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109 g - I TERRITORI COLONIALI SPAGNOLI


Lo sfruttamento delle mimiere d'argento: la rovina della Spagna

Alla morte di Colombo erano ormai già note agli Spagnoli le grandi Antille, la maggior parte delle piccole Antille, l'Arcipelago di Bahama ed una parte delle terre costiere che incorniciano il mare nell'America centrale.
In un solo punto essi penetrarono più profondamente nell'interno del paese, e proprio nel punto più ristretto del grande istmo. Qui Balboa aveva raggiunto per la prima volta la sponda occidentale del nuovo mondo, provenendo da Santa Maria del Antigua, il più antico stanziamento permanente spagnolo del continente americano.
Nel 1519 cominciò a sorgere sul golfo ricco di perle dell'Oceano Pacifico la città di Panama dove pochi anni più tardi fu trasferita la sede del governo della provincia di Castilla de Oro.

Così Panama divenne il centro d'irradiazione ed il punto d'appoggio delle ulteriori esplorazioni e conquiste nel mezzogiorno dell'America centrale e nell'occidente dell'America meridionale.
Un secondo centro analogo fu Cuba. Muovendo da Cuba vennero esplorate le coste del Jukatan, del Messico e del mezzogiorno del Nord-America, e, fin dove fu possibile, assoggettate.
Ben presto si costituì un terzo centro nella città di Messico, d'onde partì il movimento di colonizzazione verso i paesi vicini a sud, specialmente l'Honduras e il Guatemala, e a nord, specialmente verso la penisola Californiana e le parti occidentali del Nord-America. Meno attivo rimase il centro di S. Domingo, d'onde si puntò principalmente verso le piccole Antille e verso la costa settentrionale del Sud-America. In quest'epoca si sperava tuttavia di trovare nella grande massa del nuovo continente un punto chiave, cioè un passaggio dall'Atlantico al Pacifico. Occorsero molte vane ricerche e molte delusioni prima che si riconoscesse il vero stato delle cose.

Il principale propulsore dell'opera successiva di colonizzazione fu Panama, questa sentinella più avanzata del dominio spagnuolo. Muovendo da qui gli spagnoli occuparono la Costarica, nella cui città di Cartago fece nel 1522 il suo ingresso il primo governatore spagnolo.
Un anno prima i capi indigeni Nicoia e Nicaragua avevano preso il battesimo e con le buone e le cattive riconosciuta la sovranità spagnola, il che portò alla fondazione delle città di Granada e Leon. Il movimento di espansione si spinse poi sempre più oltre finché tutta l'America Centrale divenne spagnola.
Anche Pissarro radunò a Panama i messi e gli uomini per la conquista del Perù.

Nel 1533 fu occupata Cuzco, nel 1534 Quito, nel 1535 fu fondata Lima, nel 1535-1536 fu assoggettato il Cile sino al Coquimbo e nel 1539 l'altopiano di Bolivia. I Peruviani non ebbero la forza di reagire al giogo straniero; l'ultimo Inka, un fanciullo, morì nel 1571 per mano del carnefice. Nel frattempo il Cile, dopo gravi e lunghe lotte con i valorosi Araucarii, durate dal 1540 al 1553, fu sottomesso da Baldivia fino all'attuale città di Baldivia, e nel 1558 gli Spagnoli si spinsero anche più a sud, arrivando sino all'attuale Osorno.
Il Cile divenne una provincia che si estendeva anche per un certo tratto sul versante orientale delle Cordigliere. Un'altra provincia, quella di Tucuman, sorse ad ovest, e si estese senza confini ben determinati nei territori del Parana.

