L'INIZIO DI UN' "AVVENTURA"



I. INTRODUZIONE - IL PERIODO PALEOLITICO

 

L'intera storia dell'umanità si divide in tre parti principali, diverse molto tra loro per durata e per carattere. Queste devono esser considerate separatamente, perché differente è l'oggetto, per quanto tutte studino l'evoluzione dei genere umano attraverso i tempi.

La prima di queste grandi divisioni descrive lo svolgimento fisico dell'umanità stessa e abbraccia la filogenia o storia selle stirpi, chiamata anche discendenza dell'uomo, vale a dire la vita embrionale dell'umanità nel seno materno della più antica natura organica. Di questo capitolo si occupano i biologi, gli anatomisti, i paleontologi, in breve i cultori della storia naturale, in quanto dell'uomo e della sua origine fanno oggetto di studio.

La seconda parte. intermedia alle altre, si occupa soltanto dell'umanità ormai costituita, sebbene non esclusivamente delle forme e delle razze viventi anche attualmente. Tratta principalmente della preistoria della cultura umana, di quelle fasi dello sviluppo intellettuale e pratico della nostra stirpe, che precedono l'inizio di una storia scritta.

La terza parte principale della storia dell'umanità é finalmente quella, in cui noi stessi viviamo e che un tempo si designava esclusivamente con l'espressione tradizionale di storia universale. Sarebbe per essa più adatto il nome di «storia dell'epoca della civiltà superiore».

La durata di queste tre grandi divisioni é sommamente diversa. La prima si può far risalire fino al principio della vita organica i genere (cfr. p. e. Haeckel, Antropogenia); la seconda comprende per testimonianze sicure l'epoca quaternaria o diluviale della storia terrestre, di lunghezza indeterminata, per testimonianze meno sicure anche quella terziaria e infine per testimonianze sicure e sempre più frequenti, molti millenni ancora dell'epoca che segue alla diluviale. Il terzo periodo, quello della « storia universale » é di lunghezza disuguale nelle varie regioni terrestri, sebbene dovunque sia relativamente breve, ma tanto più ricco di avvenimenti.

Per dire tutta la verità non si deve tacere che i periodi più antichi non hanno avuto termine del tutto al principio dei nuovi. La filogenia dell'uomo, lo sviluppo di forme fisicamente superiori da altre inferiori o almeno di forme più recenti da altre più antiche, continua tuttora senza interruzione, né ancora si é estinta la cultura preistorica o priva di storia di un'umanità più antica nei popoli, che nel nostro tempo vivono ancora allo stato di natura, anzi perfino nelle infime classi dell'ambiente che oggi ne circonda.
A quel modo che abbiamo paragonato l'epoca, in cui la nostra stirpe divenne umana, con la vita embrionale dell'individuo, possiamo paragonare la preistoria della civiltà con
l'infanzia, il periodo storico con la gioventù adulta e con la virilità di un singolo uomo. Se si riflette alla durata quasi impercettibile dei tempi storici finora trascorsi si potrebbe stimare che la stirpe umana, considerata come un essere collettivo adulto, si trovi ora soltanto nei fiorenti anni della giovinezza o nei primi della virilità.
Per gli uomini che abiteranno questo nostro mondo nell'anno 20.000, quasi sicuramente e non probabilmente metteranno noi attuali abitanti dell'anno 2000, nella loro preistoria.

Anche la preistoria della civiltà, che qui per prima deve essere esposta, ha qualche cosa di embrionale, di arcano. Il punto, da cui si usava un tempo di far cominciare la storia universle, era pure l'ora in cui nasceva una cultura superiore, annunziata dalle più antiche notizie storiche scritte da mano d'uomo. A quello che doveva precedere quest'ora, si suppliva con leggende, con favole, con tradizioni religiose. Soltanto il secolo XIX pose mano decisamente ad un' altra fonte e attinse da essa un tesoro imprevisto di dottrine. Questo tesoro antichissimo ed insieme recentissimo tra quanti ne ha creati l'umanità, é costituito dalle antichità preistoriche, su cui si deve principalmente fondare quanto andremo esponendo. E come la storia delle stirpi é illustrata da quella degli embrioni, così anche la storia della civiltà primitiva riceve più chiara luce dal considerare la vita primitiva nel nostro proprio tempo, nei paesi e negli strati sociali, dove la cultura superiore o non é ancora penetrata o lo ha fatto incompiutamente.

L'etnografia dei popoli allo stato di natura integra la preistoria dell'umanità; tuttavia non é ad essa equivalente. Oggi difatti gli elementi della vita di un popolo dei tempi primitivi non sono più che i frammenti variopinti e disordinati di una scrittura, che un tempo formava un testo leggibile. Nei popoli del nostro tempo, che vivono allo stato di natura, si può parlare di condizioni primitive, ma non preistoriche, poiché essi non si avviano in alcun modo ad una storia.

I. IL PERIODO PALEOLITICO


Periodi immensi di tempi dovettero trascorrere prima che l'uomo potesse comparire sulla terra. Per tacere del tutto dei tempi primordiali del nostro pianeta, quando sopra di esso dominavano soltanto trasformazioni spettanti alla chimica inorganica, anche gli « eoni » della vita organica preumana furono vere eternità, che non possono misurarsi nemmeno a milioni di anni. Questi ultimi periodi di tempo sono ripartiti dalla geologia e dalla paleontologia nelle ere paleozoica, mesozoica e cenozoica, e queste sono alla loro volta divise in numerose epoche e periodi tra loro subordinati, Soltanto per la suddivisione finale dell'era più recente o cenozoica, il «diluvium» o quaternario, abbiamo testimonianze del tutto sicure e generalmente ammesse della presenza dell'uomo. Nella suddivisione più antica e senza paragone più lunga di questa era, il terziario, vi sono soltanto tracce malsicure, che da alcuni scienziati sono state riferite all'uomo o ad un essere antropomorfo della serie degli antenati del genere umano. Queste dubbie tracce sono i così detti « eoliti », frammenti di selce che sembrano scheggiati o scantonati alla estremità o nei margini e quindi differenti in genere dalle pure forme naturali. Tuttavia non fu minimamente dimostrate in modo inoppugnabile che queste scheggiature non possano essere state prodotte da una cagione qualsiasi naturale e causale. Dagli scienziati che negano questa possibilità (attualmente sopra tutti da Aimé Rutot in Bruxelles) sono considerati fra gli altri come testimonianze dell'esistenza dell'uomo nel terziario i seguenti eoliti: 1.° quelli di Boncelles (Belgio) dell'oligocene medio, 2.° quelli di Thenay (Loir-et-Cher, Francia), dell'oligocene superiore, 3.° quelli di PuyCourny (Francia centrale) del miocene superiore, 4.° quelli del Chalh-Plateau nel Kent (Inghilterra meridionale) del pliocene medio e 5.° quelli di Saint-Prest (Francia) e il Forest Cromer beds (Inghilterra) del pliocene superiore. Se gli eoliti sono vere prove della presenza dell' uomo, la loro forma dipende dall' utilizzazione di pezzi naturali di selce, vale a
dire o di grossi frammenti di questa pietra o di schegge, quali si producono da quei frammenti per l'azione degli agenti atmosferici o di altro genere.

