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137. FRANCIA: LE GUERRE CIVILI DI RELIGIONE


La strage di San Bartolomeo - 23-24 agosto 1572

Sia la guerra dei Trent'anni, sia la pace di Westfalia operarono trasformazioni sostanziali nell'equilibrio delle forze europee. Ben presto l'egemonia Absburgica (sia Spagnola che Germanica) nel corso del Seicento volse al termine; come abbiamo visto nei precedenti capitoli, ne uscirono invece trionfanti la Svezia che affermò la sua supremazia sul Baltico; i Paesi Bassi che si guadagnarono definitivamente l'indipendenza; e l'Inghilterra vinta la battaglia religiosa, isolandosi dal continente, in pochi decenni con la sua politica coloniale e mercantile andò incontro al primato mondiale incontrastato.
Ci resta infine la Francia, che trattiamo per ultima, perchè pur operando con un abile gioco diplomatico utile alla distruzione dell'unità politica della Germania sottratta al potere imperiale, meno abile e quindi responsabile e non estranea al suo interno dei più luttuosi avvenimenti colorati di fanatiche motivazioni religiose, quando invece erano essenzialmente politiche. Tuttavia così operando gettò le basi della politica che avrebbe avuto corso nella seconda metà del secolo.
Ripercorriamo quindi la genesi di questa - rispetto alle altre - più lenta trasformazione.

Dagli ultimi anni di regno di Francesco I era sempre più venuto crescendo il pericolo che in Francia, come in Germania, la popolazione si scindesse in due campi avversi, uno cattolico ed uno protestante. Nessuna persecuzione violenta aveva potuto sradicare la riforma, la quale invece si era diffusa sempre più in seno alle classi superiori o più colte. I poeti, gli artisti, i dotti, i membri dei parlamenti o della nobiltà erano in maggioranza, apertamente o in segreto, protestanti.
Invece la grande maggioranza della nazione, popolino delle città e i contadini delle campagne servi dei nobili proprietari terrieri - quindi preservata dagli sforzi degli innovatori - era rimasta cattolica altrettanto quanto in Italia e nella Spagna.

Perciò anche la monarchia rimase fedele al cattolicesimo. Dopo la morte di Francesco I, il suo successore Enrico II, principe bello nella persona, splendido, ma insofferente di ogni occupazione mentale e incapace di essere padrone delle sue azioni e della sua volontà, subì l'ascendente e divenne completamente schiavo del rigido, intollerante e dispotico conestabile Anne de Montmorency, fervente cattolico. E cattolica zelante era pure la famiglia dei Guisa, un ramo della casa dei duchi di Lorena, in origine di modeste condizioni economiche, che si era trapiantata in Francia, e qui per il suo rango elevato e per il suo talento superiore era riuscita ad acquistarsi una posizione preminente e una influenza e una autorità grandissima.

Accanto al duca Francesco di Guisa, il conquistatore di Calais, stava a capo di questa famiglia il fratello Carlo, arcivescovo di Reims, comunemente chiamato il cardinal di Lorena, un prelato di raffinata educazione, di ingegno agile e penetrante, versatissimo negli affari pubblici e maestro della parola accorta e prudente, impeccabile nei costumi, ma subdolo, avido, vendicativo, egoista all'estremo, e senza convinzioni.
Montmorency e i Guisa istigarono il giovanissimo Enrico II a sempre più aspre persecuzioni dei protestanti e il popolo parigino - cioè la solita folla, ignorante di testa e irrazionale nelle sue azioni - concorse anch'esso nel fare alcune stragi.

Ma le persecuzioni non fecero che accrescere lo spirito di resistenza degli innovatori progressisti, non diversamente come abbiamo visto nei precedenti capitoli, nei Paesi Bassi. Qui più colpivano e maggiore era l'odio per gli spagnoli, fino al punto che lo nutrivano quest'odio non solo i protestanti ma anche gli stessi cattolici. A renderli uniti più che il dio di due religioni, li unì il dio denaro degli affari, fortemente compromessi con la presenza degli avidi stranieri e che in sostanza pure loro miravano allo stesso dio; le lotte religiose erano solo un pretesto.
E lo stesso appiglio furono anche le lotte in Francia.

