1. DALLA NS. NEBULOSA AL NS. SISTEMA SOLARE

Vista da un lontano punto dell'Universo, così all'incirca dovrebbe apparire la nostra galassia
Mentre la zona dove è posto il nostro sole è quella all'interno del rettangolo (che vedremo più avanti)

Dal complesso di testimonianze dei molti astronomi che si sono dedicati all'astronomia, e da non molto tempo dai risultati ottenuti dalla scienza astronomica, le nebulose sono considerate la genesi dei mondi.
Qui a noi ci interessa il nostro mondo, o meglio il nostro sistema solare, corpi che gravitano attorno un punto centrale, a quella stella chiamata Sole.

Già gli antichi si accorsero che gli astri nel cielo non erano tutti uguali, e iniziarono a distinguerli chiamandoli
stelle fisse e stelle erranti. Queste ultime in verità erano poche, ed erano quelle cui diedero il nome pianeti. Erano allora solo cinque, ed erano solo quei pianeti visibili ad occhio nudo: Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno. Vi aggiunsero la Luna e il Sole considerati anch'esse "stelle" erranti. (In Greco planetas significa appunto errante, vagante)
. Solo più tardi, con Claudio Tolomeo (100-178 d.C.) si cominciò a parlare di vero e proprio sistema planetario. Lo scienziato astronomo alessandrino lo fece però con una visione geocentrica, mettendo al centro dell'universo la Terra, mentre gli "erranti", i pianeti, compresa Luna e Sole, erano degli astri che si muovevano intorno ad essa.
Per cambiare questa concezione dell'universo dovranno passare altri 1200 anni, quando Niccolò Copernico capovolse la posizione dei pianeti, ponendo invece della Terra, il Sole al centro del sistema.

Ma questa Terra, questi Pianeti, questo Sole come si erano formati?

La risposta non venne subito, ci vollero altri 500 anni per darla. Quando William Herschel (1738-1822) iniziò a parlare di Galassie, di Nebulose, di Ammassi stellari. A scoprire che nel "Grande Universo" vi erano degli "Piccoli Universi" , degli "Universi Isole".
Del resto l'uomo fino a ieri non aveva mai visto nulla oltre la propria Galassia, e solo per mezzo dei telescopi ha allargato il suo orizzonte e ha scoperto il "Vero Universo". Cioè un'altra infinità di galassie.

Herschel autodidatta, ex suonatore di oboe, appassionato di astronomia, lasciò lo strumento musicale e divenne un pioniere dello studio del cielo, costruendosi da solo, prima piccoli e poi grandi telescopi; passò l'intera vita ad osservare il cielo in tutte le direzioni, catalogando migliaia di stelle. Ebbe la prima intuizione che il Sole era posto al centro di un sistema stellare. Una grande ammasso a forma di disco con un diametro di circa 100.000 anni luce e spesso 1000 anni luce. Questo ammasso stellare è la nostra Galassia ! vista a inizio pagina.

Oggi con i grandi telescopi sappiamo che da questo disco - essendo del tipo a spirale- si dipartono quattro bracci, e in una di queste bracci a circa 20.000 anni luce dal centro si trova il nostro Sole. E proprio perchè vicino al centro, come in tutte le galassie, in questo braccio vi è un forte addensamento di ammassi stellari, diversi milioni di stelle e migliaia e migliaia di nebulose.
(n. di Stelle 1010, Nebulose Planetaria 700 note, Ammassi globulari (n. medio di stelle 106 ciascuno) circa 500, Ammassi aperti (n. medio di stelle 100 ciascuno) 18.000.
La massa totale, stimata dalla luminosità stellare, è nell'ordine di 200 miliardi di masse solari. Ma si pensa che sia molto di più, essendoci poca luminosità nel grande alone che circonda la nostra galassia)

Facendo parte del braccio, questo visto dalla nostra Terra, si presenta sopra di noi come una grande fascia bianca che attraversa tutto il cielo mostrandoci alcune migliaia di stelle (ad occhio nudo ma in effetti sono milioni).
Furono i Greci a chiamare questa fascia galaxias (da gala, galactos, che significa "latte"). Dunque "Via lattea". Anche se oggi galassia sta a indicare l'intero nostro "Universo-isola". E per estensione si chiamano galassie tutti i sistemi stellari molto simili al nostro.

Se da un altro braccio (ad esempio da un pianeta posto nella costellazione dello Scorpione) gli abitanti di altri mondi puntassero il telescopio su quella zona che abbiamo indicato con un rettangolo nell'immagine di apertura, vedrebbero il nostro sole in questa posizione.
Parlando dei vari bracci - come in tutte le Galassie- essi contengono stelle di ogni età, antiche o in via di formazione. Le antiche sono quelle poste nei bracci della regione centrale, mentre quelle in formazione sono nei bracci al limite del disco e hanno materia rarefatta, ancora allo stato gassoso. Ma oltre questo limite, oggi con i moderni e potenti telescopi, si è scoperto che esiste attorno al disco un grande alone il cui diametro è pari a quello del disco (altri 100.000 anni luce). E anche dentro questo alone, ci sono circa altri 300 ammassi globulari, che contengono migliaia e decine di migliaia di stelle, o stelle isolate, o fitti agglomerati con altrettanto decine di migliaia di stelle.

La nostra galassia ruota su se stessa, più velocemente al centro, più lentamente in periferia. Nel braccio dove si trova il Sole la velocità è di circa 250 km/s, e il periodo di rotazione per compiere un intero giro è di circa 250 milioni di anni. (Astronomicamente viene chiamato "anno cosmico").

Ovviamente, così come il nostro sistema solare, anche la nostra Galassia non è sola. Nell'universo esistono milioni di altri ammassi stellari con all'interno altri milioni di galassie, vicine e lontane, di ogni tipo, circolari, a spirali, sferiche, ovali, e quelle ancora in formazione in una forma ancora indefinita, irregolari. Inoltre esistono milioni di ammassi che non vediamo nemmeno con i potenti telescopi e che forse in tanti angoli dell'Universo sono in via di formazione.
Come sono nate nell'intero Universo le galassie è una questione ancora aperta e ci sono varie correnti di pensiero. La più nota è quella del Big-Bang, una colossale esplosione in cui vennero in essere energia, spazio, tempo e materia. Dalla fisica subatomica, dalle teorie della relatività e dei quanti, rivoluzionarie e alla base della fisica moderna, si è in grado di ricostruire la storia dell'universo, fino a risalire a una piccola frazione di secondo dal suo inizio, e ponendo la grande esplosione primordiale a circa 15-20 miliardi di anni fa. Tra le prove astronomiche che avvalorano la teoria del Big-Bang, tre sono particolarmente importanti. La prima è che le galassie si allontanano l'una dall'altra. Ci troviamo, cioè, in un universo che iniziato in un punto ha continuato e continua nella sua espansione. La cosa potrebbe essere spiegata appunto da una grande esplosione primordiale.
La seconda prova è dovuta all'osservazione diretta della scoperta di una radiazione che ci raggiunge da ogni direzione dell'universo circostante. Infine la terza prova ci è fornita dalla fisica nucleare.
L'ipotesi del big-bang è assai ben fondata, tuttavia esistono varianti e alternative, che qui non è il caso di accennare. Le ultime teorie sono quelle del noto scienziato Stephen Hawking ("Dal big-bang ai buchi neri")

Lasciamo le varie ipotesi della primordiale genesi e occupiamoci solo delle galassie, come si sono formate e soprattutto quelle che vediamo.

Data la materia cosmica primitiva, ed ogni atomo attraendo altri atomi, in virtù delle leggi della gravitazione universale, e bastando la riunione di soli due atomi per dar principio ad un centro d'attrazione, si comprende benissimo come dei centri di condensazione si formino delle nebulose gassose, alcune meno dense, altre molto dense. Nelle prime le nebulose divengono irregolari, spesso unite e multiple, e vi nascono sistemi differenti o con Soli associati (lo vediamo ad es. nelle stelle doppie, triple, quadrupe, multiple). Nelle seconde -in quelle dense- esse divengono regolari, sferiche, o come un disco, isolate, e danno origine a soli semplici, come quello che ci rischiara.
Infatti, il nostro appartiene indubbiamente all'ordine delle formazioni regolari. L'unione dei suoi differenti membri, la semplicità del suo organismo, l'omogeneità del suo insieme, l'armonia dei suoi movimenti, tutto ci prova che la nebulosa che gli ha dato origine non era una di quelle nebulose irregolari, delle quali il cielo offre molti esempi, ma una regolare, molto simile a quella che abbiamo già accennato: alla nebulosa dell'Acquario (quella che si credeva una stella, ma che poi Herschel nel 1872 qualificò come una nebulosa planetaria).

Ma in quale maniera può una nebulosa dare origine ad un sole e a un sistema planetario come il nostro?

Rappresentiamoci un ammasso di materia cosmica, isolato, ed animato da un moto di rotazione su se stesso. Questo moto di rotazione è la risultante di tutti i moti atomici che hanno incominciato ad agire dall'origine stessa della condensazione e da un attrazione centrale.
Esso decide inoltre del suo isolamento e della sua forma sferica. Questo moto di rotazione non é già un'invenzione della teoria per i bisogni della propria causa; ma ce ne viene fornita la prova che esso esiste nelle nebulose di quest'ordine, dal loro stesso aspetto. Abbiate innanzi agli occhi per un istante la nebulosa del Leone, rappresentata sotto...
Specialmente in questa formazione, noi vediamo immense spire luminose partire da un centro per svolgersi nello spazio e le strisce che essa lascia dietro di sé, il senso della direzione del moto che le è proprio attraverso l'immensità.