 

I primi potevano essere adoperati per battere, come martelli e incudini, gli altri per tagliare, raschiare e grattare. Se in questo lavoro gli spigoli divenivano ottusi, si poteva o semplicemente gettar via quei pezzi o affilarli di nuovo (ritoccarli). In parecchi casi si sarà osservato come alcuni pezzi, dopo che si furono staccati degli spigoli taglienti senza delle incomode sporgenze, erano divenuti meglio disposti ad essere presi con la mano. Secondo lo stesso Rutot é impossibile riconoscere in questi più antichi lavori in pietra alcuna differenza secondo i vari tempi, dall'oligocene medio fino al quaternario medio, o secondo le varie località, che tutte appartengono al bacino anglo-francese. Nessun progresso tecnico ma solo le circostanze stratigrafiche e paleontologiche, ci danno informazioni sull'età dei singoli gruppi colitici. I più recenti provengono dal quaternario più antico, da strati, che Rutot designa come reuteliani, reutelo-mesviniani (maffliano) e mesviniani. Questi coliti diluviani sono in parte di forma più regolare che non quelli terziari ed hanno una certa somiglianza coi tipi, che secondo G. de Mortillet si chiamano forme di Moustier. Secondo G. Schweinfurth, durante il pliocene superiore, un modo simile di utilizzare le selci naturali per opera degli uomini del tardo terziario dominava nella regione di Tebe in Egitto.
L'esistenza dell'uomo terziario soltanto allora potrà essere dimostrata con piena sicurezza, quando all'infuori delle eoliti, e forse oltre a queste, si troveranno altre tracce di essa, p. e. residui di tizzoni dei suoi fuochi d'accampamento, ossa avanzo dei suoi pasti o resti del suo stesso corpo, che naturalmente ne sarebbero la conferma più desiderabile. Le selci « usate » potrebbero anzi provenire, come fu già ammesso, da un precursore dell'uomo e l'antichità relativamente piccola (solo del quaternario) del Pithecanthropus erectus, Dubois, di Giava, che é ancora semiferino, ci suggerisce il pensiero chi forse anche nel terziario europeo non vivesse ancora alcun essere, dotato di tutti gli attributi fisici dell'uomo.

La soluzioni di questo oscuro problema dell'origine dell'uomo deve essere lasciata al futuro. In ogni caso l'uomo é poi una specie di fenomeno senile, un tardo figlio della nostra madre terra e per ora l'ultimo risultato del suo continuato raffreddamento, della sua solidificazione e della sua vivificazioni con esseri organici. Come anche nella vita dell'individuo questo acquista soltanto tardi la coscienza di sé stesso dopo aver vegetato a lungo in una semi incoscienza, così la terra diviene anch'essa sempre più di sé consapevole nell'uomo, dopo avere a lungo vissuto un'esistenza infantili o giovanile, in tutto o metà inconscia.
A questa consapevolezza, a dire il vero, non si può ancora attribuire un valore troppo elevato negli uomini più antichi, la cui esistenza ci è attestata da scoperte sicure. Se la civiltà umana in ultima analisi é in genere un risultato delle condizioni geologiche e paleontologiche, che hanno creato al genere umano la sua dimora e il suo ambiente, questo é tanto più vero per i periodi più antichi della preistoria. Allora l'uomo in uno stato di estrema debolezza si trovava a fronte di una natura sommamente vigorosa; più tardi questo rapporto va grado a grado divenendo migliore. Specialmente nel principio della più antica età della pietra l'ambiente naturale dell'uomo esercita ancora il massimo influsso su di lui e sopra ogni forma della sua « cultura ».

Per lungo tempo non fu il caso di parlare di alcuna conoscenza all'infuori di quella relativa alle necessità giornaliere della vita fisica. Ma già nelle fasi meno remote e in quelle recentissime del « diluvium » l'umanità in qualche luogo si solleva a sorprendenti produzioni intellettuali.
Durante il periodo detto « diluvium » l'aspetto della terra nel suo insieme - nella distribuzione delle terre e delle acque, nella flora e nella fauna - era molto più simile a quello attuale che non fosse nei periodi geologici precedenti; vi erano tuttavia differenze ancora considerevoli dallo stato attuale per quello che riguarda la costituzione del suolo e il clima, il mondo vegetale e la vita degli animali e dell'uomo. Questo c'insegnano i depositi diluviali, l'antico « terreno alluvionale », che ebbe origine per opera delle acque correnti più che nel seno di acque tranquille, e inoltre da depositi solidi accumulati dai venti (Lóss), specialmente poi per opera dei ghiacciai, ricoprendo su vasti tratti formazioni litiche più antiche specialmente nelle regioni piane e collinose.

Queste particolari formazioni più recenti del passato geologico in massima parte risalgono al fenomeno enigmatico della grande epoca glaciale, che durante il «diluvium» dominò su tutta la terra e non solo sull'emisfero settentrionale o in Europa. Le ragioni di questo fenomeno grandioso e forse periodico non sono state ancora spiegate, ma ne furono studiate estesamente e ben stabilite le conseguenze e gli effetti. Non fu un periodo di freddi spaventosi, quali ora dominano in grande vicinanza dei poli, ma solo un periodo, nel quale la temperatura media della terra fu di 00 C. invece che di ca. 15°• C. come oggi, e il limite inferiore delle nevi stava di circa 1000 m. più basso che non ora, mentre dominava anche una maggiore umidità atmosferica, che forniva un ricco alimento ai ghiacciai. E questo periodo di freddo non durò di continuo per l'intero « diluvium »; fu più volte interrotto per dei tratti di tempo, che superano di gran lunga i tempi storici, dai cosiddetti periodi interglaciali, durante i quali i ghiacciai si ritraevano per gradi fino alle proporzioni odierne ed anche più oltre e dominavano temperature più elevate, simili a quelle della fine del terziario e dei tempi che seguirono il « diluvium », ossia del periodo geologico attuale.