La prima comunità calvinista si formò a Parigi nel 1555. Ben presto si contarono in Francia 400.000 riformati, per lo più appartenenti alle classi superiori.
Alla loro testa stavano dei principi della casa di Borbone, discendente da Luigi il Santo e strettamente imparentata con i Valois: oltre all'incerto e titubante Antonio, in grazia di sua moglie Anna d'Albret re titolare di Navarra, sopratutto il suo fratello più giovane, il principe Luigi di Condé, focoso, leggero, amante dei godimenti, ma pieno di talento ed entusiasta della fede protestante.

Altra famiglia non meno importante era quella di Châtillon, imparentata col potente conestabile di Montmorency: i due fratelli Francesco d'Andelot, generale in capo delle fanterie e l'ammiraglio Gaspare di Coligny erano entrambi fervidi protestanti, e persino il cardinale Odet di Châtillon, il terzo di questi fratelli, si sentiva portato per la nuova fede.

La chiesa protestante francese si organizzò nel primo grande sinodo adunatosi nel maggio 1559, i cui 40 articoli di fede e altrettanti articoli disciplinari rimasero per tutto il tempo successivo la legge fondamentale dei riformati francesi. L'organizzazione si basava sul principio del decentramento e dell'autonomia delle singole comunità che eleggevano i loro parroci. Questi e gli anziani laici delle varie comunità si adunavano in sinodi provinciali che a loro volta eleggevano i delegati al sinodo nazionale, il quale era peraltro competente a deliberare non solo in materia religiosa ma anche in ordine agli interessi politici della collettività dei riformati. Si era così creata una organizzazione piuttosto semplice ma efficacissima, che doveva ben presto fare dei riformati francesi una potenza formidabile.

Enrico II fu rapito dalla morte in seguito ad una disgrazia capitatagli in un torneo (10 luglio 1559). Il suo primogenito Francesco II era un ragazzo di 16 anni, deficiente così fisicamente come intellettualmente. Perciò fu completamente dominato dalla sua avveduta giovanissima consorte Maria Stuarda, la quale da zelante cattolica qual'era, affidò il governo al suo subdolo e imponente zio materno, il cardinale di Lorena. Stando al potere costui, vennero emanate nuove leggi draconiane contro gli eretici e furono arsi sul rogo, non solo uomini, ma anche donne e bambini. Congiure di nobili riformati, come il «tumulto di Amboise», vennero soffocate e crudelmente punite; gli stessi Navarra e Condé furono imprigionati ed il secondo fu condannato a morte, ma l'esecuzione della sentenza venne sospesa. D'un tratto però Francesco II morì di malattia in età di soli 17 anni (5 dicembre 1560) e le cose mutarono completamente.

In nome del fratello del defunto, salì al trono l'undicenne Carlo IX, ma assunse, contro la volontà dei Guisa, la reggenza sua madre, la regina vedova Caterina dei Medici; una fiorentina di raffinata educazione, di facile parola, più subdola e scaltra che ardita, malgrado la grande ambizione irresoluta, ma in compenso sleale e doppia. Il suo programma immediato fu quello di fiaccare la potenza dei suoi nemici, i Guisa; perciò liberò dal carcere il principe di Condé e si assicurò l'appoggio di lui, del re di Navarra e degli Ugonotti, nome col quale si cominciò da allora a designare i calvinisti francesi e che altro non è se non la deformazione del termine « Eidgenossen » con cui si designavano a loro volta i calvinisti ginevrini alleati dei protestanti svizzeri.

Una assemblea degli stati generali convocata dalla reggente ad Orléans manifestò addirittura tendenze protestanti. In un anno si aprirono 2150 oratori riformati; a Parigi vi erano 25.000 ugonotti. Tutti i processi contro gli eretici cessarono.