Già antecedentemente Benalcazar, muovendo da Quito verso nord, aveva costituito la provincia di Popayan con la capitale dello stesso nome (1537), e dopo era apparso sull'altipiano dell'attuale Bogotà. Ma qui egli era stato preceduto da un altro.
Per opera di quelli insediati a S. Domingo era stato fondato verso il 1520 il borgo di Santa Marta come centro di una provincia dello stesso nome, e ad oriente di esso Coro, destinato a capoluogo del Venezuela; nel 1533 vi si aggiunse Cartagena.
Correva la voce, naturalmente falsa, che più a sud nell'interno esistessero regioni aurifere di una smisurata ricchezza; invece nell'altipiano dell'attuale Columbia esisteva uno stato federale di carattere teocratico, quello dei Muisca o Cibca. Era questo il secondo stato incivilito dell'America meridionale, dotato di benessere e di grandiose risorse. Qui giunse dal nord Quesada, seguendo il corso del fiume Magedalna, con nemmeno 200 uomini. E di fronte a questo pugno di stranieri lo stato indigeno crollò senza lottare, allo stesso modo che erano crollati i regni del Messico e del Perù.

Il paese venne costituito a provincia col nome di Nuova-Granata e con Bogotà per capoluogo; Quesada ne fu il primo governatore.
Da Cuba furono fatti molto in tempo dei tentativi di insediarsi nella Florida; ma fallirono. Seguì un lungo periodo di rilassamento; di modo che gli Spagnoli soltanto nel 1565 cominciarono a insediarsi in quella regione fondandovi Saint Augustine, quando però già i Francesi - si erano anche loro mossi - e si erano andati a cacciarsi fra i loro piedi.

Il movimento di colonizzazione spagnolo si volse pure al late orientale del Sud-America limitatamente peraltro alle regioni bagnate dal Rio de la Plata che Solis e Sebastiano Caboto avevano fatto conoscere. Nella speranza che il La Plata fornisse una comoda via di comunicazione con le regioni interne delle Cordigliere, fu fondata nel 1535 il villaggio di Buenos Ayres; ma per il momento l'impresa dovette essere poi abbandonata. Risalendo il corso del fiume, Irala costruì nel 1536 la città di Asuncion. Essa divenne il centro di irradiazione della colonizzazione spagnola in queste parti orientali del Sud-America; venne occupata la regione che dal nome del fiume che l'attraversa fu chiamata Paraguay e furono stabiliti sul Plata una serie di punti d'approdo fortificati per assicurare le comunicazioni con l'Oceano Atlantico. Nel 1580 venne ricostruita Buenos Ayres come porto alle foci del fiume.

Dal 1609 il Paraguay prese un singolare sviluppo per opera dei Gesuiti che vi istituirono uno Stato ecclesiastico di carattere teocratico-sociale, in cui i bianchi non erano tollerati se non appartenevano all'ordine dei Gesuiti; escluso ogni altro. Nel 1620 della regione del Plata e di quella del Paraguay vennero fatti due distretti amministrativi separati.
Verso il 1600 dunque la dominazione spagnola si estendeva dalla Florida, attraverso il Messico, l'America Centrale e le Antille, su larghe zone della costa occidentale e dell'altopiano delle Cordigliere sino ad Osorno; e nel Venezuela, e nelle regioni del La Plata si propagava notevolmente verso est.
Il dominio era suddiviso in due vice-reami, quello della Nuova Spagna e quello del Perù. Al primo appartennero dal 1590 anche le Filippine e le Marianne che Magellano aveva scoperte. A causa dell'imperfezione dei metodi di misurazione geografica d'allora fu fin dall'inizio dubbio che questi gruppi di isole rientrassero nella sfera assegnata all'espansione spagnola o portoghese.

Carlo V lasciò la questione insoluta; ma Filippo II la risolse subito mandando una flotta ad occuparle; essa seguì la via dell'ovest. Dopo otto anni di lotta (1565-1573) gli spagnoli soggiogarono gli indigeni che loro contrastarono il campo solo nell'interno di Mindanao.
L'unione politica ed economica delle isole asiatiche con l'America contraddiceva ormai alla loro situazione geografica.

