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70. L'INIZIO DELLO STATO FEUDALE - 1185 - 1333


Daibutsu di Kamakura (altezza 15 m.), la celebre statua colossale di Budda in bronzo (anno 1252)

 

Il Governo centrale dello sciogunato di Kamakura.

Quale capo del nuovo governo centrale, del «Bakufu», cioè «dietro la cortina», come si chiamò dalla tenda del generale supremo, da cui questi dirigeva le spedizioni guerresche, il vincitore a Dannoura, dove aveva fatto crollare l'intera stirpe dei Taira, Yoritomo Minamoto, seppe unire nelle proprie mani col comando militare anche la potestà civile e rendere ereditario nella sua casa lo sciogunato, che era ormai l'ufficio più importante dell'impero.

Trasferì poi la vera sede del governo verso oriente, a Kamakura, un tempo villaggio di pescatori, ben presto cresciuta grande e fiorente città marittima, bella e industriosa, nel «Kuanto», come si sogliono chiamare le otto province poste a levante del monte Hakone, territorio legato strettamente da secoli con i destini dell'ambiziosa famiglia dei Minamoto.

Di fronte alla suntosa e monumentale casa imperiale, con astuto proposito e al contrario degli alteri Taira, che erano divenuti anche per questo aspetto impopolari, Yoritomo ostentò sia pure esteriormente una grande riverenza e la inculcò anche ai sudditi. Lasciò intatte anche le alte dignità ereditarie nella famiglia dei Fujiwara, che continuarono a rivestire le cariche di cancelliere, di Sesscio e di Kuampaku, alle quali però non era accordata la precedente potenza.
Inoltre pose al loro fianco una nuova carica, affidata per verità anche a un ramo di Fujiwara, ai Kugio, quella di «Nairan», ossia di soprintendente della Corte imperiale; mentre quest'ultima rimase come prima a Kyoto.

L'effettivo disbrigo dei veri affari di governo avveniva però nella nuova capitale dello Sciogunato, in Kamakura. Per ovviare agli sprechi e imbrogli che si erano propagati in tutta l'amministrazione, Yoritomo semplificò la complicata costituzione dello Stato, togliendo gli uffici superflui, e al posto degli otto ministeri del sistema Taikua introdusse tre nuove magistrature supreme.
«Mandokoro» (= ufficio di governo) si chiamò l'assemblea dei consiglieri di Stato per la direzione dell'amministrazione generale e per la legislazione.
«Monciugio» la seconda magistratura si occupava dell'amministrazione della giustizia.
«Samurai dokoro» da essa dipendevano gli affari propriamente militari e quelli dei vassalli.

Dopo la sua vittoria sui Taira, delle 66 province, che allora costituivano l'impero Yoritomo ne aveva riservate nove per la propria casa ed altri latifondi degli avversari sterminati li aveva concessi in feudo ai suoi più benemeriti generali e partigiani.
Accanto ai governatori di province del governo imperiale, divenuti abbastanza deboli in seguito all'accrescimento della proprietà immune degli «Scioyen», Yoritomo pose ora i suoi propri funzionari, gli «Sciugo», che esercitavano nelle province il comando militare e amministravano la giustizia penale.
Per gli «Scioyen» introdusse un altro gruppo di soprintendenti, i «Gifo», ai quali era affidata la riscossione del dazio sul riso, imposto per provvedere alle spese dell' amministrazione sciogunale. Anche per gli Sciugo e per i Gite e per le proprietà feudali ad essi connesse, si ritornò presto al principio dell'ereditarietà.
Da questi e da altri gruppi di vassalli cavalieri, a fianco alla vecchia nobiltà della Corte imperiale in Kyoto, i « Kughe » (cosí erano designati), prende origine una nuova classe di nobiltà militare, i «Bure» (Bu = guerra; re = casa, famiglia), minore dall'altra per origine e considerazione, ma più forte come effettiva potenza. Col loro esempio e con un rigido ordinamento le autorità sciogunali cercarono con impegno di mantenere nei bure le austere virtù di una classe militare semplice e senza pretese, ma vigorosa e animata da un sentimento di onore, in contrasto con i kughe effeminatisi nella raffinata vita di Corte, tra l' arte, la poesia, il gioco e i godimenti del lusso.