Caterina e il suo eccellente cancelliere L'Hospital, capo del partito dei veri «politici», cioè di coloro che attribuivano scarsa importanza agli antagonismi religiosi e miravano in prima linea al bene dello Stato, cercarono in tutti i modi di indurre degli accomodamenti tra le parti avverse. Nel settembre 1561 organizzarono una conferenza religiosa a Passy tra prelati cattolici e rappresentanti del calvinismo che in complesso riuscì a profitto degli Ugonotti. Il solo fatto che la loro dottrina aveva potuto essere liberamente difesa dinanzi alla corte incoraggiò e procurò loro numerosi nuovi aderenti.

Ma i cattolici intransigenti decisero di opporsi alla diffusione dell'eresia. Cominciarono infatti a verificarsi conflitti armati tra i due partiti religiosi. Il conestabile di Montmorency, il maresciallo di St. André e Francesco di Guisa si ritrassero dalla corte e si costituirono in «triunvirato» per la difesa della fede cattolica, mettendosi in relazione con Filippo II di Spagna.

L'opposizione scattò e passò ai fatti allorchè Caterina e L'Hospital emanarono nel 1562 il così detto editto di gennaio che accordava tolleranza, sotto certe condizioni, ai riformati. Il duca Francesco di Guisa si pose in marcia e, attraversando la Champagne, massacrò nella cittadina di Vassy la comunità protestante adunata per il servizio divino domenicale (1° marzo 1562).

Questo bagno di sangue segnò l'inizio delle guerre civili che si protrassero per 34 anni.
Caterina dei Medici fu ben presto costretta dal triumvirato a schierarsi decisamente col partito cattolico, il quale da allora ebbe sempre dalla sua la corona. Di conseguenza i più avversi alla monarchia e repubblicani divennero gli Ugonotti; cosicchè al conflitto religioso si associò il conflitto politico e il vecchio spirito di indipendenza della nobiltà e delle città risorse nella lotta contro la monarchia.

Oltre a ciò nella contesa intervennero i paesi stranieri: come la corona chiamò in aiuto i mercenarii svizzeri ed i Guisa si rivolsero alla Spagna, così gli Ugonotti ebbero l'ausilio dell'Inghilterra e dei riformati tedeschi. In breve, anche questa lotta assunse carattere europeo, il sentimento di solidarietà religiosa in Francia era allora più forte del sentimento nazionale.
La prima guerra civile, in cui trovarono la morte Antonio di Navarra, Francesco di Guisa e il maresciallo di St. André, si chiuse nel marzo 1563 con la pace e l'editto di Amboise che riuscirono meno favorevoli ai protestanti dell'editto di gennaio.

Allorchè nel luglio 1565 Caterina dei Medici ebbe a Bayonne un convegno con sua figlia Elisabetta regina di Spagna e col duca d'Alba, gli Ugonotti - a torto - sospettarono immediatamente che vi fosse stato deciso il loro sterminio. Quindi si affrettarono a completare la loro organizzazione politico-militare. Ciascuna chiesa era tenuta a fornire una o più compagnie di uomini istruiti militarmente che si raggruppavano per ciascun distretto in reggimenti e per ciascuna provincia in corpi d'esercito con a capo notabili dei rispettivi luoghi. Notevole è - come tutte le classi di questa gente - che fossero pervase dallo spirito democratico rigido e severo del calvinismo. Il lusso fu ripetutamente vietato dai sinodi generali; vietati pure passatempi relativamente innocenti come la danza, le mascherate, la recitazione di commedie e il frequentare i teatri; banditi poi i giuochi di carte, dadi e altri giochi d'azzardo.

Le opere letterarie vennero sottoposte a rigorosa censura. Questa disciplina morale, per quanto a noi possa sembrare esagerata, fu una delle cause per cui questa minoranza protestante potè per tanto tempo tener testa alla monarchia ed alla grande maggioranza del popolo francese; un'altra causa fu la cura scrupolosa posta nell'educazione ed istruzione della gioventù.

Ben diverso da questo quadro di austerità morale era lo spettacolo che offriva la corte e il suo mondo. Sotto gli auspicii della raffinata Caterina dei Medici, amante dei piaceri e moralmente spregiudicata, vi era un continuo avvicendarsi di opulenti banchetti, balli, concerti, rappresentazioni di commedie italiane; e i drammi e romanzi pastorali di cui tanto si compiacevano i cortigiani in mezzo alle scene sanguinose della guerra civile non erano che simboli degli intrighi amorosi che occupavano tutto il loro pensiero e tutto il loro tempo.

