39. CONQUISTA DELLA GALLIA - A ROMA L'ANARCHIA


Cesare

L'alleanza politica di Pompeo e di Cesare era stata rinsaldata anche con legami di famiglia, poiché nell'anno 59 a.C. la figlia di Cesare, Giulia, era andata sposa a Pompeo; una morte prematura però la rapi nell'anno 54 e rallentò le relazioni personali dei due uomini.
Terzo nella lega accanto a Pompeo ed a Cesare era Crasso, dopo la cui morte nella guerra
contro i Parti il triumvirato ebbe fine; ciò avvenne nel 53 a. C. Non rimasero allora l'uno accanto all'altro che Pompeo e Cesare, e le strepitose vittorie galliche del secondo non poterono fare a meno di alienargli l'animo del primo.

Nei primi anni del triumvirato Pompeo aveva tuttavia aspirato a riunire in sua mano poteri straordinari e poco in armonia con gli ordini repubblicani in opposizione alle tendenze del senato; ma il crescente antagonismo e invidia verso Cesare lo indusse ad accostarsi a poco a poco al senato, il quale ebbe così il miglior alleato e quindi servirsi di lui contro Cesare.
Cesare infatti era salito in Gallia ad un grado di potenza che
sembrava minacciosa al senato, ed il senato aveva buone ragioni per stare in guardia rispetto a Cesare; in Pompeo esso trovò il generale che gli occorreva per essere difeso contro Cesare.

Di modo che Pompeo con le sue trasformazioni politiche finì col tornare ai suoi vecchi principii; egli era uscito dalla reazione e grazie al suo passaggio al partito popolare, proprio questo lo aveva elevato alle massime altezze; ma egli finì suo nemico un' altra volta, anzi divenne il campione del governo aristocratico.

Cesare invece battè la strada che si era prefissa con passo pienamente sicuro e chiarezza di vedute, sempre conseguente a sé stesso. Egli sin dall'inizio aveva aderito al partito popolare, patrocinò e favorì gli interessi del popolo ed il popolo lo elevò sugli scudi, ed insieme col popolo egli pose mano a distruggere la repubblica aristocratica ed a costruire un trono democratico.
In lui si effettuò piena quell'alleanza della democrazia col potere militare che non poteva non riuscir fatale agli antichi ordinamenti repubblicani.

Come abbiamo già appreso nelle ptrecedenti pagine, una legge del tribuno Q. Vatinio aveva assegnato a Cesare la sua provincia gallica per la durata di cinque anni, ma egli poté conservarla più a lungo; Cesare si recò nella provincia verso la fine del marzo 58 a. C. Fin dall'inizio egli non si limitò all'amministrazione pacifica, ma concepì di estendere la signoria romana e di formarsi un esercito fidato ed a lui devoto incondizionatamente.
Nello stesso anno 58 iniziò l'assoggettamento della Gallia indipendente che parve compiuto nel 55; ma negli anni dal 54 al 52 ebbe a lottare con una sollevazione pericolosa dei Galli che non venne domata se non nel 52; con ciò rimase assicurata la conquista della Gallia dal Reno ai Pirenei.
Fu in tal modo aggregato ai dominii di Roma il popolo che per sua natura era il più accessibile alla romanizzazione; la conquista della Gallia fu la più importante conquista fatta in Occidente.

Fin dal primo anno la lotta non si svolse soltanto con i Celti, ma anche con i Germani; Cesare vinse nell'Alta Alsazia Ariovisto. Poi passò due volte il Reno, e due volte passò il mare sbarcando in Britannia; l'opera da lui qui iniziata fu compiuta dall'Impero; né infatti era possibile giungere alla pacificazione della Gallia senza l'assoggettamento della Britannia.
Anche le ricchezze della Gallia furono da Cesare fatte servire ai fini della sua politica; egli poté disporre di milioni per pagare il silenzio e l'appoggio degli uomini politici della capitale.

L'insurrezione in Gallia dell'anno 52 elevò alla dignità reale Vercingetorige, ma con la sua sconfitta la conquista della Gallia fu sostanzialmente compiuta, e nell'inverno successivo Cesare poté scrivere nell'Alta Italia i suoi commentari della guerra gallica, che, pubblicati nella primavera del 51, miravano ad avere una influenza politica in Roma. La mira era giusta ma l'influenza fu negativa. Per il conquistatore della Gallia e contro i pericoli che da lui si temevano, a Roma si prepararono alla lotta.

