8. L'ASCESA DI SPARTA E DI ATENE

 

Da quanto si è detto nel precedente capitolo 5 ("Antichi stati monarchici"), appare che il governo in tutti i differenti stati di Grecia era originariamente monarchico. Ma la loro tirannia presto produsse un totale mutamento nel sistema. Risvegliatosi nella mente dei Greci quell'ardente desiderio di libertà che d'allora in poi così fortemente distinse il carattere di questo meraviglioso popolo, tale desiderio lo distribuì in molte separate repubbliche. Per qualche tempo, infatti, noi vedremo persone private, comuni sudditi, sorgere di volta in volta, le quali ispirate dalla loro ambizione, si organizzarono per farsi sovrani del loro paese, alcuni - meno forti- con saggezza e destrezza politica, altri - meno saggi ma forti- con la sola violenza e con la forza delle loro armi.

Ma di tutti questi stati, Sparta ed Atene si distinsero molto più degli altri, e con il loro straordinario merito e con la saggezza delle loro leggi acquistarono una così gran superiorità sopra gli altri che divennero le principali molle della macchina politica della Grecia. Fra queste due repubbliche, ovviamente sorse uno spirito di rivalità, che alla fine diede inizio a lunghe contese e discordie; nel corso delle quali noi vedremo gli altri stati, qualche volta alleati di Sparta, qualche volta di Atene, ovviamente secondo i loro differenti interessi. Pertanto i principali avvenimenti di questa storia, più sovente riguardano queste due repubbliche che costantemente occupano il primo posto e sembrano in tutte le occasioni sostenere il fato della Grecia.
Noi procediamo quindi a riassumere prima la storia di Sparta poi quella di Atene, proseguendo il periodo al quale abbiamo accennato nel capitolo detto sopra; cioè nei dintorni dell'anno 1000 a.C.

 

SPARTA

Le istituzioni Spartane possono essere considerate in due distinti modi. Primo: In quanto esse riguardano il pubblico governo dello Stato. Secondo: In quanto esse riguardano la vita privata dei cittadini.
Il governo di Sparta era amministrato abbastanza singolarmente, da due re, un'assemblea di nobili e dal popolo. Tutti questi partecipavano contemporaneamente alla natura della principale forma di governo, cioè, Monarchico, Aristocratico e Democratico.
Il civile potere dei due re di Sparta era assai limitato. In tempo di pace godevano poco più che il nome di re, ed erano, non più che due principali uomini di una specie di "Senato". Non avevano libertà alcuna per se medesimi di intraprendere alcun affare pubblico, essendo ognuno di questi determinato dalla pluralità delle voci dell'assemblea nobili e popolo. In tempo di guerra erano rivestiti di un'assoluta autorità in qualità di generali, ma erano responsabili delle loro operazioni. La loro condotta era soggetta all'investigazione, e pur essendo regali persone, se commettevano reati gravi, erano soggetti alle pene come tutti gli altri.
Noi possiamo pertanto comprendere facilmente che i due re di Sparta non facevano se non una meschina figura durante il tempo di pace. Erano due nullità. Ma non per questo le cose andavano bene.

Ora se dobbiamo mettere un confine temporale fra il vecchio e il nuovo, quest'ultimo inizia indubbiamente con Licurgo passato alla storia come un grande legislatore.
Licurgo nel capitolo 5 (delle "antiche Monarchie") lo avevamo lasciato quando era morto il fratello Eunomo re, senza lasciare eredi, ma solo la giovane regina in stato di gravidanza. Essa voleva maritarsi con Licurgo, ma ambiziosa com'era, era intenzionata appena nato il bambino di esporlo con l'intenzione di non fare la reggente dell'erede, ma di governare essa sola. Licurgo rimase impressionato dalla barbara intenzione, con vari pretesti rimandò la proposta matrimoniale, ma
intanto diede segreti ordini alle levatrici che si portasse subito a lui il bambino appena questo fosse nato.

Ed infatti quando venne alla luce alla sciagurata madre gli fu subito sottratto; non solo, ma Licurgo immediatamente lo portò nella pubblica assemblea, presentandolo ai principali uomini di Sparta come legittimo erede del regno, dandogli il nome CARILAO.

LICURGO con la sua giusta e disinteressata condotta, distruggendo le barbare intenzioni della regina e procurando che CARILAO, ancora fanciullo in culla fosse dichiarato re, aveva grandemente provocato quella principessa, che per vendetta con tutto il suo potere di regina si adoperò a formare una fazione contro di lui, e lo fece accusare di cospirazione contro lo Stato.
Ma Licurgo presto si ritirò dal pericolo di queste macchinazioni. Poi scorgendo che le leggi erano interamente non osservate, anche perchè spesso non comprese, egli meditò una straordinaria riforma sul governo. Ma prima volle viaggiare in paesi stranieri, onde potere opportunamente osservare con i suoi propri occhi i diversi costumi e le istituzioni di differenti popoli, i più famosi allora per la saggezza delle loro legislazioni.

Con queste intenzioni, egli prima se n'andò all'isola di Creta, dove il celebre Minosse, il cui rigido carattere era molto simile al suo, aveva già stabilito un sistema di leggi cent'anni prima della guerra di Troja, e le cui virtù gli avevano procurata quand'era in vita la più alta stima. Avendo soggiogata l'isola di Creta, Minosse decise di assicurarsi la sua conquista non con la sola brutale forza ma con la saggezza delle sue leggi.
A Creta, il governo, quando Minosse se ne rese padrone, era monarchico. Ma per portare la forma alla sua più alta perfezione, giudicò necessario di rendere il principe soggetto al potere delle leggi, come la nazione era soggetta al poter del principe; di modo che quest'ultimo avrebbe ottenuto in tal modo un illimitato potere di fare del bene, e nello stesso tempo sarebbe stato trattenuto dal nuocere le leggi affidando a lui il più prezioso di tutti i doveri: la cura di un intero popolo, a condizione che lo governerebbe come padre e protettore, e non come oppressore e tiranno.