Il nostro Sole parrebbe essersi formato nel centro di una condensazione di tal natura. Esso é sferico, un po' appiattito ai suoi poli, e gira lentamente su sé stesso, così lentamente che la forza centrifuga creata da questo moto di rotazione é appena sensibile. Ma la nebulosa gassosa di cui é la condensazione centrale, all'inizio girava con esso, e in questa nebulosa, la velocità della rotazione é altrettanto più grande quanto più si consideri un punto lontano dal centro. A giudicare dalla velocità attuale, un punto lontano dal Sole alla distanza di 36,4 (prendendo per unità il mezzo diametro del Sole) vale a dire a 24.240.000 chilometri, che girasse con il Sole, segnerebbe il limite estremo della sua atmosfera. Ad una simile distanza, la forza centrifuga creata da questo movimento sarebbe precisamente eguale alla gravità verso il Sole, ed ogni molecola posta al di là cesserebbe di appartenere al Sole, e se ne sfuggirebbe sulla tangente, come la pietra lanciata dalla frombola. Questa distanza é circa il terzo di quella di Mercurio.

Se il Sole avesse girato con la sua velocità attuale all'epoca in cui la sua nebulosità o la sua atmosfera si estendevano fino a quella distanza, la zona anteriore di questa nebulosa si sarebbe staccata ed avrebbe dato vita ad un pianeta. Allora, in luogo d'esser sferica, questa nebulosa sarebbe stata grandemente appiattita, avvicinandosi alla forma di una lenticchia, e col rapporto del diametro equatoriale al diametro polare da 3 a 2.

I pianeti hanno potuto nascere successivamente da zone distaccate dalla nebulosa solare, incominciando da Plutone, il più esterno, e terminando con Mercurio, il più interno. Ma se essi si sono formati in tal maniera, ciò non avvenne dal Sole stesso, dal nucleo solare propriamente detto, in quanto che a ciascuno di questi distacchi ascrivibili alla forza centrifuga, il Sole esteso fino alle orbite planetarie, avrebbe
dovuto essere non sferico, ma ellittico, lenticolare, e non si comprende come avrebbe potuto ridivenire sferico, dal momento che la sua velocità non poté che accrescersi sempre più con la condensazione. Non é già dal Sole stesso che i pianeti si sarebbero distaccati; é dalla nebulosità che lo avrebbe circondato roteando con esso, é dalla sua atmosfera.

Bisogna dunque che nel centro della nebulosa il Sole si sia condensato in una maniera per così dire indipendente, e si sia formato ed abbia assunto vita propria costituendo un globo relativamente isolato in mezzo all'immensa nebulosa. All'epoca remota in cui s'è distaccata la zona esteriore che avrà dato nascita a Plutone, la nebulosa si estendeva fino all'orbita di questo pianeta, cioé fino a 5.908 milioni di chilometri compiendo il suo giro in 258 anni. Alla distanza di Plutone, la forza centrifuga prodotta da questa velocità di moto è precisamente uguale all'attrazione verso il Sole: e se di là un corpo cadesse sul Sole, non percorrerebbe che questa minima distanza durante il primo minuto secondo della sua caduta, e così del pari, quando fosse sospesa l'attrazione solare, un corpo che girasse con la velocità di Plutone, si lancerebbe fuori dell'orbita e s'allontanerebbe in questa stessa misura durante il primo minuto secondo.

Tutti i pianeti sono in questo identico caso. Alle distanze rispettive in cui, essi girano intorno, al Sole, allorché si arrestasse d'un tratto il loro movimento, essi cadrebbero precisamente verso il Sole, di tanto quanto si allontanerebbero da esso, ove l'attrazione dell'astro centrale venisse a cessare. La velocità del loro cammino sviluppa per l'appunto una forza centrifuga che tende ad allontanarli nella misura stessa con cui il Sole li attira. Ecco in che consiste il segreto, assai semplice, dell'equilibrio del sistema del mondo.

Così, se si sopprimesse l'attrazione del Sole, la Terra, in luogo di girare intorno ad esso, continuerebbe il suo corso in linea retta, allontanandosi dal Sole dopo il primo minuto secondo, e andrebbe a perdersi nella notte gelida delle profondità dello spazio. D'altra parte, qualora si sopprimesse il suo moto, venendo a sparire la forza centrifuga, questo pianeta obbedirebbe all'attrazione solare, e cadrebbe in linea retta sull'astro centrale, con la stessa velocità durante il primo minuto secondo.
Ma tracciamo un piccolo quadro di queste velocità e delle conseguenze loro, dal punto di vista che maggiormente ora interessa. Un tal quadro é particolarmente istruttivo per se stesso. Esso ci dà una idea del moto e della vita, della forza in azione del meccanismo del sistema.

Bisogna ora che ci rappresentiamo col pensiero tutti i pianeti così roteanti. Come lo si vede, Mercurio conserva il suo posto, girando intorno al Sole alla distanza media di 57 milioni di chilometri, perché procede con una velocità di 47 chilometri per minuto secondo.
Questa velocità crea una forza, centrifuga che tende ad allontanarsi dal Sole in ragione di 39km e mezzo per minuto secondo, valore eguale alla misura di quantità con cui cadrebbe verso il Sole durante il primo minuto secondo di caduta, ove questo movimento fosse soppresso. Lo stesso si verifica per ciascun pianeta, ognuno secondo la sua distanza.
La nebulosa primitiva si estendeva fino al di là dell'orbita di Plutone e forse anche di più, perché non sappiamo con certezza se esiste al di là ancora un altro pianeta. Ricordiamo che Nettuno fu scoperto solo nel 1848, e Plutone appena ieri, nel 1930. Nelle ultime notizie astronomiche del 2004, sembra che sia stato individuato un altro piccolo pianeta al di là di Plutone.

Le zone di vapore che hanno dato nascita ai pianeti sono forse state abbandonate semplicemente dalla nebulosa in via di condensazione, oppure si sono formate nell'interno stesso della nebulosa?
Entrambe le ipotesi sono ammissibili. Delle zone di condensazione hanno potuto prodursi nell'interno della nebulosa. Esse giravano come una cosa sola con la stessa nebulosa. Poi, richiudendosi gradatamente verso il punto della più grande condensazione, ognuna delle zone può aver dato vita ad un pianeta.

Le zone esterne, più vaste, hanno dato origine ai quattro colossali pianeti del nostro sistema, che sono più voluminosi e meno densi della Terra, e che girano più rapidamente su se stessi. Al di qua di Giove, che é il più importante di tutti i mondi della famiglia solare, sembra che la zona sia stata incagliata al condensarsi in un sol globo, poiché essa diede origine ad una innumerevole quantità di province celesti di cui se ne sono già scoperte più di duecento. Questi piccoli pianeti che gravitano fra Marte e Giove, sono essi stessi distribuiti in zone caratteristiche, accumulate lungo certe linee, sparsi qua e là, o rari lungo altre Linee, e completamente mancanti lungo certe strade celesti degne di nota per questi vuoti o lacune. Queste zone deserte sono quelle in cui circolerebbero dei pianeti in periodi eguali alla metà, al terzo ed al quarto della rivoluzione annua di Giove, proporzioni semplici che ricondurrebbero periodicamente le stesse perturbazioni, e spazzerebbero via quegli spazi senza nulla lasciarvi. Si deve dunque alla potenza perturbatrice di Giove l'assenza di un pianeta di qualche grandezza in sua vicinanza. Il tiranno non avrebbe sopportato un rivale.
(Ricordiamo qui, che quando due astronomi scoprirono la regola che porta il loro nome "Titius e Bode" (progressione crescente delle distanze planetarie dal Sole) di cui parleremo a fine pagina, gli astronomi furono colpiti dal fatto che attenendosi a questa teoria che nessun pianeta ruotasse sull'orbita detta 28, ed inutilmente lo cercarono. Solo più tardi si scoprì che quest'orbita corrispondeva a quella degli asteroidi, che allora era impossibile vedere. Fu l'astronomo italiano Giuseppe Piazzi, a scoprire nel 1801 un piccolo corpo celeste cui diede il nome di Cerere; e mentre questo accadeva un altro astronomo, il tedesco Olbers, ne scopriva un altro, Pallade. Nel 1804 fu scoperto il terzo Giunone, nel 1807 il quarto Vesta, poi altri, e con i grandi telescopi altri ancora, dimostrando che gli asteroidi erano numerosissimi. Attualmente se ne conoscono circa 5000, ma il loro numero è destinato a salire, soprattutto con l'osservazione dei satelliti che ne stanno rivelando altre migliaia e migliaia.
Le dimensioni sono contenute, fatta eccezione per Cerere che ha un diametro di circa 1000 chilometri (ecco perch� fu visto per primo) e per un'altra decina più grandi di 300 chilometri. Mentre altre migliaia sono piccoli e altre migliaia e migliaia sono così piccoli da diventare inosservabili non solo dalla Terra ma anche dai satelliti con le analisi delle misure infrarosso.
L'ipotesi delle origini sono diverse. Ma la più accettata è che gli asteroidi siano nati da una catena di urti distruttivi tra due o più corpi (le meteoriti hanno del resto una composizione chimica molto simile agli asteroidi) oppure che si siano formati da un pianeta in formazione, su un'orbita instabile, poi frantumato da un immane evento. La cosa singolare è che ognuno ruota su se stesso come un pianeta, e vi è anche l'ipotesi che anch'essi possiedono dei piccoli satelliti).


