precedente puntata abbiamo terminato con l'opera di papa Nicola I, e affermato che per gran merito suo, Papato e Impero cominciò a divenire una cosa sola, una autorità universale spirituale; e con i beni della Chiesa via via acquisiti anche temporale.
Ma prima di andare al periodo degli IMPERATORI TEDESCHI che seguirà questo
capitolo, facciamo innazitutto una intera panoramica sullo stato di cose, partendo dall'inizio per poi spingersi brevemente fino al 1300.

 

Il risultato dell'evoluzione storica medioevale sino al 1300 é, per l'Occidente, la formazione degli Stati germanici e neolatini e l'accentramento della chiesa sotto l'autorità del papa. È in seno a questi Stati che si é svolto, in parte sotto l'azione della Chiesa e sotto l'influenza dei rapporti con gli Stati d'Oriente, quell'incivilimento che a datare dal X ed XI secolo si estese anche ai popoli nordici e slavi nonché agli Ungari, infine cominciando a dominare tutto il mondo. In particolare questa civiltà penetra ancora oggi anche in quei paesi dove nel Medio-Evo dominò la cultura, sotto molti aspetti persino superiore, e qui ci riferiano ai Greci della grande Atene e agli Arabi della grande Bagdad.

L'evoluzione di cui parliamo raggiunse un primo punto culminante nell'impero di Carlo Magno (m. 814), il quale riunì sotto il suo scettro, oltre la Francia e la Germania sino all'Elba, anche l'Italia e con le sue marche organizzate militarmente invase i territori adiacenti ad oriente, a mezzogiorno e a nord. Ma la sua influenza si fece sentire in una cerchia ben più larga. Egli si ingerì nelle lotte fra gli Stati anglo-sassoni; da Gerusalemme e da Bagdad vennero a lui ambasciatori; coi Bizantini mantenne continue relazioni diplomatiche; sottopose al suo sindacato le eresie spagnole e i decreti di un concilio convocato a Nicea da Bisanzio e da Roma. Ad un certo punto sembrò persino che avrebbe tratto a sé anche l'impero d'Oriente. Carlo si considerò come il capo della cristianità occidentale e considerò il vescovo di Roma semplicemente quale uno dei vescovi della chiesa funzionante nel suo impero.
Ma questa pretesa ad un'autorità universale non incontrò pieno consenso nell'opinione pubblica del tempo. In essa perdurò viva l'idea dell'indipendenza e libertà della chiesa di fronte allo Stato, e da parte sua la chiesa anzi continuò ad arrogarsi una specie di diritto di alta sorveglianza sullo Stato.

Nell'803 papa Leone III inviò persino un legato in Inghilterra per rimettere sul trono un re spodestato. Tanto meno riuscì Carlo a padroneggiare completamente, dal punto di vista politico e militare, su tutti quei territori che pretendeva essere soggetti al suo impero.
Gli Anglo-Sassoni sostennero la propria autonomia con fermezza
ed energia, e non mancarono persino ribellioni dei grandi negli stessi paesi di nazionalità franca. Nelle guerre con gli Slavi e con i Greci ai confini dell'impero Carlo non fu sempre vittorioso, e già sotto di lui i Normanni ed i Saraceni cominciarono ad infestare le coste cristiane. Nondimeno a chi guarda i secoli precedenti ed i secoli successivi, l'impero di Carlo Magno appare come un periodo di pace e di tranquillità tra due epoche tumultuose per il cozzo continuo e confuso di masse di popoli, tanto più che sotto la protezione del gran re, la cui ferrea volontà spezzava ed abbatteva ogni resistenza, poterono dare ancora un segno di vitalità i residui della letteratura classica ed ecclesiastica del mondo romano e diffondersi pure, per quanto con tenui ramificazioni, presso i popoli sinora privi di qualsiasi letteratura.
L'epoca di Carlo Magno deve quel particolare splendore che la contraddistingue al di sopra di tutti gli altri periodi del Medio-Evo al fatto che allora, malgrado i mutamenti provocati dalla trasformazione intervenuta nelle condizioni economiche nazionali, dalla estensione assunta dall'impero e dalla introduzione della feudalità, conservarono ancora la loro potenzialità e capacità di fare ben funzionare i tre fattori fondamentali d'origine germanica dell'organizzazione dello Stato franco; la monarchia, l'esercito ed il diritto, mentre Carlo e la sua corte rappresentarono il centro della cultura letteraria che spingeva l'occhio al futuro ed incitava ad assolverne i compiti. Fuori d'Italia questa cultura letteraria era quasi esclusivo monopolio degli ecclesiastici, mentre alla corte di Carlo essa era rappresentata anche da laici ovvero da persone che appartenevano al clero solo perché dotate di un beneficio ecclesiastico. Ché anzi lo stesso re, benché avesse imparato tardi a leggere e scrivere, ebbe una influenza direttiva in questo ambiente letterario, per lo meno in parecchi importanti riguardi.

Ma questo splendore e la generale ammirazione non servono a dissimulare il fatto che l'impero di Carlo mancava di basi salde e sicure. Accanto ad esso esistevano allora due altre grandi potenze, ciascuna delle quali era pure rappresentante di un incivilimento sui generis di cui le rispettive popolazioni avevano alta e piena coscienza: il califfato con le sue propaggini in Spagna ed in Africa e con il suo grosso centro culturale a Bagdad, e l'impero d'Oriente con tutto il passato della cultura greca. Ambedue erano superiori finanziariamente, per le risorse pecuniarie di cui disponevano, all'impero franco la cui amministrazione funzionava ancora quasi completamente col pesante sistema delle prestazioni in natura, ed anche la loro potenzialità militare era considerevole.
L'esercito del califfato era stato proprio allora, sotto Harun al Raschid, riorganizzato e migliorato, e l'impero d'Oriente aveva ripetutamente dato prova della sua capacità militare nelle lotte con i barbari irrompenti dalla linea del Danubio e con gli Arabi, ed anche nelle lotte con Carlo poteva persino per terra vantare più d'un successo, ed infine aveva sul mare una notevole superiorità.