Dopo Creta, LICURGO se n'andò poi in Asia Minore; dove raccolse in un solo corpo tutte le opere di Omero, che prima erano qua e là disperse in diversi frammenti. Dall'Asia Minore viaggiò in Egitto dove acquisì una grandissima quantità di cognizioni.
Dopo avere considerato le varie forme di governo che erano cadute sotto la sua osservazione, e saggiamente pesati i vantaggi e gli svantaggi di ciascheduno, adottò quello che gli sembrò il più completo, il più confacente per realizzarlo come sistema nel proprio Stato.

II risultato di tutte queste laboriose ricerche, fu la famosa legislazione Spartana che è stata l'ammirazione delle età successive, e che a noi oggi sembrerebbe interamente chimerica ed impraticabile, se non fosse attestata oltre ogni possibilità di dubbio da ogni antico autore che ne parla. Molti di quelli, come Platone, Aristotele, Senofonte e Plutarco, essendo ancora in vigore quelle leggi, furono testimoni oculari di ciò che hanno narrato. Inoltre è un indubbio che questo sistema esistette realmente per almeno oltre settecento anni. Noi possiamo pertanto sufficientemente ammirare come fosse possibile per un uomo pervenire a stabilire una forma di governo, così s' efficiente ma violentemente disgustoso, ignorando le più potenti passioni dell'animo umano.

Durante l'assenza di Licurgo i Lacedemoni divennero estremamente turbolenti; e Sparta fu sul punto di cadere nella più profonda anarchia. Prendendo gli spartani coscienza di quanto era a loro necessario un uomo di giudizio e di qualità superiori, spedirono messaggeri in ogni parte per rintracciare Licurgo e a supplicarlo di ritornare a Sparta; e lui con le idee di un sistema ormai da qualche tempo maturate, accettò l'invito.
Ma prima di procedere alla promulgazione delle sue leggi, volle rafforzarsi dell'autorità degli Dei, e a tale oggetto andò a consultare l'oracolo di Delfi, dove trovò, non sappiamo con quali mezzi, di ottenere una favorevole risposta ai suoi progetti.

Correva l'anno 884 a.C.
LICURGO arrivando a Sparta, prima comunicò privatamente il suo disegno ai principali uomini della città. Essendosi procurata la loro approvazione, si recò al mercato per affrontare la piazza, scortato da un numero di uomini armati; e lì spiegò al popolo le modifiche che intendeva fare riguardo al governo, e le nuove istituzioni che si proponeva di stabilire.
Noi ora ci asterremo qui di entrare nei minimi particolari di queste istituzioni, ma di ciò parleremo più avanti. In quello Spartano e in quello Ateniese.

LICURGO impiegò quasi tutto il resto della sua vita, nel portare le sue leggi alla perfezione e nel dare forza a farle osservare. Incontrò molta opposizione, ma dimostrò forse non meno fermezza e prudenza nell'indurre i suoi concittadini a sottomettersi ai suoi regolamenti, manifestando di volta in volta saggezza nel concepirli.

Dopo aver dato l'ultima mano all'opera sua, e gustato il piacere di vedere fermamente stabilite le sue istituzioni e i suoi concittadini esercitati all'esercizio di quelle, Licurgo dichiarò la sua intenzione di consultare l'Oracolo se era necessario ulteriormente migliorarle, e ottenne da loro una solenne promessa che le istituzioni già in atto le avrebbero osservate fino al suo ritorno.
Giunto a Delfo, posta la domanda alla Sacerdotessa questa rispose, che Sparta se avesse mantenute e osservate le sue leggi, sarebbe diventata la più illustre e felice città del mondo. Licurgo trasmise a Sparta questa risposta; e considerando essere la sua opera oramai interamente compiuta, si diede una volontaria morte astenendosi da ogni cibo.


Il Senato fu indubbiamente la grande istituzione creata da Licurgo. Esso era diretto a controbilanciare il potere dei re da una parte, e quello del popolo dall'altra. Era composto di trenta membri, compresi i due re. L'intera legislativa autorità stava riposta nelle loro mani, ed ogni punto era discusso e determinato con la pluralità delle voci.
Tuttavia il potere del popolo con Licurgo fu molto diminuito. Il suo principale privilegio era quello di scegliere i membri del Senato. Inoltre il suo assenso era necessario per la sanzione delle leggi. Ma non gli era permesso di ragionare o deliberare sopra quelle tali materie che gli erano poste davanti, essendo destinato semplicemente ad approvare o a rigettare l'opinione propostagli dal Senato.

Le assemblee del popolo erano in ogni caso in gran parte soggette al Senato, il quale poteva convocarle e discioglierle a suo piacimento.
Questa era la base sopra la quale aveva stabilito Licurgo il governo di Sparta, che possiamo considerare
come una repubblica, nella quale i re non erano più monarchi assoluti, ma nulla più che i principali magistrati. Ed in questa forma questa legislazione continuò fino a cento trent'anni dopo la sua morte.

Durante questo lungo periodo fu tuttavia creduto necessario di imporre qualche freno al potere del Senato, il quale sembrava essere troppo assoluto e anche troppo grande. Con questi intenti, e di conseguenza, furono creati gli Efori al tempo del Re Teopompo (della dinastia degli Europontidi - VIII sec.)
Questi magistrati erano cinque di numero, scelti dal popolo e nel suo ceto, e continuavano soltanto un anno nel loro ufficio. Avevano una gran somiglianza ai noti tribuni del popolo Romano. La loro autorità era grandissima. Potevano obbligare i magistrati inferiori e perfino gli stessi re, a render conto della loro amministrazione, e potevano arrestare ed imprigionare tanto i Senatori come i Re. Un esempio con questo potere è riscontrato nel caso di Pausania.

