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109 d - I COLONIZZATORI PORTOGHESI


I conquistadores, sempre con la spada in pugno, anche il lettiga

Alle scoperte che si succedevano una dietro l'altra, seguì naturalmente la colonizzazione e la conquista. Ma prima ancora che nel nuovo mondo, ancora poco esplorato ma dove potevano razziare solo i cattolici Spagnoli in base alla partigiana (cattolica) linea caetera, gli orrori nelle conquiste li iniziarono i portoghesi in Oriente. Nel favoloso Cipango (descritto in modo improprio da Marco Polo) ci volevano arrivare prima degli Spagnoli attraverso l'oceano indiano.

Occorreva impadronirsi dei tesori, sfruttarli al più presto possibile, anche a costo di distruggere una fiorente civiltà e sterminare interi popoli.
L'esploratore si trasformò in conquistatore. In un brutale conquistatore!

Allorchè, il 20 maggio 1498, Vasco di Gama raggiunse il porto di Calicut, questa città costituiva il più grande emporio commerciale della parte occidentale dell'India ed era capitale di uno del tanti Stati che si distendevano sulla colossale penisola. Gama trovò che il commercio era nelle mani dei maomettani e comprese che non sarebbe stato possibile impadronirsene che con la forza.

Nal frattempo altre flotte seguirono e da ultimo si stabilì un traffico quasi regolare. Nel 1500 arrivò in India Cabral, si intromise nei litigi fra i sultani locali, fondò le prime colonie commerciali a Calicut ed a Cocin e tornò in patria con immensi tesori di spezierie, perle e pietre preziose.
I suoi successi esaltarono l'entusiasmo per le imprese commerciali in oriente, ma nel tempo stesso andò crescendo l'opposizione e l'ostilità dei mercanti arabi. Costoro sobillarono le popolazioni contro gli stranieri, i portoghesi risposero con la prepotenza, e così si giunse alle armi.

Il primo che ne fece uso fu Vasco di Gama durante il suo secondo viaggio. Egli procedette con tremendo rigore; bombardò Calicut, sparse ovunque il terrore, approfittò delle gelosie dei principi indigeni per farsi dei partigiani, e nel 1503 ritornò in patria, lasciando in India una squadra, la quale però in gran parte fu distrutta da una terribile tempesta.
Vennero mandati rinforzi dal Portogallo. Il Samudrin di Calicut che attaccò la stazione portoghese di Cocin fu respinto, venne distrutta una flotta araba, e i portoghesi progredirono vittoriosi fin nel Mar Rosso.
La potenza portoghese in India era cresciuta già tanto che nel 1505 si poté nominare un viceré per le Indie. Fu Francisco d'Almeida.

La sua principale mira fu quella di assicurarsi il predominio sul mare, poiché, egli diceva, chi era padrone del mare era pure padrone delle Indie. Gravi minacce si addensarono contro di lui, perché tutti coloro che si vedevano danneggiati dalla penetrazione portoghese si allearono per liberarsene: i sovrani indiani, il sultano d'Egitto, i minori principi del Mar Rosso e del Golfo Persico, e sino ad un certo punto perfino i veneziani.
Ma la diffidenza reciproca impedì agli alleati di procedere con unità d'azione. La flotta degli egiziani, del governatore di Diu e del Samudrin furono sconfitte davanti a Diu ed in parte distrutte, in parte costrette alla fuga. Il predominio portoghese era assicurato.

Al d' Almeida successe nel 1509 come governatore Alfonso d'Albuquerque, cui fu concesso dalla sorte di elevare il Portogallo a potenza coloniale nelle Indie. Egli impersonò un altro indirizzo, quello della conquista territoriale o meglio dell'occupazione permanente e definitiva dei territori. Il suo motto fu: "L' India al Portogallo!"
Mica poco la pretesa di un Paese di 92.000 kmq nei confronti di un Paese di 3.258.000 kmq cioè 35 volte più grande!

Lo scopo doveva raggiungersi con la spada, con la costruzione di fortezze, di campi trincerati e con un governo rigido e sfruttatore. Da principio non fu fortunato. Obbedendo all'ordine del suo Re, attaccò Calicut, ma subì una completa disfatta. Intuì subito l'importanza di Goa, la quale, situata come era a nord sopra un'isola, si prestava splendidamente a farne il centro del dominio portoghese e la diga di sbarramento del traffico maomettano con l'Europa.