Nei suoi rapporti con Costantinopoli e con Bagdad Carlo rese costantemente omaggio e riconobbe prudentemente l'importanza, la potenza e la dignità di quegli Stati, e le loro relazioni con l'impero d'Occidente e con gli Stati cristiani ad esso uniti dalla comunanza di religione dominarono una notevole parte dell'evoluzione storica del Medio-Evo.

L'impero franco prima ancora della morte di Carlo Magno era già entrato in una fase che minacciava di disgregare le accennate basi fondamentali germaniche dello Stato. Le istituzioni create nella remota antichità per gli Stati germanici, aventi allora il carattere di piccoli Stati, e sopra tutto l'obbligo generale di prestar servizio militare con armi proprie, mantenendosi del proprio, e senza stipendio di sorta, divennero, in seguito alle campagne fatte dai re franchi nell'VIII e nel IX secolo che costringevano a spostarsi in lontane regioni e duravano per mesi e mesi, un onere così grave che doveva necessariamente riuscire fatale alla media proprietà e distruggerla. I piccoli proprietari agricoltori si videro costretti a cedere la loro terra ai grandi signori fondiari o alle chiese ed ai chiostri per ottenere mediante la loro influenza l'esenzione da una chiamata alle armi o per facilitarsi la partecipazione ad una campagna di guerra.

Non meno inesorabile riuscì la massima predicata dalla Chiesa che si guadagnava il cielo chi donava i suoi beni alla chiesa. Già nel VI secolo un re franco si era lagnato che la proprietà andava a finire tutta nelle mani dei vescovi e Carlo Magno stigmatizzò ripetutamente e molto aspramente le captazioni delle eredità compiute per sistema dal clero. Egli cercò pure con varie ed opportune riforme degli ordinamenti pubblici di far argine a questi inconvenienti. Ma i suoi sforzi non ottennero un risultato adeguato, per lo meno non impedirono che le cose proseguissero per la china ormai presa. Per gli ultimi anni del regno di Carlo abbiamo infatti tristi documenti della dissoluzione delle basi economiche, e conseguentemente sociali, su cui poggiava lo Stato franco.

A migliaia gli agricoltori ricorsero alla giustizia del re per lagnarsi che i grandi signori laici ed ecclesiastici abusavano dei diritti sovrani loro concessi dalla corona, e specialmente della giurisdizione, per spogliarli delle loro terre. Essi si affollarono, ridotti alla miseria ed in penose condizioni, alla corte del re, ma Carlo non poté che provvedere alla meglio nei singoli casi. Estirpare il male dalla radice, eliminandone la causa, era impossibile, perché lo Stato difettava di entrate regolari che permettessero di istituire funzionari con stipendio fisso.

Per questa ragione il re aveva dovuto dotare di terre le persone di cui gli erano necessari i servigi, secondo le regole degli ordinamenti feudali che nell'VIII secolo sotto la pressione degli attacchi degli Arabi avevano assunto un grande sviluppo nell'esercito e nell'amministrazione. Ma ben presto si radicò l'idea che anche la carica, a motivo della quale era stato concesso in feudo un possedimento fondiario, fosse un feudo.
Vincolando i grandi signori mediante lo speciale giuramento di fedeltà feudale si era mirato ad assicurarne meglio la subordinazione, ma invece l'infeudamento delle cariche allettò i grandi dignitari ad assumere una attitudine arbitraria e ribelle. L'inconveniente poi aumentò in modo straordinario quando, sotto Ludovico il Pio, i suoi figli e nipoti, scoppiarono ripetute lotte per la divisione ereditaria del regno, cosicchè i re furono costretti a cedere sempre più alle crescenti pretese dei grandi per evitare che disertassero da loro per passare nel campo avversario.

Dal momento della ripartizione dell'impero operata a Verdun tra i nipoti di Carlo Magno (843) cominciarono a distinguersi tre parti principali della monarchia universale creata da Carlo: la Francia occidentale, la Francia orientale o Germania, e l'Italia; ma lo spezzettamento si fece anche maggiore in seguito, tanto che verso la fine del secolo, all'epoca dell'imperatore Carlo III (il Grosso) che aveva nominalmente riunito ancora una volta sotto il suo scettro tutto l'impero, venne deposto (887), sorsero così uno accanto all'altro sei regni.

In Francia fu elevato al trono Odo di Champagne, in Germania Arnolfo di Carinzia (887-899); tra l'uno e l'altro paese si costituirono o si consolidarono gli Stati dell'Alta Borgogna (regione del Giura) e della Bassa Borgogna (Provenza e territori contigui). In Italia i signori territoriali rivali elevarono pretesa alla corona del regno italico e perfino al titolo imperiale.

È questo il momento dal quale dobbiamo partire con la nostra narrazione. È nostro compito di seguire l'evoluzione storica degli Stati e dei popoli a datare dalla dissoluzione così operatasi dell'impero carolingio sino alla seconda metà dell'Evo medio, con particolare riguardo al mondo occidentale, alla cultura ed all'incivilimento delle sue popolazioni.