Il più importante articolo riguardante la privata polizia degli Spartani, fu l'eguale distribuzione delle terre. Licurgo all'inizio della sua riforma trovando l'intero territorio dello stato nelle mani di pochi ricchissimi cittadini, spesso non produttivi, fece ogni sforzo per persuadere quelli di abbandonare i loro possedimenti e acconsentire ad un'eguale ripartizione delle terre fra tutti i membri della Repubblica. In quest'ardua impresa fu abbastanza felice di raggiungere il fine. Tutto il territorio di Laconia fu distribuito in trentamila porzioni ed assegnato agli abitanti del paese; le franchigie di Sparta furono allo stesso modo divise in novemila porzioni, poi date a sorte agli abitanti della città. Ciascuna porzione conteneva tanta terra, quanta era giudicata sufficiente per la sussistenza di una famiglia, la quale si calcolava a circa settanta moggi di grano e di una proporzionata quantità di vino e di olio.
Per togliere analogamente, per quanto era possibile, tutte le pretese di distinzione che potevano sorgere sul punto degli effetti mobili, Licurgo proibì l'uso dell'oro e dell'argento come mezzi di scambio, e obbligò gli Spartani a ristringersi al rame; che sia per il bassissimo peso e sia per il suo piccolo intrinseco valore doveva essere piuttosto difficile farsi venire la tentazione di tesaurizzarlo.

Licurgo con questi mezzi bandì il lusso e la magnificenza, portò le ricchezze al disprezzo, e fece costantemente celebrare e onorare la modestia e la semplicità. Sarebbe inutile pretendere di filosofare circa la ragionevolezza di queste scelte di Licurgo, poiché lui era certo che se Sparta conservava il disprezzo delle ricchezze, solo così -senza mollezze- poteva continuava ad essere potente e gloriosa.

Inoltre per togliere il desiderio delle ricchezze e tutti gli incitamenti al lusso, Licurgo proibì l'esercizio di tutte le arti superflue o non necessarie a Sparta, e tutti i pubblici spettacoli, affinché i suoi cittadini non si abituassero a desiderare oggetti superflui, condannati dalle leggi, né a dare ascolto ad una indiretta giustificazione di delitti e di sregolate passioni.

Invece di tali occupazioni e divertimenti, la caccia e gli esercizi corporei furono incoraggiati, e costituivano l'ordinario intrattenimento degli Spartani. I locali più diffusi a Sparta erano appunto le palestre.
Per perfezionare questo sistema di uguaglianza che Licurgo deliberava di stabilire fra i suoi concittadini, l'ultima e la più efficace sua istituzione fu quella delle pubbliche mense alle quali tutti i cittadini ricchi e poveri promiscuamente, erano obbligati a mangiare gli stessi cibi. Ogni tavola conteneva quindici persone, in ciascheduna nelle quali veniva somministrava una certa quantità di vivande. L' assegnazione mensile ad ogni membro era uno staio di fior di farina, otto galloni di vino, cinque libbre di formaggio, due libbre e mezzo di fichi, unitamente ad una piccola somma di barrette di rame (usate con monete) per comprare un poco di carne e di pesce e per cuocere le vivande. Nessun nuovo individuo poteva essere ammesso a queste tavole senza il consenso dell'intera compagnia.

Erano banditi tutti i cibi delicati e di lusso, e il loro consueto e più stimato nutrimento era una specie di "brodo nero".
Più tardi, Dionisio il tiranno di Siracusa avendo sentito da alcuni spartani lo straordinario apprezzamento per questo brodo nero, si ricorda che fece venire un cuoco da Sparta, espressamente perché glielo preparasse. Ma il tiranno nell'assaggiarlo, avendone mostrato disgusto, il cuoco, con la forte espressione del suo nativo laconismo, disse a Dionisio, che "per apprezzare il vero gusto di questo brodo, era necessario prima bagnarsi nell'Eurota". Volendo in questo modo significare che bisognava vivere con tale austera sobrietà ed abituarsi ad un simile violento esercizio, come usavano gli Spartani, per sentire il vero sapore del loro brodo favorito.

Tuttavia questo bando dei cibi incontrò molta opposizione, e fu causa anche di una violenta sedizione nella quale Licurgo perse perfino un occhio. Ma la dolcezza con cui egli trattò l'autore di questa sua sventura, gli fece aumentare la generale stima, ed il regolamento non fu più toccato. Le pubbliche mense presto divennero altrettante scuole di temperanza e d'istruzione per la gioventù.

E parlando di gioventù, di tutte le istituzioni di Licurgo, la più straordinaria forse e la più saggia fu quella che regolava proprio l'educazione della gioventù, la quale egli giustamente guardava come il fondamento e la base di tutto il suo sistema di governo. La sua cura per questa parte di popolo, non iniziava solo dalla nascita dei fanciulli ma fin dal loro concepimento, con l'assidua attenzione e impegno nel procurare loro sane e vigorose madri.
Così con questa visione, le giovani donne Spartane erano fin dai più teneri anni addestrate ad un corso di duri e faticosi esercizi, proprio per dare vigore al corpo, come la lotta, la corsa e altro. Questi esercizi infondevano loro uno spirito di emulazione e nel tempo stesso perfezionavano le loro menti non meno che i loro corpi. Quindi il gentil sesso, il quale nelle moderne nazioni, sembra essere irrinunciabile il desiderio di ornamenti esteriori e di abbigliamenti per attrarre l'ammirazione dell'altro sesso, a Sparta aspirava a più maschie doti. Qui la loro mascolina educazione le rendeva capaci delle più eroiche virtù; e fino a tal punto che l'amore del loro paese invalidava sovente i potenti legami del naturale affetto.
La madre, che udiva esser suo figlio morto nel servizio della sua patria, ansiosamente ne esaminava il corpo per vedere dove aveva ricevuto le ferite, se davanti (da eroe) o dietro (da codardo). Nel primo caso si rallegrava, e nel secondo piangeva.