Nell'anno 1199 Yoritomo in seguito a una caduta da cavallo, a soli 53 anni fu rapito dalla morte ad una carriera piena di promesse, dopo avere dato all'impero almeno un decennio di pace cittadina, nel quale poté riaversi dalle calamità di una lunga guerra e tornare in fiore.
Yoritomo ci è dipinto come un uomo di piccola statura e di testa grossa, di modi graziosi e con voce chiara. La sua tranquillità e perspicacia, il suo senno e la sua prudenza gli accattivarono la stima e il rispetto dei soldati. Non senza ragione però fu incolpato di diffidenza, anzi di crudeltà. Per dei sospetti fece uccidere due dei suoi propri fratelli e fra essi l'eminente e valoroso generale Yoscitsune, al quale più che ad ogni altro si doveva la vittoria sopra i Taira e che sopravvive glorificato dai poeti e magnificato più volte sulla scena, come uno degli eroi prediletti nell'anima del suo popolo.

Tanto Yoscitsune, così degno di affetto, quanto il suo gigantesco e fedele partigiano Benkei sono presto divenuti due personaggi leggendari. La leggenda lo fa sfuggire felicemente dalle persecuzioni di Yoritomo a Yezo, dove è venerato come un dio degli Ainu, da lui inciviliti; anzi lo fa giungere perfino in Mongolia e qui ripresentarsi nella persona del suo celebre contemporaneo Gengis Khan (1157-1226). Ovviamente queste asserzioni romanzesche si sono dimostrate insostenibili dinanzi alla critica storica.

Yoritomo lasciò due figli non degni di un padre così grande, i quali l'uno dopo l'altro gli succedettero nella dignità dello sciogunato. Al posto di questi due gracili rampolli, uccisi in età ancora giovanile (1204 e 1219 rispettivamente) presero nelle loro mani il potere effettivo la loro energica madre Masako e soprattutto il padre di lei Tokimasa (1138-1215) e dopo la sua morte (1215) il fratello Yoscitoki (1163-1224).

Tutta la loro stirpe, l'influentissima casa degli Hogio, si era procurati molti meriti nelle guerre contro i Taira, quali zelanti partigiani dei Minamoto. Dopo che furono tolti di mezzo i figli di Yoritomo, gli Hogio avrebbero certo potuto facilmente ottenere per sé la nomina a sciogun. Furono però abbastanza accorti da accontentarsi del potere di fatto, da essi esercitato col titolo di «scikken» (direttore del governo) ereditario nella loro famiglia, mentre, avendo saggiamente riguardo all'opinione prevalente nel passato sull'alta considerazione dovuta ad una cospicua origine, lasciarono dapprima la carica di sciogun ai Kugio, imparentati coi Minamoto e appartenenti ad una delle cinque famiglie principali dei Fujiwara, ai quali più tardi subentrarono principi della casa imperiale (1252-1338).

Gli scikken ebbero ancora in Kamakura di fronte all'imperatore una situazione del tutto simile a quella avuta già in Kyoto dai Sesscio e dai Kuam-paku della casa dei Fujiwara. Essi seppero ancora disporre le cose in modo che fossero nominati sciogun dei ragazzi minorenni, i quali per lo più dovevano abdicare, essendo ancor giovani, e non erano quindi altro che strumenti privi di volontà nelle mani degli scikken, dai quali erano dominati. È questo un altro esempio di un fenomeno il quale sempre riappare dominante nella storia giapponese, che cioè il più alto titolo dello Stato e l'esercizio effettivo del potere politico sono posti nelle mani di due persone diverse.

Un tentativo di uno dei tre ex-imperatori di spezzare con la forza la potenza politica degli scikken (1221) andò fallito del tutto ed ebbe appunto l'effetto opposto. L'esercito imperiale fu completamente battuto da Yasutoki (1183-1242), figlio e più tardi successore dello scikken Yoscitoki; i tre ex-imperatori furono esiliati, lo stesso sovrano, ragazzo di soli 13 anni fu deposto dopo un regno di 70 giorni e al suo posto fu chiamato al trono dagli Hogio un altro principe minorenne.
Questo avvenimento non è minimamente un caso rimasto isolato nella storia giapponese, nella quale le deposizioni, gli esili ed anche le uccisioni degli imperatori s'incontrano come nella storia di altri popoli, fatto che (a dire il vero male si concilia con la santità mai intaccata, a quanto spesso si afferma, e con l'inviolabilità del sovrano discendente dalla dea del sole.