Le guerre intestine tra i grandi feudatari e le guerre tra i grandi e la corona negli ultimi decenni del IX secolo non ebbero posa un momento in Francia, in Germania ed in Italia, mentre dal mare i Saraceni infestavano con i loro attacchi le coste del Mediterraneo ed i Normanni le coste del Baltico e del Mare del Nord. Migliaia di persone furono trucidate, migliaia trascinate in schiavitù. Nell'anno 853 un'orda di Normanni o Danesi (giacché non sempre costoro vengono tenuti distinti con precisione) si annidò nel Poitou sopra un'isola della Loira, dove preparava le sue scorrerie e dove ammassava la preda fatta ed i prigionieri catturati. Di qui costoro si spinsero anche sino a Tours e con orrore il popolo apprese che persino S. Martino non aveva potuto tutelare la propria tomba dalla distruzione e dalla profanazione.
Questa espressione é caratteristica sia come indizio delle idee del tempo che ascrivevano un potere divino e soprannaturale a determinati oggetti materiali ed a determinate località, sia quale esponente della completa dissoluzione d'ogni compagine politica e civile. Persino il pericolo che aveva minacciato un santuario universalmente e profondamente venerato non era stato capace di spingere gli uomini a dimenticare un momento i loro odii locali ed i loro interessi particolari e ad unirsi per scacciare le orde di predoni nordici che di rado superavano il numero di 500 a 1000 combattenti.

Allo stesso modo i Normanni poterono dodici anni dopo installarsi sopra un'isola della Senna, d'onde arrivarono a saccheggiare Parigi ed il famoso monastero di S. Dionigi, ove era sepolto il capostipite della dinastia carolingia, re Pipino. E questi non sono che esempi delle molte scorrerie dei Normanni, i quali, stante l'aumento della popolazione, erano costretti ad emigrare dalla loro patria non più sufficiente ad alimentarla.

I Saraceni avevano messo piede in Sicilia dall'827. Nell'841 presero d'assalto Bari e poco dopo anche Taranto, nell'838 Marsiglia, nell'846 approdando alle foci del Tevere, misero a sacco la chiesa di S. Pietro e tutti i quartieri e le chiese di Roma situati al di fuori delle mura aureliane, ragion per la quale la città eterna si circondò negli anni seguenti di una nuova e più ampia cerchia di mura (Leonine).
Negli anni dall'848 all'850 devastarono le coste liguri e risalirono il Rodano sino ad Arles. Nell'anno 870 Bari venne ripresa ai Saraceni dopo un assedio lunghissimo, ma il risultato fu ottenuto solo in grazia della lega transitoria e della cooperazione dell'imperatore Ludovico II e di vari signori territoriali, che di solito badavano a guerreggiare gli uni contro gli altri e con i Greci per gli antichi principati longobardi; poi passato questo momento ricominciarono a farsi guerra. Si ebbero perfino fenomeni di alleanze di principi cristiani e di città cristiane con i Saraceni. Bari ad es. durante un conflitto tra due pretendenti al principato di Benevento fu consegnata ai Saraceni dal suo gastaldo (comandante della piazza) che venne d'intesa con loro, ma ne fu ripagato dai Saraceni con la morte fra gli spasimi della tortura.

Malgrado queste scene di orrore e di distruzione non si deve tuttavia dimenticare che i popoli sono capaci di sopportare ben gravi battaglie e che ogni primavera arreca nuovi fiori. Ad onta dei flagelli e delle devastazioni patite, la Germania, la Francia e l'Italia verso il 900, paragonate a ciò che erano verso i'800, devono essersi presentate all'aspetto piuttosto meglio popolate e coltivate. In ogni caso é certo che l'organizzazione ecclesiastica e con essa un maggior progresso economico e sociale erano penetrati nelle regioni meno evolute. Specialmente al nord e nella parte orientale dell'impero, nei paesi sassoni assoggettati soltanto da Carlo Magno e da lui aggregati alle regioni franche occidentali già assai meglio coltivate, la differenza rispetto a 100 anni, cioè tra l'880 ed il 780 deve essere stata notevolissima.
Nella regione del Weser e più oltre verso oriente tuttavia la Chiesa ed anche l'ordine pubblico erano ancora ben lontano dal potersi dire saldamente costituiti. I signori franchi che si erano fatte assegnare le terre di famiglie nobili sassoni espulse o distrutte ed ora con i loro vassalli formavano il primo punto d'appoggio per l'espansione delle chiese e dei chiostri, devono essersi trovati in posizione assai difficile.
L'antagonismo di razza ed il ricordo della rovina economica di tante famiglie, l'affetto che i vassalli semi-liberi ed i servi della gleba conservavano per i loro antichi padroni spogliati dei beni, costituivano una forte barriera tra il cuore dei Sassoni e le idee cristiane cui si voleva conquistarli.
Giusta la testimonianza di Nitardo, figlio della figlia di Carlo Magno, verso l'841 re Ludovico il Tedesco ebbe timore che i contadini sassoni congiurati e facenti parte della lega di Stellinga si alleassero con i Normanni e gli Slavi per distruggere le chiese cristiane.

Se è anche vero che il movimento fosse principalmente diretto contro la prestazione di servigi e di imposte alla chiesa e che questa tendenza avversa alla chiesa non dominasse che in sfere assai ristrette (é impossibile farsi un giudizio più sicuro sullo stato delle cose), é pur sempre nell'ordine naturale delle cose che il cristianesimo non avesse ancora potuto metter salde radici che qua e là sporadicamente. Il poeta del Heliand che scrisse verso l'830, é stato, a dire il vero, giustamente caratterizzato come il rappresentante di una tendenza decisamente cristiana tra i Sassoni, ma non si deve da un solo poeta dedurre senz'altro che uguali fossero i sentimenti di tutto il popolo.