A queste vicende ancora inesplicate della natura morta, si adattava fedelmente, come avviene sempre e dovunque, la natura vivente. Piante, animali ed anche l'uomo andavano e venivano, attratti dalle condizioni favorevoli alla loro esistenza, respinti da quelle contrarie. E non sempre il freddo era l'elemento ostile alla vita né il caldo quello amico. Poiché i gruppi di abitatori viventi già menzionati fornivano diverse società, soggette a bisogni e a tendenze differenti del loro gusto. Gli uni amavano un clima forestale caldo, gli altri ne preferivano uno freddo ed umido ed altri ancora quello asciutto, proprio delle steppe. Di queste tre società una prosperò nei periodi interglaciali, l'altra nei periodi freddi, la terza forse nei tempi del passaggio da questi a quelli.
Al principio di condizioni climatiche ad esse non confacenti queste società non perivano, ma si ritraevano in luoghi di dimora meglio ad esse convenienti; le forme artico-alpine verso il nord e nelle alte montagne, quelle amanti di un clima caldo verso il sud, le forme proprie della steppa nel vasto territorio di steppe, che si stendeva ad oriente del continente antico. Questo però avveniva solo in generale; in particolare vi erano certo parecchie forme, che perivano, e parecchie altre, che a poco a poco si adattavano alle nuove condizioni.

La flora del «diluvium», che ha la massima importanza per la cognizione di quei cambiamenti climatici e per la fauna degli erbivori diluviali, é per noi meno interessante del mondo animale e specialmente della grande fauna dei mammiferi, della cui caccia l'uomo esclusivamente viveva, o contro i quali doveva difendersi con le sue armi e con le sue astuzie. Di 69 specie della fauna quaternaria dell'Europa 15 sono estinte del tutto - tra le quali 3 di carnivori delle caverne, 2 o 3 specie di elefanti, 2 di rinoceronti, e il cervo gigantesco; - altre sono emigrate: 7 verso il sud - fra queste il leone, il leopardo, due specie di iena, l'elefante africano e l'ippopotamo, - 8 verso il nord - fra queste l' orso grigio, la volpe azzurra, il ghiottone, il bue muschiato, il wapiti, la renna, il lemming, - 4 verso oriente -- tra cui l'antilope saiga e la capra di Angora. Cinque forme si sono stabilite nelle alte montagne: il camoscio, lo stambecco, la marmotta, la lepre alpina e la pernice di monte bianca. Una serie di altre forme sussiste anche oggi nell'antica dimora, ma vi si trova in massima parte già in uno stato prossimo all'estinzione: orso bruno. lince, gatto selvaggio, lupo, volpe, tasso, martora, furetto, donnola, lontra, cinghiale, cavallo, bisonte, cervo, capriolo, castoro, lepre, scoiattolo ed altri rosicanti. Nessun animale diluviale era addomesticato dall'uomo; invece alcuni di quelli scomparsi furono forse estirpati da lui, ad altri divenne certo fatale l'interruzione della connessione terrestre tra l'Europa e l'Africa settentrionale.

Dei carnivori ve n'erano in abbondanza, più frequenti e feroci di quelli, che oggi vivono nelle Indie o nell'Africa. Tuttavia il più grande tra essi, il grande orso delle caverne, con fronte caratteristica e convessa, secondo i caratteri della sua dentatura era piuttosto erbivoro che carnivoro. Quasi tutte le caverne europee dall'Inghilterra alla Russia furono un tempo abitate da questi giganti vellosi. Il più antico «diluvium » fu l'epoca del suo maggior fiorire; più tardi pare che abbia sofferto per l'umidità delle caverne e che sia degenerato. Parecchie caverne erano manifesti covi di iene; in altre le iene comparivano solo negli intervalli tra dimore successive dell'uomo e rosicchiavano gli avanzi dei pasti dei trogloditi. Il più grande tra i carnivori felini del passato e dell'attualità era il leone delle caverne, una forma intermedia tra il leone e la tigre con profilo simile a quello della tigre. A paragone degli orsi e delle iene, di cui in parecchi luoghi furono trovate centinaia d'individui, il leone delle caverne era raro. Anche esso appartiene al «diluvium » più antico, mentre il leone comune e la tigre comune vissero presso di noi anche molto tempo più tardi. Secondo Erodoto ed Aristotile nel sud-est d'Europa il leone si conosceva quale animale indigeno. Il leone nell'Atlante e nel Kilimangiaro e la tigre in Siberia ci danno la prova di non essere troppo sensibili ai rigori di un clima aspro. Erano i nemici dell'uomo, certo meno pericolosi per lui stesso che per la sua selvaggina e meno di quello che alla sua volta non sia stato l'uomo per essi.

Gli animali, che servivano di cibo all'uomo erano grossi pachidermi, buoi specialmente e diverse specie di cervi e il piccolo cavallo selvatico diluviale, insieme con altri minori mammiferi erbivori. Il mammut, l'elefante dell'epoca glaciale, visse molto a lungo in Europa, nell'Asia settentrionale e nell'America del nord. Compare in Europa già insieme agli elefanti del terziario e dell'antico «diluvium», Elefhas meridionalis ed Elephas antiquus, amanti dei paesi caldi, dal corpo gigantesco, privo di pelo, l'ultimo dei quali, che fu certo il maggior mammifero di tutti i tempi, fu veduto ed ucciso anche dall'uomo. Soltanto verso la fine del «diluvium » il mammut emigrò verso nord-est, dove si estinse in un tempo non meglio determinato. Visse quindi a lungo insieme con l'uomo, che gli diede una caccia attivissima, ne usò le carni e il midollo e ne lavorò poi per farne armi ed altre opere d'intaglio le ossa e specialmente le zanne gigantesche.
Si conoscono innumerevoli resti di mammut, provenienti dall'Asia settentrionale, dall'Europa centrale e occidentale, i più notevoli dalla Siberia, dove si sono conservati nel ghiaccio, che ricopre il suolo, dei corpi interi, rivestiti di pelle e di peli. Il primo esemplare si trovò alle foci del Lena nel 1799, in un blocco di ghiaccio impuro, che si scioglieva lentamente e due anni più tardi fu ancora in parte salvato dalla distruzione. La relazione più recente del disseppellimento di resti quasi integri di mammut (sul fiume Beresowska, nella Siberia del nord-est) data dall'anno 1902. Sul suo corpo si riconobbe un folto rivestimento di setole brune, simili a crini di cavallo, che formava intorno al collo una giubba, lunga fino 70 cm. ed un vello lanoso di peli ricciuti, giallo-chiari, lunghi da 11 a 13 cm. L'animale aveva anche una coda a fiocco e inoltre delle zanne 0 difese d'insolita grandezza, incurvate in fuori e in alto, che potevan esser lunghe fino a 7 m., mentre il corpo aveva un'altezza de 5 m. e più. Secondo la valutazione fattane dal Middendorf, negli ultimi due secoli furono ogni anno esportate dalla Siberia più di 100 paia di zanne di elefanti fossili, e questo corrisponderebbe a un numero di 20.000 individui. In così grande copia si conservano colà testi di mammut. Meravigliose testimonianze dei carattere fisici di questo animale ci danno anche e disegni e gl'intagli dei trogloditi dell'Europa occidentale, che si compiacevano di ritrarre con mano felice gli animali, che servivano loro di cibo, tracciandone i contorni sulle pareti delle caverne o sulle ossa, su frammenti di corna di cervi o altre materiali sciolti.