La velocità delle differenti parti di una ruota in movimento essendo tanto più grande quanto più si é lontani dal centro, le parti esterne delle zone di condensazione giravano più velocemente delle parti interne.
Se ci rappresentiamo una ruota di due metri di raggio, con il centro A, a un metro B, a due metri C.
Il punto C due volte più lontano dal punto B dal centro, gira due volte più rapidamente.
Le circonferenze aumentano nelle stesse proporzioni dei raggi. Ne viene che, allorché queste zone si sono condensate in pianeti, questi pianeti sono stati animati da un movimento di rotazione diretto nello stesso senso del movimento generale della nebulosa su sé stessa, vale a dire in senso diretto, essendo la velocità esterna di ogni zona staccata più grande della velocità interna. Tale é, senza dubbio, la ragione primaria per cui i pianeti lontani sono ad un tempo i più voluminosi e i più rapidi nella rotazione, essendo state più ampie le loro zone produttrici, e grandissima poi la differenza di velocità tra l'esterno e l'interno di dette zone.

Sarebbe difficile il concepire come questi anelli potessero restare allo stato di anelli. Occorrerebbe perciò che essi fossero di una omogeneità perfetta, che nessuna regione fra di essi fosse più densa delle altre, e che perturbazioni esteriori impedissero ogni durevole ammassamento di materia. Ma in virtù dell'attrazione, questi anelli tendono generalmente a rinserrarsi verso regioni momentaneamente più dense, e a perdere la stabilità teorica del loro equilibrio, e a poco a poco una massa sferica nebulosa formata in un punto qualunque finisce per mettere insieme tutti i materiali dell'anello.
Ognuna di queste nebulose secondarie riproduce in piccolo ciò che è già avvenuto ma in grandi proporzioni nell'insieme del sistema. Essa girerà su sé stessa con una velocità crescente di mano in mano che si condenserà e andrà rimpicciolendosi. (*)
Allora degli anelli potranno formarsi per far nascere dei satelliti, e questi anelli primitivi e questi satelliti saranno altrettanto più numerosi quanto più il pianeta avrà una materia più lata, e avrà girato più rapidamente.

(*) L'acceleramento del moto a seconda che una nebulosa si rimpicciolisce, o secondo che in un dato sistema si vada più vicini al centro, si esprime in matematica con la legge delle superficie (in linguaggio astronomico s'intende per superficie (fr. aire) lo spazio percorso in un dato tempo dal raggio vettore di un astro. È questa la legge detta da noi del moto uniformemente accelerato) che così si enuncia: Le superficie percorse dalle linee condotte dai pianeti del Sole, sono proporzionali ai quantitativi di tempo impiegato a percorrerle.
Un mezzo però estremamente semplice di rendersene conto è quello di attorcigliare intorno al proprio dito un filo terminato da un piccolo peso. Di mano in mano che il filo si accorcia attorcigliandosi al dito, il movimento diventa più rapido; e di mano in mano che esso s'allunga svolgendosi, il moto diviene più lento. Ecco tutta la "legge della superficie », e tutto quanto il segreto dell'aumento dei movimenti planetari a seconda che si avvicinano al Sole).


Cosi la Luna é nata dalla Terra, ed ogni satellite é nato dal suo pianeta centrale. Forse i satelliti potrebbero ancora dar vita a loro volta a satelliti secondari. Ma noi non ne abbiamo esempi nel nostro sistema solare. Senza dubbio i nostri satelliti erano troppo densi o in rotazione troppo lenti, fin dall'origine, per aver potuto frazionarsi di nuovo. Noi conosciamo esempi di tal genere in altre regioni del cielo; e sono sistemi quadrupli, nei quali un corpo celeste gira intorno ad uno di maggior mole, il quale gira egli stesso intorno ad un altro, il
quale ultimo trascina alla sua volta questo triplo sistema intorno ad un sole più potente e più lontano.

Che poi nella nebulosa solare di cui noi tentiamo di raccontare la storia, le zone di condensazione, anulari o parziali, si siano formate interiormente, oppure ch'esse si sieno formate esteriormente al limite in cui la forza centrifuga faceva equilibrio all'attrazione generale, il risultato non é stato il medesimo. Essendo ammesso, come é ragionevole supporre, che la nebulosa roteasse come tutt'una intorno al suo centro, le velocità d'attrazione s'accrescono colla distanza, girando i lembi estremi delle zone più velocemente dei lembi interni, ed essendo i pianeti così formati stati travolti in un movimento di rotazione diretto, come l'abbiamo appena detto .

Questa teoria, formulata per la prima volta nel secolo passato dal filosofo Kant e dal matematico Laplace, spiega in modo soddisfacente l'insieme dei movimenti planetari. Sembra che la natura vi abbia posto essa stessa il proprio suggello, e ch'ella abbia lasciato nel nostro sistema la traccia dell'opera sua mediante l'aspetto del mondo di Saturno, che rotea nel cielo accompagnato da una corona di anelli sempre sussistenti. Questi anelli, tuttavia, non sono solo gassosi, né solo liquidi, né solidi, ma sembrerebbero costituiti da corpuscoli distinti aggirantisi insieme intorno al pianeta, e tenuti al loro posto dalla rete di attrazione dei satelliti esteriori. Essi non sono che una imagine modificata del modo di formazione dei corpi celesti, e non é da escludere che un giorno che essi si riuniscano in un solo ammasso per la costituzione di un satellite. Sono già essi stessi, in ognuno dei loro corpuscoli, dei veri e propri satelliti, staccati dal pianeta, isolati e circondati, non già come un' atmosfera ma come corpi celesti indipendenti, girando il lembo estremo dell' anello meno presto del lembo interno secondo la decrescenza dell'attrazione in ragione del quadrato della distanza.

La teoria che noi abbiamo ora esposta è semplice e razionale. Essa non esplica tuttavia certe particolarità del nostro sistema.
Così essa non ci dà la ragione dell'inclinazione dei pianeti sopra le loro orbite. In seguito a quanto noi vedemmo poco fa, i pianeti dovrebbero essere collocati sulle loro orbite in senso verticale e non obliquamente. Avendo i loro movimenti di rotazione per causa prima la differenza di velocità tra il bordo esterno ed il bordo interno della zona in condensazione, l'asse di condensazione dovrebbe essere assolutamente perpendicolare al piano nel quale ciascun pianeta si muove intorno al Sole. É ciò che sussiste, a dire il vero, per il più impor tante dei pianeti, per Giove, ma gli altri sono tutti più o meno inclinati. Ognuno sa, per esempio che l'asse di rotazione della Terra é inclinato di 23°, e che questa inclinazione é la causa delle vicende delle sue stagioni.
Ognuno può rendersi conto di questo stato di cose guardando e comparando le varie inclinazioni dei pianeti. Giove é pressoché verticale; la Terra, al contrario, é assai inclinata.
Ebbene, gli altri pianeti sono inclinati come la Terra, e molti lo sono molto molto di più.

Le inclinazioni di Mercurio, della Terra, di Marte e di Saturno non differiscono considerevolmente fra di loro, e sono comprese fra il 20 e il 26°. Le stagioni (queste sono come tutti sappiamo proprio dovute all'inclinazione) sono all'incirca della stessa intensità relativa in questi quattro pianeti, benché differiscano dal punto di vista della temperatura media e da quello della lunghezza. L'inclinazione di Venere, di 55°, ma ve ne sono di molto maggiore. L'inclinazione di Urano ad es. è uno di questi.

Secondo le ultime osservazioni l'asse di rotazione che, per Giove e appena di 3° sulla perpendicolare al piano nel quale si muove, per la Terra di 23° e per Venere di 55°, l'asse di Urano è inclinato di 58°, quasi adagiato sul piano dell'eclittica, cosicchè rivolge alternativamente i poli nord e sud al sole nel corso di un periodo di rivoluzione che dura 84 anni, a una distanza media dal Sole di 2,87 miliardi di chilometri.
Ma ciò che vi è di più sorprendente é che il sistema dei suoi quattro satelliti é più inclinato ancora arrivando fino a 98°, vale a dire al di là dell'angolo retto, ciò che fa si ch'essi circolino pressoché perpendicolarmente al piano dell'orbita. L'asse polare di Urano fa con l'asse di rotazione dei suoi satelliti (o, ciò che é la stessa cosa, l'equatore di Urano fa col piano di rivoluzione dei satelliti) un angolo di 41° circa, girando il pianeta su sé stesso (in 17 ore e 6 minuti) in un piano per nulla differente da quello dei suoi satelliti. Inoltre questa inclinazione di 98° fa sì che i satelliti, pur girando pressoché perpendicolarmente, roteano piuttosto in senso retrogrado di quello che in senso diretto. Vi é là indubbiamente un'anomalia assai notevole, che ha fatto inclinare in una maniera strana gli assi di rotazione.
Noi non sappiamo ancora in qual modo Urano giri su sé stesso, se cioé in senso diretto o in senso retrogrado.
Ultimamente con la sonda Voyager 2 avvenuta il 24 gennaio 1986, sappiamo qualcosa di più. Rivelandoci un'altra decina di satelliti, e i costituenti fondamentali della sua atmosfera, fatta soprattutto di idrogeno e di elio, un'abbondanza paragonabile a quella solare.

