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34. GLI INDOEUROPEI E L'INDIA ANTICA - LA PRESISTORIA

India è uno dei nomi che hanno indubbiamente avuto, nel corso dei secoli, la maggior quantità di accezioni. Dato inizialmente solo al Paese bagnato dall'Indo, fu esteso più tardi a tutte le regioni d'Oriente di cui parlano gli scrittori dell'antichità. Al bacino dell'Indo s'aggiunse dopo il bacino del Gange, la penisola del Dekan vi fu poi annessa, come pure le terre orientali di là del fiume sacro. Dell'India furono chiamate le isole al sud dell'Asia e poi anche quelle della Malesia; il medio evo comprese in quel nome perfino l'Arabia e l'Etiopia; ci si mise poi Colombo che diede il nome anche alle nuove terre scoperte, e da allora si chiamarono tutti quei popoli del Nuovo Mondo indiani o amer-indi; i colonialisti inglesi e olandesi chiamarono Indie tutto ciò che era a Oriente. Insomma una gran confusione di Paesi che con il fiume Indo non avevano nulla a che vedere.

Dell' immensa penisola, con una superficie allora molto più grande di oggi che gli antichi conoscevano sotto il nome di India - (India cis Gangem, India anteriore, India trans Gangem, India posteriore, Cocincina) - quella che nella storia della civiltà ha maggior gloria è senza dubbio la più vasta, che s'addentra nel mare a forma di triangolo, con la base nei monti del Pamir e dell'Himalaia e il vertice nel capo Comorin sull'Oceano.
Per diversità di condizioni naturali e di sviluppo storico, tutta questa regione si divide a sua volta in due parti press'a poco d'uguale estensione e di egual forma triangolare una verso verso i monti: l'Aryavârta - (la parte continentale dell'India, pianura contenuta fra la catena dell'Himalaia, l'Indo, il Bramaputra e i Vindhia); e una verso il mare, il Dakshinapatha - (il Dekan, che sarebbe la vera parte peninsulare: un altopiano chiuso tra i Gathi orientali e occidentali, l'aspra catena del Vindhia a nord e i monti Nilgiri a sud).

È l'India il paese dove gli spettacoli della natura sono più grandiosi e il contrasto fra le varie condizioni fisiche sono senza pari, per mitezza di clima, per fertilità di suolo, per splendore di paesaggio. Ben a ragione gli antichi consideravano l'India come il paese delle meraviglie e delle prodigiose ricchezze.

E indubbiamente il territorio pronto ad accogliere e far prosperare una civiltà dovette essere quella del bacino del sacro Gange e dell'Indo. Questi fiumi resero possibile - come il Nilo per gli Egizi, come l'Eufrate e il Tigri per i Caldei e gli Assiri - lo stanziamento degli Arii, e intorno ad essi appunto sorsero le metropoli della cultura, della religione, del commercio indiano, Indraprasta, Matura, Hastinapura, Kangiacugba, Pratishtana, Kapilavusta, Pataliputra.

 

Primi abitatori dell'India pare fossero popoli di razza nera, di quel gruppo detto negrito, dai capelli lisci, e simili ai neri d'Australia, dei quali restano esempi negli Andaman, nella penisola di Malacca e nelle Filippine, ricacciati forse lì dal succedersi insistente di torme turaniche più evolute e più forti: i Dravidi. Quando vennero gli Arya «i nobili», questi bianchi si trovarono di fronte popolazioni negre, dal naso schiacciato, dai piccoli occhi, che essi chiamarono mlettchasete. Da mescolanze di questi neri con tribù protodravidiche, derivavano i Daisya, dominatori di civiltà superiore a quella dei loro schiavi di razza nera.

Gli Arya erravano nell'ampia contrada solcata dall'Oxus e dal Jaxartes (Amu-Daria e Sir-Daria) quando, cresciuti a dismisura come popolazione, molte loro tribù dovettero emigrare in cerca di nuovi pascoli. Portavano con se le prime faville della civiltà: una lingua giunta alla flessione, la organizzazione salda della famiglia, l'uso comune del bronzo. Alcuni, girando sopra il Caspio, si rovescieranno nell'Europa ancora preistorica; altri scenderanno verso sud-ovest nell'altipiano iranico; altri ancora s'avanzeranno verso l'Oriente.