Due volte Alfonso d'Albuquerque conquistò la città e nulla poté resistere al suo impeto. Invano i principi indiani gli mandarono ambasciatori; l'inviato del sultano d'Egitto che si era mosso pure lui, ritornò al Cairo privo d'ogni speranza. Il commercio delle droghe dell'India anteriore cadde definitivamente nelle mani dei portoghesi. Ma essi non potevano vantare un vero monopolio finché rimaneva libera e in potere dei maomettani Malacca, il più importante mercato dell'India posteriore, il precursore dell'odierno mercato di Singapore. Volevano anche quello!

Malacca era, come Calicut, la capitale di uno Stato costiero (da non confondersi con Calcutta che è all'interno del golfo del Bengala) ed era protetta da un esercito, da una flotta e da centinaia di cannoni. Tuttavia Albuquerque ne ebbe ragione; vi eresse un forte, vi istituì una amministrazione ed un governo e fece tutto quello che era necessario per ridurre il commercio sotto il controllo portoghese; persino col Siam e con la China vennero iniziate relazioni commerciali. Tre navi raggiunsero l'agognata meta suprema: le isole delle droghe o Molucche.
Nel frattempo una spedizione contro Aden nel Mar Rosso fallì. Ma intanto le cose progredirono bene in India; Calicut dovette sottomettersi e l'antico fiorente commercio portoghese riprese. Dopo tutto questo, un ordine del Re chiamò Albuquerque davanti alla ricca Hormus sul Golfo Persico.
Albuquerque già prima aveva costretto la città a pagare un tributo, ma la distanza aveva fatto riprender coraggio a quella gente per sottrarsi al giogo. Ora Albuquerque comparve la seconda volta dinanzi ad Hormus e vi ristabilì con mano ferma il predominio portoghese.

Se non che quest'uomo era arrivato all'estremo delle sue forze. Colpito dalla dissenteria, dovette ritornare in India; qui ricevette la ingrata notizia che era stato esonerato dal suo ufficio e che gli era stato sostituito un altro.
Le continue calunnie ordite a suo riguardo avevano finalmente avuto il loro effetto sul Re. Col cuore spezzato Albuquerque morì nel 1515 a bordo della sua nave in vista di Goa da lui conquistata, in età di 63 anni. Nonostante l'ingratitudine del re, gli rimase fedele fino all'ultimo nè ebbe idee di vendicarsi per il torto subito.

Albuquerque fu uno degli uomini più eminenti che abbia prodotto il Portogallo; i connazionali lo soprannominarono il Grande. Alto nella persona, figura che incuteva rispetto, con una lunga barba bianca che gli scendeva fino alla cintola, egli era rigido, giusto, intraprendente, laborioso, tenace, difficile accontentare, pieno di ardore, sempre primo nelle battaglie e di fronte al pericolo, insomma un uomo d'azione, dai grandi propositi, ed un carattere immacolato in tempi corrotti.
Egli seppe con i modi affabili accattivarsi le simpatie di indu, maomettani e cinesi; anzi favorì i matrimoni dei suoi soldati con indiane. La sua memoria perdurò a lungo circondata della massima venerazione. Pur avendo sempre dinanzi agli occhi l'utile del suo paese, tuttavia la guerra non gli servì come porta della pace.

Ancora per qualche tempo ai portoghesi riuscì di progredire sulla via tracciata dal grande Albuquerque. Mentre a lui non era stato concesso che di conquistare Goa ed Hormus, dopo di lui poterono essere assoggettate alla sovranità portoghese Aden nel 1524 e la più importante Diu nel 1536.

Con ciò il Portogallo era giunto all'apice delle sue fortune. Vero è che questo stato di cose non durò molto, perché nel 1538 Aden andò nuovamente perduta. Il possesso di Malacca avrebbe aperto ai portoghesi la via degli arcipelaghi e dei grandi Stati dell'Asia Orientale, ma essi non ebbero forze sufficienti per approfittarne. Alcuni loro mercanti si stabilirono sulla costa del Coromandel, ma la parte settentrionale dell'India anteriore ne rimase press'a poco immune. Certo la conquista di Ceylon avrebbe rappresentato un notevole aumento di potenza se non fosse avvenuta troppo tardi, cioè soltanto nel 1597.

