GUERRA MONDIALE - ITALIA 1943-44 


LE REPUBBLICHE

DELL'ITALIA PARTIGIANA
(la storia) (la mappa)

1944 - Nelle zone che il Corpo volontari della libertà aveva liberato dai nazifascisti venivano create leggi
segnate dallo spirito della futura Costituzione


di FRANCO GIANOLA

Le Repubbliche partigiane furono isole di libertà cresciute nel mare delle armate tedesche che avevano coperto l'Italia poco dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.

Dall'utopia alla realtà. Sogni di democrazia trasformati in vita vissuta per pochi giorni o per un paio di mesi dell'angoscioso 1944, l'anno in cui la seconda guerra mondiale raggiunse il suo apice di ferocia.
Laboratori dove vennero sperimentate le prime mini-costituzioni e si tentò di rimettere a punto la macchina della civiltà liberale. Momenti di storia con luci e ombre, entusiasmi e paure.

I presupposti della loro formazione nascono dal precipitare degli eventi sul teatro di guerra italiano. Il 18 maggio del 1944 le truppe alleate sfondano lo schieramento tedesco a Cassino. Al nord si avvicina la data di scadenza della chiamata alle armi sotto i gagliardetti della Repubblica sociale italiana: entro il 25 maggio Mussolini vuole riavere le sue legioni ma molti giovani disertano e raggiungono le formazioni partigiane.

Il 4 giugno a Roma, lungo i Fori imperiali, sfilano le colonne corazzate inglesi e americane. E' un giorno storicamente importante ma anche di grande valore psicologico e simbolico.

La caduta della capitale induce all'entusiasmo e a previsioni ottimistiche: la liberazione del nord è vicina, basta attendere una manciata di giorni ed è cosa fatta. Il 14 giugno, sull'onda di questi avvenimenti, il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai) lancia l'appello all'offensiva generale che deve dare - dice il documento - "la prova storica dell'occupazione del popolo italiano al nazifascismo… della sua riabilitazione davanti al mondo intero".
Nel programma del Clnai la fase conclusiva della lotta deve trovare pronti gli italiani alla gestione del potere amministrativo e politici. Ecco, dunque, la disposizione di creare dei governi nelle zone liberate dalle formazioni partigiane che agiscono nei territori ancora occupati dall'esercito tedesco e da quello fascista.
Le "Giunte popolari comunali", le "Giunte popolari amministrative", le "Giunte provvisorie di governo", i "Direttorii", i "Comitati di salute pubblica" (sono le definizioni principali dei governi che guideranno le repubbliche) saranno i primi ed effettivi banchi di prova della nuova classe dirigente antifascista.

Ma il progetto si scontra con una realtà imprevista. L'offensiva alleata subisce una battuta d'arresto che mette il Clnai e il Corpo volontari della libertà (Cvl) in una situazione politico-militare estremamente difficile. Sui tempi lunghi la guerra di liberazione diventa pesante e lo stato d'animo delle popolazioni subisce un contraccolpo negativo: la gente comune vede le truppe tedesche solidamente attestate sulle loro posizioni e questo è motivo di paura. Inoltre la forza dei gruppi antifascisti periferici si rivela inconsistente, il che non è certo un presupposto positivo per una rapida riorganizzazione civile dei comuni liberati dai partigiani; nei paesi sono quasi del tutto assenti i comitati di liberazione nazionali e i partiti.

Quest'ultimo aspetto della situazione fa sì che nella storia delle "zone libere" spesso il governo venga inevitabilmente assunto dalle formazioni partigiane attraverso i comandanti militari e i commissari politici, specie in "quelle plaghe montane che parevano precluse ad ogni vita attiva, dove vivevano genti che il fascismo aveva tenuto nell'ignoranza perché non conoscessero i loro diritti e non trovassero la via per difenderli" (dalla pubblicazione clandestina
"Il combattente" del 21 luglio 1944).