Occorre ricordarsi sempre che i ragazzi che venivano allevati nei chiostri e vi trovavano maestri imbevuti delle idee di taluni autori teologici e classici, assai facilmente divenivano estranei all'ambiente sociale da cui erano usciti.
Ne offre un esempio il monaco Godescalco. Egli era nato verso l'810 da un conte sassone, che doveva aver certamente combattuto nelle guerre di Carlo Magno in Sassonia, e che ancor ragazzo lo aveva «offerto» al monastero di Fulda e fatto consacrare monaco contro la sua volontà.
Sino allora i Sassoni avevano speso nelle guerre l'eccedenza di gioventù di cui potevano disporre e fors'anche l'avevano mandata a condividere le gesta dei vicini Danesi sul mare; ora la mandarono nei chiostri e nelle chiese a tentare la carriera monastica o sacerdotale. Fu questo il più importante mutamento che intervenne nella vita del popolo sassone, il quale però si comprende soltanto se si giudica questo uso di «ofirire i figli», non alla stregua della forma di atto di devozione che aveva, ma alla stregua del suo significato economico-sociale, tenendo cioè presente che si trattava di una nuova carriera che si era dischiusa con le funzioni ecclesiastiche e monastiche, una carriera che anche al nobile ed alla sua superba famiglia offriva posti e rendite appetibili.

Divenuto abbastanza grande per difendersi da sé Godescalco dichiarò di non voler più rimanere nel chiostro e fu prosciolto dal suo voto da un sinodo tenutosi a Magonza nell'829. Fu però lasciata insoluta la questione chi avesse violentata la volontà di Godescalco, se l'abate di Fulda, il famoso Rabano Mauro, ovvero i parenti di Godescalco. Venne per ciò deferito il giuramento all'abate; se risultava colpevole di violenza morale avrebbe dovuto pagare un multa. Di fronte a ciò gli amici di Godescalco dichiararono che a tenore del diritto sassone un Sassone non poteva perdere la propria libertà se non in base alla testimonianza di un Sassone, non in seguito a testimonianza d'un uomo d'altra nazionalità.

Non si riesce a capir bene che importanza ciò potesse avere dal momento che Godescalco era già stato prosciolto per decisione del concilio, ma la dichiarazione é istruttiva per dimostrare gli attriti che occorreva superare in quel periodo in cui si era all'inizio del processo di formazione del popolo tedesco.
Contro la decisione del sinodo l'abate ricorse all'imperatore Ludovico il Pio, esponendo che non perdeva né la nobiltà né la libertà chi si faceva servo di Cristo; lo stato monastico non era uno stato di schiavitù; chi diceva ciò, mirava semplicemente a rendere odioso al popolo lo stato monastico.

Nella dieta, di Worms, che funzionava contemporaneamente da sinodo generale, l'imperatore Ludovico decise che Godescalco dovesse rimanere monaco, e con ciò sanzionò il principio generale che i genitori avevano il diritto di destinare i propri figli al chiostro. Godescalco si assoggettò alla sentenza ed allora con tutta l'energia della sua anima focosa si immerse nello studio dei padri della Chiesa, principalmente di Agostino, di cui tentò di diffondere nuovamente la dottrina della predestinazione portata all'estremo rigore. Con ciò egli venne ancora una volta ad aspro conflitto col suo ex abate Rabano. Quest'ultimo nel frattempo era divenuto arcivescovo di Magonza e seppe mettere in moto tutte le forze della chiesa contro questo monaco temerario. Non avendo Godescalco voluto smettere di far propaganda a favore della sua speculazione, un sinodo adunato a Magonza nell'848 ed un altro adunato a Chiersy sotto la presidenza di Incmaro di Reims lo condannarono alla prigionia perpetua in un chiostro. Alcuni decenni prima probabilmente Godescalco avrebbe trovato la morte sui campi di battaglia combattendo per fini di conquista o di preda; ora invece sacrificò la vita per la libertà del pensiero e delle convinzioni e scelse come sua meta la lotta contro i tormentosi grovigli della speculazione umana. Ma se tale egli fu, i suoi parenti e la massa del suo popolo continuavano a vivere all'antica maniera e con le antiche idee.

Questa contraddizione, questa divergenza spirituale immanente nelle popolazioni é uno dei fattori principali dei fenomeni spesso incomprensibili che ci presenta la storia dei Medio-Evo. Essa fu pure una delle cause per cui poté introdursi e radicarsi, specialmente nel campo giuridico, quella così profonda differenza tra ecclesiastici e laici che pose capo alla formazione dei ceti medioevali e sotto molti riguardi dominò la vita sociale del MedioEvo.
Ma gli inconvenienti e i danni che furono necessarie conseguenze di questa intima contraddizione della vita nazionale di quei giorni non ci debbono far velo fino a farci disconoscere quanto di vario, di elevato, di bello le organizzazioni ecclesiastiche, i loro studi, le loro costruzioni, la loro attività improntata almeno idealmente, se non sempre praticamente, a fini ed a concetti nobili e miti, hanno saputo trasfondere nella vita dei popoli e nell'aspetto esteriore dei vari paesi.