Non era permesso alle fanciulle Spartane di maritarsi fin quando non erano giunte nel fiore della loro età. - Questa singolare sagacità del legislatore nell'ordinar le cose in tal modo fece in modo che i matrimoni fossero quasi tutti prematuri e clandestini, spesso celebrati dopo un ratto, e non con una formale unione. Con questi mezzi i convegni e le unioni delle coppie nella prescritta età legale erano ovviamente pochi, difficili e brevi.

Ogni fanciullo che nasceva dall'unione era subito esaminato dal più vecchio uomo della sua tribù, il quale se lo giudicava troppo delicato e debole di costituzione, lo condannava alla morte. Ed è forse per quest'immediata cinica selezione che i fanciulli Spartani erano notoriamente tutti diritti, ben proporzionati e belli. Le nutrici erano reputate molto diligenti e così esperte nel prendersi cura dei fanciulli che erano spesso ricercate dai principali popoli degli altri stati della Grecia. Si narra che Alcibiade fu allattato da una Spartana.

Siccome l'educazione dei fanciulli era reputata un fatto troppo importante per essere affidato ai genitori, i quali con degli emotivi affetti li viziano spesso, lo Stato prese interamente questa compito nelle sue mani. Un cittadino di distinta integrità ed abilità era nominato principale sovrintendente all'educazione della gioventù.
All'età di sette anni i fanciulli erano sottratti ai loro padri e distribuiti in differenti classi dove erano addestrati a una vita dura, esposti agli eccessi del freddo e del caldo, obbligati a passeggiare scalzi, con la testa rasa e scoperta, ed infine educati alla più gran semplicità e frugalità nel vitto.

All'età di dodici anni erano trasferiti in un'altra classe, dove si sottoponevano ad un'ancora più severa disciplina. Là imparavano l'obbedienza alle leggi ed ai magistrati, e la riverenza per i loro vecchi. Per infondere loro coraggio e renderli esperti negli esercizi della guerra, erano obbligati a combattere l'un l'altro.
In questi contrasti erano abituati a combattere con una tale furia e ostinazione, che spesso alcuni di loro rimanevano storpiati, ed erano alle volte perfino uccisi. Per renderli arditi ed accorti, era loro permesso di rubare qualunque cosa piacesse, o dai giardini o dalle pubbliche sale di trattenimento, a condizione che compissero il furto senza essere scoperti; ma se erano colti sul fatto, la punizione era molto severa, non certo per l'azione ma per non esserne stato capace a compierla con destrezza.

Era anch'essa riputata una degna dote nei giovani Spartani, l'essere capaci di soffrire senza lagnarsi; famosa era una certa festa in onore di Diana, quando essi si sottoponevano a così tante percosse fin quando dalle loro ferite sgorgava copioso il sangue.

Le loro menti erano coltivate, più dalla conversazione dei saggi uomini, che non dallo studio e dalla lettura. Era fondamentalmente insegnato a dare le risposte con il minor numero possibile di parole. E fu proprio questo forma concisa della conversazione, che attribuì il nome a quello stile detto laconismo. Fino al punto che - fra i Lacedemoni- era sufficiente una sola sillaba per fornire una risposta.

L'amore della Patria era il principale sentimento che gli Spartani si affaticavano di inspirare alla loro gioventù; e la scienza della guerra era quasi il loro unico studio. La manifesta intenzione di Licurgo era quella di formare una nazione di soldati. Non per stimolarli allo spirito di conquiste, o incitarli a prendere con tali mezzi la strada delle ambizioni e delle ingiustizie, semmai si propose di prevenire queste tendenze col proibire di far uso di alcuna forza navale offensiva; affinché potessero esser capaci di mantenere la pace e la libertà della loro patria contro i turbolenti ed ambiziosi vicini.
La loro prima e principale lezione nell'arte della guerra era "non fuggire mai" anche quando il nemico era superiore di numero, a "o vincere o morire".

Quelli che fuggivano in una battaglia erano resi infami per sempre, e potevano essere impunemente insultati da qualunque persona. Un'altra singolare massima osservata dagli Spartani in guerra, era: "Non inseguire un nemico Vinto, oltre il campo di battaglia".
Per questa ragione i loro avversari essendo sicuri di trovar la salvezza nella fuga, spesso con meno ostinazione combattevano e quindi ne approfittavano.

La guerra invece che una fatica, era considerata dagli Spartani come una ricreazione; dal momento che, in nessun altro momento, l'estremo rigore e la severità del loro consueto corso di vita, era proprio in guerra in buona parte mitigato.

Dobbiamo qui osservare che vari eminenti scrittori, antichi e moderni, alcuni costumi e istituzioni Spartane sono state molto criticate e sono a molti sembrate biasimevoli.
Certe pubbliche mostre delle loro giovani donne sono censurate perché indelicate. E un certo grado di libertà, concesso alle loro donne maritate, è condannato come cosa immorale, sovvertitore di uno dei più potenti legami del paterno e del figliale affetto.