Tuttavia la soluzione viene accettata come transitoria, poiché è pieno contrasto con i principi e la linea politica del Clnai che vede la Resistenza non soltanto come un fatto politico-militare, ma anche come un episodio storico del quale dev'essere pienamente partecipe la popolazione civile.
Lo ribadisce nel gennaio 1944 Luigi Longo, vice-comandante del Corpo volontari della libertà, comandante generale delle Brigate Garibaldi e membro del Clnai, chiedono ai partigiani che presidiano intere zone del Cuneese, della Valsesia, del Friuli e dell'Emilia di "esercitarvi sistematicamente il potere dando autorità al popolo".

Le prime repubbliche nascono in questo zodiaco di incertezza, difficoltà, contraddizioni, confusioni.

Un esempio tipico è quello della Val Ceno dove non si va molto oltre il presidio del territorio, malgrado, come si legge in un dattiloscritto dell'archivio del Clnai, "in ogni Comune siano stati nominati democraticamente un sindaco e un consiglio municipale". Le ragioni di questo fallimento si comprendono leggendo la relazione di un comandante partigiano della Garibaldi, relazione firmata semplicemente Ferrarini: "I sacrifici di lunghi mesi di montagna, la mancanza di una buona preparazione politica, l'eterogeneità delle forze, hanno reso un po' acri i rapporti tra i garibaldini e la popolazione civile. La povertà dei mezzi dei nostri patrioti, la scarsa sensibilità politica dei montanari della zona, la loro paura per un eventuale rastrellamento non hanno permesso una cordiale convivenza e quindi la liberazione si è trasformata in una vera occupazione"

Nella "zona libera" del Val Taro non esiste traccia di governo democratico.
Il 13 luglio 1944 La Nuova Italia, che nella sotto testata si definisce "Giornale del territorio libero del Taro", fa una constatazione indicativa: "Elementi iscritti e militanti tra le file del partito fascista repubblicano sono ancora nelle amministrazioni comunali della zona. Un provvedimento radicale per evidenti ragioni di necessità pratica non è stato opportuno attuare. Codesti signori sono rimasti ai loro posti solo per la magnanimità dei patrioti, non per altro".

Ma nelle altre aree i risultati sono più positivi. Nelle Valli di Lanzo il comando della II divisione Garibaldi, non appena preso possesso della zona, lancia un appello ispirato alla linea dettata dal Clnai: "Le amministrazioni fasciste debbono essere sostituite da nuove amministrazioni democratiche, vere rappresentanti degli interessi della popolazione". In questa zona appare le figura del commissario civile che, in posizione autonoma rispetto ai comandi militari e ai commissari politici, prende contatto con le personalità più rappresentative dei vari centri della zona e forma le Giunte popolari comunali (Gpc).

L'esperienza della repubblica di Montefiorino ha connotati più precisi.
Anche qui l'iniziativa parte dai comandi partigiani. Nell'Appennino modenese e reggiano vengono gettate le fondamenta delle giunte consultando la popolazione attraverso le assemblee dei capifamiglia che sono chiamati a pronunciarsi su una serie di nomi concordati fra commissari politici e comandanti militari. Non si tratta di vere e proprie elezioni ma la situazione non lascia altre alterative. "Non possiamo ancora dire - si afferma in una relazione del 14 luglio 1944, trovata nell'archivio dell'Istituto Gramsci, Fondo Garibaldi-Emilia Romagna - che le masse di queste località comprendano l'importanza delle elezioni, della nomina di questi poteri popolari locali… per diversi il sindaco è ancora visto come una specie di podestà" (Per i nostri lettori più giovani ricordiamo che il podestà, durante il periodo fascista, era il "dittatore comunale" e quindi aveva pieni poteri).
Va sottolineato tuttavia, anche se si procede con metodi empirici, che quando accade è un recupero di vita democratica: si affermano l'autonomia, l'indipendenza e la libertà del potere civile.
Indicativo in questo senso il verbale della prima seduta della giunta di Montefiorino: "L'avvocato Mussini, richiamandosi alla legislazione vigente fino al 1921 ed ai principi democratici, esprime il concetto che l'amministrazione comunale, in quanto rappresenta l'espressione e la volontà del popolo, deve riprendere il carattere di autarchia nel senso più lato della parola".
E' chiara la rivendicazione delle autonomie locali abolite dalla legislazione fascista, com'è chiaro che questa rivendicazione è diretta anche nei confronti dei comandi partigiani.