I METODI COLONIALI DEGLI SPAGNOLI

Se ci domandiamo come si sia comportata la Spagna fino alla fine del XVI secolo nel campo della colonizzazione, in cui teneva il primato, dobbiamo riconoscere che il popolo non mancò di prendervi grande interesse; lo spirito d'avventure cavalleresche insito nel sangue dei discendenti di quei guerrieri che avevano lottato con i Mori si sviluppò in alto grado; l'emigrazione nelle colonie fu rilevante, e verso il 1574 pare che nel Nuovo Mondo vivessero circa 150.000 spagnoli.
Ma l'ambiente che qui si formò fu giustamente caratterizzato da uno studioso con la frase: "una vecchia società in una nuova parte del mondo". Gli Spagnoli portarono
con sè in quelle terre vergini tutte le manchevolezze del loro ambiente nazionale, e sopra tutto il predominio della città sulla campagna e sul ceto agricolo. Essi si proposero unicamente di saccheggiare la natura e diventar ricchi il più rapidamente possibile, per ritornarsene in Europa con i tesori raccolti: non ebbero nessuna volontà di mettere in valore e sfruttare il suolo americano con un lento e organico lavoro e farsene una nuova patria.

Propriamente il solo Cortez concepì di dare al paese da lui conquistato una stabile organizzazione economica. I nobili spagnoli che affluirono in massa dall'Europa, abbandonarono ordinariamente l'agricoltura e l'installazione di fattorie ai missionari. Il clero fiutò subito la possibilità che qui vi era di accrescere la propria potenza col mezzo perseguito per tutto il Medio-Evo di concentrare nelle proprie mani il massimo della proprietà terriera.
Così le missioni fiorirono in America. Lo stato costituito dai Gesuiti nel Paraguay é una prova parlante di quanto fossero capaci di fare gli ordini religiosi. Se sotto costoro gli abitanti godettero di un certo benessere materiale, lo dovettero pagare con la perdita di ogni libertà d'azione. Qualsiasi iniziativa personale venne rigidamente soffocata. E l'assenza di ogni attività intellettuale trasformò il destino di questi paesi.
In tempi molto vrevi nelle Indie Occidentali e nella Nuova Spagna si venne creando uno stato di permanente ostilità tra i funzionari della Corona e gli ufficiali, tra militari e funzionari civili. Per principio i funzionari non furono mai tratti dalla popolazione creola, cioè dalle famiglie di piantatori che nel corso del tempo si erano ormai formate nelle colonie, ma vennero inviati sistematicamente dalla Spagna. Di modo che essi ignoravano le esigenze e le condizioni locali e si impegnarono soprattutto solo di mostrare ai creoli la loro potenza.

Ma un progresso coloniale é alla lunga impossibile senza autonomia amministrativa. Nella popolazione locale, sottoposta a perenne tutela, si spense ogni sentimento del bene comune e degli interessi collettivi. Ciascuno pensò soltanto a sé ed al proprio utile.
Dell'introduzione di istituzioni atte a promuovere il progresso del popolo non si ebbe neppure il minimo spunto. Non si formò un ceto medio, e ben presto non si ebbero che ricchi e schiavi.
Se qualcuno aveva la fortuna che le cose gli andavano un po' bene, subito si metteva a fare il «senor». Chiese e conventi pullularono come funghi dalla terra e si impadronirono di enormi estensioni di terreno sul quale tennero gli abitanti come schiavi.

Nel 1640 la città di Messico indirizzò una supplica al re di Spagna, pregandolo di non donare ulteriormente terre alla mano morta, perché altrimenti non ne sarebbero più rimaste per i privati. Si é calcolato che i possedimenti ecclesiastici raggiungessero l'80 % del suolo. Agli stranieri fu con ogni mezzo reso difficile l'ingresso o la permanenza nelle colonie; gli Spagnoli volevano il più possibile stare soli, e tener lontana la peste dell'eresia.