La valle che apparve agli Arii apparve fertilissima, varcati i passi del Pamir e la estesa pianura solcata da grandi corsi d'acqua. Sapta-Sindhu, «dei sette fiumi», e anche Pancianada, "dai cinque corsi d'acqua". Sindhu (fiume) per antonomasia chiamarono il più abbondante d'acque fra essi, Indhu, cioè Indo, donde il nome agli occupanti del territorio che si andò sempre più allargando.
La conquista dovette essere molto lenta; dei locali vinti, parte fu distrutta, parte asservita e parte fu assimilata.
Quantunque manchino dati cronologici di certezza indiscutibile, si può ritenere che nel secolo XV a. C. gli Arii fossero padroni del Pancianada. Da allora lo sviluppo della stirpe aria, stabilita nell'India comincia a seguir un'altra via da quella dei fratelli europei e iranici : mentre questi andavano incontro a conflitti perpetui, e adottavano nuovi costumi e nuove idee religiose, quelli asservivano le popolazioni inferiori, conservavano le tradizioni e i costumi primitivi, il sereno panteismo, i pacifici riti e si organizzavano, per rendere più salda la dominazione, in caste immutabili.

Tutto iniziò con la seconda grande emigrazione dell'uomo, avvenuta nell'arco di 40.000-30.000 anni fa, che lo portano a una comparsa poligenetica nei vari continenti partendo da un'origine policentrica individuata nella zona della Rhodesia, la vera culla dell'umanità intera.
Secondo quanto emerge dai lavori di Cavalli Sforza (sull'origine genetica dei popoli della Terra), sembra che siano bastati solo 5-10 mila anni per diffondersi nuovamente come i predecessori (questi lo fecero in 4-500.000 anni), in tutte le zone dei continenti, occupandoli, vivendoci, modificando subito i territori dove iniziarono i primi intelligenti insediamenti fissi e i primi villaggi con le prime vere comunità umane.
Nota: Quelli che vediamo all'estremità occidentale della cartina sopra, sono i Baschi che risultano essere il più antico popolo europeo, il più autoctono (della seconda emigrazione - risalente a circa 20.000-15.000 anni fa; quelli che (facendo gruppo compatto, difendendo il loro territorio, isolandosi) hanno opposto maggior resistenza alle migrazioni che dal Medio Oriente a partire da diecimila anni fa rimescolarono le carte genetiche del continente europeo).

Dall'antichissima storia di tutta l'Asia vediamo quindi che la vita sedentaria e quindi storica è sorta quasi subito in due regioni, che offriva all'uomo, per le loro condizioni naturali, la possibilità di una vita migliore sotto tanti aspetti e quindi di maggiore incivilimento. Vediamo così sorgere le più antica ma anche indipendente storia, nella regione dell'Eufrate e del Tigri, più a Oriente nel grande bassopiano iranico col grande fiume, più avanti ancora nella pianura dei giganteschi fiumi della Cina. Tutti territori all'incirca posti sullo stesso parallelo.

Già nei tempi più lontani di questa seconda emigrazione, possiamo distinguere nettamente un territorio occidentale ed uno orientale. Il primo viene colonizzato da popoli di gruppi differenti, forse muovendo dal sud vi si affacciano i Semiti; nel secondo a Oriente dopo un prima colonizzazione nella zona dei grandi fiumi, si spingono fino in Cina, risalgono a nord e si formano altri popoli e compiono un grande movimento verso occidente, popoli la cui stirpe e lingua sono tuttora ancora oscuri (Mongoli, Turchi, Slavi, Lapponi, Siberiani, Finnici, Goti, Germani, Sassoni ecc.).
Tutto l'Oriente è invece occupato da popoli la cui primitiva unione storica risultano compresi nel cerchio delle lingue monosillabiche, senza però che ci sia dato una conferma netta delle loro affinità mediante caratteristiche di "razza". (tutti i neri d'America ad es. da alcune generazioni parlano oggi l'inglese, ma non sono inglesi!)

Accanto a questi popoli civili, già formatisi nell'Asia centrale, compaiono, in età relativamente recente, altri popoli di un'altra stirpe, che vi penetrano da settentrione, occupando una fascia di terra che via via si estende alla valle dell'Indo: sono i popoli di quella grande famiglia diffusa in Europa ed in Asia: la famiglia che precede la indoeuropea.
Questi membri di questo nuovo gruppo sono penetrati nelle loro sedi storiche dopo aver emigrato e compiuto un lungo giro dalla culla comune di tutti i popoli.