Sulle parete della caverna de Combarelles (Dordogna, Francia meridionale) tra 109 immagini di animali se ne trovarono non meno di 14, che rappresentavano il mammut, e 40, in cui era raffigurato il cavallo selvatico, anche più importante per l'uomo come selvaggina.
Accanto al mammut viveva un rinoceronte pure lanuto, la cui pelle, come attestano i suoi resti scoperti nei ghiacci della Siberia (fin dal 1772), non era a pieghe, ma liscia. Come sostegno dei due robustissimi corni, situati uno dietro all'altro e lunghi fino 82 cm. aveva un setto nasale interamente osseo e non cartilagineo in parte. Questo animale viveva dall'Europa occidentale fino alla Cina e si estinse prima del mammut. Lo precedette nel « diluvium » più antico del Rinoceros Merckii, nudo e amante di climi caldi e quindi non adatto all'epoca glaciale. Del « deluvium » più antico della Francia e dell'Inghilterra si conosce anche l'ippopotamo. Verso la fine de questo periodo le ossa del cavallo selvatico sono invece le più frequente e le più largamente diffuse così nell'Europa centrale, come in quella occidentale. In quest'ultima presso le dimore umane formano talora delle accumulazioni, che hanno fino a 3 m. di altezza e 100 m. di lunghezza. Questo « magma » cavallino si adopera anche oggi nella fabbricazione de concimi fosfati, e in Solutré presso Lione p. e. un solo proprietario ha ricavato da un suo campo e venduto 60.000 kg. di questa sostanza. Il numero dei corpi di cavallo, che resistono in Solutré, é calcolato a 100.000 e questo prova quanto fosse rimuneratrice la caccia del cavallo durante il « diluvium ». Questi cavalli erano alti soltanto da m. 1,36 a m. 1,38 e avevano zampe sottili, ma erano robusti e veloci, con collo breve e grosso e capo grande e pesante. Molti disegni tracciati da cacciatori quaternari rappresentano il cavallo selvatico dell'antica Europa con fedeltà realistica sulle rocce delle grotte, sulle corna di renna, ecc.

Non di rado é ritratto con una specie di cavezza o con una corda legata intorno al muso. Questo però non significa che il cavallo fosse addomesticato, ma rivela soltanto il modo che si seguiva nella sua caccia. L'animale era preso con lacci e poi con una cavezza gettatagli rapidamente sopra, condotto all'accampamento dei cacciatori per essere macellato e consumato. Con la renna o con altre specie di cervi questo non sarebbe stato possibile, perché questi animali si sarebbero opposti fino alla morte ad esser presi e portati via, mentre il cavallo dopo una vivace resistenza si adatta, ma tuttavia prende di nuovo la fuga alla prima occasione.


Anche i buoi selvatici erano rappresentanti splendidi e molto diffusi della fauna quaternaria. Vi erano due grandi specie, il bisonte e l'uro, e due piccole, il bue dalle corna corte e il bue muschiato. Il bisonte europeo anche oggi non é estinto del tutto, ma era un tempo più robusto dei suoi deperiti discendenti delle foreste demaniali della Lituania. La metà anteriore del suo corpo era sviluppata in modo colossale e specialmente il dorso era arcuato in seguito alla lunghezza delle apofisi spinose delle vertebre; aveva la fronte molto convessa, le gambe lunghe e sottili, le anteriori poi quasi del tutto avvolte dalla lunga criniera pettorale.

Immagini colte felicemente in quest'animale ci mostrano gli affreschi della caverna di Altamira presso Santander (Spagna) e di Font-de-Gaume (Dordogna, Francia). Sopra un corno di renna proveniente da Langerie-Basse sulla Vézére in troglodite ha disegnato una caccia al bisonte. L'animale pare in piena fuga dinanzi ad un uomo chiomato, che gli lancia un giavellotto. Com'é noto il bisonte non fu addomesticato né in Europa né in America. L'urto (bos primigenius) fu invece una delle forme-stipiti dei nostri buoi domestici e probabilmente fu per la prima volta addomesticato dall'uomo nell'Asia anteriore. Nell'epoca micenea della Grecia appare ancora come un animale semiselvatico in mobili rappresentazioni artistiche. Visse selvatico in Europa fino nel medio evo; la canzone dei Nibelunghi, ne parla, al pari del bisonte, quale di un abitatore della foresta della provincia renana. Era più grande della nostra più poderosa razza bovina e a differenza del bisonte aveva dorso diritto, fronte piatta, lunghe corna inserite in alto e gambe corte. Il bue dalle corna corte é un'altra forma stipite diluviale dei nostri buoi domestici, che hanno avuto origine dall'incroco di varie specie selvatiche. Scompare invece del tutto dal nostro continente il piccolo bue muschiato, animale artico, mezzo bue e mezzo pecora, che oggi vive nell'America settentrionale polare tra il 60.° e 1'8.°, come in Groenlandia.