La potenza degli Hogio, così nuovamente rafforzata ed ampliata, posta nelle mani di una serie di scikken, cospicui come statisti disinteressati e come abili capitani, raggiunse il suo apogeo sotto Yasutoki (1224-42) e Toriyori (nato 1226, 1246-56, morto 1263), celebrati specialmente per la loro operosità, saggezza e parsimonia. Il dominio del primo è divenuto importante anche per un'opera legislativa, il codice costituito da 51 articoli, chiamato Ioei-Scikimoku dal nengo Ioei (1232-33). Vigevano sempre le leggi Taiho e Yoro rispettivamente, che nemmeno allora furono abrogate. Le disposizioni del codice Ioei, che essenzialmente riguardavano soltanto la nuova aristocrazia feudale e militare dei buke, erano piuttosto destinate a regolare le attribuzioni dei funzionari dello sciogunato, come degli sciugo e dei gito e inoltre la condizione giuridica dei vassalli del Bakufu, per es. diritto matrimoniale, successorio, penale, ecc. e a servire come base sicura e rispondente alle mutate condizioni per le sentenze del tribunale del Monciugio.

Forma un tratto notevolissimo di questa legislazione la posizione indipendente della donna, la quale in genere, specialmente nell'antichità e nel medio evo, non era sotto molti rapporti minimamente in uno stato di oppressione. Secondo questo codice, la donna poteva per es. divenire perfino feudataria (articolo 21).

Grazie al suo isolamento l'impero insulare giapponese era stato fin allora risparmiato da attacchi nemici, provenienti dall'esterno, per tacere di alcuni insignificanti tentativi di pirati del nord est dell' Asia sulle sue coste occidentali. Le possenti dinastie cinesi si erano del tutto accontentate che rimanesse garantita in una certa misura, per mezzo di ambasciate recanti un preteso tributo, l'apparenza esteriore di quell'alta sovranità, che almeno in teoria l'Impero del Mezzo pretendeva di avere su tutti i «paesi barbari di frontiera». Del Giappone poi, che era stato fin dall'inizio un paese amico e si era dimostrato un discepolo entusiasta e zelante e ammiratore della civiltà cinese, la Cina non poteva che andar superba.
Era poi fino allora mancata ogni ragione di un contrasto degli interessi politici delle due parti, tanto più che il Giappone si era da molto tempo ritirato dalla Corea, divenuta uno Stato protetto dalla Cina.

Al tempo del dominio degli Hogio avvenne però un mutamento pericoloso di questo stato di cose e in conseguenza di esso sorse per l'impero insulare un inaspettato e grave pericolo, che minacciava di riuscirgli facilmente fatale. L'amico e antichissimo Stato cinese era divenuto preda di arditi conquistatori stranieri, venuti dal settentrione.
Sotto i successori di Gengis Khan le selvagge orde mongoliche erano penetrate irresistibilmente fino alle pianure dell'Oder (1241) e già suo nipote Kublai Khan, ambizioso e cresciuto con idee di uomo di Stato (1260-94) gli stava sempre davanti il superbo pensiero di una signoria universale dell'Asia.

Dopo che gli fu riuscito di sottomettere la Cina e la Corea, per quasi due decenni maturò il progetto di conquistare il Giappone o per vie pacifiche o con la violenza. Dopo aver più volte mandato inutilmente con ammonizioni paterne per iscritto ambasciatori, che alla fine furono giustiziati nel Giappone quali spie, ed aver pure intrapreso una spedizione di conquista con forze insufficienti (1274), Kublai, già vittorioso in tutte le sue grandi imprese, era estremamente irritato per questo scacco, armò una flotta conquistatrice, che (secondo il giudizio umano) parve capace di distruggere il piccole e recalcitrante impero insulare.