Molto prima che queste primi gruppi, si affaccino alla storia, un popolo o un insieme di tribù affini, viveva in un territorio non individuato con certezza; in tale popolo vediamo i primordi di quei popoli civili che poi saranno i cosiddetti indoeuropei. Però noi deduciamo l'esistenza di questo gruppo preistorico di popoli e della sua comunanza di civiltà solo da più tarde condizioni e rapporti storici.
Ma l'ipotesi che esistesse un popolo primitivo indoeuropeo, possessore di una certa particolare civiltà, si appoggia a dati di fatto (!?) così numerosi, da poter esser guardata come uno dei più sicuri risultati dell'indagine storica. Il punto di partenza per tale ipotesi (ripeto ipotesi) è offerto a tutta prima solo dal fatto che un certo numero di lingue dimostrano parentela così stretta da apparire come propaggini di una lingua-madre comune. Si ammise che alla primitiva parentela linguistica dovesse corrispondere una comunanza di origine: la scoperta di una lingua primitiva indoeuropea portò ad ammettere l'esistenza di un popolo primitivo indoeuropeo.

Ora noi sappiamo che il gruppo delle lingue indoeuropee é formato dall'indiano, iranico, armeno, greco, albanese, italico, celtico, germanico, slavo e baltico (lituano e lettone) ; più i pochi avanzi di lingue indoeuropee scomparse, delle quali è difficile stabilire il rapporto con quelle conosciute. Il frigio e il tracio appartengono verosimilmente a un gruppo speciale, del quale si è conservato solo l'armeno. La lingua dei Macedoni é da porsi vicino alla greca. L'antico illirico e il veneto designano un gruppo di dialetti illirici, mentre il messapico dell'Italia meridionale (puglia) pare connesso coll'albanese; il siculo sarà da congiungere coll'italico. Le lingue degli antichi Sciti e degli odierni Osseti nel Caucaso, nonchè di alcune altre tribù quali gli «Ebrei» del Caucaso, appartengono al ceppo iranico. ( se andiamo a leggere bene la Bibbia la lingua materna di Abramo capostipite degli ebrei, doveva essere di Ur, cioè un Camita e non un Semita, lui e i suoi discendenti, perchè in Genesi Cap. 10-15 c'è scritto " "Questi furono i figli di Cam secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori e nei loro popoli".
Figli di Cam e non di Sem !!!


Infine si è di recente scoperta, in manoscritti dell'Asia centrale contenenti frammenti di un'opera buddistica, una nuova lingua indoeuropea: il tocario, lingua degli Indo-Sciti, che offre notevoli concordanze col gruppo europeo, col greco, latino e germanico. Di altre lingue è dubbio se appartengano alla famiglia indoeuropea: così del lidio, che prese forse soltanto singoli fenomeni dall'indoeuropeo, e del licio, di tipo incerto. Si può invece affermare con sicurezza che la lingua degli Etruschi non era indoeuropea, e nemmeno semitica. Non pare siano riusciti i tentativi di interpretare la scrittura ideografica dei Chetiti per mezzo dell'armeno e di spiegare la loro lingua come indoeuropea. Qui siamo certamente nella sfera di civiltà di una popolazione pre-indoeuropea delle coste ed isole dell'Egeo. Se si riuscirà a leggere meglio le iscrizioni trovate a Creta, esse pure getteranno certamente luce su di una civiltà pre-indoeuropea e pre-ellenica (forse Trace? Omero sembra dircelo in più parti. E la civiltà trace è ancora tutta da scoprire! Sembra perfino precedere quella egizia e quella sumerica. E la scrittura sembra proprio che l'abbiano inventata loro, secondo gli ultimi (1980) ritrovamenti delle "Tavolette Tartaria" , a Varna. Cioè dove - fino a ieri - non ci dovevano essere. Un "giallo" insomma).

Dai fatti della storia della lingua consegue la questione: in che senso da una lingua primitiva indoeuropea possiamo dedurre l'esistenza di un popolo primitivo indoeuropeo? Una lingua avente unità e coesione vive solo basandosi su una comunanza storica di vita.
Rispecchiandosi nella lingua una continuità di vita umana, l'ammettere una lingua indoeuropea ci conduce ad ammettere un popolo preistorico indoeuropeo. Nella sua fase più recente - anteriore alla divisione storica dei popoli migratori - può darsi fosse già diviso in tribù, con differenze dialettali corrispondenti.
All'incontro la parentela linguistica non ci permette di trarre conclusioni di una comune origine o affinità di "razza". Infatti chiamando Indoeuropei i popoli che oggi parlano lingue affini, indichiamo una connessione linguistica e storica, non già una unità di "razza", inquantochè la parola "razza" designa una comunanza naturale determinata da caratteristiche ben precise. Ma questo fino a poco tempo fa (dovute alle influenze di Linneo) quando si dividevano in Leucodermi (bianchi), Melanodermi (neri), Xantodermi (gialli). Oggi però i progressi della genetica portano a respingere qualsiasi tentativo di classificazione razziale; "razza" è un termine che si usa più soltanto negli allevamenti di cavalli, maiali, bovini ecc., cioè quando parliamo di animali della stessa specie ma che hanno caratteri morfologici e fisiologici (ora anche genetici) differenti da tutti gli altri esemplari della stessa specie.