Un tentativo di insediarsi a Sumatra fallì, e quindi, per quel che riguarda in genere le isole, i portoghesi si accontentarono di esercitarvi il commercio, spingendosi fino alle Molucche, scoperte nel 1511. Solo quando comparve qui lo spagnolo Magellano e vi costruì un forte, i portoghesi fecero lo stesso. I due rivali poi vennero a battaglia, e i portoghesi ottennero il sopravvento.

Era intanto cresciuta l'importanza del commercio con la Cina; i portoghesi, cacciati da quel paese nel 1523, tornarono ancora, e nel 1557 ebbero il permesso di stabilire una colonia a Macao. Malgrado le non poche vessazioni da parte delle autorità cinesi, Macao prosperò e divenne un importante mercato, e mantenne questa sua posizione per lungo tempo; ma poi a poco a poco decadde sino a ridursi a una misera città frequentata solo dai frequentatori delle sue bische.

Persino il Giappone fu visitato dai portoghesi a datare dal 1542.

La vera e propria potenza portoghese nell'India durò cento anni, dal 1500 fin quasi al 1600.
Anche altrove i portoghesi avevano notevoli possedimenti coloniali. Sulla costa orientale dell'Africa il loro dominio si estendeva dall'equatore fino al Capo Correntes. Qui le loro piazze principali erano Mozambico e Mombasa. Siccome una parte dell'entroterra era ritenuta ricca d'oro si credeva che quei paesi fossero l'Ophir della Bibbia. Furono perciò tentate delle conquiste, ma invano.
Nell'Africa occidentale apparteneva al Portogallo soprattutto l'Angola. L'isola di Madagascar era già stata scoperta da Cabral e alcuni anni dopo fu pretesa dai portoghesi; ma essi non seppero trarre utile dalla grande isola e neppure mantenerla. Cabral scoprì anche il Brasile e ne prese possesso per il Portogallo, ma poi le cose non andarono più oltre perché le imprese delle Indie orientali assorbirono tutte le risorse della piccola nazione. Tuttavia vi si recarono dei mercanti portoghesi e di altra nazionalità, i quali constatarono la ricchezza del paese, specialmente in legno da tinta, e ne fecero un lucroso ramo di commercio.

Siccome poi i francesi cominciarono a gettare lo sguardo avido su quella regione, i portoghesi attestarono il loro diritto di proprietà fondando nel 1526 Pernambuco e nel 1546 Bahia, dove fu stabilito un governatore generale. Col tempo il valore del Brasile si andò sempre rivelando, ed allora olandesi, francesi ed inglesi all'inizio del XVII secolo si insediarono sulle sue coste, ma ne vennero scacciati.
Dal 1639 tutto il corso delle Amazzoni era da considerare territorio portoghese. Alcuni portoghesi vittime dell'Inquisizione, esiliati dalla patria, vi introdussero la coltura della canna da zucchero, ma le miniere di metalli e di diamanti non vennero seriamente prese in considerazione se non dopo il 1700.

Il dominio coloniale portoghese cresciuto enormemente dai suoi modesti inizi, cadde sotto il peso della sproporzionata sua vastità. I portoghesi non possedevano né i mezzi di guerra sufficienti né l'indole per tenere grandi domini transmarini. Il loro carattere nazionale, formatosi nelle lotte coi maomettani, ne faceva, più che dei mercanti, dei crociati che in ogni individuo non cristiano vedevano un nemico del proprio paese e della fede, e da ultimo caddero completamente sotto il giogo dei gesuiti.
Perciò la loro potenza coloniale si basava, non tanto sull'estensione dei territori posseduti, quanto sul monopolio del commercio marittimo e sui dazi di importazione. A ragione il titolo conferito dal Papa al Re di Portogallo fu quello di "signore della navigazione, delle conquiste e del commercio d'Etiopia, Arabia, Persia ed India".

I sostegni su cui poggiava la potenza portoghese erano isole fortificate, città cinte da mura, cittadelle robuste edificate nelle più importanti località costiere e navi da guerra che sorvegliavano il traffico commerciale escludendo da esso tutte le navi straniere.
Con i principi indigeni delle Indie i portoghesi cercarono al possibile di vivere da amici, ma si mostrarono aspri ed inconciliabili con i maomettani che odiavano doppiamente, perché nemici della fede e perché rivali nel commercio. Per sbarrare loro le antiche vie commerciali fin dal 1502 fu dalla madre patria costituita ed inviata una apposita squadra. I portoghesi ottennero così di essere gli esclusivi intermediari nel commercio delle droghe tra Oriente ed Occidente. Senza passaporto portoghese non era permesso ad alcuna nave di battere i mari indiani.