La gelosia poi, ovvero la spavalderia attaccabrighe provocava continui assassinii ovvero duelli nei quali d'ambo le parti schiere di tre, quattro e anche più amici si battevano all'ultimo sangue. Il quadro sarebbe incompleto se non si facesse ancora menzione delle rozze superstizioni di cui proprio questi uomini scettici erano schiavi: astrologia, scongiuri, filtri amorosi, ammaliamenti di persone mediante figure di cera trapassate da aghi, tutta questa roba era creduta, e le relative arti erano largamente praticate e talora pure punite atrocemente.

Dopo qualche anno dalla pace sopra ricordata, essendo divenuto nuovamente potente a corte il partito cattolico intransigente, gli Ugonotti si credettero minacciati e si sollevarono di nuovo, capitanati da Luigi di Condé (settembre 1567). Il generale comandante le truppe regie, il conestabile di Montmorency, cadde a Saint-Dénis; Condé con 11.000 soldati tedeschi del conte palatino Giovanni Casimiro avanzò fin sotto le mura di Parigi. La corte cercò di salvarsi e riuscì a salvarsi con la pace di Longjumeau (25 marzo 1568); ma la mise a profitto per ribadire le persecuzioni dei protestanti.
Il cancelliere L'Hospital che consigliò invece la moderazione venne congedato. In breve, parve che Caterina dei Medici volesse fare subire in Francia alla riforma la stessa sorte che il duca d'Alba le preparava nei Paesi Bassi.

E allora gli Ugonotti diedero ancora una volta di piglio alle armi; gli inglesi e i riformati tedeschi vennero in loro aiuto. Ma ad onta di ciò il 13 marzo 1569 a Jarnac essi subirono ad opera del fratello del re, Enrico d'Anjou, una disfatta, tanto più grave in quanto vi trovò la morte Luigi di Condé in età di appena 39 anni.
Capo dei protestanti francesi divenne dopo nominalmente il nipote di Condé, il sedicenne Enrico di Navarra, un principe vivace, poco colto, temerario ed astutissimo; ma per il momento l'effettiva direzione fu assunta dall'ammiraglio di Coligny, uomo di carattere onesto, incrollabilmente fermo nelle sue convinzioni sinceramente nutrite; non era un gran stratega, ma un distinto organizzatore ed una di quelle nature che proprio di fronte alle avversità esplicano tutta la loro energia ed elasticità.

Con l'aiuto dei protestanti tedeschi Coligny riuscì alla fine a metter la corte così alle strette da costringerla ad accordarsi alla vergognosa pace di Saint-Germain en Laye che riconobbe ai riformati libertà di culto pressochè illimitata e inoltre mise nelle loro mani le quattro forti cittadelle di La Rochelle, Montauban, Cognac e La Charité, accordando pure di munirle di proprie guarnigioni (8 agosto 1570).

A questo punto re Carlo IX prese nelle proprie mani le redini del governo. Irritato dalla attitudine egemonica che Filippo II aveva tenuta nei suoi riguardi negli ultimi anni, e convinto che a lui risalisse la responsabilità delle guerre civili che affliggevano la Francia, egli iniziò risolutamente una politica antispagnola come un tempo suo nonno Francesco I. Allo scopo aiutò premurosamente i ribelli protestanti dei Paesi Bassi e allacciò intese con l'Inghilterra e con i protestanti tedeschi. Ma a quei tempi dire politica antispagnuola equivaleva a dire politica anticattolica; e quindi Carlo IX nel settembre 1571 chiamò vicino a sè Coligny e se ne fece il più fido e autorevole consigliere.