La parentela linguistica è quindi un fenomeno storicamente condizionato, non connesso con la comunanza di "razza", che è invece naturalmente condizionata dall'ambiente in cui vive. In ogni caso non c'è quindi da parlare di una discendenza dei cosiddetti indoeuropei da quel popolo preistorico di lingua indoeuropea. Non esiste una "razza" "indoeuropea", ma solo diversi popoli di lingue affini, che classifichiamo indo europee, perché si sono sparse dall'India fino all'Islanda. E se vogliamo ancora abusare del vecchio termine, nell'età a noi storicamente accessibile, i popoli storici non sono mai stati "razze pure", perchè non sono esistite "razze impure". Gli uomini della nostra antica o nuova civiltà appartengono tutti a uno stesso ceppo: bianchi, rossi, gialli o neri.
Dice Cavalli Sforza: "Le differenze tra i popoli sono meno marcate di quanto si creda e soprattutto sempre e solo di natura quantitativa: certi geni compaiono più di frequente, certi meno. Siamo tutti della stessa specie, tra gli uomini non ci sono distinzioni qualitative"

 

Può darsi benissimo che il primitivo popolo indoeuropeo sia esistito come comunità di popoli, ma come "razza" non lo si può con sicurezza determinare. Anche se la lingua primitiva indoeuropea fosse stata parlata da una "razza" una volta omogenea, sarebbe del tutto impossibile che gli odierni "Indoeuropei" ne fossero i discendenti.

Quasi giunti che siamo ad ammettere l'origine delle lingue indoeuropee da un popolo preistorico, sorge innanzi tutto la questione della sede di questo popolo. La determinazione della sede primitiva dipende in primo luogo dal modo con cui ci rappresentiamo quel popolo primitivo.
Si deve cercarne la patria in Asia o in Europa? la questione è molto discussa. L'India e l'Iran sono assolutamente da escludere; l'immigrazione di stirpi indoeuropee in questi paesi avviene solo in un'età storicamente riconoscibile. Oggi domina, benché in forme diverse, l'opinione che la sede primitiva degli Indoeuropei sia da cercarsi in Europa; ma Joh. Schmidt sostenne l'ipotesi dell'origine asiatica, richiamandosi a certi aspetti della civiltà indoeuropea, che si spiegherebbero con antichissimi influssi della cultura babilonese sugli Indoeuropei stessi.
Si fa soprattutto valere l'argomento che il sistema decimale degli Indoeuropei si trova frammisto, presso gli Elleni, gli Italici, i Germani e i Celti ad un sistema sessagesimale. Ora nel computo babilonese il numero-base è il 60. Ma pur ammettendo che tale fenomeno linguistico risalga - com'è verosimile - all'influenza babilonese, non se ne può dedurre gran che per la questione della patria primitiva. Il sistema numerale dei Babilonesi aveva larghe applicazioni pratiche: servendo a determinare misure, pesi e monete, aveva grande importanza nelle relazioni commerciali e poteva in tal modo ripercuotersi a grandi distanze. (oggi anche tutti i neri in America usano i dollari, ma non per questo un domani quando scenderà un marziano sulla Terra potrà dire che i neri sono americani).