Le notizie alquanto esagerate sul numero delle navi oscillano tra 4000 e 6000 e quelle sull'esercito tra 100.000 e 240.000 uomini. Ma ancor prima della partenza morì l'abile capitano destinato al comando supremo; la gelosia dei due comandanti in sott'ordine rallentò la prontezza dell'azione. Ma una sventura più grave sovrastava per la violenza degli elementi alla flotta ancoratasi presso l'isola di Tsusjima, divenuta famosa per la distruzione della flotta russa del Baltico nel 1905.

Secondo gli annali giapponesi furono gli dei protettori indigeni, che sdegnati per l'onta inflitta dagli invasori barbari, a far scatenare una di quelle terribili tempeste, non rare in quei mari e note sotto il nome di tifoni.
«Iddio, l'onnipotente, soffiò e l' Armata volò via a tutti i venti ».

Gli ufficiali superiori, a quanto si dice, cercarono di salvarsi in Cina sulle navi migliori. Il mare inghiottì insieme alle altre navi la massima parte degli equipaggi. La residua flotta rimasta senza guida cadde vittima dell'esercito giapponese, sopraggiunto sotto il comando del giovane ed energico scikken Tokimane (1281).
Quale riscontro notevole corrisponde in tanti punti al grande avvenimento, compiutosi tre secoli più tardi nella Manica, destinato a mandare a vuoto la minacciata conquista delle Isole Britanniche da parte della Spagna con la sua Invincibile Armata, sulla potenza inglese egemonica di quel tempo.

Pare che per molti anni ancora Kublai Khan, contro il parere dei suoi consiglieri più devoti ed abili, abbia macchinato nuovi piani di offesa contro il Giappone, i quali, ad onta di preparativi molto dispendiosi, non giunsero però ad essere attuati a causa di altre imprese militari più urgenti.
Dopo questa disfatta dei cinesi, anche in Giappone durò a lungo l'impegno e le spese necessarie per proteggere con fortificazioni le numerose coste minacciatedalle brutte intenzioni del Khan.

Addirittura si attribuisce all'intraprendente Tokimane perfino l'intenzione di una spedizione di vendetta in Cina contro lo stesso Kublai, progetto che non ebbe poi seguito per essere di lì a poco morto precocemente lo scikken (1284), in età di soli 34 anni.

Anche per l'Occidente ebbe la sua importanza il fatto di quella grande invasione mongolica così memorabile per il Giappone; con questa si collega la prima notizia giunta in Europa su quel lontano impero insulare dell'estremo oriente, ad essa fin allora sconosciuto.

Poiché il veneziano Marco Polo, il quale dal 1274 quasi per 20 anni a servizio del Kublai con importanti incarichi; nella descrizione celeberrima del suo viaggio per primo dà ragguagli anche del «Cipangu», come egli chiama il Giappone (secondo la pronuncia cinese Gih-pen di Nihon con la finale «kuo» = paese)- Certamente egli non vi è stato e non ha preso parte a quella fatale impresa; tuttavia nella descrizione che fa degli avvenimenti, aggiunge particolarità singolari, che corrispondono esattamente alle osservazioni fatte dai cinesi e giapponesi.
Disgraziatamente lo stesso Polo dedica al Giappone soltanto alcune righe, e solo per vantarne la smisurata ricchezza in oro e perle. Che stavano poco in armonia con la realtà abbastanza modesta.

Ma appunto queste poche righe, in cui si affrena che nel Cipangu si sguazza nell'oro, avrebbero due secoli più tardi contribuito a produrre un evento d'importanza mondiale, la scoperta dell'America. Infatti la notizia, in verità non meno erronea dell'altra, data dal Polo che l'isola così ricca fosse situata a 1500 miglia a oriente del continente cinese fu notoriamente una delle basi sulle quali Colombo fondò il suo famoso progetto di raggiungere il bramato Eldorado, navigando a ponente dell'Europa.

Il pericolo esterno era così stornato dal Giappone; ma tanto più violente ripresero presto le contese interne. Somme enormi avevano inghiottito l'armamento dell'esercito, l'erezione delle fortificazioni e non in piccola misura i donativi ai santuari dei Kami e di Budda, dei quali si era invocata la protezione.