Per l'appunto le chiese ed i monasteri devono avere abbellito considerevolmente soprattutto le regioni sassoni assoggettate da Carlo Magno, ma anche gli altri paesi dell'impero franco. Le strade ed i ponti che mancavano ai chiostri e gli stessi edifici claustrali col loro impianto architettonico più vario e complicato superavano naturalmente persino le più ricche residenze nobiliari del periodo pagano. Monaci e chierici stranieri provenienti da contrade di civiltà più avanzata recarono con se le loro esigenze più raffinate, la loro esperienza nell'architettura e nelle altre arti che si coltivavano nei chiostri.
Molti artigiani acquistarono capacità artistiche e con ciò si aprirono ancora nuovi campi all'attività di uomini dotati di talento che sinora non avevano avuto dinanzi a sé che la guerra o l'esercizio di una agricoltura primitiva. Malgrado i torbidi, le guerre ed altre gravi angustie che avevano costretto i liberi agricoltori a perdere la propria indipendenza, le energie dei popoli che un tempo avevano fatto parte dell'impero franco non erano fiaccate e dovevano infatti nei secoli successivi manifestarsi così nella creazione di nuove forme di vita come nella vigorosa vitalità delle vecchie forme.

Particolarmente notevoli sono i progressi fatti dalla Chiesa in questo periodo. Essa aveva acquistato in estensione, essendosi propagata al territorio sassone ed alle regioni attigue sino allora non cristianizzate, ovvero cristianizzate soltanto in parte. In tutti i paesi dell'impero franco, ma specialmente in quelli di recente convertiti al cristianesimo era aumentato il numero delle chiese e dei monasteri, erano aumentate le loro ricchezze, era migliorata l'organizzazione dei vescovadi sia per quel che concerne i rapporti tra vescovi sia per quel che concerne le numerose chiese soggette ai singoli vescovadi.
Cresciuto era pure il numero dei privilegi ed anche più quello delle pretese. Non pochi fatti erano tuttavia accaduti che avrebbero dovuto menomare l'autorità del clero. Abbiamo già sopra accennato agli aspri rimproveri con cui Carlo Magno flagellò il clero per le sue captazioni di eredità. Nell'anno 811 egli incaricò i suoi missi dominici di chiedere ai vescovi del rispettivo circondario di ispezione: in primo luogo se si intendeva rinunziare al mondo voleva dire rinunziare a un matrimonio legale; ed in secondo luogo se si intendeva rinunziare al mondo voleva dire fare e pensare ad altro che non a studiare la miglior maniera di atterrire i moribondi con le paure del fuoco infernale ed allettarli con le gioie del paradiso (specialmente i meno intelligenti) per indurli a lasciare i loro beni non ai figli ma alla chiesa. «Voi, egli aggiungeva, trasformate i miei agricoltori in mendicanti, e costoro poi vanno errando miserabili, non hanno di che vivere e per disperazione finiscono masnadieri».

Se il re poté parlare a questo modo in un documento ufficiale, si pensi che cosa deve aver detto la voce irresponsabile del popolo nei discorsi intimi o nell'ira. Non doveva uscirne compromessa l'autorità e l'onore della chiesa? Certamente; anche se in complesso prevalse la corrente contraria.

Come nell'VIII secolo, allorché giunse in Francia Bonifazio ed il re franco Carlomanno si ritiro in un convento, così anche nel IX secolo l'influenza della Chiesa subì un incremento. La condotta dell'alto clero in occasione della lotta tra i figli di Ludovico il Pio fu spregevole. Esso si arrogò un potere disciplinare ecclesiastico sull'imperatore che non gli spettava, e lo fece per ordine ricevuto. Invece di aiutare l'imperatore nelle difficoltà in cui si trovava, esso si fece strumento dei suoi persecutori. Quando il vecchio imperatore poi venne liberato dai suoi figli Ludovico e Pipino e da altri fedeli, allora gli alti prelati si riaccostarono a lui umiliandosi a riconoscere che avevano avuto torto ad agire come avevano agito, revocarono le pene spirituali con cui lo avevano bollato, dichiarato incapace di tornare a cingere e portare la spada e cercarono di far ricadere la colpa su Ebbo, l'arcivescovo di Reims, che avrebbe dovuto eseguire le sanzioni spirituali emanate contro l'imperatore.

Una condotta egualmente biasimevole tennero parecchi alti prelati nelle questioni domestiche e processi tra re Lotario II e la sua infelice consorte. Ma queste aberrazioni del clero vennero controbilanciate ed oscurate dalla importante opera di progresso civile e sociale che in complesso compiva la Chiesa e dal fatto che proprio gli uomini più eminenti che non erano partecipi del potere politico speravano dalla Chiesa riparo agli inconvenienti di quei tristi tempi o per lo meno vedevano nell'acquisto delle dignità ecclesiastiche la migliore occasione per guadagnarsi influenza e potere.
E per l'una o per l'altra ragione essi si fecero sostenitori di una maggiore autorità della Chiesa. Vala, l'abate di Corbie in Francia, nipote al pari di Carlo Magno di Carlo Martello e per lungo tempo anche il confidente del gran re, si diede più tardi a combattere con la massima energia, specialmente in seno alla dieta di Aquisgrana dell'828, contro la supremazia che lo Stato godeva di fronte alla Chiesa. Egli chiamò questo stato di cose una schiavitù della Chiesa, reclamò che la nomina dei vescovi e degli abati fosse affidata alla libera elezione, deplorò che queste sacre funzioni fossero dispensate per favoritismo, e si smarrì in ultimo fino a sostenere il principio astratto ed inattuabile, date le condizioni dei tempi, che gli ecclesiastici dovessero rinunziare ad ingerirsi nelle cose temporali e l'imperatore da parte sua dovesse astenersi dall'immischiarsi negli affari ecclesiastici.