Al primo, noi sappiamo che può esser risposto con una certa classe di filosofi:
"Che quell'apparente licenza è unicamente la conseguenza della corruzione dei costumi di quelli che tale la stimano; mentre dall'altra parte è una prova della innocenza e semplicità delle Spartane costumanze".
Al secondo la risposta è più ovvia e forse più solida: "che a Sparta il figliale affetto era intenzionalmente deviato dal privato padre e diretto da tutto il sistema della loro educazione allo Stato, come padre comune di tutti i suoi membri".

Circostanza che distingue la politica Spartana da quella di ogni altra nazione che per quanto sappiamo, comparve mai sulla terra.
La loro crudeltà tanto come individui che come comunità, è uno degli altri argomenti di rimprovero contro gli antichi Spartani; e sembra infatti, non esserci scuse. Il sopprimere i loro figli perché giudicati troppo piccoli e deboli, era crudele, oltre che assurdo.
L'esperienza di oggi, poteva convincerli che un'apparente debole costituzione nei primi giorni di vita non corrisponde affatto a una minore forza corporea nella successiva fase di crescita. Innumerevoli esempi oggi in ogni paese del mondo lo confermano.

Inoltre proprio gli Spartani guerrieri, pur addestrandosi alla forza corporea, sapevano benissimo che pur avendo un'atletica struttura, questa difficilmente poteva essere posta in competizione con il coraggio; il quale dipende più dalla mente che non dal corpo; e che anzi l'intelletto, la fantasia, la memoria e altri doti mentali, raramente sono elementi distintivi di un'erculea forma. E su questo ce ne fornisce una convincente prova l'illustre Agesilao (un minuto e gracile Re di Sparta, che succeduto al corpulento fratello Agide, con intelligente audacia riprese la guerra e vinse contro i Persiani (395 a.C.), vinse la lega antispartana a Coronea (394 a.C.) e affrontò la potenza tebana (371 a.C.).

Abbiamo poi ancora a loro sfavore la selvaggia barbarie verso gli Eloti (cittadini di Elo che ribellatisi e poi vinti dagli Spartani furono totalmente resi schiavi) i quali coltivavano i loro campi e dai quali, in conseguenza, da essi dipendevano per i mezzi di vita. Tutto questo urta l'umanità ed eccede ogni credenza. Erano non solamente obbligati a portare in tutte le occasioni, tanto negli abiti, quanto nel portamento, i più disonorevoli contrassegni di ignobile servitù, ma giornalmente erano anche insultati, battuti e storpiati anche senza provocazione e spesso nell'addestrarsi con le armi con queste li colpivano a morte.

Il divertimento della "Criptia" o "imboscata", non solamente era permesso, ma autorevolmente comandato alla gioventù come addestramento, ed è un esempio d'inaudita ed incredibile barbarie. Una parte dei più arditi Spartani, giovani armati di pugnali nascosti sotto le vesti, erano mandati a correre nelle campagne per scoprire gruppi di Eloti sparsi nei campi. Non li assalivano subito, ma sapendo che si riunivano in gruppi verso sera, si appostavano in una macchia boschiva (da qui "imboscata") e all'improvviso uscendo fuori dei loro nascondigli con i loro ferri, pugnalavano i poveri infelici fino all'ultimo uomo.

Nella sua sostanza sembra che la costituzione Spartana sia stata concepita per formare una nazione d'intrepidi e insensibili guerrieri. Ogni mezzo per giungere a questo fine era studiato e praticato, anche quando i mezzi erano ripugnanti al sentimenti del cuore umano.

Ma che non può fare il costume fra gli uomini? Cosa dire? Che purtroppo questi modi e questi mezzi per arrivare a un fine non li hanno applicati e usati solo antiche nazioni come Sparta, ma anche quelle nazioni in differenti epoche, fino a nostri giorni e tuttora; e pur vantandosi di essere nazioni civili, non sono poi tanto dissimili da quella che abbiamo appena menzionata, che da essa appresero e ne imitarono la tecnica; come fa un rozzo uomo, che osserva osserva fin quando anche lui è in grado di fare il saltimbanco e spiccare il triplice salto mortale; che però qualche volta gli è fatale.

Infatti, un così singolare popolo, si acquistò presto l'ammirazione dei suoi vicini e degli stranieri, e Sparta su tutta Grecia ottenne la supremazia. Gli altri Stati in tempo di guerra non aspiravano altro che avere uno Spartano come loro generale, e gli professavano la più assoluta obbedienza, ritenendolo un fuori del comune vantaggio.

Molti degli antichi filosofi furono di opinione che il governo di Sparta si avvicinava più di ogni altro alla perfezione; comprendeva tutti i vantaggi e tutti gli svantaggi escludeva di ogni altra forma di governo.
Un fatto è in ogni caso certo: mentre erano mantenute nel loro pieno vigore le istituzioni di Licurgo, a Sparta non vi scoppiò mai una sedizione; né alcun uomo privato s'impossessò con violenza del supremo potere; né alcun re assunse più autorità di quella dalle leggi permessa.

Dopo quello di Sparta, governo così singolare,
passiamo ora a quello non meno singolare: a quello di Atene

Come Sparta un secolo prima ai tempi di Licurgo, anche Atene fu scossa da lotte intestine. Un certo cambiamento era già iniziato - come abbiamo già visto nel capitolo 5 ("Emancipazione") - nel VII sec. a.C., ma una vera svolta ci fu quando la ricca classe dominante ateniese non più in grado di soffocare il movimento di emancipazione delle classi contadine gravati di debiti e dei cittadini che non si sentivano rappresentati, essa decise di fare delle concessioni. Come era avvenuto molti anni prima a Sparta, fu posto alla testa dello Stato l'uomo più eminente per doti intellettuali che avesse Atene a quel tempo: Solone, in qualità di arconte e munito di poteri illimitati per riformare lo stato di cose (594).