Il bakufu e tutta la popolazione erano perciò caduti in un disagio finanziarie, che invano si era cercato di eliminare per mezzo di pessimi provvedimenti governativi. Così nel 1297 il governo fissò i prezzi degli oggetti di prima necessità e le misure dell'interesse dei prestiti, provvedimenti certo vantaggiosi ai soldati, ma che irritavano la massa della popolazione.

Le contese per il potere in seno alla stessa famiglia degli Hogio, il rafforzarsi dell'indipendenza degli sciugo e dei gito nelle province, inoltre l'odio dei discendenti dei vinti del 1221, e dei partigiani della casa imperiale, spogliati dei loro scioyen ed anche l'infiacchimento che si propagava, come un tempo in Kyoto così ora in Kamakura, tra i vassalli già così semplici e bellicosi e finalmente lo sfruttamento usuraio del popolo a proposito del riso da parte di egoisti funzionari dello sciogunato, compiutosi in occasione di carestie, tutto questo contribuì a scuotere seriamente il dominio dispotico degli Hogio, divenuto profondamente odioso in tutto l'impero sullo scorcio del secolo XIII.

Go-Daigo (nato 1287, m. 1338) assunto alla dignità imperiale nel 1319, eccezionalmente mentre era nel pieno vigore dell'età virile, credette perciò giunto finalmente il momento di rovesciare con la forza delle armi gli scikken con l'aiuto di altre grandi famiglie, gelose degli Hogio, e di poter ristabilire l'antica potenza imperiale.
Tuttavia questo primo tentativo fallì miseramente. L'esercito del nono e ultimo scikken Takatoki (1303-33) entrò vittorioso in Kyoto, l'imperatore Go-Daigo, che era fuggito (*), fu arrestato, deposto ed esiliato e al suo posto fu dallo scikken messo sul trono imperale un altro principe più giovane sotto il nome di Kogon (1331)- Ma due anni più tardi agli avversari degli Hogio, guidati dal generale Takaugi della famiglia degli Ascíkaga, che
d'allora in poi prese una posizione storica rilevante, riuscì prima a strappare loro Kyoto e poi ad occupare sotto Nitta Yoscisada la stessa Kamakura.

(*) Singolare la fuga del re dal Palazzo (che ci ricorda altre fughe di sovrani - es. Luigi XV, Vittorio Emanuele III ecc. ecc.). Go- Daigo si travestì da contadina, e su un carro agricolo, all'alba, abbandonò il palazzo senza essere riconosciuto dalle guardie. Più avanti poi fu riconosciuto da altri contadini e fu arrestato.

La superba e grande città è posta in fiamme. Takatoki dopo un inutile tentativo di resistenza sceglie con i suoi di morire di propria mano e il dominio degli Scikken è infranto per sempre !

L'epoca inquieta di Kamakura, nella quale rappresentarono la parte principale le rudi e bellicose virtù dei nobili vassalli, fu naturalmente poco favorevole al dominio della vita intellettuale, essa ci dà per lo più l'immagine di una decadenza.
Certo le istituzioni religiose e i loro rappresentanti godettero il favore di Yoritomo, abbastanza accorto a non farsi sfuggire i lati favorevoli di quel disprezzo del popolo dimostrato agli arroganti Taira, nè quando abbattuti questi si lasciò sfuggire l'appoggio delle varie religioni
Ai possedimenti dei templi Scintoisti e Buddisti concesse le stesse immunità godute dagli scioyen dei grandi proprietari fondiari. Anche il Gioei Sciki-moku, la legge promulgata dagli scikken, pone a capo delle sue 51 prescrizioni l'adorazione delle divinità, la protezione e il mantenimento dei templi, sia quelli scintoistici (articolo 1), sia quelli buddistici (articolo 2).