Il sistema di Nettuno è ancor più spiccato; la sua inclinazione scende fino a 146°, e il moto dei suoi satelliti é decisivamente retrogrado.

Sono questi fatti astronomici che la teoria cosmogonica esposta più sopra non spiega ancora in modo molto chiaro. Comunque è importante di non lasciarli passare sotto silenzio.
E' probabile che queste inclinazioni abbiano avuto per causa il modo stesso di formazione di ciascun pianeta, mediante la condensazione, non immediata ed uniforme, ma graduale e in più volte della zona nebulosa originale. Oppure che sia l'effetto di un urto con un corpo massiccio avvenuto dopo la formazione del pianeta. Le aggiunzioni successive delle masse diffuse hanno dovuto far cambiare il centro di gravità come il piano di movimento. Ma anche le perturbazioni esterne possono aver avuto una loro azione.

La teoria non esplica altresì perché la Luna, nata nella nebulosa terrestre, presenti sempre la stessa faccia alla Terra, mentre i pianeti, anche più prossimi al Sole, girano su se stessi con indipendenza. Si può rispondere senza dubbio che la Luna ha originariamente girato su sé stessa, e che fu la Terra che l'ha arrestata operando mediante le maree lunari come un freno, al modo stesso che ai giorni nostri le maree terrestri, prodotte dalla Luna, tendono a rallentare il moto di rotazione della Terra. Ma il Sole ha dovuto produrre su Mercurio delle maree analoghe, e avrebbe dovuto, in virtù dello stesso principio, arrestare il suo movimento di rotazione.
Essa non spiega altresì per quale azione uno dei due satelliti di Marte (Phobos, 11 km di diametro) giri più veloce dello stesso pianeta: infatti esso gira intorno al pianeta in 7 ore e 39 minuti, mentre Marte impiega 24 ore e 37 minuti a compiere il proprio movimento di rotazione. L'altro satellite invece (Deimos, 6 km di diametro) compie il suo periodo di rivoluzione in un giorno e 17 minuti.

Noi non sappiamo tutto. Ma quale noi l'abbiamo esposta, questa teoria rende conto dell'insieme dei differenti corpi del sistema solare e della loro unità di origine. E' già molto. Ci dobbiamo stimar felici d'aver saputo trovar i vincoli di parentela che riattaccano le nebulose al Sole, di sapere come una nebulosa può formare un Sole ed un sistema di mondi, e di poter assistere col pensiero al primo apparire della Terra nel seno della nebulosa solare, e all'apparizione della Luna nel seno della nebulosa terrestre. L'analisi spettrale, che ci permette oggi di leggere nei raggi di luce la storia chimica degli astri, conferma l'unità del sistema del mondo, e perfino l'unità dell'universo, mostrandoci gli elementi terrestri sparsi negli altri pianeti, e perfino nelle stelle, affermando così l'unità di composizione del Cosmos.

Si é perfino tentato di riprodurre con un'esperienza di laboratorio la teoria della formazione dei mondi che noi abbiamo appena delineata. Ingegnose esperienze che dimostrano in pratica ciò che la teoria insegna, cioè che la rotazione dei corpi allo stato liquidi modifica la loro forma in ragione del loro volume e della velocità della loro rotazione. La Terra ha, come ognuno sa, la forma di uno sferoide leggermente appiattito ai poli.

Da quanto precede risulta che il corpo terrestre è stato in passato liquido o molle, ossia plastico; la Terra ha dovuto prendere forma di un globo, e, in seguito alla sua rotazione, appiattirsi all'etremità del suo asse. La temperatura del pianeta, liquido nel suo nocciolo e gassoso nella sua atmosfera era allora di migliaia di gradi.
I diversi pianeti non si sono né formati nello stesso tempo, né raffreddati simultaneamente. La loro creazione non data già dallo stesso giorno, e non hanno la stessa età correlativa. Così, in confronto della Terra, Giove è assai più giovane; esso non è ancora arrivato allo stato di stabilità del nostro pianeta; la sua atmosfera è ancora carica di vapore e di nubi di ammoniaca e di metano, che assorbono molto la già scarsa luce solare, e proprio per questo appare soggetta a incessanti perturbazioni; si verificano infatti fenomeni "metereologici" quotidiani che il calore solare sarebbe incapace di produrre ad una tale distanza, e che vi sono mantenuti dalla temperatura propria a Giove, ancora oggi assai elevata. Questo elevato valore fa in modo che il pianeta emetta, soprattutto nell'infrarosso, una quantità di energia ben maggiore di quella che riceve dal Sole.

Da alcuni anni, l'osservazione assidua degli astronomi ha messo in chiaro alcuni fatti caratteristici che ci fanno assistere da lontano alla formazione della superficie di un mondo; nel 1879 su Giove una macchia rossa (già scoperta da Cassini nel 1665) di grande estensione (40mila km, quindi più vasta di tutta quanta la Terra) si è formata al di sopra dell'equatore (anche se in minor misura è da tre secoli che la si osservava). Essa è rimasta fissa allo stesso punto per sette anni girando col pianeta nel suo rapido giro di rotazione, di 9h, 55m (avete letto giusto, in poco meno di 10 delle nostre ore, Giove ruota su se stesso, pur avendo un diametro 10 volte superiore a quello della Terra) ma restando immobile allo stesso posto del globo; essa è poi impallidita lentamente e si è gradatamente dissipata; e non poteva essere nè una nube, nè un accidente meteorologico, dacchè rimase per ben cinque anni ferma allo stesso punto; essa appartiene alla superficie stessa del globo, ed è probabile che si tratti di qualcosa in lenta formazione sulla sua superficie.
Negli ultimi anni, grazie alle sonde, su Giove è stato scoperto un esile anello, mai prima osservato da Terra.
Giove è attualmente nella sua età primodiale.

Le stelle, questi soli dell'infinito, sparse nell'immensità siderali, si presentano del pari a noi nelle loro differenti età. Esse si dividono essenzialmente in quattro tipi : 1.° le stelle bianche, quali Sirio, Vega, Rigel, Procione, Altair, ecc., il cui spettro mostra in particolar modo l'idrogeno incandescente, e manifesta una temperatura estremamente elevata, sono le più giovani; 2.° le stelle gialle, astri quali lo stesso nostro Sole, Capella, Arturo, Polluce, Aldebaran, ecc., in cui si scorgono dissociati il sodio, il ferro, l'idrogeno, il magnesio, e la cui temperatura è meno elevata di quella dei soli precedenti, sembrano essere nella vigoria dell'età ; 3.° le stelle aranciate, quali Antares ed altre meno brillanti, di cui lo spettro mostra formato da forti linee nerastre e da punti luminosi, atmosfere assorbenti idrogeno raro, sodio, ferro, magnesio, carbonio (e si noti che un gran numero di quelle stelle sono variabili come quelle della classe seguente); 4.° le stelle rosse ed opache, che sono assai poco brillanti, generalmente invisibili ad occhio nudo, e nelle quali lo spettroscopio permette di riconoscere il carattere dei composti di carbonio, e probabilmente di ossidi gassosi, ciò che denota dei soli a bassa temperatura ; sono quelli senza dubbio astri che si ossidano, e che sono prossimi ad estinguersi.

Così il cielo ci mostra le sue creazioni in tutte le epoche della loro storia.
Vi sono nel cielo come sulla terra delle culle e delle tombe. Felice chi potesse levare il velo di queste tombe e fare l'oroscopo dei mondi venturi! Più felice ancora colui che, negli astri in agonia e fra i mondi periti, sapesse indovinare la resurrezione, e scoprire per quali misteriosi procedimenti la natura rende eterna l'opera sua !
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La LEGGE di TITIUS e BODE

Abbiamo detto sopra che i pianeti girano intorno al Sole. All'epoca della loro formazione, dopo averli distribuiti a varie distanze, ha seguitato a tenerli a rispettosa distanza costringendoli a percorrere sempre lo stesso cammino. Li sorveglia, e anche se hanno la voglia matta di fuggire - e chissà dove, magari si perderebbero nel buio degli spazi o verrebbero rapiti da un'altra stella-sole- babbo Sole li costringe a rimanere dove sono. Lui ha stabilito le distanze: ogni pianeta deve girargli attorno secondo una "pista" ben definita. Una "pista" circolare? Non proprio, appunto perchè i Pianeti se ne vorrebbero andare dove pare loro. Cioè -direbbe un astronomo- il pianeta tende a fuggire per la tangente.
Inoltre per non che ognuno di loro occupasse lo spazio-orbita dell'altro, adottò una regola, che noi conosciamo solo da epoca recente, quando nel 1766 un professore di matematica di Wittemberga, Giovanni Daniele Tietz, questa regola la pubblico con il suo nome latinizzato Titius, e che poi l'astronomo Bode diffuse; per cui la regola si chiama "legge di Titius o di Bode".