Anche il gruppo dei cervi nel periodo diluviale fu più ricco di forme di quello che non sia attualmente. Del tutto primordiale ci appare, anche nel suo scheletro, la forma del cervo gigante dell'Irlanda o cervo delle torbiere, così chiamato perché gli esemplari più belli dei nostri musei provengono dalle torbiere dell' Irlanda. Era straordinariamente grande, simile per la forma del corpo al cervo comune, per la direzione orizzontale e per la forma palmata delle corna all'alce. Giungeva fino a m. 3 l'apertura di questo suo principale ornamento, col quale durante l'inverno ricercava il proprio cibo sotto la neve. È ancora incerto se esso sia lo « Schelch della canzone dei Nibelunghi. L'alce, che é tuttora vivente e di cui già nel secolo X si occuparono dei decreti degli imperatori tedeschi, forse a torto é contato tra gli animali diluviali e venne in Europa soltanto in tempi più recenti.
Il cervo più diffuso e quindi anche la selvaggina preferita dal cacciatore nell'epoca quaternaria fu la renna, la cui importanza per l' uomo nei periodi più recenti crebbe al punto che questi si chiamano addirittura il periodo della renna. La sua scomparsa dall'Europa occidentale e centrale é un grande avvenimento nella storia della civiltà, determinato da cause importantissime e accompagnato dalle più gravi conseguenze. Nelle Spagna e in Italia manca, ad eccezione della regione di Ventimiglia, ed ivi manca pure la civiltà caratteristica dei cacciatori di renne. Viveva invece in grandi moltitudini nella Francia, nella Svizzera e in tutta l' Europa centrale. Si contano a centinaia ed a migliaia gli esemplari, della cui esistenza fanno fede le ossa ritrovate in singole caverne. I disegni di renne delle antiche stirpi di cacciatori della Francia e della Svizzera appartengono ai lavorl più eccellenti di quegli artisti della natura e possono oggi ancora servir come modello di un disegno a mano sciolta.

Quando scomparve la renna, ne prese il posto il cervo comune. Esso viveva anche prima; tuttavia i suoi resti si trovano principalmente in quegli strati, dove quelli delle renne sono rari, e inversamente. È il rappresentante di un clima più caldo; simile a quello odierno. Lo stesso si dica del capriolo, che durante l'intero quaternario poté vivere soltanto in Italia.
Erano d'importanza minore altre specie di selvaggina: il cervo wapiti del Canadà l'antilope saiga, il camoscio, lo stambecco, la capra d'Angora, il mufione. I rosicanti e gli uccelli del quaternario sono interessanti sotto l'aspetto paleontologico, ma non sotto quello della storia della cultura. L'uomo dell'età più antica della pietra, come anche i suoi successori, in luoghi favorevoli praticò in larga misura la pesca dei pesci e la raccolta di molluschi commestibili. Si prendevano i pesci con le lance e con la fiocina, poiché non si conosceva l'amo e nemmeno l'arco e le frecce. Non di rado i pesci sono rappresentati in disegni caratteristici tracciati sulle ossa o su materie simili; si riconosce in questi chiaramente il salmone, il luccio, la scardova, la carpa, l'anguilla ed altre specie.

In mezzo a questo mondo animale, ritratto qui solo a modo di abbozzo, fu collocato l'uomo del periodo diluviale; viveva con esso e di esso, dapprima come un uguale, senza l'orgoglio ingiustificato e la pretesa indipendenza, con la quale oggi guardiamo l'animale dall'alto al basso. Era ad un tempo il suo signore e il suo schiavo, in balìa a credenze totemistiche, grande adoratore ma anche scongiuratore degli spiriti animali: e quello che egli narrava nelle sue ore di ozio, erano certo storie e favole fantastiche di animali, nelle quali animali e uomini parlavano ed agivano. Il sole, la luna e le stelle non erano certamente per lui altro che animali, che camminavano per il cielo. A questa tendenza dello spirito attestata molte volte presso le tribù di cacciatori e presso i popoli allo stato di natura, si devono attribuire anche le immagini di animali oltremodo frequenti, che ci furono conservate sulle pareti delle grotte e su piccoli frammenti mobili ritrovati nelle caverne, tuttavia quasi solamente nell'Europa occidentale. Esse ci mostrano quasi senza eccezione gli animali, onde si nutriva l'uomo del periodo diluviale, i buoni spiriti, che gli soleva evocare e che desiderava di confinare nella propria dimora. Sono, se possiamo dirlo senza profanazione, le immagini sacre di quegli uomini del tutto primitivi. E non avevano questi diritto a una siffatta « religione », non era essa per loro la vera e la giusta?

Secondo le idee correnti dei moderni uomini inciviliti, l'uomo sta ad un'altezza prodigiosa sopra gli animali e li supera sotto ogni rispetto. Tuttavia l'uomo primitivo con un apprezzamento più sicuro riconosceva dunque nel mondo degli animali proprietà utili, che mancano all'uomo che anche oggi cerchiamo di appropriarci faticosamente, con invenzioni artificiali, mentre negli animali sono innate. Si rifletta all'organizzazione politica delle api e delle formiche, al nuoto dei pesci e al volo degli uccelli, al corso veloce al pari del vento o all'agile arrampicarsi di alcuni animali superiori, al loro splendido vestito, alle loro armi formidabili, al vigore dei loro muscoli, all'acutezza dei loro sensi. Qui sta la prima radice del culto degli animali, del concetto per noi tanto singolare, per cui gli animali si consideravano come esseri superiori, dispensatori dei beni del viver civile, antenati dell'umanità, concetto spiegabile in uomini, che si innalzavano ancora troppo poco sopra l'esistenza animale.

È anzi vero che gli animali di fronte all'uomo erano superiori per la loro maggiore antichità e dovevano fare su di esso una profonda impressione, specialmente per l'alta perfezione di qualità invidiabili, acquistate per un differenziamento unilaterale ormai compiuto, mentre quello della nostra stirpe, per quanto anche allora già pervenuto ad un grado elevato, era pure enormemente lontano da quello raggiunto ai nostri giorni. Il mondo animale del periodo diluviale cede per pompa e splendore a quello del terziario, ma pure sotto ogni rispetto é più magnifico di quello attuale; le forme erano più vigorose, le specie più numerose, il brulichio degli esseri più folto, tutta la vita più potente e con una pulsazione più forte. Essa soprattutto ha fatto dell'uomo diluviale quello che era e che solo poteva essere, un cacciatore ardito e destro, col capo pieno d'immagini e di superstizioni provenienti dal mondo animale, e che per mezzo d'invenzioni pratiche d'ogni sorta si sosteneva vittoriosamente in mezzo ad una simile società.