Di grandissima importanza per la diffusione geografica degli Indoeuropei sarebbe la dimostrazione di una primitiva parentela del ceppo indoeuropeo con un altro ceppo linguistico. I tentativi di ricondurre le lingue indoeuropee e semitiche ad una base comune, son rimasti infruttuosi. Inoltre le origini del gruppo dei popoli semitici sembrano doversi cercare in un territorio - sia esso l'Arabia o l'Africa - certamente fuor di questione come patria degli Indoeuropei. Esistono all'incontro numerose e sorprendenti concordanze nel lessico e nella morfologia dei temi, della declinazione e della coniugazione tra le lingue indoeuropee ed ugrofinniche, tanto da potersi ammettere per lo meno un contatto preistorico tra le due famiglie linguistiche. Questi rapporti dovrebbero essere antichissimi; e sarebbero (?) avvenuti sul corso medio del Volga, ad occidente dell'Ural, dove sembra sia da porre la sede primitiva degli Ugro-Finni.
Contro, e ripetiamo contro, l'ipotesi di una regione di steppe come sede originaria sta il fatto di certi aspetti di cultura, secondo ogni apparenza noti al popolo primitivo, e inconciliabili con tale ipotesi. Già nell'età indoeuropea si preparava dal miele una bevanda inebriante (*); ma nella steppa non vi sono api. E nemmeno ci vive l'orso (*). Inoltre il paesaggio delle steppe non risponde alle parole, di possesso comune, come monte, riva scoscesa, collina, dune. Il popolo primitivo mesopotamico conosceva tre quattro stagioni, il cui alternarsi non si può certo ammettere per le steppe, che ne avevano e ne hanno due.
(*) in miele - lo dimostra la concordanza dell'indiano madh-u, col greco µ???, col tedesco Meth, col russo med,, con lo slavo-croato pure med, col latino mel, ecc. - e anche nel nome orso concordano varie tra le lingue indoeuropee.

Ed anche "religio" il termine e il concetto è in tutte le lingue indoeuropee.
In quanto le condizioni necessarie alla vita di un popolo si rispecchiano nella sua lingua, si é cercato di giovarsi degli indizi della lingua per determinare la sede del popolo stesso. La sola indagine linguistica offre però scarsi risultati. Bisogna aiutarsi con la ricerca geografica e storica per giungere a qualche conclusione sull'area di diffusione degli Indoeuropei preistorici. È probabile che, come popolo preistorico, risiedessero dove la loro massa principale ha sempre risieduto nell'età storica: in Europa, forse in una larga zona dall'Oceano Atlantico alle steppe del Caspio.

Può darsi che avessero già occupato il nord dell'Europa. Ad ogni modo all'inizio dell'età storica troviamo stirpi indoeuropee nei territori che formano il passaggio dall'Asia all'Europa. Qui è probabile risiedesse il gruppo orientale degli Indoeuropei, che ritroveremo tra gli Irani col suo animale caratteristico, il cavallo. Varie ragioni c'inducono a cercare le sedi degli Indoeuropei preistorici a nord e ad ovest del Mar Nero (Tracia?) , resta però il dubbio se qui fosse anche la loro patria primitiva; così si spiegherebbero nel miglior modo le relazioni con l'antica cultura orientale.

Non gli Indoeuropei nel loro insieme, ma popoli singoli ci si fanno incontro come quantità storiche. La separazione del popolo primitivo e il diffondersi delle sue parti forma il passaggio all'età storica. Dove e quando avvenissero, e quali avvenimenti ne fossero causa, noi non lo sappiamo ancora. Però, appunto nel sud-est dell'Europa é facile rintracciare le condizioni per tali movimenti: ogni spinta avanti di popolazioni nomadi dell'Asia si riversava prima che in ogni altro in questo territorio.
Non pochi studiosi ritengono vano, se non anche ingiustificato, il tentativo di risalire alla cultura degli Indoeuropei. È fatica vana sostengono essi - il voler dedurre lo stato di civiltà dal patrimonio lessicale comune: una scienza delle antichità indoeuropee non può essere altro che una mitologia scientifica. È vero che il popolo primitivo, e compatto, indoeuropeo sparisce nelle nebbie di un lontano passato: è una quantità puramente ipotetica.
Ma nei vari rami indoeuropei si può riconoscere, fin da quando si presentano nella storia, un certo patrimonio materiale e spirituale, le cui basi debbono esser state poste già nell'età preistorica. In tal senso é certamente ammissibile il tentativo di un'archeologia indoeuropea; purché non si dimentichi mai che per molte ipotesi si può solo accostarsi ad una relativa certezza.

Quando un fenomeno della vita civile si riscontra presso gli Ari dell'Asia e anche presso gli Europei, così lontani da essi, si deve ritenere probabilissimo che appartenesse già alla remota antichità indoeuropea; per quanto possa anche essersi conservato solo presso gli Europei cioè presso i popoli più primitivi, ed essere scomparso presso gli Ari, per effetto di condizioni naturali differenti e di un distinto sviluppo storico.
L'allevamento del bestiame é il tratto dominante nelle condizioni economiche delle prime comunità sedentarie: dobbiamo ammettere accanto ad esso pure gli inizi dell'agricoltura. Si allevavano le pecore e se ne lavorava la lana per vestirsi. Il bue aveva parte cospicua nella vita economica come possesso più di ogni altro pregiato e come misura di valore fino e per lungo tempo nell'età storica. Il prezzo della sposa e le ammende si pagavano in buoi. E il bue è l'animale sacro nell'India e nell'Iran.