A dire il vero c'erano già le tre leggi di Keplero che vennero rese note nel 1618, che stabilivano tre regole: la prima, la forma della "Pista" che in termine astronomico si chiama orbita; la seconda stabilisce come varia il movimento del pianeta su questa orbita; la terza come varia la velocità da un pianeta all'altro.
Per oltre un secolo si sapeva che i pianeti ruotano intorno al Sole su orbite ellittiche, si sapeva la distanza e la legge che governano i moti dei pianeti, ma nulla si sapeva perchè le orbite erano state messe lì in quel modo e non in un altro.
Poi venne Titius, e si scoprì che "babbo sole" aveva messo i "suoi figli" a una certa distanza, adottando una regola matematica abbastanza singolare (Quella di Titius è definita una relazione empirica, perchè al significato fisico manca ancora una spiegazione certa; e anche se sappiamo che la distanza reale è molto vicina a questa regola, nel momento in cui descrive la distanza di Nettuno e Plutone la relazione cade).

Tuttavia questa è la regola:
Se noi vogliamo disegnare il sistema solare su di un piano e si approssimano le orbite dei pianeti a cerchi, si devono tracciare dei cerchi concentrici. Ma per porli alla giusta distanza (in proporzione) come sono in realtà si devono tracciare dei cerchi concentrici di dimensioni progressivamente crescenti, secondo appunto la legge di Titius. Per rappresentare questa legge, scriviamo in successione i numeri 0, 3, 6, 12, 24, 48, 96, 192, 384, 768. Ognuno di questi, se si esclude lo zero, è il doppio del precedente. Sommando 4 a ciascuno di questi numeri, otterremo la successione: 4, 7, 10, 16, 28, 52, 100, 196, 388, 772. Ora notiamo che, se prendiamo come 10 la distanza Terra-Sole, le altre distanze planetarie sono, in proporzione: 3,9 (Mercurio-Sole); 7,2 (Venere-Sole); 10 (Terra-Sole); 15,2 (Marte-Sole); 52 (Giove-Sole); 95,5 (Saturno-Sole); 192,1 (Urano-Sole); 301,07 (Nettuno-Sole); 397 (Plutone-Sole).

Come si vede i pianeti ruotano a una distanza dal Sole molto vicina a quella prevista dalla legge di Titius e Bode, salvo gli ultimi due (ma ai tempi di Titius, sia Nettuno che Plutone dovevano ancora essere scoperti). Inoltre quando i due astronomi resero pubblica questa regola colpì il fatto che nessun pianeta ruotasse sull'orbita detta 28. Si scoperse poi nel 1801 -lo abbiamo già accennato sopra- che quest'orbita corrispondeva agli asteroidi. Il fatto che le distanze planetarie dal Sole siano in progressione crescente si può spiegare, probabilmente, con l'antichità del sistema planetario: l'origine dei pianeti si deve far risalire ad almeno cinque miliardi di anni or sono, perciò essi hanno avuto modo di perturbarsi ma alla fine di assestarsi su orbite le cui distanze sono tali da ridurre al minimo le perturbazioni reciproche. Questa, quindi, è presumibilmente una configurazione di massima stabilità.

 

Lasciamo ora i Pianeti e occupiamoci solo della nostra TERRA

Nella tenebrosa immensità dei cieli, circa 5-6 miliardi di anni fa, la nebulosa solare brillava di una luce pallida diffusa, e mentre si condensava gradualmente verso il suo centro, una informe massa lampeggiava dello stesso splendore roteando intorno a questo focolare centrale. Il nostro pianeta era allora completamente gassoso, non possedeva alcun nucleo solido e neppure alcun strato liquido; non era in certo modo che un'atmosfera, considerevolmente più leggera dell'aria che oggi respiriamo. La sua temperatura originaria era uguale a quella della zona solare nel seno della quale si è formata. Poi aumentò ancora per effetto della sua propria condensazione. Obbedendo alle leggi della gravita, le molecole si rinserrarono sempre di più verso il centro. La sua forma sferoidale si definì sempre meglio. La nebulosa divenne pianeta-sole, e nello spazio siderale brillò di una splendida luce.

La teoria meccanica del calore mostra come la sola condensazione in globo delle particelle costitutive del nostro pianeta ha dovuto produrre un calore di circa 9-10.000 gradi centigradi. Durante questo primo periodo, la nostra culla espandeva assai lontano il suo irraggiamento. La Terra brillava allora nello spazio come un sole avviluppato da una pallida nebulosità.

 

A quell'epoca ipotetici osservatori posti negli universi lontani avrebbero potuto vedere, nel periodo solare del nostro pianeta, una stella doppia composta di due astri di grandezza differente: il più grande il nostro Sole, il più piccolo la Terra.
Senza dubbio anche questo sistema sarà stato doppio, triplo, quadruplo, multiplo, essendo molti altri pianeti stati prima Nebulose e poi Soli alla stessa epoca in cui lo era la Terra. Ma, siccome è probabile che Venere e Mercurio fossero ancora nebulosi allorchè la Terra era già Sole, così si ebbe un'epoca in cui, nell'obiettivo del telescopio gli ipotetici lontani osservatori avrebbero potuto vedere il Sole e la Terra sotto l'aspetto della piccola figura riportata sopra.

Durante molti migliaia di millenni, il nostro globo brillò, sole risplendente, focolare di potenti reazioni chimiche, dando origine a macchie e ad eruzioni gigantesche, analoghe ai fenomeni che noi vediamo ogni giorno compiersi alla superficie del nostro Sole. La Terra era allora, indubbiamente meno voluminosa del nostro Sole attuale, ma considerevolmente più grande di quanto non sia ai giorni nostri; senza alcun dubbio si estendeva essa fino al di là dell'orbita della Luna, quindi con un diametro da trenta a quaranta volte del suo diametro attuale, leggerissima di densità e interamente gassosa.
Ma lo spazio nel quale si muovono i mondi è freddo ed oscuro. La sua temperatura normale è di circa 270° al disotto dello zero. Un freddo così intenso che i meteoriti (soprattutto quelli di grosso volume) che ne sono impregnati, quando cadono sulla Terra, lo conservano all'interno nonostante il loro (solo) superficiale riscaldamento nel passaggio così rapido che essi fanno attraverso la nostra atmosfera terrestre. Allorchè infatti vengono raccolti dopo la loro caduta, ci si brucia dal calore le dita nel toccarli; ma se si spezzano l'interno è ghiacciato al punto che scotta esso pure, più ancora dell'esterno. (Una di queste prime osservazioni fu fatta il 14 luglio 1860, allorchè avvenne nelle Indie la caduta di un meteorite, di "Dhurmsalla").

In mezzo a questo freddo, il raggio del Sole-Terra finì per estinguersi, e nè la sua condensazione progressiva, nè le sue combustioni chimiche, nè la caduta dei materiali o delle polveri cosmiche che dovettero giungergli dai residui della nebulosa solare che lo circondava, e dalle diverse parti dello spazio, bastarono alla conservazione di quell'irraggiamento calorico e luminoso. Il globo terrestre, poi da gassoso divenne liquido, liquido bruciante, ma meno luminoso. Da bianca e risplendente com' era prima, la Stella-Terra si colorò di raggi gialli d'oro, poi arancioni, poi rossastri e cupi. Un'atmosfera densa, pesante, agitata, un'atmosfera da officina e da laboratorio (ed era un officina e un laboratorio) l'avvolse nei suoi vortici. La Terra-stella si estinse. Si estinse però come sole, ma iniziò ad entrare nell'aurora della sua vita.

E' durante questo periodo primordiale che la Luna si è formata, emanazione della nebulosa terrestre, come la Terra era emanazione della nebulosa solare. La Luna appartiene alla Terra, come la Terra appartiene al Sole. Essa gira intorno al nostro pianeta in 27 giorni e 7 ore, come noi giriamo intorno al Sole in 365 giorni e 6 ore; essa ci accompagna, satellite fedele e circola mensilmente intorno a noi, ruotando nello stesso senso in cui noi giriamo, vale a dire dall'ovest all'est, e pressochè nel piano del nostro equatore (l'inclinazione è di 5°), il suo atto di nascita è inscritto ancora nel suo moto, e la sua origine terrestre si palesa in tutti i suoi caratteri; essa pesa ottanta volte meno della Terra, ed è cinquanta volte più piccola : la sua densità è di sei decimi quella della Terra.
Essa ha dovuto formarsi da una zona nebulosa distaccata verso il piano dell'equatore dalla nebulosa terrestre in un'epoca in cui il movimento di rotazione della Terra si era notevolmente accelerato, ed era divenuto assai più rapido di quello dei giorni nostri. Inoltre la Luna era a noi così vicina e la sua attrazione così potente da produrre maree considerevoli, le quali agendo come un freno in senso contrario a quelle del moto di rotazione del nostro globo hanno rallentato questo moto, come lo rallentano in misura molto minore ancora oggi.

Calcoli astronomici sembrano condurre alla conclusione che la nascita della Luna, risalirebbe all' epoca in cui il moto di rotazione della Terra su sè stessa si sarebbe compiuto in tre sole ore. Prima della nascita della Luna, la Terra andava già soggetta a maree di magma, prodotte unicamente dall'attrazione del Sole, e che gonfiavano la nebulosa terrestre lungo la sua zona equatoriale, facendo roteare lungo questa zona una specie di rigonfiamento fluido. D'altra parte, il rapido movimento di rotazione del nostro pianeta su se stesso produceva lungo questa stessa zona equatoriale una forza centrifuga potentissima, e per distaccare dalla nebulosa terrestre una porzione relativamente considerevole, la minima causa poteva bastare. Il Sole è forse stata questa causa. Una coincidenza di forte marea colla tendenza centrifuga avrà reso indipendente dall'attrazione terrestre una parte di questa zona in equilibrio instabile, gradatamente sminuita da vibrazioni diurne consecutive come un pendolo, la Terra avrà ripreso la sua forma sferica e i materiali distaccati si saranno riuniti in una stessa massa, esercitando alla loro volta l'attrazione ad essi su tutte le sue parti costitutive, nel tempo stesso che, conservando il suo movimento primitivo, la zona distaccata continuò a girare intorno alla Terra.