La città di Siviglia, dove era installata l'amministrazione pubblica per le Indie Occidentali, aveva quasi il monopolio del traffico commerciale con le colonie. La popolazione maschile, occupata nella navigazione, spesso si trovava assente in così alto numero che al forestiero la città faceva l'impressione di una comunità di donne. I lucri delle società commerciali erano elevatissimi: in media esse guadagnavano dal 100 al 300 %; ma con quali mezzi!
Invece di cercare nuovi mercati in Europa, esse limitavano l'importazione per tenere alti i prezzi e non facevano che un solo viaggio all'anno per l'America. Ne derivò che il trafficò l'oltremare non poté svilupparsi; nell'epoca del suo maggior fiorire sembra che ammontasse a non più di 27.500 tonnellate all'anno. Il deperimento delle colonie e l'enorme contrabbando divennero la cancrena della navigazione mercantile spagnola.

Un'altra piaga fu il commercio degli schiavi. Le cause del suo sorgere debbono ricercarsi nella poca voglia di lavorare, nella crudeltà e nell'ingordigia degli spagnoli. Costoro falcidiarono e ridussero così rapidamente di numero la popolazione indigena che già nel 1510 l'importazione di braccia dal di fuori era divenuto un mestiere lucroso. All'inizio i cacciatori di schiavi infierirono nelle piccole Antille e sulla costa della Florida, poi estesero la loro attività alle coste settentrionali del Sud-America e oltre. Per prevenire lo sterminio della. popolazione indigena dovette intervenire lo Stato, senza però ottenere gran che.
Più vasta della tratta degli Indiani si sviluppò la tratta dei negri. Essa cominciò a praticarsi nelle colonie portoghesi, dove già nel 1460 si iniziò l'importazione di negri dalla Guinea. Assunse poi maggiori proporzioni a datare dal 1517, quando Las Casas per motivi di umanità ottenne che fosse proibito nelle colonie spagnole il lavoro degli indigeni. Soprattutto i genovesi si attaccarono al nuovo ramo di commercio, mentre gli spagnoli si tennero quasi totalmente lontani dal vergognoso traffico.

Invece gli Inglesi lo trovarono ben presto così redditizio che nella pace di Utrecht (1713) fecero confermare espressamente dalle potenze europee la legalità del commercio degli schiavi. Non poche famiglie patrizie inglesi che diventarono modelli di distinzione per il modo di pensare e di contenersi nella vita debbono le origini della loro ricchezza alla caccia all'uomo eseguita dietro incarico dei loro antenati ed al traffico della merce nera.

L'oggetto principale dello sfruttamento delle colonie spagnole furono i metalli preziosi. Sopra tutto alla loro ricerca furono dovute le spedizioni dei conquistatori, per amor loro si sfidarono i tremendi pericoli delle esplorazioni terrestri e marittime. Ben presto però la corona pose la mano anche su questo prodotto delle colonie e lo dichiarò monopolio regio. L'oro che si potè estrarre del resto rimase per la quantità molto al di sotto delle esagerate speranze concepite e dopo breve tempo non se ne trovò nemmeno più.

Straordinariamente produttive invece si rivelarono le miniere d'argento, specialmente quelle del Potosi. Quanto argento sia immigrato in Europa nel XVI secolo é difficile dire anche con una semplice approssimazione. Un economista tedesco calcola che tra il 1521 e 1560 l'America abbia dato metallo prezioso per un valore di circa cento milioni di lire alla pari, mentre studiosi spagnoli ritengono ciò esagerato e stimano le entrate della corona tra il 1509 e il 1555 a non più di 22 o 23 milioni di lire alla pari.
Ad ogni modo la Spagna trasse ben poco beneficio da queste ricchezze, perché il denaro fu per lo più sperperato a scopi militari e non investito in impieghi redditizi ovvero adoperato a sviluppare la produzione nazionale. Tutt'al contrario anzi; gli impianti fatti dagli arabi per migliorare l'agricoltura in Spagna andarono sempre più alla rovina e il ceto cavalleresco si ingrossò enormemente a spese del buon ceto antico degli agricoltori, come ha dimostrato Lope de Vega nell'«Alcade di Zalamea
».