Per dare una precisa nozione di una prima forma di governo di Atene, è necessario conoscere distintamente i differenti membri dei quali era composta fino allora. Gli abitanti si distinguevano in 3 differenti ordini: I cittadini, gli stranieri, i servi-schiavi.
I cittadini erano soltanto coloro che nascevano da genitori Ateniesi, liberi entrambi. Gli stranieri, invece, potevano divenire cittadini per grazia del popolo, il quale aveva potere di conferire quell'onore a quei tali -segnalati- che avevano reso un servizio allo Stato.
Tutti i cittadini erano stati distinti da Cecrope in "quattro" tribù; ciascuna di queste tribù era composta di tre parti; e ogni parte era suddivisa in trenta famiglie.

A Solone dunque diedero il potere di fare tutti quei cambiamenti che lui giudicava opportuni farsi, per ridurre il caotico modo di operare nelle pubbliche deliberazioni, e quindi far nascere una regolare e permanente forma di autorevole governo.

Conscio della turbolenta e licenziosa indole del popolo con il quale doveva trattare, Solone accettò questo incarico con una certa avversione. Tuttavia, essendo sempre stato contrario al precedente dispotico dominio dei monarchi, ed incline ad un libero governo di una ben regolata Democrazia, pur conoscendo nel tempo stesso l'impossibilità di rendere accettabile agli Ateniesi qualsiasi altra forma di pubblico potere, Solone si prese questo gravoso impegno e diede origine ad una forma di governo puramente popolare.

Ma siccome era bene informato dei molti pericoli e delle imperfezioni a cui va soggetto un tale sistema, si sforzò con tutte le precauzione di impedirli questi inconvenienti per quanto fosse possibile.
Avrebbe di buon grado Solone impostata la sua amministrazione con lo stabilire la stessa eguaglianza nei confronti dei beni, che Sparta da tempo aveva già adottato (distribuzione di terre ai cittadini). Ma temendo che nelle sue circostanze una tale impresa era molto pericolosa (i ricchi erano pochi, ma erano forti), decise di prendere una strada di mezzo nel condonare a tutti i cittadini il pagamento di tutti i debiti fino allora esistenti nei confronti dei ricchi proprietari terrieri.
Ma pur penalizzati dagli inesigibili crediti, i ricchi conservavano pur sempre i loro beni e potevano quindi essere quasi soddisfatti; del tutto soddisfatti i debitori che ovviamente diedero maggior consensi e appoggi a Solone.
Questo singolare provvedimento liberò dalla schiavitù un gran numero di individui, i cui eccessivi debiti, li aveva costretti a perdere la libertà; e nel tempo stesso stroncò la radice molte sedizioni che in precedenza avevano disturbato lo Stato; queste agitazioni, spesso sfociate in aperte ribellioni, erano quasi sempre causate da una parte dal rigore dei ricchi cittadini nell'esigere i loro crediti, e dall'altra dai poveracci dall'impossibilità di pagare i propri debiti.
Per far questo, Solone per prima cosa iniziò a dividere tutti i cittadini in quattro classi, proporzionatamente alla ricchezza di ciascuno. Comprendevano le tre prime classi i più ricchi, i soli che potevano esser promossi a tutti gli uffici di finanza o dignità dello Stato (così potevano andare orgogliosi).

La quarta comprendeva i più poveri, che sebbene esclusi per la loro povertà da tutte le cariche e impieghi, possedevano (e potevano andare anche loro orgogliosi) tuttavia il privilegio di dare il loro voto nelle pubbliche assemblee, le quali, come fra poco vedremo, presero incidentalmente l'intero comando dello Stato; questo perché questa classe -ovviamente- conteneva un più gran numero di persone delle altre tre messe insieme, quindi possedeva una predominanza di voti di maggioranza in tutte le occasioni.
In seguito, questa esclusione del ceto più basso dai pubblici uffici fu abolita con la mediazione di Aristide, e la piena libertà fu accordata anche al più povero cittadino di pervenire a qualunque ufficio, purché con qualche personale qualità morale e intellettuale.
Solone in seguito stabilì delle regole intorno alla forma di procedere nelle pubbliche assemblee. Erano queste composte, come abbiamo già visto in altre pagine, dell'intero collettivo del corpo dei cittadini, ciascheduno dei quali non solamente poteva, ma era obbligato ad assistervi.
Queste assemblee erano di due specie, ordinarie e straordinarie. Quelle ordinarie, era stabilito che fossero tenute in certi determinati giorni e per certi particolari affari che erano presi in considerazione, esaminati e conclusi.
Le straordinarie si convocavano con la pubblica voce, cioè quando si dibattevano alcune questioni, la cui natura o importanza richiedevano un più solenne esame e l'urgente esecuzione di un decreto.
Si apriva ogni assemblea con sacrifici e preghiere; dopo di che, il presidente esponeva gli affari che bisognava deliberare. Se la questione era stata preventivamente già dibattuta in Senato nella maniera che poi descriveremo, le opinioni che ne uscivano erano portate a conoscenza al popolo e gli si chiedeva "Se essi stimavano di confermarle quelle opinioni?"
Se l'opinione popolare era discordante, si ordinava di chiedere a coloro che erano stati eletti al tribunale di pronunciare il loro parere circa la questione. Parlavano per primi i più vecchi membri, poi eventualmente gli altri. Terminata la discussione con un giudizio-sentenza, il popolo ne era informato, e nel prenderne sommariamente atto giudicava battendo le mani in segno di approvazione.