Se non che Carlo, favorendo gli Ugonotti, offendeva il sentimento ed agiva contro la volontà della grande maggioranza del popolo francese. La Riforma infatti, finchè aveva conservato l'aspetto di un genuino movimento ideale per il miglioramento della Chiesa, aveva trovato dappertutto simpatia; ma dopo che il protestantismo aveva assunto il carattere concreto di una chiesa separata e di un partito politico a sè, la Riforma aveva suscitato l'opposizione delle masse cattoliche, opposizione che - sapientemente circuita - era divenuta sempre più aspra, mortale. Otto anni di lotte poi avevano esasperato gli animi contro i protestanti che le eccitabili e impulsive masse popolari delle grandi città consideravano ormai come i peggiori nemici di Dio e della Francia.

Dagli stessi pulpiti delle chiese cattoliche queste masse furono incitate a sterminarli, e infatti in parecchi luoghi si svolsero scene di massacri e saccheggi. Solo agli ordini rigorosi del re si dovette se furono evitate maggiori calamità.
Conscio della situazione, Coligny cercò di distrarre l'interesse e l'attività del popolo francese rivolgendola ad imprese esterne, sempre, s'intende, contro la cittadella del cattolicesimo, la Spagna. Carlo IX, altrettanto irrequieto ed eccitabile quanto era debole di corpo e di mente, sognò di entrare, come i suoi avi, in lizza contro gli Absburgo. E avendo fidanzato sua sorella Margherita col giovane re di Navarra, si propose intanto di riconquistare a costui il regno che era stato occupato dagli spagnuoli.

Ma a tal punto Coligny vide levarglisi contro una pericolosa nemica. Caterina dei Medici si convinse che la monarchia francese non era in grado di sostenere con la sua politica anticattolica contemporaneamente la lotta con la potenza spagnola e con la grande maggioranza dei suoi sudditi. Già per questa ragione essa venne in dissidio con Coligny; ma l'ostilità sua fu poi accresciuta dal timore che l'ammiraglio, il quale serbava verso di lei un'attitudine sempre più aspra e minacciosa, avrebbe finito per privarla di ogni ascendente sul proprio figlio.
Perciò essa fece lega col partito cattolico intransigente, alla testa del quale erano il fratello del re Enrico d'Anjou ed il maresciallo de Tavannes. In fondo essa aveva dietro di sè i nove decimi del popolo francese.

Dato il carattere, non propriamente malvagio, ma malfermo, impetuoso e inclinante al sospetto di Carlo IX, l'esito di questo conflitto si poteva prevedere con certezza fin dall'inizio. Se per un certo tempo le sue tendenze antispagnuole e bellicose lo avevano spinto dalla parte di Coligny, era inevitabile che ora, posto dinanzi alla necessità di scegliere tra un eretico che nel passato era stato il suo principale nemico e i suoi parenti ed amici, e soprattutto sua madre alla cui autorità era stato per lunghi anni uso ad assoggettarsi, egli passasse dalla parte di questi ultimi.

L'ammiraglio nella sua lotta con l'opposizione uscì intanto battuto quanto alla sua proposta di dichiarar guerra alla Spagna, che il re respinse. Poco dopo, avendo gli Ugonotti minacciato di recare aiuto ai loro correligionari dei Paesi Bassi anche a dispetto del governo, si temette che ciò preludesse ad una nuova ribellione nella stessa Francia. Per prevenirla Caterina ritenne necessario toglier di mezzo l'ammiraglio che gli spagnuoli le avevan sempre dipinto come l'unico nemico veramente pericoloso.

Nell'agosto 1572 Caterina dei Medici concepì il progetto di sopprimere Coligny e, d'accordo con suo figlio il duca d'Anjou e col giovane Enrico di Guisa, pagò un sicario di mestiere, certo Maurevel, che da un sicuro nascondiglio avrebbe dovuto uccidere l'ammiraglio con un colpo d'arma da fuoco. Ma il malandrino non lo colpì che al braccio sinistro e alla mano destra (22 agosto).