Per quanto censurabile possa apparire questo contegno di Vala e di altri dirigenti del clero, come Incmaro ed Ebbo di Reims, resta il fatto che costoro erano delle vere personalità dotate di energia e di abilità e che esercitarono una grande autorità. E la Chiesa indubbiamente non poté fare a meno di avvantaggiarsi già per il solo fatto d'essere rappresentata da simili uomini. Difatti vediamo ad es. che la grave disposizione del diritto franco, per cui nessun uomo libero poteva senza il permesso del re entrare al servizio della Chiesa (ad servitium Dei se tradere), non é più in vigore verso la metà del IX secolo, ed a quanto sembra essa è stata abolita per desuetudine, per effetto tacito del maggior grado di autorità e di influenza raggiunto dalla Chiesa.

Altri vantaggi furono dalla Chiesa ottenuti in seguito a decreti dei sinodi e dei re ovvero in virtù di privilegi, accordati dapprima soltanto a singoli chierici a favore delle loro chiese. Ma tutti i privilegi così acquistati dalla Chiesa, tutte le pretese che essa aveva realizzato ed i risultati ottenuti che sfruttava invocandoli come precedenti, non bastavano ancora a quelli che reggevano il timone della Chiesa. Nell'entourage di questi chierici influenti vennero in quest'epoca perpetrate e diffuse delle falsificazioni destinate a colorire come vecchi diritti pretese nuove e tentare così di realizzarle.

La più famosa di queste falsificazioni é la così detta donazione di Costantino, il constitutum Constantini, una falsificazione di una grossolanità addirittura grottesca. La leggenda della donazione di Costantino era già stata diffusa nell'VIII secolo, ma il relativo falso documento fu costruito soltanto dopo l'incoronazione ad imperatore di Carlo Magno, verosimilmente dopo l'813, forse allo scopo di protestare contro l'incoronazione di Ludovico il Pio celebrata (irritando il papato) con una funzione semplicemente laica.
Il documento falso fu fabbricato a Roma in servizio delle grandi pretese del papa e delle grandi e piccole pretese del clero romano. A nostra conoscenza si é cominciato ad invocare questa falsa donazione verso la metà del IX secolo e da allora essa rimase per tutto il Medio-Evo una delle armi principali di cui si valse la Chiesa per sostenere e realizzare le sue pretese. Invano si é tentato di contestarlo; nei momenti più decisivi, come in occasione del conflitto con l'imperatore Federico II, a questa pretesa donazione Roma si é richiamata.

Può sembrare strano che una così grossolana falsificazione abbia potuto esercitare tanta influenza; ma occorre porre mente che nel Medio-Evo non se ne rese noto il testo completo, ma se ne citarono solo alcuni passi, i più essenziali allo scopo, e che d'altra parte mancava a quel tempo il mezzo e la capacità di verificarne l'autenticità. Si radicò pertanto nella credenza universale che Costantino con la sua donazione avesse fondato il potere temporale e la ricchezza della Chiesa. Perciò Walter von der Vogelweide, il quale riteneva che la ricchezza fosse la causa della decadenza morale della Chiesa, deplorò che Costantino con la sua donazione avesse elargito alla Chiesa un veleno per cui il suo miele si era trasformato in fiele.

Verso la metà del IX secolo sorsero nell'occidente della Francia due collezioni di documenti falsi, cioè fabbricati di sana pianta ovvero falsificati in parte: una collezione di pretesi capitolari, vale a dire costituzioni di re franchi, che va sotto il nome di un Benedetto diacono, ed una collezione di false decretali che va sotto il nome di un Isidoro di Siviglia e che oggi é chiamata delle «decretali pseudo-isidoriane». Ambedue servirono allo scopo di far apparire come vecchi diritti delle pretese che il clero non era ancora arrivato a realizzare, ovvero a fabbricare costituzioni che le riconoscevano questi diritti.
Tutte queste macchinazioni poi miravano a stabilire il principio fondamentale che le leggi laiche e le istituzioni dello Stato che contraddicevano ai canoni dei concili o ai decreti dei pontefici non avevano alcuna efficacia. La Chiesa pretese che la sua legislazione avesse la preminenza.

Manifestazione dello stesso ordine di idee é il fatto che la Chiesa si arrogò il diritto di conferire la dignità imperiale ed il potere imperiale. Gliene offrì l'occasione l'uso dell'incoronazione e dell'unzione degli imperatori da parte dei papi. Questi due atti devono tenersi distinti. L'unzione era un atto religioso di consacrazione desunto dal cerimoniale giudaico; l'incoronazione era una cerimonia d'indole laica derivata da Bisanzio, dove veniva compiuta talora dagli imperatori, talora dai patriarchi.
E' vero che Carlo Magno, dopo la sua elezione ad imperatore per parte dei Romani e dei grandi del suo esercito, si era fatto incoronare dal papa, ma nell'813 aveva egli stesso incoronato suo figlio, il quale nell'817 incoronò a sua volta imperatore il proprio figlio Lotario. E queste stesse incoronazioni da parte dei re non venivano considerate come la fonte dell'autorità imperiale, ma come una solenne proclamazione dell'avvenuta elezione e dell'avvenuto conferimento (come legittima eredità) della carica imperiale.
Fonte dell'autorità del successore era ritenuta la volontà dell'imperatore precedente confortata dal consenso dei grandi dell'impero. Ambedue gli imperatori, Ludovico I e Lotario I, si fecero tuttavia in seguito incoronare ancora una volta dal papa, ma non intesero affatto con ciò che la loro autorità datasse soltanto da questo momento. L'incoronazione papale fu aggiunta come una semplice forma solenne di benedizione religiosa e come un'altra cerimonia di proclamazione, senza darvi il carattere giuridico di un atto necessario ad integrare la elevazione alla dignità imperiale.