Queste considerazioni valgono specialmente per l'uomo europeo del periodo diluviale, per l'unico che riconosciamo più esattamente. Quello che sappiamo dei suoi contemporanei di alcune altre parti del mondo - Asia settentrionale, America del nord e del sud, - appena ha un qualche peso. Mancano qui ancora in grande parte quei risultati fondamentali, che la cultura superiore del nostro tempo ha messo in luce in Europa. La fauna diluviale degli altri continenti era più o meno tipicamente differente da quella europea e nord-asiatica, in proporzione della loro distanza dal settentrione del continente antico; così pure era l'esistenza umana, in quanto si può parlare di un'esistenza siffatta. I
l mammut, attraverso l'istmo che si trovava nel luogo dello stretto di Behring, passò nell'America settentrionale, ma visse là frequentemente nel nord solamente; era per la sua origine un animale del vecchio mondo. Anche il bue muschiato, il bisonte e il cavallo selvatico animarono quel territorio, mentre vi mancavano il rinoceronte, l'ippopotamo, l'orso delle caverne e la iena. Più a mezzodì dimorava il mastodonte americano o dell'Ohio, il cui affine del vecchio continente non giunse al «diluvium » europeo. Insieme coi suoi resti fossili si trovavano presso Natchez sul Mississippi un bacino umano e nei depositi detritici della California degli strumenti di selce. Era più caratteristica la fauna diluviale dall'America del sud, che si estendeva fino al continente settentrionale. Oltre a specie immigrate da questo, come il mastodonte, il cervo, il cavallo, il tapiro, il pecari, il lama, sono animali ad essa propri e caratteristici specialmente gli sdentati - bradipi, armandilli, formichieri - del tipo da lungo tempo indigeno e prevalente anche oggi, fra i quali il megaterio, grande come un elefante, il milodonte ed altri. Nel mezzodì della Patagonia vivevano insieme a questa fauna degli uomini, abitatori delle caverne. Le scoperte più rilevanti furono fatte nel 1899 nella caverna Ultima Esperanza, altre ancora negli ultimissimi anni.

Gli animali erano uccisi dall'uomo con grosse pietre e poi divorati. Oltre al gripoterio, di cui si trovò perfino un pezzo di pelle, coperto di peli, vi si rinvenne anche un animale simile al cavallo ed ora estinto. Nelle grotte s'incontrarono focolari, coltelli di pietra e ossa di cane aguzzate. Tuttavia le più antiche tracce sicure dell'uomo sud-americano non risalgono oltre all'ultimo periodo interglaciale, e probabilmente il nostro genere si é stabilito nell'America del sud soltanto seguendo la fauna dell'emisfero boreale.

Ancora più straniero del mondo animale sud americano si presenta rispetto a quello dell'antica Europa il mondo animale dell'antica Australia e mostra invece al pari del primo di essere congiunto con la fauna recente di quest'ultimo territorio. Di fronte ai marsupiali ed agli uccelli giganti ed inetti al volo dell'Australia, spentisi soltanto nel secolo XVIII, l'uomo e i suoi compagni - cane selvatico, maiale, roditori - sono qui apparizioni improvvise delò tutto recenti. Questo soltanto basta a calmare le speranze, che da più parti si nutrono, di scoprire presso i nostri antipodi la sede primitiva della nostra stirpe. A partire dal « diluvium » si riconosce pure su tutta la terra una forte diminuzione della fauna selvatica ed una certa persistenza delle faune nei loro distretti geografici, che certo devono essere considerati anche come i loro paesi di origine. Ma tra questi distretti quelli meridionali sono meno estesi e più chiusi dei settentrionali, e di questi l'Europa, l'Africa boreale, l'Asia settentrionale e l'America del nord formavano un grande territorio biologico insieme coerente.

In questo dal periodo diluviale in poi si sono compiuti i maggiori dislocamenti e i distretti geografici si sono potuti limitare più rigorosamente l'uno rispetto all'altro, come difatti avvenne. In questo territorio biologico potremo porre con grande probabilità l'origine del genere umano.
Avanzi di corpi umani, provenienti dal « diluvium », non ci furono conservati in gran numero in paragone con quelli di altri animali ed anche con le testimonianze di altra specie della presenza dell'uomo. Questi non era così fortemente diffuso come il maggior numero dei generi animali e le sue ossa sono andate per noi perdute nei modi più svariati. Tuttavia di questo periodo remoto possediamo un numero non del tutto piccolo di crani e di parti scheletriche umane e le ricerche anatomiche, che furono dedicate a queste negli ultimi anni, hanno dimostrato che nel « diluvium » dell' Europa esistevano due forme differenti del genere umano. I resti di una di queste forme si trovano nei sedimenti diluviali più recenti, e ci rivelano uomini della stessa specie per i loro caratteri somatici di quelli che vissero più tardi nel periodo meno antico dell'età della pietra e in tutti i tempi posteriori fino ai nostri giorni. Gli avanzi dell' altra forma provengono dagli strati più antichi e più profondi del «diluvium» e mostrano sotto molti rapporti nella forma del cranio una posizione intermedia tra le scimmie antropoidi e l'uomo.


Questo tipo umano primordiale fu conosciuto per la prima volta con la scoperta del così detto scheletro di Neandertal (1856) e anche meglio con quella di due scheletri nella caverna di Spy (Belgio, 1885) e di due altri nelle caverne francesi (1908) presso Le Moustier (Dordogna) e La Chapelle-aux-Saints (Coreèze). Gli sono assegnate ancora le notevoli mandibole scimmiesche di La Naulette (Belgio) e di Mauer presso Heidelbeeg (1907) come alcune mascelle simili trovate in Francia e i crani e i frammenti scheletrici di Keapina in Croazia.
Che quest'ultimo non possedesse ancora un linguaggio o lo avesse soltanto in piccola misura é stato sostenuto ma non dimostrato. Aveva invece un cranio straordinariamente basso, una fronte che sfuggiva indietro in altissimo grado e sopra le orbite grosse arcate ossee, che si riunivano insieme sopra la radice del naso e si staccavano nettamente dalla porzione cerebrale dell'osso frontale, talora perfino per una scanalatura. Inoltre aveva forti mascelle e grossi denti. Ma soprattutto i caratteri ricordati della volta cranica stanno di gran lunga al di fuori dei limiti, entro i quali variano nella specie umana vivente. Tutti i crani diluviali, che non hanno quei caratteri pitecoidi, appartengono a quest'ultima specie, per quanto possano esser tra loro differenti. Si annoverano tra questi gli avanzi della razza di Cro-Magnon, identificati in Francia e in Moravia, quelli della razza di Grimaldi presso Mentone e molti altri, di cui si occupa con diligenza l'anatomia comparata. È ancora una questione aperta se questi tipi più recenti si siano svolti da quella "forma primigenia» più antica.