Gli Indoeuropei avevano già raggiunto una certa sedentarietà; non erano più nomadi veri e propri, per quanto mutassero spesso di sede. Questa temporanea vita vagante trova la sua espressione nel carro come mezzo di trasporto. Il carro da battaglia, impiegato dagli Indi del periodo vedico, come dai Greci dell'omerico, nei combattimenti, nel culto degli eroi e nelle gare di corse che ne derivarono, è forse di origine babilonese e largamente diffuso tra i popoli indoeuropei.
Nella vita industriale dell'età indoeuropea ebbe già una certa parte anche il commercio; la lingua attesta che si esplicava solo attraverso scambio. Il piccolo bestiame serviva come misura di valore; ma per cose di alto pregio, la moneta per eccellenza era soprattutto il bue.
Si era formato un certo sistema di misurazione e si sapeva contare almeno fino a 100. Importanti progressi fece la civiltà quando si cercò di assicurare il commercio anche con popoli stranieri. Spetta al commercio il gran merito di aver oltrepassato lo stato barbaro dell'anarchia e della guerra di tutti contro tutti.

Nella fase primitiva lo straniero é considerato nemico; il pacifico scambio del commercio gli concede il diritto dell'ospitalità, nato e cresciuto da necessità pratiche. Dai bisogni della vita pratica sorgono così anche norme morali.
Matrimonio e famiglia stanno in stretta connessione col lavoro domestico: l'acquisto della moglie mira soprattutto a procurarsi una forza per il lavoro domestico. Solo all'uomo spetta il nobile compito dell'allevamento del preziosissimo bestiame; l'agricoltura, meno pregiata, e tutto il lavoro manufatturiero tocca alla donna.
Le concordanze negli usi nuziali dei popoli indoeuropei sembra risalgano ad istituzioni della comunità indoeuropea. Nel caso che la forma primitiva del matrimonio sia stato il matrimonio per ratto, essa era già stata abolita come forma legale, per quanto forse talvolta usata specialmente dalla casta guerriera o in casi di necessità.

Qualche singola traccia ne rimane negli usi nuziali, soprattutto nella resistenza e nei pianti della sposa. Nella remota età indoeuropea la sposa veniva comprata. Esistevano determinate forme per la domanda in sposa, per il fidanzamento e per le nozze. Il rito nuziale propriamente detto consisteva nel prendere la mano della sposa, simbolo, com'é probabile, della presa di possesso da parte del marito. Dopo un banchetto in comune, la nuova coppia saliva sul letto in presenza di testimoni, e con ciò il matrimonio era concluso.

La forma della famiglia indoeuropea si può ricostruire dai dati linguistici. Era la «grande famiglia» (una casta); concorrevano a formarla anche i figli ammogliati, insieme ai loro figli. La costituzione patriarcale, la supremazia illimitata del capo della famiglia corrispondevano a tale forma, che trovava la sua espressione religiosa e giuridica nel culto degli antenati e nell'obbligo della vendetta di sangue.
La donna ha rapporti di parentela coi parenti del marito, mentre il marito non ha legami di parentela con quelli della moglie.

La posizione sociale della donna non sembra forse molto alta né secondo la legge né in realtà, né lo si può dedurre dal prezzo della sposa, di per sé. Però la moglie era proprietà del marito, che poteva disporne con diritto illimitato, del pari che dei figli. La poligamia la si riscontrava solo presso i più potenti ed i più ricchi, e persistette nei tempi storici. La monogamia era la regola. Mentre l'adulterio da parte della donna si puniva con la morte, i rapporti sessuali dell'uomo erano un diritto di possesso rispetto a un altro. Il marito poteva cacciar via la moglie; il divorziare era impossibile per la donna. Essa in fondo non era altro che la procreatrice di figli. Come tale, era stimata solo se partoriva maschi; la nascita di una femmina é considerata ancor oggi, in India e presso gli Slavi meridionali, come quasi una sventura, una bocca da sfamare inutile.

Particolarmente disgraziata era la condizione di vedova; nelle caste nobili seguiva il marito nella morte. Alle altre di classe media nulle le spettava dell'eredità del marito; questa passava sotto la tutela del figlio maggiore o di un parente del marito. Come vedova le era vietato passare a seconde nozze. Anche l'esclusione della donna dai pasti degli uomini rivela il contrasto profondo tra i due sessi. Altri tratti invece la mostrano in un'altra luce: in specie quello della sua partecipazione al sacrificio.