Lo stesso é a dire dell'unzione. E questo concetto del valore dell'intervento papale non si riuscì mai ad eliminarlo completamente nel corso del Medio-Evo. Nel fatto i re tedeschi, prima ancora della loro incoronazione ad imperatori, ed i re tedeschi che non vennero mai incoronati imperatori, esercitarono i diritti imperiali. Ma, siccome ci si teneva all'incoronazione papale, gli stessi imperatori si piegarono più o meno al principio, affermato dalla metà del IX secolo, talora con un certo riserbo, ma talora con maggiore arditezza, che la dignità imperiale esigeva l'incoronazione da parte del papa, che questa eracondizione sine qua non della prima.

La formazione di tali idee é uno dei più importanti risultati cui ha condotto la storia di questi decenni; é in questo periodo che furono preparate le armi con le quali Gregorio VII ed i suoi successori combatterono principalmente le loro battaglie e riportarono le loro vittorie.
L'imperatore Ludovico II si fece nell'844 incoronare re dei Longobardi da papa Sergio, dopo che suo padre, l'imperatore Lotario, nell'843 lo aveva elevato a tale dignità e dopo che aveva già esercitato la potestà regia. Non vi é dubbio che egli non intendeva che il potere gli derivasse dall'incoronazione papale. Anzi si recò a Roma per riaffermare la sudditanza dei Romani e del papa all'imperatore. La città ed il papa dovettero per suo ordine prestare nuovamente un giuramento di fedeltà e di omaggio all'imperatore Lotario.

Meno chiara é la situazione delle cose per quel che concerne l'incoronazione ad imperatore di Lotario II, avvenuta nell'850. Si vuole che essa abbia avuto luogo per volere dell'imperatore Lotario, il quale, come aveva fatto a suo tempo Ludovico il Pio, si era - lui ancor vivo - associato il figlio nella dignità imperiale. Ma quando, nell'anno 871, l'imperatore greco in una lettera piena di alterigia scrisse all'imperatore Ludovico che a torto portava il titolo imperiale che spettava soltanto ai successori di Costantino, Ludovico II si appellò per sostenere la legittimità del suo titolo anche al fatto che era stato consacrato alla dignità imperiale dal papa.
Certo egli aveva avuto una speciale ragione per fare questo, perché l'imperatore bizantino nella sua lettera si era servito dell'argomento che nella santa messa dai tempi degli apostoli non si parlava che di un solo impero e che quindi l'impero franco aveva bisogno del riconoscimento dei quattro patriarchi della chiesa. Ludovico confutò questo argomento teologico osservando che la santa messa non alludeva al regno terreno, ma al regno di Dio ed aggiungendo che tutti i patriarchi nella loro lettera lo chiamavano imperatore e che egli era stato consacrato a Roma
; di modo che non si poteva dire che i patriarchi condividessero l'accennato dubbio teologico.

Se non che indubbiamente tutto ciò contribuì a rafforzare la posizione del papa nei suoi rapporti con gli imperatori e ad accrescere l'importanza della incoronazione papale. E l'autorità pontificia aumentò ancora quando negli anni dall'847 all'855 papa Leone IV si rivelò di fronte al flagello saraceno un principe valoroso ed oculato e supplì alle deficienze della scarsa azione tutelare spiegata dal sovrano franco.
Ma l'imperatore Ludovico II rimase tuttavia padrone di Roma ed intervenne energicamente quando ad un certo punto sorse il sospetto che nell'ambiente pontificio si tramava un progetto di defezionare dalla parte dell'impero greco.

L'energia ed il successo con cui Nicola I (858-67) intervenne ed esercitò la sua influenza nelle questioni coniugali di Lotario II (minacciato di scomunica e di deposizione) e nelle altre complicazioni interne dell'impero franco e dell'impero bizantino aumentarono anche la forza politica di Roma e del clero in genere. Inoltre egli si servì delle false decretali per affermare il principio che le leggi laiche erano nulle se contraddicevano alle leggi ecclesiastiche. Ma, sostenne anche la subordinazione di tutti i vescovi a Roma, mentre le false decretali (ed erano state fatte proprio per questo motivo) cercavano di favorire l'autonomia dei vescovi.

Roma, secondo Nicola I, era a capo della gerarchia ecclesiastica, gli altri tre patriarcati di Alessandria, Antiochia e Costantinopoli, occupavano un gradino inferiore di fronte a Roma. Roma poteva giudicare tutti, ma non essere giudicata da alcuno. A Roma si poteva appellare da tutto il mondo. Roma soltanto poteva pronunziare la deposizione di vescovi colpevoli. Soltanto a Roma spettava il potere legislativo ecclesiastico. I deliberati dei sinodi avevano bisogno dell'approvazione e conferma del papa: «i diritti di tutte le altre chiese si basano sui diritti del seggio apostolico, con i quali sussistono e cadono».
Questo principio fu da Nicola I proclamato e lanciato all'indirizzo dell'arcivescovo Incmaro di Reims che non volle adattarsi a simile genere di soggezione. Di modo che in seno alla chiesa scoppiarono frequenti ed aspri conflitti.