All'inizio del governo provinciale gallico di Cesare, la cura dei suoi interessi a Roma fu assunta dal tribuno P. Clodio; uscito dall'antica casata principesca dei Claudii, costui aveva abdicato dal patriziato per poter rappresentare in politica da tribuno la parte che meglio si attagliava alle sue inclinazioni.
Questo giovane scostumato, cui l'aristocrazia tuttavia perdonava tante cose perché era carne della sua carne, aveva preso soprattutto di mira Cicerone che i grandi signori di Roma anch'essi non volevano considerare alla pari.

Ora Cicerone dovette pagare il fio del suo modo di procedere contro i Catilinari, col quale aveva gravemente offeso i principi professati dai popolari; quando Clodio lo attaccò, egli non trovò appoggio nemmeno da parte degli ottimati e se ne andò in esilio a Dirrachio, a Tessalonica. Ma quando Clodio, con le sue bande divenne padrone delle strade, non rispettò più lo stesso Pompeo, e questi favorì il richiamo di Cicerone, che avvenne nel 57, peraltro soltanto dopo che Cicerone si era impegnato a prestare l'opera sua per la causa dei triumviri.

Ed infatti ora Cicerone appoggiò Pompeo anche nella sua aspirazione ad acquistarsi mediante il conferimento di un mandato generale di curare l'annona in tutto il territorio romano; una posizione preminente e superiore a quella che gli aveva procacciato l'incarico della guerra contro i pirati; ma una legge formulata a tale scopo dal tribuno C. Messio, una nuova edizione corretta e riveduta della legge Gabínia dell'anno 67, non incontrò terreno favorevole, e l'incarico che Pompeo tuttavia alla fine ottenne su proposta dei consoli dell'anno 57 fu di molto minore importanza.

Finalmente il senato osò fare una sgarbo anche contro Cesare ed impugnò la sua legge agraria. Questo però suscitò la reazione dei tre potentati che nuovamente si intesero fra loro e convennero di riunirsi nell'anno 56 a Lucca per discuterne.
La conferenza di Lucca fu una imponente dimostrazione; si recarono nel convegno di Pompeo, Crasso e Cesare, duecento senatori, e centoventi littori che mostrarono palesemente quanto grande fosse il numero degli alti magistrati presenti.
Il senato dovette nuovamente piegarsi, ed i patti stretti a Lucca vennero adempiuti nel successivo anno 55, in cui Pompeo e Crasso, che già nel 70 erano stati consoli insieme, assunsero il loro secondo consolato.
Una legge del tribuno C. Trebonio conferì ora le due province ispaniche a Pompeo e la Siria a Crasso, per uno spazio di cinque anni. Anche il governo gallico di Cesare venne prolungato con una legge proposta dai due consoli, ai sensi della quale non si doveva in senato trattare della successione di Cesare avanti il 1° marzo dell'anno 50.

Scaduto l'anno del suo consolato, Pompeo per meglio custodire la sua posizione nella capitale non si recò nelle sue province, ma le fece governare dai suoi legati Afranio e Petreio; Crasso invece partì per la Siria prima ancora dello scadere del suo consolato e qui mosse guerra ai Parti.
Fraate II, che nell'anno 129 aveva vinto il Seleucida Antioco VII Sidete, era caduto in battaglia contro gli Sciti, i quali anche sotto il suo successore Artabano I desolarono la Partia. L'impero dei Parti non salì a nuova potenza che sotto il figlio di Artabano, Mitradate II il Grande. Egli fu il primo ad entrare in relazioni con i Romani e nell'anno 92 inviò in Cappadocia una imbasciata al governatore romano della Cilicia, a Sulla. Contro il re armeno Tigrane guerreggiò il re dei Parti Sinatruce, e suo figlio Fraate III rifiutò in seguito di recare aiuto a lui ed a Mitradate contro i Romani: anzi strinse alleanza con Lucullo, tenendosi peraltro alla fine neutrale. Poi si alleò con Pompeo ed invase nel 66 l'Armenia, ma Pompeo gli negò il titolo di re dei re; egli irritò i Parti senza infondere loro il rispetto della potenza di Roma. Ucciso nell'anno 57 Fraate dai suoi figli, successe a lui uno di questi, Orode. Contro di lui mosse guerra Crasso qual proconsole di Siria. Egli fu trascinato a questa guerra soltanto dalla sua avidità di denaro; sperava cioè di far ricco bottino senza grandi fatiche e non si diede neppur la pena di cercare un pretesto per giustificare la guerra. Nell'anno 54 pertanto invase la Mesopotamia, ma nella sua completa ignoranza della maniera di combattere dei Parti subì nel 53 a Carre un pieno disastro e venne lui stesso ucciso nella ritirata. Metà dell'esercito romano rimase sul terreno, un quarto fu preso prigioniero ed internato a Merw, e soltanto 10.000 uomini riuscirono a sfuggire alla catastrofe riparando in Siria. I Parti l'anno seguente invasero la Siria, ma una rivolta di suo figlio Pacoro indusse Orode nel 50 a ritirare il suo esercito dalla provincia.