Il padre aveva diritto illimitato sui figli: poteva venderli, donarli o ucciderli; così dappertutto fin nell'età storica. L'infanticidio e l'abbandono di bambine sono fenomeni assai diffusi, spesso causati - nella famiglia dell'età primitiva - dalla mancanza di cibo. Ma è dubbio se questi usi comuni degli Indiani, Greci e poi anche Latini, ci permettano, a questo punto, di trarre conclusioni circa l'età indoeuropea.
I rapporti giuridici esistiti presso gli Indoeuropei si possono solo approssimativamente ricostruire coll'aiuto di indagini comparative. Anche per essi dobbiamo ammettere che tali rapporti esistessero solo all'interno della comunità tribale. Per di più, diritto e costumi appaiono tuttora indistinti; il diritto non aveva fondamento né morale, né religioso, ma esisteva solo come ordinamento tradizionale della comunità. Solo a poco a poco la difesa personale e del gruppo viene assunta dal potere di stato che esercita il diritto civile penale solo però nel caso di infrazioni contro la comunità.
Le norme giuridiche civili più stabili sono quelle che regolano i rapporti della famiglia col suo capo supremo. La proprietà privata é sconosciuta; il terreno é proprietà della tribù e vien spartito tra le singole famiglie: tutti i beni mobili sono possesso della famiglia.
Nel diritto penale spetta all'offeso di esercitare la vendetta. La vendetta del sangue é normale, ma pare che molto presto sia stata sostituita dal pagamento di un'indennità o ammenda con capi di buoi e animali vari (vedi es. il codice di Hammurabi). Solo in caso di un delitto contro la comunità, per es. tradimento o viltà, la giustizia primitiva era rappresentata dalla comunità del popolo. L'unica forma di pena in questo caso era la pena di morte, eseguita subito dopo pronunziata la sentenza, per lo più - come pare - mediante lapidazione, a meno che l'accusato non fuggisse dal territorio della propria tribù, spogliandosi così di ogni diritto.
L'essere cacciati dalla comunità restando privi di ogni diritto é il significato originario dell'esilio. Pene restrittive della libertà (prigione) si riscontrano solo presso i singoli popoli, svoltesi probabilmente dalle norme riguardanti i debiti. Ma queste forme di procedura giudiziaria devono essere esistite fin nell'età antichissima (l'esilio esiste perfino in alcuni gruppi di animali).

È certo che si conosceva il giuramento, in origine una maledizione che il pronunziante scagliava contro sé stesso. Un giuramento intensificato era forse la dimostrazione pratica della verità per mezzo della prova dell'acqua o del fuoco nel cosiddetto «giudizio di Dio».
Non si può affermare con sicurezza che le deposizioni dei testimoni fossero adoperate nell'età indoeuropea, ma é possibile. Non vi erano processi privati: ad offese personali si opponeva la difesa personale, in casi estremi la vendetta del sangue. L'ulteriore sviluppo del diritto consiste in ciò che la comunità statale avoca a sé in misura sempre più larga la decisione di controversie, e proseguendo così la giurisdizione statale si sostituisce alla difesa personale.

Riguardo alla vita intellettuale e morale degli Indoeuropei sapremmo assai di più, se di più potessimo affermare intorno alla religione dell'età indoeuropea. Ma le idee religiose e il fondo mitico sono difficili a riconoscere, giacché la corrispondenza dei nomi - del resto rara - non ci assicura per niente di una corrispondenza fattiva. Dove son conservate le stesse rappresentazioni, esse possono essersi prodotte da sviluppi particolari ed analoghi; di origine comune sarà solo una parte di rappresentazioni concordanti.

Essenziale è il fatto che gli Indoeuropei, accanto alle divinità di uno stadio primitivo di cultura (gli déi protettori dei gruppi e delle tribù), venerano come dio principale una divinità cosmica, il dio del cielo (indoeur. Dyâus, gre. zeús, lat. Jupiter [Dies-piter], germ. Ziu).
Dio è una figura del tutto universale, reggitore del mondo, dispensatore di fertilità e la cui potenza si rivela nella tempesta. Quale creatore di tutti gli esseri, é chiamato «padre». L'universalità del divino é caratteristica per il pensiero religioso degli Indoeuropei. Questo loro comune possesso spirituale dimostra che le tribù indoeuropee formavano una comunità strettamente congiunta, un vero popolo storico.