Tale fu l'origine della Luna. Nei primi giorni della sua formazione essa toccava la Terra e girava intorno ad essa in questo stesso periodo primitivo di tre ore. Le nostre maree marine attuali non sono che un pallido rimasuglio di ciò che esse erano in quell'epoca primordiale. In parte il satellite era assai più vicino al pianeta, ed è noto che l'attrazione si accresce in ragione del quadrato d'avvicinamento, e cioè che per una distanza due volte minore, essa e quattro volte più forte, e così di seguito. D'altra parte, il globo terrestre, in luogo d'essere solidificato e di avere la sua superficie divisa in continenti ed in oceani, era completamente fluido: le maree agivano dunque completamente su di esso e gli facevano costantemente girare intorno quella specie di cuscinetto circolare. Attualmente le nostre insignificanti maree, facendo il giro del globo in senso contrario del movimento di rotazione della Terra, agiscono come un freno che ritarda questo movimento, e aumenta la durata del giorno di alcuni minuti secondi per secolo. Allora, le gigantesche maree primitive, che inondavano tutto il globo due volte per giorno sul loro passaggio, agivano con un' energia incomparabilmente più potente per rallentar questo moto, il quale da tre ore arrivò a quattro, a cinque, a dodici e finalmente a ventiquattro. Il rallentamento del moto della Terra é accompagnato da quello della Luna, e, per ciò stesso, da un allontanamento graduale del nostro satellite.

Nel tempo stesso, le maree prodotte dalla Terra sulla Luna erano molto più forti di quelle prodotte dalla Luna sulla Terra, inquantochè il pianeta é 80 volte più pesante del satellite. Esso ha finito a frenare completamente il moto di rotazione della Luna ed a renderla immobile. Ed ora la Luna gira intorno a noi presentandoci sempre la stessa faccia. Oltre a ciò, essa non é perfettamente sferica, ma un po' allungata nella direzione della Terra. Non vi sono più maree sulla Luna: e quando anche il globo lunare fosse stato coperto d'acqua, non ve ne sarebbero altrimenti, poiché, relativamente alla Terra, la Luna è ferma sul proprio asse.

Così, dopo la sua nascita, la Luna é andata allontanandosi lentamente dalla Terra, e girando man mano sempre meno presto, andò a rallentare anche il moto di rotazione della Terra. Le attuali maree continuano ad agire come un freno e a rallentare quel moto. E probabile che verrà un tempo in cui la Luna a sua volta avrà arrestato il moto di rotazione del nostro pianeta, l'avrà reso eguale al mese lunare, ed avrà così forzato il nostro globo a presentare sempre, la stessa faccia alla Luna. Se gli oceani terrestri durassero così a lungo quanto basti perché le maree abbiano a produrre questo risultato, la rivoluzione del nostro satellite intorno a noi sarebbe allora allungata fino a 58 giorni, e noi non avremmo più sulla Terra che sei giorni per anno, essendo ogni giorno di 1400 ore! Il calendario ne verrebbe notevolmente semplificato, e trasformati soprattutto ne andrebbero i nostri costumi e le abitudini nostre. Ma la nostra modesta dimora ambulante é sotto l'influenza di tante altre cause cosmiche che non sarebbe filosofico il prenderne in considerazione una sola.

 

Infatti, sulla mia sopra accennata formazione della Luna alcuni dissentiscono in quanto affermano è stato dimostrato che la sua formazione è dovuta ad un catastrofico impatto meteorico (un meteorite grande quasi quanto Marte) in epoca formativa circa 3 miliardi di anni fa; e che questo è stato avvalorato da precisi studi geofisici e geologici sulla Terra e sulla Luna.
Io ho invitato - il dissidente - a inviarmi anche quest'altra ipotesi e studi, anche se guardando Saturno io sono convinto di quanto ho sopra esposto.


Due pianeti sembrano, nel nostro sistema, darci un'immagine di quei tempi primitivi, per il motivo che, pur essendo nati prima della Terra (la massa si è staccata prima dal sole) ed essendo più antichi della stessa, hanno però impiegato molto maggior tempo a condensarsi, e quindi sotto questp aspetto sono relativamente più giovani della Terra di oggi. Accenniamo ai mondi più voluminosi del gruppo solare, a Giove cioè e a Saturno. Le lune di Saturno sono ancora vicine ai loro pianeta generatore, e la loro nascita non é certamente antica. Ma c è di più. Gli anelli che circolano intorno al globo di Saturno sono composti di piccoli corpi riuniti in un turbinio vorticoso, e queste particelle costitutive, che girano rapidamente intorno al pianeta, sono aggregate in zone più dense lungo certe linee, o disseminate, sparse, rarefatte in altri punti. Si osserva perfino una zona assolutamente vuota, che separa gli anelli in due parti distinte, dove le particelle mancano del tutto. Si può pensare che questi anelli così strani altro non sono che gli embrioni di due satelliti futuri, ciò che porterebbe a dieci il numero dei soci di Saturno. Si può pensare quindi che la nostra Luna, al pari degli altri satelliti di altri pianeti, siano stati formati secondo un processo analogo, da una zona equatoriale staccata dal pianeta e gradatamente riunitasi in sfera per effetto dell'attrazione stessa delle sue particelle costitutive.
La durata del periodo di formazione dei pianeti ebbe a dipendere per ognuno di essi dalla quantità di materia che li ha composti, e il periodo di raffreddamento dall'elevazione della temperatura del globo primitivo, dal suo volume e dalla sua superficie, al che converrebbe aggiungere altresì la differenza della natura minerale dei terreni formati, e quella delle atmosfere, di cui l'inviluppo protettore é più o meno efficace, secondo la sua trasparenza per effetto del calore. È per mezzo della superficie esterna che una sfera celeste si raffredda. Così il volume della Terra è 49 volte più grande di quello della Luna: ma la superficie del nostro pianeta non ne é che tredici volte più grande. La Luna ha dunque, a questo riguardo, un'azione di raffreddamento pressochè quattro volte più rapida di quella della Terra, e, in realtà, essa si è raffreddata più presto di noi.

Dall'insieme delle cause che hanno presieduto alla formazione della Terra, il nostro pianeta ha dovuto passare attraverso una temperatura eccessiva di egual natura di quella del Sole: poi, terminati i principi di combustione, essa ha cominciato a raffreddarsi pur condensandosi ancora, e da gassosa divenne liquida fino a che giunse l'epoca in cui la superficie, coagulandosi, incominciò a solidificarsi. Il nostro globo si raffreddò così di millennio in millennio, avendo luogo il raffreddamento naturale dall'esterno all'interno.
Il raffreddamento é esso completo oggi? Dopo i milioni d'anni da che si effettua, è finalmente arrivato al suo ultimo stadio? Esiste tuttora un calore interno nel seno del nostro pianeta, ed ha esso un'azione qualsiasi sulla vita che si espande irradiando alla superficie del globo? Dovendosi da tanti secoli in uno spazio più che gelido, in uno spazio la cui temperatura normale è di 270° al di sotto di zero, la terra non ha essa oggi il proprio cuore ghiacciato? Qual é attualmente la temperatura interna del globo terrestre? Una questione del più alto interesse, che noi studieremo in ogni sua particolarità, e alla quale consacreremo un capitolo speciale, esponendo tutti i documenti acquisiti alla scienza sulla costituzione interna del nostro pianeta, sulle temperature osservate nelle miniere, nei tunnel, nelle sorgenti termali, nei vulcani, ecc. Ma la storia della Terra si svolge in questo momento davanti ai nostri occhi, e noi entriamo in una delle fasi decisive della sua parabola fatata.

Ognuno sa che i tre stati dei corpi, lo stato solido, lo stato liquido e lo stato gassoso, sono originati unicamente da semplici differenze di temperatura. Ecco, per esempio, un pezzo di ghiaccio. Ebbene, se la sua temperatura che è ZERO GRADI C. viene portata appena sopra questo valore il pezzo di ghiaccio cesserà di essere solido per divenire liquido e sciogliersi in acqua. Questo avviene perchè le sue molecole si allontanano reciprocamente le une dalle altre, cessano cioè di essere aggregate e subiscono l'azione della legge di gravità.
Riscaldiamo ora quest'acqua al grado dell'ebollizione (100° del termometro centigrado), ed essa si trasformerà in vapore. In tutti e tre i casi questo corpo non é chimicamente cambiato, é sempre acqua (H2O): ma l'aspetto fisico é ben differente: nel primo caso é un elemento solido; nel secondo é un fluido; nel terzo é un gas che rapidamente diviene invisibile. Prendiamo un pezzo di ferro: eleviamolo alla temperatura di +1500° C., esso si fonderà come l'acqua. Prendiamo un pezzo di zinco, esso diviene liquido
a +445° C., ma a +1300° C. diventa gassoso, ecc. ecc.
(Non dimentichiamo che lo" zero" che fin qui abbiamo nominato è un invenzione umana, è un punto convenzionale di riferimento: quello dell'aspetto fisico dell'acqua quando al di sotto dello "zero" cambia da stato liquido a solido e viceversa quando è sopra lo "zero". Ipotetici abitanti di "zinconia" nel fare la loro scala molto probabilmente avrebbero messo il loro "O° al nostro corrispondente + 445° C.