Se l'attentato fosse riuscito, Caterina probabilmente si sarebbe tenuta soddisfatta dell'eliminazione di Coligny ed avrebbe negato ogni complicità nell'assassinio. Ma ora temette la vendetta del suo nemico. E la preoccupazione aumentò quando seppe che la nobiltà protestante presente a Parigi si proponeva la punizione dei mandatari dell'attentato e prendeva di mira lei e lo stesso re. Per salvare sè stessa, i suoi amici e il suo partito Caterina risolse di sterminare gli Ugonotti. Allo scopo bastava tirare la rete, giacchè per l'occasione delle nozze tra Enrico di Navarra e Margherita di Valois la nobiltà protestante era venuta in massa a Parigi.

Per vincere la riluttanza del re a simili massacri, che del resto erano comuni in quei tempi di violenza, la madre, il fratello e gli amici lo minacciarono di una completa rottura e di una guerra civile senza quartiere. L'affetto per i suoi, l'abitudine a piegarsi all'autorità della madre e la paura lo indussero a dare il suo consenso; chè anzi nell'impetuoso suo eccitamento volle ora che gli Ugonotti fossero sterminati tutti per procurarsi per sempre la tranquillità (23 agosto).

Il macello fu presto organizzato, e nella notte tra il 23 e il 24 agosto (notte di S. Bartolomeo) portato ad effetto; ed era appena cominciato che la plebe parigina fanatica si unì alle truppe per completarlo. A Parigi caddero Coligny e per lo meno 2000 Ugonotti, nelle provincie almeno 30.000 di essi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Ai riformati superstiti venne vietato l'esercizio del loro culto.

La strage della notte di San Bartolomeo fu non solo un delitto atroce dal lato morale, ma anche un atto di follia politica. Essa voleva prevenire la ribellione degli Ugonotti; ed invece avvenne il contrario. Costoro, dopo un solo istante di scoraggiamento, corsero alla riscossa; le città di La Rochelle, Nimes, Montauban, Sancerre si sollevarono, e quel che era rimasto della nobiltà protestante snudò la spada. La quarta guerra civile di religione era scoppiata!

D'altra parte gli eventi internazionali costrinsero ben presto egualmente il governo francese a battere la via indicata da Coligny e ad entrare in lizza contro la Spagna; e all'interno la Francia offrì un triste spettacolo; ovunque gli orrori della devastazione e la cieca furia di fazioni che si davano reciprocamente la morte.
A poca distanza da quel famoso avvenimento, il 30 maggio 1574, Carlo IX, consunto dalla tisi, morì all'età di soli 24 anni senza lasciare figli legittimi. Gli successe il fratello Enrico III, uomo di educazione raffinata, amico delle scienze, delle arti e della poesia, e neppur privo per natura di criterio e di buon senso; ma precocemente esaurito dalle dissolutezze, frivolo, indifferente. Costui si dilettava di vivere in mezzo alle donne, egli pure acconciato da donna con due o tre anelli appesi a ciascun orecchio. Egli allontanò dalla corte tutti gli uomini seri e di valore e si circondò di insignificanti damerini, i così detti «mignons», con i quali si trastullava e si imbellettava ed ai quali abbandonò il governo dello Stato.

Tuttavia Enrico III si adoperò subito a reprimere severamente con le armi la rivolta degli Ugonotti. Ma questi resistettero arditamente e la guerra si protrasse a lungo, cosicchè alla fine nelle classi superiori si diffuse largamente un senso di stanchezza e il desiderio di troncarla ad ogni modo. I «politici» si allearono coi protestanti ed a capo del movimento si pose l'ultimo figlio di Caterina, Francesco d'Alençon, che odiava e disprezzava il re suo fratello. Egli si mise d'accordo con Enrico di Navarra e col principe di Condé junior; e tutti e tre costrinsero nel maggio 1576 il re a concludere la pace di Beaulieu, che fruttò agli Ugonotti una quasi completa libertà di culto ed il possesso di altre 6 piazze forti per loro garanzia, ed impose al re la disonorante condizione di dichiarare pubblicamente nessuna sua complicità nella strage di San Bartolomeo e di riabilitare la memoria di Coligny e degli Ugonotti allora assassinati.

Questa pace, ottenuta a quattro anni di distanza dalla notte di San Bartolomeo, potè sembrare uno splendido trionfo per gli Ugonotti ed un segno della loro forza. La realtà però era diversa; essi non erano mai stati tanto deboli come ora. L'odio contro di loro aveva fatto grandi progressi in seno alla popolazione francese e persino molte città che erano state a loro prima favorevoli, chiusero ad essi le porte.