Nel periodo di prosperità degli scikken della famiglia Hogio fu ancora innalzato il Daibutsu di Kamakura (1252, altezza 15 m.), la celebre statua colossale di Budda in bronzo, la cui aula non esiste più; la statua, appunto per essere all'aria aperta in mezzo al verde così suggestivo del bosco del tempio, anche oggi non può mancare di produrre un'impressione profonda di sublimità in chi devotamente la contempli.
Ad onta di queste dimostrazioni di favore, diminuì però molto la considerazione, un tempo così grande, di cui godevano i sacerdoti, divenuti pericolosamente mondani in un tempo così agitato e più volte disposti pure a scendere in campo adoperando la violenza delle armi.
D'altra parte la depravazione dei costumi e la decadenza del sacerdozio furono in seno al popolo mirante all'alto, l'occasione di cercar nuove vie per purificare e innalzare i cuori ottusi delle moltitudini ecclesiastiche e laiche e di dischiudereloro la benedizione delle dottrine buddistiche.

Difatti vi fu appena nel Giappone un'altra epoca, che sia stata così feconda di nuove sette del buddismo e di predicatori di nuove vie di salvezza. Honen Scionin (o Ghenku 1133-1212), fondatore del Giodo sciu o setta del paese puro, insegnava a non fare assegnamento sulla propria forza, ma soltanto sulla fervida preghiera «Namu Amida Butsu», cioè sia adorato l'infinito Budda. Scirran Scionin (1174-1268), figlio di un kughe, non del tutto soddisfatto di questo, fondò la Giodo-scin-sciu o vera setta Giodo. Permise ai sacerdoti l'uso del pesce e della carne, come pure il matrimonio ed egli stesso sposò una fanciulla della famiglia Fujiwara.

Ma il più autorevole di tutti fu Niciren (1222-82), che predicò l'importanza della retta fede e quale sua espressione quella delle parole: Mio-horen-ghe kio, cioè il « sutra » del loto della meravigliosa legge, e si scagliò nel modo più vigoroso contro la decadenza dei costumi e contro altre sette, non risparmiando in questo nemmeno i personaggi più potenti.
Non vi è da meravigliarsi che Niciren, del resto come gli altri due capi di sette, sia stato punito con l'esilio; tuttavia più tardi tutte tornarono in grande onore. Se queste tre dottrine erano soprattutto destinate alle moltitudini popolari, la setta degli zen, che non attribuiva un gran valore alle sante parole dei « sutra » ma poneva il suo centro di gravità nella purificazione del cuore per mezzo della meditazione, trovò i suoi seguaci prevalentemente fra i vassalli guerrieri e in genere nelle classi elevate in Kyoto e in Kamakura.
Ad essa specialmente, con l'andar del tempo, per mezzo della sua semplice, schietta, rigida, aspra e sottile tendenza spirituale, toccò di esercitare una grande influenza, avversa ad ogni pompa straordinaria e ad ogni apparenza esteriore, su tutte le condizioni della vita, sui costumi, sul vestire, sul nutrimento e sulle abitazioni, e non meno sull'arte e sulla letteratura.

Per quello che riguarda il sapere e l'arte, la classe dominante dei nobili nel periodo di Kamakura ebbe in pregio soltanto le arti belliche e stimò per lo più il sapere contenuto nei libri molto al di sotto del suo valore, cosicché questo, appunto come in Europa durante il medio evo, fu coltivato dai monaci nei loro chiostri. Tra i 5000 cavalieri di Yasutoki, i quali nel 1221 occuparono Kyoto, pochi soltanto, a quanto si dice, erano in grado di leggere perfino l' editto dell'imperatore fuggito. Anzi si crede che molti della più alta nobiltà non sapessero scrivere e che perfino diversi imperatori siano stati istruiti solo a metà.

Alla lingua scritta, poiché soltanto pochi erano padroni del cinese, subentrò un vero stile misto, un cinese sfigurato, un mescolato di parole giapponesi, nel quale furono redatti documenti scritti e libri di storia. La materia dei racconti, presa a preferenza dalla vita dei prodi cavalieri giapponesi, trova la sua espressione nell'epica eroica. Un merito, che sopravvisse alla loro rovina, si acquistarono gli Hogio, fondando a Kanazawa, non lungi da quella città che fu poi Yokohama, una biblioteca ricchissima di opere cinesi e giapponesi.

Quanto ai fatti politici
poi venne il periodo delle guerre civili, conflitti di nobili
e lo sciugunato dei principi indipendenti

SCIOGUNATO ASHIKAGA - GLI INDIPENDENTI (DAIMYO) 1333-1573 > >

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