Le diverse sostanze che costituiscono il globo terrestre non sono divenute liquide, poi solide, che alle epoche in cui per ognuna di esse il raffreddamento fu sufficiente per farle diventare liquide e solide. Le combinazioni, cui sono dovuti tutti i corpi composti, non hanno potuto prodursi esse stesse che mediante abbassamenti consecutivi della temperatura primordiale. Con questi abbassamenti molti liquidi sospesi nell'atmosfera allo stato di vapore incominciarono a precipitarsi in piogge di diversa natura.
Questo abbassamento di temperature e le conseguenti diverse precipitazioni costringeva ognuna delle sostanze originariamente allo stato di vapore, a ricadere sotto forma liquida sul pianeta.

A quale epoca hanno cominciato le precipitazioni delle altre sostanze, sia semplici, sia composte? Quali erano, in mezzo a tutti questi materiali eterogenei, le reazioni chimiche di questo vasto laboratorio atmosferico, all'equatore, verso i poli e nelle regioni intermediarie?
Vi era in quel fatto tutta la genesi di un mondo.

A poco a poco la superficie del nocciolo terrestre si solidificò col raffreddamento, e prese uno spessore capace di servire da fondo o bacino alle acque ed ai liquidi, i quali abbandonarono, senza più ritornarvi, l'atmosfera, per formare i mari delle diverse età. Questi depositi fluidi reagirono, del pari che l'atmosfera stessa, sulle materie combustibili o saline della parte solida. Col raffreddamento prolungato del nucleo centrale, e in seguito al ridursi che esso fece ad un più piccolo volume, la crosta avviluppante portata su di un nocciolo divenuto troppo stretto, si ruppe in epoche diverse, di cui i periodi divennero altrettanto meno frequenti di quanto una tal crosta assunse maggior spessore e solidità.

Durante questo raffreddamento, tutte le sostanze gassose che costituivano il primitivo pianeta non passarono, senza eccezione, allo stato liquido o a quello solido. Rimase tutto intorno al globo un inviluppo gassoso abbastanza considerevole, formato da una miscela di ossigeno e azoto, conservati allo stato di gas permanenti. E questa miscela è l'aria che noi respiriamo (21 parti di ossigeno mescolate a 79 parti di azoto e tracce di altri gas - che cambia, ma di poco, secondo gli ambienti: mare, montagna, luoghi di attività umane). Ma per rimanere "aria" è anch'essa condizionata a una ideale temperatura che fino a certi valori gli fa assumere uno stato fisico (quello gassoso che permette a noi, a piante e animali di respirarla); mentre al di sotto di certi valori del "nostro" convenzionale zero essa cadrebbe in pioggia sulla terra cambiando così il suo stato da gassoso in liquido. (l'Ossigeno liquefa a -183°C., l'Azoto a -195°C.).

Quest'atmosfera, dapprima immensa, che si estendeva forse fino alla Luna (allora, meno lontana ) e sovraccarica non solamente di quantità prodigiose di vapore acqueo che si sono più tardi condensate in oceani ed in mari, ma altresì di tutti i vapori e di tutti i gas dei minerali futuri, si é di secolo in secolo trasformata e purificata in quella combinazione che abbiamo accennato sopra, e noi abbiamo oggi il privilegio di possedere e di respirare quest'aria trasparente che ci dà l'azzurro dei cieli e la bellezza delle prospettive aeree, che tempera la luce del giorno, che nutre così delicatamente le piante e gli esseri, e il cui velo, è abbastanza fitto per impedire un ulteriore raffreddamento completo delle notti e degli inverni, rimane ancora abbastanza lieve, sì da permetterci la vista delle stelle e lo studio dell'universo.
Noi non vi pensiamo. Ma se l'atmosfera fosse stata solamente di poco differente, un nonnulla sarebbe bastato per avvolgerci in una nebbia perpetua, e quest'inviluppo opaco spesso alcuni chilometri era più che sufficiente per isolarci dal resto dell'universo, e tenere il genere umano nella schiavitù dell'ostrica assopita in fondo al mare.

La superficie del globo doveva essere allora di un rosso di fuoco. L'atmosfera di vapori che pesava su di essa era il campo di evaporazioni di correnti ascendenti, di condensazioni superiori, di piogge diluviali e di sempre nuove evaporazioni, le quali, durante secoli e secoli, fecero del nostro mondo un gigantesco laboratorio di chimica dove tutti gli elementi andarono confusi. Le formidabili scariche d'elettricità prodotte da queste trasformazioni del calore e del moto facevano addensare l'atmosfera; le acque erano sconvolte da immani conflagrazioni elettriche; spaventevoli scoppi erano un perpetuo tuono che si ripeteva notte e giorno tra cupe nubi squarciate, sconvolgendo in continuazione la terra. Se la Luna fosse stata abitata i suoi osservatori avrebbero assistito a questi combattimenti titanici degli elementi in furore, rivaleggianti fra di loro energicamente per afferrare con la sua fiammeggiante genesi
la dominazione di un nuovo mondo.

Ma, come abbiamo già detto, più vicina allora alla Terra, la Luna produceva, mediante la sua potente attrazione, delle maree colossali, tanto più estese, inquantochè nessun continente era allora consolidato, e il suolo, liquido o pastoso, obbediva completamente all'influenza luni-solare. Dall'ovest all'est, tutt'intorno al globo, si avanzava incessante l'ondulazione formidabile nel tempo stesso che la grave atmosfera subiva essa pure maree ancora più gigantesche. La fornace era agitata senza posa dalla mano della natura. Non era quello un mondo: era un oceano di fuoco, di fiamme, di fumosità, di vapori, di uragani e di tempeste.
Tuttavia, roteando nel freddo spazio siderale, il pianeta si raffreddava effettivamente. Giunse il giorno in cui, verso i poli dapprima, là dove le maree erano meno violenti o venivano a cessare, dove il movimento diurno e la forza centrifuga ch'esse causavano erano meno sensibili; venne il giorno in cui la superficie di questo globo liquido e ancora ardente, cominciò a coagularsi ed a solidificarsi. I poli avevano allora la medesima temperatura dell'equatore. Il calore terrestre eccedeva di molto quello che poteva essere ricevuto dal Sole: esso era di più centinaia di gradi, e lo stesso in tutte le regioni del globo. Non vi erano allora né climi, né stagioni, benché la posizione della Terra relativamente al Sole, e la sua inclinazione, fossero di poco differenti da ciò che sono ai giorni nostri.

Ma la fornace era tutta quanta in ardore per il suo proprio calore.
Le prime solidificazioni che si verificarono nelle regioni polari poterono essere di qualche durata. Ma quelle che si formarono nelle altre regioni del globo, e soprattutto nelle zolle tropicali ed equatoriali, furono per molto tempo sollevate e infrante dalle maree. Esse diedero luogo a scorie galleggianti sull'oceano di fuoco, alternativamente erose, fuse e ricostituentisi. La superficie nondimeno diveniva viscida fino ad una certa profondità : essa non era più limpida come l'acqua, ma prendeva una certa consistenza, rassomigliando a quella della pece o del ferro che si toglie dalla fornace per lavorarla. Col progredir dei secoli, le scorie galleggianti si moltiplicarono, si "cementarono", si estesero, e finalmente si formò il primo suolo, all'inizio piccole isole, poi sempre più ampie fino a formare una vera e propria crosta.

Ma non fu per molto. Non appena formata, le reazioni della fornace interna contro questo primo ostacolo all'espansione dei vapori e dei gas la ruppero in mille crepacci, la crivellarono di cavernosità e di vulcani, nel mentre che le maree interne la facevano ondulare, la sollevavano, e la frantumavano continuamente. In qual modo questa prima crosta poté resistere alle onde di quell'oceano di fuoco? chi potrebbe immaginare le spaventevoli lacerazioni, le espansioni repentine e le convulsioni dei primi anni? Vero pandemonio di fuoco, sul quale giganteschi titani si combattevano nel delirio di un'atmosfera incandescente.

 

I flutti liquidi che si aprivano la strada attraverso le prime fratture della scorza primitiva, e che vennero a coagularsi all'esterno ed a solidificarsi, erano flutti di granito. Sono quelle le prime montagne.
Allorché il raffreddamento divenne sufficiente per permettere l'esistenza dell'acqua allo stato liquido, i vapori cominciarono a dissolversi, e caddero le prime gocce d'acqua. Ma alla temperatura sulla terra prossima ai 100 gradi (ed anche maggiore a causa della pressione atmosferica più pesante), non appena cadute, queste piogge evaporavano di nuovo. Erano vere piogge d'acqua bollente. Si ebbe allora un lungo periodo di piogge. L'evaporazione riconduceva presto l'acqua allo stato di vapore, nelle altitudini dell'atmosfera (a 11.000 metri la temperatura è di circa -57° C.), in quelle regioni raffreddate per il loro irradiamento verso i freddi spazi, si condensavano nuovamente in nubi per ricadere in piogge e continuare questo stesso ciclo perpetuo. Questa lotta dell'acqua e del fuoco durò per secoli e secoli, in mezzo a formidabili sprigionamenti di elettricità, di bufere, di lampi e di tuoni. Essa affrettò il raffreddamento nella superficie. Venne il giorno in cui, essendo la maggior parte dei vapori condensata, uno strato d'acqua di più chilometri di spessore si stese su tutta quanta la superficie del globo.