Neppure seppe la Spagna crearsi una industria propria. La maniera come venivano importati i metalli preziosi era la più sbagliata che si possa immaginare. Le navi cariche d'argento arrivavamo una sola volta all'anno; allora si verificava per un istante un grande movimento; ognuno cercava di trarre lucro dall'agognato carico, il denaro per così dire si distruggeva, e per tutto il resto dell'anno la vita economica si immobilizzava in attesa dell'arrivo del prossimo carico.
L'immigrazione dei metalli preziosi ebbe in generale effetti malefici. Nella Spagna i prezzi aumentarono smisuratamente e si mantennero alla stessa altezza anche quando l'argento americano era da un pezzo stato sperperato. Alla troppa abbondanza successe la penuria di moneta, la decadenza e paralisi del commercio e la miseria. Le conseguenze di questo mutamento nel mercato monetario si fecero sentire molto lontano fin nel cuore dell'Europa centrale.

nche in Germania a causa dello svilimento dell'argento i prezzi aumentarono più rapidamente dei salari. I commercianti e gli operai naturalmente pagarono le spese della lotta economica; le grandi città libere della Germania meridionale che avevamo perduto il commercio di transito, immiserirono a poco a poco. Persino nelle successive guerre dei contadini, cui la vendita del grano non rendeva più nemmeno quanto dovevamo pagare a titolo di censo ai padroni, perdurava l'eco di quel rivolgimento monetario che i conquistatori spagnoli avevamo provocato.

Invece i nuovi popoli in via di ascesa, gli olandesi e gli inglesi, costruirono navi snelle, rapide, facilmente manovrabili, adatte per la preda e la sorpresa, e con esse attaccarono in alto mare le pesanti, panciute carcasse dell'Armada spagnola e le depredarono del loro prezioso carico, portandoselo nei loro paesi più flemmatici e calcolatori dove servirono all'incremento delle fonti di ricchezza nazionale.

Se riassumiamo i risultati dei sistemi coloniali degli spagnoli troviamo che, nonostante gli immensi tesori rappresentati dal Messico e dal Perù, la Spagna e le colonie medesime immiserirono e andarono in rovina. Invece di procedere con criteri di buona economia, di godere sì, ma fecondare anche, gli spagnoli non fecero che prendere, e continuamente dissanguare; attuarono un solo sistema, quello della depredazione. La base di tutto, il lavoro, mancò completamente e questa mancanza pesò come una maledizione sulle sorti delle colonie. Gli immigrati non si fusero con gli indigeni, ma si mantennero separati come una superba ed ingorda casta di padroni che oppresse, soffocò le altre classi. Ovunque sistemi coercitivi, diffidenza, pretesa di sindacare tutto ed impedire iniziative personali: nulla, né commercio, né industria poterono svilupparsi.
Invano ogni anno la flotta carica d'argento veleggiò verso la madre patria; essa portò denaro, ma non fortuna. Il denaro andò sprecato, i prezzi aumentarono e il popolo si disabituò al lavoro. Gli spagnoli, seminando il disprezzo per gli altri, raccolsero odio. Ne derivò che da ultimo l'ira accumulata per secoli scoppiò, e le colonie insorsero contro i loro tiranni e spezzarono il giogo.

Ma esse erano figlie della madre patria,
troppo malate per poter costituire dei sani organismi statali.

Tuttavia questi forti contrasti e problemi
non fecero altro che stimolare altri Paesi
e quindi a iniziare pure loro la corsa verso altre scoperte

LE SCOPERTE NELLE REGIONI NORDICHE > >

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