Agli indigeni i portoghesi concessero poco e spesso niente, ma da loro pretesero ed estorsero molto. Dediti a tutti i vizi, violenti sino alla brutalità, schiavi di una grossolana bigotteria, essi considerarono l'India come una semplice miniera d'oro, come un oggetto da sfruttare. I concessionari dei grandi monopoli, i funzionari avidi di lucro ed un irragionevole governo militare succhiarono il paese spesso fino al midollo. Essi divennero oggetto di odio e di disprezzo. Le guerre intestine non ebbero mai tregua.

Insomma la potenza portoghese si basò unicamente sulla paura e sulla violenza: propriamente essa era una pirateria in grande stile. Non può quindi destare meraviglia che quando arrivarono gli olandesi e gli inglesi siano stati salutati come liberatori da un giogo spirituale e materiale.
Anche alla madre patria il mare, se arrecò indubbiamente dei vantaggi, arrecò pure dei danni. Il mantenimento delle flotte necessarie per le Indie era una impresa superiore alla potenzialità del Portogallo. Si è calcolato che dal 1494 al 1506 andarono in India non meno di 104 navi, mentre non ne tornarono indietro che 72.

Benché il Re spingesse con ogni sollecitudine la costruzione di nuove navi, esse rimasero pur sempre inferiori al bisogno e resero difficile ogni spedizione di qualche importanza. Per riparare alla deficienza egli cercò di requisire navi al di fuori ed arricchì la flotta di navi appartenenti, non al governo, ma a privati commercianti. Queste ultime erano bensì al comando dell'ammiraglio regio e dovevano partecipare a tutti gli eventuali pericoli e combattimenti, ma esercitavano il commercio per conto proprio ed a proprio vantaggio per quanto sotto la sorveglianza dello Stato e dietro pagamento di determinate imposte. Anche i grossi negozianti dovettero essere chiamati a contribuire per rendere possibili le spedizioni di navi.

Il Portogallo non poté mai sanare questo squilibrio tra volere e potere. Ciò che guadagnava da un lato lo perdeva dall'altro a causa delle enormi spese. L'uso (dovuto al modo di comportarsi dei venti nel mare indiano) di inviare annualmente una sola flotta numerosa in India, invece di favorire una regolare rotazione di viaggi compiuti lungo l'anno da navi singole, ingorgava in certi momenti il mercato delle droghe e produceva improvvise cadute dei prezzi.
Per tenerli alti i Re attuarono una inesorabile politica monopolista che, a causa della partecipazione di privati ai viaggi, provocò una quantità di soprusi ed infiniti processi.

Per un certo tempo Lisbona fu la più forte rivale di Venezia; ma di questa non possedeva né l'intelligenza né la capacità. Essa dipendeva in gran parte da ricchi stranieri, soprattutto italiani e tedeschi, che si erano domiciliati entro le sue mura ovvero avevano fondato delle fattorie. Lentamente ma fatalmente essa decadde dal suo momentaneo splendore.
E quel che avvenne per la capitale avvenne per la nazione intera: la massa del popolo, rozza, bigotta e dissoluta, la cui semibarbarie é lamentata persino dal massimo poeta portoghese, non fu capace di elevarsi al disopra del proprio livello in modo duraturo.

Mancò una classe di funzionari onesta e leale: il popolo fu oberato d'imposte dallo Stato, e lo Stato a sua volta dissanguato dai suoi funzionari. Tutti cercavano di sfruttare sino all'esaurimento, e primo fra tutti il governo. Quando poi Filippo II acquistò il Portogallo i grattacapi coloniali portoghesi divennero grattacapi spagnoli, ed in Spagna di grattacapi ne avevano già troppi. Tutto perciò andò in rovina, non si riuscì mai a superare il Medio-Evo e fu inevitabile soccombere, travolti dal torrente dei tempi nuovi.

Ma se i portoghesi erano stati brutali, incapaci e poco intelligenti
Gli Spagnoli nel Nuovo Mondo li superarono,
la febbre dell'oro e l'avidità delle ricchezze li aveva accecati

LE CONQUISTE SPAGNOLE > >

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