Ma la causa più grave della debolezza del protestantismo francese consistette nella decadenza della sua stessa vita interiore. Siccome i suoi dirigenti erano dei nobili ambiziosi ed audaci oppure degli arroganti patrizi cittadini gelosi della propria indipendenza, l'interesse politico e il successo militare divenne ai loro occhi la cosa principale, mentre fu trascurato l'interesse di mantener salda la convinzione religiosa dei seguaci della nuova fede e la disciplina morale della nuova chiesa.

La comunità degli Ugonotti, da comunità religiosa si trasformò in partito politico col conseguente predominio delle aspirazioni mondane, delle rivalità e delle ambizioni personali. Il più genuino rappresentante di questo indirizzo fu il temerario, astuto, immorale e nei riguardi confessionali supremamente indifferente Enrico di Navarra. In verità il capo meno adatto a guidare secondo lo spirito originario le schiere di Calvino era questo principe che dopo ogni combattimento fortunato abbandonava il campo per cogliere la dolce ricompensa delle sue gesta nelle braccia delle numerose sue amanti. I soldati riformati imitarono l'esempio del loro capo e fra loro prese a dominare l'indifferenza religiosa, la dissolutezza e la rapina.

Mentre il protestantismo si indeboliva in tal modo, i cattolici diventavano invece più forti. Essi avevano spiato il segreto della potenza degli avversarii, l'organizzazione, e quindi anche da parte loro costituirono una salda «Lega» (1576). I leghisti si obbligarono alla difesa degli stati generali e della religione, si dettero dei governatori provinciali, e stabilirono di nominare un capo supremo con poteri illimitati. Come si vede, anche qui, come nel caso degli Ugonotti, il fine religioso era associato ad uno spirito democratico-rivoluzionario, giacchè la lega e i suoi scopi dovevano essere difesi contro chiunque, e quindi all'occorrenza anche contro lo stesso monarca.

A capo supremo della lega fu scelto il duca Enrico di Guisa, un bell'uomo, dall'apparenza esteriore dignitosa, ma in fondo scaltro, avido, sfrontato e senza idealità. A causa di una ferita al viso riportata in uno scontro con gli Ugonotti, si usava chiamarlo «lo sfregiato» (balafré). Il re a dire il vero giocò a lui ed ai cattolici intransigenti un tiro, dichiarandosi egli stesso il capo della lega; ma lo stratagemma ebbe poca durata, tanto più che il re divenne arcistufo di questa eterna e sterile lotta religiosa e cercò ripetutamente di porvi fine con dei trattati di pace, che peraltro non venivano poi osservati.

Questo suo atteggiamento irritò all'estremo i leghisti. Essi non vollero più saperne della dinastia dei Valois e si proposero di sostituirle i Guisa, che per il fisico bello ed imponente, il tratto nobile e il coraggio militare erano divenuti i beniamini del popolo. I loro proseliti caratterizzarono come una usurpazione l'avvento al trono sei secoli prima dei Capetingi, e sostennero che il trono di Francia spettava alla casa di Lorena, discendente per parte di madre da Carlo Magno.

Persino Margherita di Valois, l'unica sorella di Enrico III e moglie di Enrico di Navarra, col quale era in rottura completa, passò nelle file della lega. L'odio della nobiltà e il sordo fermento di idee democratiche sembrarono preparare un torbido, minaccioso avvenire alla monarchia ed al paese intero.

Ma alla fine l'una e l'altro - e per molto tempo ancora - il protestantesimo francese furono salvati dalla circostanza che la concordia interna divenne una necessità politica imprescindibile per salvare la Francia dalla strapotenza spagnuola. Solo questa necessità indusse, dopo formidabili lotte, la pace religiosa in seno alla nazione francese.

Su questa strapotenza spagnola che sta per terminare
con un "bel colpo" della Francia
è il contenuto del prossimo capitolo

LA SPAGNA E LA FINE DI RE FILIPPO > >

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