Accanto al dio celeste sta, presso tutti i popoli indoeuropei, come sua consorte e divinità materna, la Terra. Elemento dell'antichissima religione é il culto del fuoco, punto centrale della vita domestica. Vesta protegge la casa quale dea del focolare; presso gli Indiani il fuoco sacrificale appare come la potenza più grande, dinanzi alla quale cedono anche gli déi.
Un dio della tempesta, il Perkûna dei Lituani, può essere di origine indoeuropea (il nome del dio vedico della pioggia, è Parjanya), probabilmente anche la coppia divina dei Dioscuri (gli Acvin indiani). Così pure, come pare, numerosi demoni, connessi con le vicende della vita umana. Altre figure derivano da fenomeni naturali, come il dio del sole (Helios, Sol), il dio lunare e la dea dell'aurora (ind. Ushas, gr. Eos, lat. Aurora).

Quasi nulla sappiamo del culto degli antichi déi: certo non vi erano ancora templi né immagini. Ma il prete esisteva, come mago o stregone che sa agire sugli déi mediante scongiuri ed atti di magia. L'ultima forma di questo antichissimo stregone é il brammano (brâhmana) indiano, il sacerdote del sacrificio.
Quando un popolo immagina gli déi come esseri formati individualmente, li avviluppa di una ghirlanda di leggende e di miti. Il mito é creazione della fantasia; in esso si sviluppa soprattutto la poesia. E' certo che gli Indo-Europei possedevano miti, leggende e novelle. Accanto ai racconti degli déi si formano leggende di contenuto puramente umano.

Accanto al tratto della universalità, proprio al pensiero religioso degli Indoeuropei, spicca una fantasia grandiosamente creatrice e una concezione della natura intima e profonda. Ma lo spirito indoeuropeo si discopre forse meglio nei grandiosi poemi leggendari che trattano motivi tragici. Si svela in essi una valutazione della vita possibile solo laddove la personalità é concepita come valore proprio e il tragico segreto della vita é sentito con divinazione profonda nel contrasto di essa personalità col mondo. Qui sono visibili le forze fondamentali che si sono pienamente sviluppate nel pensiero e nell'arte dei popoli indoeuropei.

La tendenza all'universale informa la cultura degli Indoeuropei al pari della loro religione; e le più alte individualità nate fra di essi mostrano nelle loro creazioni questa aspirazione all'universale, a concepire ogni aspetto del mondo e della vita. Solo pensatori di razza indoeuropea hanno creato una filosofia di tanta ampiezza di pensiero. Tutt'altro aspetto offrono i grandi spiriti per esempio dei popoli semiti: essi stabiliscono un pensiero dominante e ne fanno la norma per l'universo e per tutta la vita.
Perciò i grandi fondatori di religioni sono sorti dallo spirito semitico e quando ci riuscirà capire a fondo il pensiero cinese, anche qui scopriremo un indirizzo e uno spirito del tutto diversi- pare che vi domini un intimo raccoglimento, che vuole limitato il pensiero al mondo reale, in contrasto coll'indirizzo libero e universale degli Indoeuropei.

Accanto alle forze fondamentali e comuni dello spirito popolare si afferma poi lo speciale carattere dei singoli-popoli, sorto dalle condizioni della vita storica; e ciò soprattutto presso gli Indiani.
Nel loro isolamento si sono affermati con maggior originalità rispetto a tutti gli altri. Presso gli Europei i tratti caratteristici indoeuropei appaiono senza paragone più puri. Qui é soprattutto fortemente sviluppato il pregio della personalità e la coscienza dell'individuo. Certo gli Indiani e gli Irani hanno accolto, specialmente nelle forme dei rapporti sociali, l'avvilimento della personalità, caratteristico dell'Oriente; ma però l'individualismo cosciente si rivela assai spesso anche presso di loro nel pensiero e nel sentimento.

Con tali disposizioni naturali i popoli entrano nella storia come forze attive; siamo dinanzi al fatto indubbio che popoli e razze sono forniti di particolari caratteristiche intellettuali e morali. Ma è probabile che non potremo mai dire come le abbiano acquistate, su che cosa siano basate e quale sia la loro essenza. Resta nei popoli, come negli individui, un che di «anonimo», che pure forma il nucleo più profondo della loro vita.

Uno di questi antichi "anonimi" popoli vissuti
in comunione di lingua e cultura con altri popoli detti storici
sono....

UN ANTICO POPOLO: GLI ARII > > >

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