Nicola I non riuscì affatto a realizzare tutte le sue pretese, e quando riuscì, lo dovette per lo più a combinazioni fortuite. Ma in complesso il suo papato ha dato un grande impulso al progresso delle aspirazioni clericali ed alla formazione di una vasta corrente favorevole alle medesime. A ciò contribuì ora anche Carlo II (il Calvo) con ripetuti atti e ripetute dichiarazioni. Già nell'859 nel sinodo di Savonières aveva detto di dovere il regno all'incoronazione ed unzione vescovile.
Analogo contegno egli tenne poi quando tento di trarre a sé il regno di Lotario II, morto nell'869. Egli convocò i vescovi della Lorena ad una specie di sinodo nella chiesa di S. Stefano a Metz. A nome dell'assemblea un vescovo dichiarò che «per volontà di Dio il re Carlo lì presente era stato loro rivelato come il legittimo erede del regno ed a lui quindi essi si sottomettevano volontariamente ed unanimemente».
Dopo un discorso del re parlò l'abile arcivescovo Incmaro di Reims accentuando l'importanza della chiesa di Metz, e ricordando in specie che qui era stata restituita a Ludovico il Pio la corona imperiale dopo la sua detronizzazione; così pure rilevò l'importanza della chiesa di Reims dove Clodoveo era stato unto re con un olio mandato dal cielo.

Finalmente accennò all'uso di incoronare ed ungere i re al momento dell'acquisto di un nuovo regno. Dopo ciò fu deliberato per acclamazione di incoronare re anche Carlo. Così infatti avvenne ed Incmaro lo consacrò adoperando quel preteso olio santo mandato dal cielo che si conservava solo nella chiesa di Reims.

Questo atto di Carlo il Calvo costituiva una violazione dei trattati, ed egli dovette ben presto abbandonare nuovamente la preda e nella dieta di Mersen (8 agosto 870) pattuire con suo fratello Ludovico il Tedesco una divisione del regno lorenese, in cui ottenne press'a poco le sole regioni neo-latine.
Che la chiesa sia stata indotta a coprire l'ingiustizia col manto della rivelazione divina e con la leggenda dell'olio santo di Reims, non fu certamente una bella cosa; ma il fatto che la sua parola e le sue cerimonie avevano, sia pure transitoriamente, deciso del trono non poté a meno di produrre grande impressione e radicare un più alto concetto della sua influenza anche negli affari politici.

Agli atti ora accennati altri se ne aggiunsero della stessa natura, ed il più importante partì ancora una volta da Carlo II. Questo scaltro principe, che in materia di religione era piuttosto spregiudicato e libero pensatore, si fece nell'875 conferire la corona imperiale da papa Giovanni VIII allo stesso modo che nell'869 aveva ricevuto dai vescovi lorenesi la corona di Lorena; ciò perché egli cercava di supplire alla debolezza militare con l'appoggio clericale. Vero è peraltro che i Carolingi tedeschi lo cacciarono subito dall'Italia, ed il papa dovette amaramente sperimentare quali calamità possano colpire un paese in cui manca un ordine di cose saldamente costituito ed un potere regio avente in se stesso la propria forza.

Giovanni VIII era un uomo accorto ed ardito. Nella storia ecclesiastica egli é famoso per il suo decreto (26 giugno 880) che concesse agli Slavi l'uso della bibbia nella loro lingua nazionale e di dir messa in lingua slava «...giacché - egli dice - Dio ci ha esortato a lodarlo non in tre sole lingue, ma in tutte le lingue».

Nel cammino verso la predominanza del papato sull'impero sembrò a lui di aver fatto l'ultimo passo. Egli si cullò nell'idea che stava in suo arbitrio di decidere a chi dare la corona. Egli incoronò Carlo II in occasione del natale come era stato fatto per Carlo Magno. Con insensata ampollosità nella frase proclamò che:
«Carlo era stato predestinato alla dignità imperiale prima della creazione del mondo e rivelato da Dio per la salute del popolo cristiano come salvatore e protettore della chiesa».

E siccome re Ludovico il Tedesco, il quale come primogenito aveva secondo il diritto franco titolo prioritario alla corona imperiale, papa Giovanni costrinse Carlo II ad uscire frettolosamente dall'Italia, perseguendolo anche in Francia, e lo chiamò un Caino che non accettava gli fosse stato preferito dalla sede apostolica il fratello "più accetto di lui a Dio".

Anche in alcune misure adottate da Giovanni e da Carlo contro la chiesa franca occidentale si rivela un concetto straordinariamente alto del potere del papa nelle cose temporali e spirituali.
Ma (sarà stata la volonta di Dio?) Carlo II morì poco dopo (nell'877), papa Giovanni fu assassinato nell'883, l'Italia e Roma caddero in un deplorevole stato di anarchia, il pontificato divenne zimbello delle fazioni lottanti entro il ceto nobiliare e alla fine una specie di feudo di una di queste famiglie.

Da questa schiavitù il papato fu provvidenzialmente liberato dalla restaurata monarchia tedesca, il cui sorgere é il fatto più importante di questo periodo. Come poi sotto la protezione di questa monarchia il papato sia potuto tornare rapidamente all'antica altezza si spiega solo se si tien conto dei risultati già ottenuti e delle conquiste fatte da Roma nel periodo della dissoluzione dell'impero carolingio.

e di questo importante periodo della monarchia tedesca
noi parleremo nel prossimo capitolo

L'IMPERO TEDESCO FINO AL 1197 > >

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