Gli avanzi di corpi umani provenienti dal « diluvium » sono per il loro numero una quantità del tutto insignificante in paragone all'eredità tecnica, artistica e di altro genere di quel' epoca, che quando anche si tratti soltanto di strati di ceneri, di carbone e di ossa spezzate di animali, possono chiamarsi gli avanzi della sua civiltà, prendendo naturalmente quest'ultima parola soltanto nel suo significato più modesto. L'uomo diluviale, come un errante "cacciatore" di grado infimo, viveva in piccole orde dei prodotti della caccia, in luoghi adatti anche della pesca e della raccolta di molluschi, come pure di frutti selvatici mangerecci, che certo raccoglievano le donne. Non aveva alcuna nozione della coltura delle piante e dell'allevamento degli animali, né dei metalli e della pratica di levigare e di forare le pietre, di apparecchiare vasi di argilla, di costruire capanne o case. Non si può dire che queste invenzioni gli facessero difetto; egli però non ne aveva bisogno né avrebbe potuto trarne profitto, dato il suo modo di vita. Erano sua dimora dei giacigli a cielo aperto, protetti contro i venti, oppure delle caverne e il tratto fondamentale della sua indole spirituale era un'irreflessiva variabilità, un'adattabilità alla giornata, che soltanto in limiti angusti permetteva che si desse compimento all'esistenza.

Le tendenze ad una cultura superiore, le sollecitudini per un avvenire più lontano sono collegate sopra tutto ad una vita sedentaria ed a forme economiche progressive, non solo di semplice sfruttamento, ma anche di produzione Queste condizioni gli mancavano assolutamente. Le stirpi inferiori di cacciatori, che ancora sussistono qua e là sulla terra, quali avanzi miseramente deperiti, - Australiani, Boscimani, Fuegini, certi frammenti della popolazione primitiva dell'America meridionale e dell'Asia australe - possono meglio d'ogni altra cosa illustrare le condizioni della cultura intellettuale e materiale degli abitatori dell'Europa nell'epoca diluviale, per quanto non giustamente sotto tutti i rapporti.

Ad onta della povertà di cultura di quest'uomo, é naturale che soltanto una piccola parte del suo patrimonio materiale ci sia stata conservata attraverso gli immensi periodi di tempo trascorsi. Il rimanente, tutto ciò che era formato di sostanze facili ad alterarsi, quindi p. e. di legno, non può essere ricostituito. Quello che più spesso oggi si trova ancora nei suoi accampamenti, oltre a residui di fuochi e di pasti, sono pietre di focolai e avanzi di ogni sorta, strumenti primitivi ed armi da caccia, di cui la maggior parte consiste in pietre scheggiate . Una parte minore, che manca del tutto nel "diluvium"» più antico e che certo é perita per le ingiurie del tempo, consiste in sostanze organiche lavorate, ossa, denti, corna di cervi, che dapprima furono semplicemente tagliate e segate, più tardi anche in parte levigate e traforate.

Una seconda classe di lavori, che ci rimangono, comprende gli ornamenti del corpo e le opere d'arte: queste conosciamo quasi esclusivamente nel «diluvium» più recente, e qui inversamente la pietra rappresenta una piccola parte e il più è di sostanze organiche, avorio, corna dì renna, conchiglie, denti di animali. A questi lavori spettano anche le immagini, scoperte in gran numero negli ultimi anni, semplicemente incise a graffito sulle rocce o nella pietra tenera delle pareti delle caverne nella Francia. e nella Spagna settentrionale.

Nell' opera complessiva dell'uomo diluviale europeo non si può disconoscere un progresso e una evoluzione. Per quanto le varie fasi di questa possano esser tra loro concatenate, le più recenti sono più ricche e di maggior pregio, rivelano una mano più delicata, un occhio più acuto, uno spirito più vivace, bisogni accresciuti e una maggiore facoltà d'invenzione. Appena Boucher de Perthes con le sue scoperte sulla Somme (Piccardia, Francia settentrionale) ebbe definitivamente accertato l'esistenza dell'uomo diluviale (1817-1864), abbastanza generalmente posta in dubbio sino dai tempi di Cuvier (1824), Edoardo Lartet riconobbe nella Francia meridionale (1864) la differenza formale di certi tipi, che si presentano di frequente, ma separatamente l'uno dall'altro. Con un grande passo innanzi, sorpassato di nuovo in seguito, G. de Mortillet (1869) dispose questi ed altri tipi in un sistema cronologico, nel quale distinse cinque stadi, da lui chiamati secondo luoghi francesi delle prime scoperte, chelleiano (da Chelles, Senna e Marna), acheuliano (da SaintAcheul, Somma), mousteriano (da Le- Moustier, Dordogna), solutreiano (da Solutré, Saone e Loira), e magdaleniano (da La Madeleine, Dordogna).

Si vuole che in questi cinque stadi o piani la flora, la fauna, e i prodotti dell'arte umana fossero differenti, e che negli ultimi si mostri poi un costante progresso. In questo sistema molto si é dimostrato non plausibile, così sopra tutto l'assegnazione del chelleiano al preglaciale, circa 230.000 a 240.000 anni fa. Il periodo preglaciale risale molto più indietro, mentre il chelliano fu interglaciale, ma nel fatto può avere avuto l'antichità ad esso attribuita od anche una maggiore. Secondo Mortillet esso durò circa 100.000 anni. Anche prima del chelleiano é ora collocato un altro grado della lavorazione della pietra, che non conosceva ancora nemmeno con una esecuzione più rozza il tipico «tirapugni » (coup de poing) di quella fase.

Si deve inoltre contestare l'assegnazione del mousteriano al periodo glaciale e del solutreiano e del magdaleniano al periodo post-glaciale, in quanto con questa ripartizione non si é tenuto alcun conto dei periodi interglaciali, che quasi dovunque si possono riconoscere. Secondo A. Panck il chelleiano appartiene alla seconda metà del periodo interglaciale medio, che é assai il più lungo, quindi al principio della seconda metà della intera epoca glaciale, il mousteriano al penultimo periodo glaciale e all'ultimo interglaciale, il solutreiano all'ultimo periodo glaciale, il magdaleniano ad uno studio di recidiva del clima freddo nel periodo post-glaciale.

La durata dell'ultimo periodo interglaciale é valutata da questo scienziato almeno a 60.000 anni, quella del penultimo o medio almeno a 240.000. Altri giungono ad una diversa correlazione dei gradi di cultura con le fasi climatiche del « diluvium » ma tutti oggi tengono conto dei molteplici ricorsi di periodi più freddi e più caldi durante l'epoca glaciale.
Cade tra il mousteriano e il solutreiano un periodo, che si chiama aurignaciano (dalla caverna di Aurignac, Alta Garonna, Francia), Con questo stadio cominciano le fasi paleolitiche più recenti, che si comprendono anche col nome di epoca gliptica (epoca dell'arte d'intagliare). La durata di tutta l'età più antica della pietra si può valutare da un quarto a mezzo milione di anni, quella di tutta l'età glaciale da mezzo a un milione di anni.