Ma se la maggioranza non dava questo rumoroso segnale, la proposta era respinta. Dopo che la volontà dell'assemblea popolare era così conosciuta, se era positiva, si poneva in scritto la sentenza, si leggeva tutta da cima a fondo, ed era confermata per la seconda volta.
Queste popolari assemblee erano rivestite dell'intero potere della repubblica, tanto legislativo, quanto giudicativo. Poiché non soltanto le cose di pubblico interesse, come le sanzioni, la revoca di alcune leggi, gli affari religiosi, la creazione dei magistrati e l'esame della loro amministrazione, ma si discuteva anche di pace, di guerra, di trattati, e di ricompense a cittadini per stimati servigi prestati allo Stato, ognuna di queste questioni era discussa separatamente e approvata o no con il solito appello, quindi rimesso all'assemblea popolare della repubblica.
Come una sorte di freno, o piuttosto come una norma per le popolari assemblee, Solone istituendo il Senato, lo formò di cento uomini scelti da ciascuna tribù; le tribù nel suo tempo erano quattro, di conseguenza tutti i membri del Senato ammontavano a quattrocento.
Il loro numero in seguito - circa cento anni dopo Solone - fu esteso a cinquecento, quando le tribù erano diventate dieci; e a ciascuna tribù fu permesso di scegliere al proprio interno, cinquanta membri da mandare in Senato.
Questi uomini erano scelti a sorte, ma pur sempre dentro un ristretto numero di persone con certe caratteristiche. Infatti, non si poteva diventare Senatore fino all'età di trent'anni, e non prima che un rigoroso esame fosse stato fatto sopra il suo personale carattere privato; inoltre prima della sua ammissione i prescelti si impegnavano con un giuramento di giudicare ogni questione, secondo la legge, e di proporre al popolo di Atene il migliore consiglio. Ciascun membro del Senato riceveva una paga dal pubblico tesoro.
Il presidente del Senato era eletto a vicenda in ciascuna tribù.
I Senatori prima di radunarsi sacrificavano a Giove e a Mercurio. Era compito del Presidente del Senato esporre ai Senatori le questioni sopra le quali bisognava poi deliberare.
Ciascun senatore in avvicendamento con i suoi colleghi, si alzava ed esponeva la sua opinione. Essendo convenuta la maniera di regolare la discussione, onde evitare non meditate esposizioni, prima la sua opinione il senatore la scriveva poi ad alta voce la leggeva. Terminata la seduta, i senatori procedevano a dare i loro voti, infilando dentro un'urna una fava nera o una bianca. Se il numero delle fave bianche superava quello delle nere, il "progetto di legge" era confermato; se invece era maggiore il numero delle fave nere, era respinto (né più né meno ciò che accade ancora oggi dentro i vari Parlamenti, con l'unica differenza che al posto delle fave si usa il voto elettronico).
Ma -qualora approvato- prima che il decreto del Senato avesse forza di legge, si richiedeva l'approvazione dell'assemblea del popolo.
Se il decreto era confermato pure dal popolo, solo allora passava in legge. Più tardi anche in caso di non approvazione, il decreto (se di carattere urgente) uscito dal Senato, anche se non era legge, veniva tuttavia applicato in prima istanza, ma solo per un anno.

Solone stabilì questa procedura sbrigativa, per porre un freno all'assemblea popolare; che essendo per la maggior parte composta da una confusa moltitudine di gente con poca o mancante del tutto, di educazione e di capacità critica, ma aveva solo l'emotivo zelo per il populistico pubblico bene, necessitava di una tale istituzione, per porre i membri nelle condizioni di valutare con pacatezza le decisioni del Senato, arrestarne l'incostanza, impedirne la temerarietà, e dare alle deliberazioni una certa dose di prudenza e di maturità, alla quale la moltitudine di solito non è abituata, è preda dell'irrazionalità, ed è influenzabile da improvvisati tribuni che sfoderano nei loro comizi la migliore arte della demagogia.
Per questa ragione i più importanti e delicati affari dello Stato, come quelli relativi alla pace, alla guerra, all'esercito, all' armata ed ai pubblici fondi, si discutevano prima in Senato, e si portavano davanti le pubbliche assemblee solamente in seconda istanza.
Altro atto considerevole dell'amministrazione di Solone fu l'istituzione, o meglio la riforma della corte dell'Areopago. Il potere di questa corte era, propriamente parlando, puramente giudicativo (un vero e proprio tribunale civile e penale). Era composta dagli Arconti, i quali assumevano tale impiego per un tempo determinato, ma avevano già adempiuto al dovere del loro ufficio con una marcata integrità e reputazione. Il numero dei giudici in questa corte non era stabilito. Qualche volta erano duecento altre volte trecento. La corte dell'Areopago non si riuniva che di notte ed in un luogo aperto; e coloro che davanti a questa corte arringavano, non si permetteva a loro di allargarsi in declamazione, ma erano strettamente limitati gli interventi al merito della causa.
Questa corte fu in ogni tempo altamente rispettata per ragione della singolare giustizia e integrità dei giudici, i quali avevano l'incarico dell'educazione della gioventù, della cura del pubblico denaro, e di punire coloro che vivevano nell'ozio o per aver commesso fatti di sangue.

La Corte aveva pure una simile giurisdizione nelle materie di religione, e deliberava intorno all'introduzione di nuove divinità, o all'opportunità di erigere tempi e altari . Oltre a questi compiti, si ricorreva a loro in particolare situazioni dello Stato che richiedevano la reputata saggezza per deliberare in alcune pericolose emergenze.