A Roma sin dal 58, dal momento della partenza di Cesare per la Gallia, era cominciata l'anarchia ed i triumviri accordarono a Clodio ed alle sue bande una eccessiva tolleranza; ogni sicurezza cessò per le vie della capitale. All'inizio dall'anno 52 le bande di Clodio vennero ad aperta battaglia sulla via Appia con i gladiatori di Milone, e Clodio vi rimase ucciso. Il popolo bruciò la salma di Clodio nella curia e la curia andò in questa occasione perfino in fiamme; neppure la difesa di Cicerone riuscì a salvare Milone, che fu condannato ed andò in esilio a Massilia. Per ricondurre l'ordine il senato si decise a ricorrere ad una specie di dittatura: Pompeo fu creato console senza collega.

Ma come nell'anno 63 si era vissuto a Roma con apprensione e timore per il ritorno di Pompeo vittorioso dall'Oriente, così ora le apprensioni per il ritorno di Cesare dalla Gallia cominciarono a turbare gli animi dei capi della politica cittadina. Ai sensi della costituzione sullana, Cesare, che era stato console la prima volta nell'anno 59, non poteva aspirare al consolato la seconda volta che per l'anno 48; questo secondo consolato era nella sua ferma intenzione di ottenerlo ed aveva desiderato di conservare sino al momento opportuno la provincia gallica perché era sua mira di salire alla presidenza della Repubblica a capo del suo esercito vittorioso. Ma era appunto questo che temevano i suoi avversarii, il senato ed il partito dei repubblicani, Catone alla testa degli intransigenti.

Della massima importanza era in questa congiuntura l'attitudine che avrebbe assunta Pompeo; l'ambizione personale e la sciocca gelosia lo spinsero ad avversare Cesare. Questa situazione ravvicinò tra loro gli avversarci di Cesare e li indusse a venire ad un accordo. Da console senza collega Pompeo fece nel 52 la pace col senato e persino con M. Catone.
Cesare aspirava al consolato per l'anno 48 perché da console avrebbe potuto manovrare in modo da spodestare Pompeo ovvero, se una guerra era inevitabile, poterla condurre con più favorevoli prospettive a buon esito. Il senato a sua volta mirava a servirsi di Pompeo contro Cesare e a trarre profitto delle sue qualità militari; esso così ragionando si fondava sulle vittorie di Pompeo, ma mostrava di non conoscere abbastanza il valore di Cesare.

Della scarsa capacità politica di Pompeo il senato era ben cosciente, ma ciò non poteva che tornargli utile, perché così, dopo che Pompeo avesse vinto Cesare, poteva contare di mettere da parte anche lo stesso Pompeo.

Per l'anno 50 pose la sua candidatura al consolato M. Catone con l'intenzione di procurare il richiamo di Cesare dalla Gallia; ma le cose non erano arrivate ancora al punto che si potesse romperla apertamente con Cesare; la candidatura di Catone naufragò.

Tuttavia il movimento politico era già tutto dominato nella questione riguardante Cesare. Non vi era argomento che non si prospettasse sotto il punto di vista di favorire oppure di frustrare le mire di Cesare. Senato e comizi presero posizione di fronte a tale questione;

da questo conflitto
non poteva che nascere una guerra civile.


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