I primordi e i progressi in ciò che concerne gli strumenti durante l'epoca diluviale furono i seguenti. Si presero dapprima le pietre semplicemente con la loro pura forma naturale, senza sottoporle ad ulteriore lavorazione, oppure si fece soltanto ben poco per migliorare questa forma. Sono queste i cosiddetti coliti, di cui già fu detto di sopra a proposito dell' uomo terziario. Si diede poi alle pietre così scelte, per lo più grossi nuclei di selce o pietra focaia, una forma più o meno artificiale sgrossandole da tutti i lati rozzamente, ma in modo opportuno con un'altra pietra, finché avessero la forma voluta simmetrica e praticamente utile, una specie di forma a mandorla, oppure riducendo, con i cosiddetti "ritocchi", gli spigoli o gli angoli sporgenti delle minore schegge spianate. Ebbero così origine da un lato i « tirapugni » (coup de poing) « a forma di mandorla » o di « Chelles » e dall'altro i raschiatoi e le punte chiamati « tipi di Moustier ».

Tutto quello che fu fatto poi in pietra é un perfezionamento di questi processi tecnici. Si venne così dal tirapugni di Chelles alla punta di Solutré a forma di foglia d'alloro e dalle più antiche forme massicce e pesanti di Moustier ai piccoli e sottili raschiatoi, punte, lesine, ecc. dell'industria di Solutré e di La Madeleine. Non conosciamo strumenti antichissimi fatti di osso o di altre sostanze organiche; queste nei più recenti, in misura sempre maggiore, fanno concorrenza alla pietra come materiale per tali strumenti, che formano un vero arsenale di armi e di attrezzi, dove tra le più diverse punte di giavellotto e di fiocina, punteruoli, spatole, pugnali e gli enigmatici bastoni di comando, ecc., non manca nemmeno il sottile ago da cucire, delicatamente traforato.

Il periodo, in cui fiorì l'intaglio in osso, fu quello della renna, l'ultimo dell'epoca diluviale. Non era più un periodo così del tutto povero di cultura. L'uomo europeo era presso a poco armato e vestito come un Esquimese odierno e possedeva, al pari di questo, un gusto e un sentimento artistico. Si sono già ricordati i suoi svelti disegni di animali e il loro probabile significato. Ha poi rappresentato anche figure umane, spesso eseguite in plastica, in parte con grandissimo realismo, in avorio e in osso; specialmente alcune statuette frammentarie di donne nude sono di una fedeltà sorprendente alla natura. Con i disegni sulle ossa, noti già da lungo tempo, gareggiano le figure di animali, scoperte in massima parte soltanto negli ultimi anni (1895-19o8), sulle pareti e sul soffitto delle caverne di abitazione. Queste figure si trovarono in parte tracciate soltanto nei loro contorni, in parte dipinte con ocra, nelle caverne di Altamira presso Santander (Spagna settentrionale), di Chabot sull'Ardeche (Gard), di Pair-non-pair (Gironda), di La Alouthe, di Combarelles, di Font-de-Gaume, ecc. (Dordogna), di Niaux (Ariège), in tutto in 17 caverne, la maggior parte delle quali si trovano nella Francia del sud-ovest.
Pare che le immagini più antiche, tracciate sulle rocce coi semplici contorni, rappresentino più che altro mammut e cavalli selvatici, le più recenti eseguite a colori rappresentino prevalentemente bisonti. Quest' arte figurativa diluviale é quasi del tutto limitata all'Europa occidentale e le sue testimonianze si trovano con poche eccezioni sul suolo della Francia meridionale, che presentava grandi vantaggi climatici ed altri doni maturali, di fronte ad altri territori- esistenza di molte caverne, ricchezza di selci, ecc. Déchelette registra non meno di 118 caverne e rifugi rocciosi situati in Francia, i cui abitatori paleolitici hanno lasciato lavori artistici, parte in forma di pezzi d'osso o di corna cervine intagliate o incise, parte in forma di disegni e pitture tracciate sulle rocce. Fuori di quei paesi occidentali non si nota che poco o punto senso artistico nella popolazione paleolitica; può essere stato dovunque allo stato latente ed essersi poi manifestato soltanto in danze imitanti gli animali, in canti ed altri simili modi.

L'uomo più antico, di cui abbiamo più esatta nozione, l'abitatore diluviale dell'Europa, non viveva quindi, come un tempo s'immaginò, in un paradiso terrestre del latte delle sue pecore, come un pacifico pastore, o dei frutti della sua terra, come un abile agricoltore, ma sotto un cielo aspro e glaciale condusse per molte migliaia d'anni una vita da cacciatore, vagabonda, selvaggia e sotto vari aspetti semi animalesca. Ma in tutte le fasi, per le quali lo possiamo seguire e quanto più lungi lo seguiamo, lo vediamo possedere in misura tanto più elevata lo strumento, questo simbolo incomparabile della cultura umana di fronte ad uno stato puramente animale, e con ciò il germe di tutta l'evoluzione seguente.
Adottando e perfezionando lo strumento l'uomo ha trasportato fuori del suo corpo, nella sfera dei prodotti della sua arte, dei lavori delle sue mani, quella evoluzione, che sino allora era avvenuta nel suo corpo stesso e gli aveva additato una via a lui propria, differente dalle tendenze evolutive di tutti gli altri animali. Di questo lo rendevano capace le sue proprietà fisiche e la prevalenza degli organi del suo pensiero. Invece di un ulteriore sviluppo fisico si determinò in lui d'allora in poi soltanto un adattamento dei mezzi esterni di cultura e dell'organo interno, il cervello, che doveva conservarli ed accrescerli.

D'allora in poi i mezzi esterni sono aumentati immensamente e resi capaci ancora di un aumento ulteriore oltre ogni nostra previsione. Ma un accrescimento della massa encefalica, quale si può assicurare esser avvenuta durante il periodo diluviale in Europa non ha più avuto luogo in seguito. Esisteva già negli ultimi periodi dell'età paleolitica la capacità intellettuale per tutto l'aumento ulteriore dell'incivilimento e non mancano nemmeno testimonianze di cultura, che dimostrino questo. La distanza morfologica della razza di Neandertal dalla razza di Cro-Magnon corrisponde all'enorme differenza di cultura tra i periodi chelleiano o mousteriano e il solutreiano o il magdaleniano e corrisponde anche ai tratti immensi di tempo, che separano gli stadi di civiltà paleolitica più antichi dai più recenti.

2. IL PERIODO NEOLITICO > >

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