Sarebbe tedioso e quasi superfluo voler entrare nelle particolarità delle varie istituzioni di Solone, essendo moltissime e alcune connesse ai rapporti privati di ogni genere (tuttavia ne accenniamo alcune in fondo). Noi speriamo che quanto è stato detto possa dare al lettore un'approssimativa idea del governo (allora nuovo, e molto singolare, ma oggi accettato da tutti i governi democratici del mondo) di questa famosa repubblica, e questo è quello che noi ci siamo proposti. Concluderemo pertanto con poche parole queste pagine, accennando alle pubbliche rendite di Atene.
Queste provenivano, Primo: Dal prodotto del territorio della repubblica, cioè, dalla vendita dei suoi boschi e dal alcune misere somme ricavate dalle miniere di argento. Secondo: Dalle contribuzioni dei confederati per sostenere le spese della guerra. Nel periodo di Aristide la somma di queste non ascendeva a più di quattrocento sessanta talenti. Pericle in seguito le aumentò di circa un terzo; e qualche tempo dopo fu più che duplicata ed ascese a mille trecento talenti. Terzo: Dalle multe e confische imposte dalla corte di giustizia. E finalmente dalle straordinarie tasse imposte a tutti gli abitanti dell'Attica in caso di urgente necessità.
Qui accenniamo ad alcune delle più note e singolari leggi di Solone.
* Colui che nelle pubbliche turbolenze si manteneva neutrale, era dichiarato infame.
* Una ricca erede che nel matrimonio si trovasse ingannata per un qualche naturale difetto di suo marito, che però a lui era noto prima del matrimonio, poteva unirsi con il più stretto parente del marito medesimo.
* Nessuna dote si dava alle mogli, fuorché a coloro che erano eredi.
* Tutte le ingiurie contro gli estinti erano proibite; come pure gli oltraggi e le calunnie contro i viventi.
* Coloro che non avevano figli erano autorizzati ad intestare i loro beni a piacer loro, a chiunque a loro gradito; prima di Solone questo non era permesso.
* Per il desiderio di promuovere l'industria e le manifatture, che la sterilità del territorio dell'Attica rendeva particolarmente necessarie, Solone ordinò che quel figlio che dal padre suo non era stato educato in qualche mestiere, non era poi obbligato a soccorrere il padre, quando questi n'avesse bisogno.
* Colui che per tre volte era accusato di oziosità, diveniva un infame.
* Per scoraggiare le dissolutezze e promuovere il matrimonio, i figli illegittimi non erano costretti ad aiutare i loro genitori anche se questi versavano in povertà; mentre i figli legittimi, salvo essere pure loro poveri, erano obbligati, sotto la pena dell'infamia, a mantenere i loro indigenti genitori.
* Un adultero colto sul fatto poteva essere subito messo impunemente a morte. E all'adultera era proibito di adornarsi e di assistere ai pubblici sacrifici.
* Le esportazioni di qualsiasi prodotto della terra, eccettuato l'olio (che stava diventando la prima ricchezza della Grecia), erano proibite sotto pene severe.
* Nessun forestiero poteva ottenere il diritto di naturalità nella repubblica Ateniese, se prima non era stato esiliato in perpetuo dalla sua patria; eccezione per colui che con la sua famiglia si era stabilito ad Atene per introdurvi qualche manifattura.
* Non era permesso al tutore di un minore di vivere nella stessa casa quando vi era contemporaneamente la moglie del suo pupillo.
* La custodia delle persone d'età minore non era affidata agli eredi presuntivi che venivano subito dietro il pupillo.
* Un Arconte sorpreso ubriaco era passibile della pena di morte.
* Colui che scialacquava le sue sostanze era dichiarato infame.
* Colui che rifiutava di fare il soldato oppure mostrava codardia in una battaglia, gli era proibito di comparire nel foro o nei luoghi del pubblico culto.
* Il marito che continuava a coabitare con sua moglie, dopo avere scoperto che lei spudoratamente disonorava il suo letto, diveniva pure lui un infame.

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Circa cent'anni dopo Solone, questa distribuzione di cittadini fu alterata da Clistene il quale aumentò il numero delle tribù fino a "dieci"; ed in tale ordine continuarono fino al tempo di Demetrio Poliorcete, quando furono ulteriormente aumentate fino a dodici.
I giovani non si ammettevano alla dignità, né avevano diritto né alcun privilegio di cittadini fino all'età di vent'anni. Giunti a questa età dopo aver giurato nella maniera più solenne di non fuggire dalle battaglie, di difendere la patria fino al loro ultimo respiro, di accrescere l'onore e la gloria della stessa con tutta la loro forza, erano inscritti alla lista dei cittadini.

L'intero potere del governo si ristringeva esclusivamente ai soli cittadini.
Gli stranieri che si stabilivano ad Atene, o per ragioni di commercio o per qualche altro motivo, si mettevano sempre sotto la protezione di un cittadino; ma erano obbligati a pagare una tassa allo Stato, soggiacevano alle sue leggi, ma non prendevano parte nel governo.

La terza classe era composta di due parti; la "prima" dai Servi; i quali pur liberi per nascita, per la loro povertà, o perché erano diventati tali per aver fatto dei debiti, erano costretti a guadagnarsi da vivere con il servire gli altri cittadini più benestanti; e la "seconda" dagli Schiavi così propriamente chiamati, i quali erano, o prigionieri presi in guerra, o in seguito con il denaro acquistati presso coloro che li avevano catturati e li possedeva.

Vivevano questi ultimi in uno stato di assoluta dipendenza dai loro padroni, che li consideravano come parte della loro proprietà. Se trattati con crudeltà, avevano il diritto di lagnarsi al loro proprio magistrato; il quale se giudicava che avevano ragione, i loro padroni erano obbligati a dare loro il congedo.
Una certa parte del loro guadagno -chi lo otteneva per la sua bravura- era destinato al proprio uso; e con questi denari potevano acquistare la propria libertà, anche se c'era l'opposizione dei loro padroni; mentre altri padroni, pur non ricevendo denari, potevano volontariamente metterli in libertà con un proprio personale atto liberale, spesso dovuto a gratitudine del servizio onestamente prestato.

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