La prima scorza solidificata del globo, quella che formò il fondo del primo mare universale, e che, per i suoi sollevamenti, diede origine alle prime isole ed alle prime montagne, era composta di granito. Questo minerale deve un tal nome al suo aspetto (esso deriva dal nome italiano grano) a causa della sua struttura gran..ulare. Esso é composto di feldspato di quarzo e di mica. L'acqua fredda o calda, e l'acido carbonico dell'aria, decompongono facilmente il feldspato, che é un silicato a base d'allumina di potassa e di soda. L'azione chimica o meccanica delle acque agitate dei mari primitivi disaggregò questi silicati, e il fondo dei mari si coperse di sabbia, di fango, di detriti stesi in banchi ed in strati originariamente orizzontali.
Il granito ed il gneiss, rocce primitive subirono allora una prima modificazione.


Tuttavia anche oggi le parti che danno alla superficie terrestre la sua configurazione, non sono invariabili. L'aria, l'acqua, la terra e gli organismi reagendo continuamente tra loro, subiscono variazioni lente, che però accumulandosi col tempo imprimono al rilievo terrestre, al contorno dei continenti e delle isole e al fondo dei mari, trasformazioni profonde. Lo studioso di queste trasformazioni, delle loro cause e delle loro leggi, è oggetto di quella parte della geologia che si chiama dinamica terrestre, la quale a sua volta serve di base alla geologia propriamente detta, perchè quelle cause avendo sempre operato, i loro effetti antichi costituiscono le fasi successive per le quali passò il nostro pianeta prima di giungere allo stato attuale. Onde da effetti e da tracce somiglianti, si risale logicamente a cause somiglianti, collegando il presente al passato.
Delle azioni modificatrici della crosta terrestre alcune hanno sede alla superficie del pianeta. Tali sono l'aria, l'acqua nei suoi vari stati e formano l'oggetto della
dinamica terrestre esterna. Altre sono situate profondamente e quasi nell'intimo della terra: onde appaiono soltanto i loro effetti, quali i vulcani, i terremoti e le oscillazioni lente della crosta terrestre e tutto ciò formano l'oggetto degli studi della dinamica terrestre interna

Torniamo a noi. L'azione del calore primordiale é visibile su questi primi depositi. Le argille così deposte, presero sotto l'azione del calore una struttura fogliettata o schistosa vale a dire formata da foglietti facili a separarsi come nelle ardesie. Questi schisti, primi sedimenti che si conoscano, riposano immediatamente sui terreni d'origine ignea. Durante questa prima fase della sua esistenza, il nostro pianeta era dovunque ricoperto d'uno strato d'acqua, tiepida e fangosa, in fondo al quale si deponevano questi prodotti della disaggregazione del granito. I primi sollevamenti facevano emergere nuovamente dal livello delle acque isole solitarie, le cui cime erano rigonfiamenti di granito, che a loro volta erano ben presto erose dalle piogge, dai venti e dagli uragani.
Questo terreno primitivo, che si rinviene alla base di tutti gli strati geologici, mostra generalmente quattro banchi sovrapposti : nella parte più bassa il granito: al disopra il gneiss, che non é del resto che una varietà del granito in cui la mica predomina: poi il micaschisto, che è già un deposito schistoso; e da ultimo il piano degli schisti in generale. In questi strati non si é mai incontrato alcun fossile: non la più piccola conchiglia, né traccia qualsiasi di piante. Questo perchè nelle avverse condizioni che abbiamo appena descritte, la vita non era ancora apparsa né poteva apparire sulla superficie della Terra.

Attraverso le fessure, i crepacci e gli squarci prodottisi in quest'epoca primordiale, sotto l'influenza del calore interno, alcuni metalli fusi nell'ardente fornace vi si sono proiettati in filoni più o meno spessi. Vi si trova del ferro, dell'oro, dell'argento, del rame, dello stagno, delle pietre preziose, quali il granato e il rubino. E' verosimile che al disotto del granito esistano nell'interno del globo immense quantità di ferro e di metalli assai densi.
Gli schisti inferiori, che riposano immediatamente sul granito, sono azzurrognoli, e quelli che si deposero più tardi su quei primi sono verdastri (ardesie). Ognuno ha potuto osservare, sia nelle strade ferrate in trincea, sia nei paesi montagnosi, i banchi di rocce inclinati che rimangono per la nostra età moderna indizio dei sollevamenti della scorza terrestre verificatisi in quei tempi primitivi. Gli strati di cui parliamo ora sono stati naturalmente deposti in modo orizzontale sul fondo delle acque. Allorchè li vediamo inclinati, é segno che essi sono stati sollevati da forze sotterranee, oppure che, essendosi formate delle cavità nell'interno del globo a cagione del suo raffreddamento e della sua contrazione , essi sono sprofondati per il loro proprio peso. Entrambe queste cause, del resto, hanno agito, ma, tutte le volte che, attraversando una serie di strati inclinati, si può arrivare fino al granito, si é tanto certi di trovare la superficie di quest'ultima roccia rigonfia o inclinata essa stessa nell'identico senso, quanto lo si sarebbe, entrando in una camera in cui tutti i mobili fossero inclinati, del fatto che anche il pavimento è inclinato.

 

Vi è di meglio: gli strati che si osservano al disopra del granito in una montagna indicano l'epoca del suo sollevamento. Se, per esempio, non si ritrovano che gli schisti azzurrognoli, senza le ardesie verdi, si ha una testimonianza che il sollevamento del granito ha avuto luogo immediatamente dopo la formazione del primo deposito e innanzi il secondo. Se i banchi d'ardesia si rinvengono al disopra degli schisti azzurrognoli, è questo un indizio che il sollevamento ebbe luogo più tardi. E così di seguito.
L'esame delle Alpi e dei Pirenei prova che queste montagne hanno subito molti movimenti d'ascensione e di abbassamento. Talvolta non sono gli strati precedenti che riposano a contatto del granito, ma depositi sedimentari molto meno antichi. La spiegazione non é difficile. Supponiamo che un'isola di granito si sia elevata al disopra del mare primitivo, prima della formazione dei depositi schistosi di cui parliamo, e ch'essa si sia in seguito abbassata in fondo ai flutti (queste alternative di movimenti non sono rare nell'Arcipelago greco ed in Italia) ; e in tal caso l'isola granitica si coprirà unicamente dei depositi delle età
meno antiche.
Gli schisti azzurrognoli di cui abbiamo appena parlato si rinvengono in Bretagna, nel Finisterre, in Vandea; sono quelli i terreni più antichi d'Europa, e probabilmente del mondo intero. Se ne trovano altresì in Inghilterra, nel Cumberland. Le ardesie verdi mancano in Bretagna, ma s'incontrano nella contea di Galles e nell'America del Nord. Si ritrova gneiss e micaschisti nel Lionese, nel Limosino, nel dipartimento del Lozére, nelle Cevenne, in Alvernia, Bretagna e Vandea. Sterili per l'agricoltura, ma fecondi per il minatore perchè questi terreni sono ricchi di metalli.
Il periodo, di cui abbiamo delineato ora con grandi tratti la storia ha impiegato milioni d'anni a compiersi.
Eloquenti e preziosi sono gli archivi della Terra. Le investigazioni chiaroveggenti dei geologi hanno scoperto perfino le impronte fossili di gocce di pioggia....

Queste gocce erano cadute su della sabbia pietrificatasi poi in arenaria. Un'altra testimonianza non meno curiosa è la seguente : nell'eseguir lavori a Chalindrey (Alta Marna) in una cava di gres infraliasico, si sono trovati dei banchi che conservano su di una larga superficie le tracce dell'ondulazione delle acque.
Pietrificazioni d'ugual genere sono state rinvenute a Bouologne e-sur-Mer.
(per chi ha avuto occasione di osservare degli invasi artificiali, sono abbastanza frequenti le tracce che le acque lasciano negli invasi stessi; ai bordi (emersi o sommersi) le acque lasciano una vera e propria cronologia della vita del lago. E sono piccoli laghi, che ci sembrano tranquilli ! Quello del Vaiont fece scivolare a valle una montagna)

Durante la lunga durata dei secoli di questo periodo, noi siamo su di un pianeta interessante dal punto di vista astronomico e geologico, ma siamo su di un pianeta senza vita. Non un animale, non una pianta. Null'altro che un deserto. Acqua e dirupi. Non un muschio su quegli scogli. Non un mollusco in quelle acque. Non c é nemmeno la morte, poiché la vita non vi è mai esistita.

E proprio questa la Terra? Invano si cercherebbe di riconoscere la configurazione geografica che la caratterizza. Né Europa, né Asia, nè Africa, nè America. Solo il mare: dovunque il mare, con alcuni isolotti di granito. Un'immensa marea fa due volte al giorno il giro del globo. Pressoché dappertutto, pressochè sempre, il cielo è ottenebrato. La pioggia cade, il tuono rumoreggia, i lampi solcano le nubi, il vento soffia e la tempesta agita i flutti.. Ma gli elementi della vita, si preparano. Nelle ore di calma, nel fondo delle acque tiepide, un profeta preveggente potrebbe scoprire alcune tracce di una materia gelatinosa feconda che non è già più.... assolutamente inanimata.

Sarà questa la nostra prossima puntata.

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