"Pur entro i limiti visti la 'repubblica' di Montefiorino, anche per la sua precocità (le Gpc si formano qui negli stessi giorni in cui si emanano le direttive generali del Clnai e del Cvl), rappresenta un capitolo importante nella storia delle zone libere, un punto di riferimento costante per le esperienze future. Ma in altri territori questi orientamenti restano allo stato di intenzioni. I propositi di passare dal controllo militare all'organizzazione politica non si realizzano che in minima parte e la zona di fatto non si costituisce. "Caso esemplare quello della montagna imperiese.
Qui le difficoltà di ordine politico si rivelano particolarmente ardue, né i comandi partigiani riescono ad averne ragione… ma non è tanto l'ostilità latente verso determinati orientamenti di partito quanto la concreta esemplificazione di un chiuso mondo contadino che istintivamente si ritrae di fronte ad ogni precisa sollecitazione di ordine politico"
(da
Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane di Massimo Legnani, Milano 1978).

Il riferimento di Legnani all'imperiese porta a ricordare la brevissima storia della repubblica di Pigna, un piccolo centro delle Alpi marittime che viene liberato il 5 settembre 1944 da una formazione garibaldina. Praticamente nello stesso giorno un gruppo di cittadini comincia a elaborare gli ordinamenti democratici e a formare gli organismi che guideranno la repubblica.
Ma questo "periodo esaltante", come viene definito in un libretto commemorativo edito dall'Istituto storico della Resistenza di Imperia, dura pochi giorni. Il 18 settembre i tedeschi danno il via a una massiccia azione di rastrellamento che parte dal fondovalle. Da questo momento Pigna resta una repubblica soltanto sulla carta: l'8 ottobre la macchina militare germanica ha ragione delle formazioni partigiane, che sono costrette alla ritirata per attestarsi su posizioni più interne, e Pigna cade nelle mani dei nazifascisti. "Le case bruciano dopo il bombardamento da sembrare il finimondo in Pigna e fuori a Buggio, bruciano divampando dai vicoli e crollano. Allora le donne da sole arrancano con la schiena dritta verso la baite e ancora più su portandosi tutto nei fagotti coi bimbi piccoli aggrappati alla gonna".

Mentre Pigna vive la sua brevissima vita, nel vicino Piemonte nasce la repubblica dell'Ossola. Nello stesso giorno dell'occupazione di Domodossola (10 settembre 1944) il comandante della divisione Val d'Ossola insedia la giunta di governo. Non è la procedura indicata dal Clnai ma anche in questo caso il comando partigiano ha a che fare con l'assenza e l'inefficienza dei comitati di liberazione nazionale e la disorganizzazione dei partiti. La partenza teoricamente poco ortodossa non compromette, in sostanza, la validità dell'esperienza ossolana. La giunta infatti dà in tempi brevi la dimostrazione dell'ampiezza e della filosofia con le quali interviene nei diversi settori. Non si limita alla normale amministrazione e, mentre provvede a rimettere in moto la macchina organizzativa, imprime alle proprie decisioni una fisionomia decisamente innovatrice. Nella riorganizzazione dell'attività scolastica e della giustizia supera la visione municipalistica e tende a inserire ogni provvedimento in un disegno governativo di ampio respiro che, mentre rimuove la legislazione fascista, afferma con chiarezza i principi democratici dai quali prende le mosse. Naturalmente il terreno socio-politico sul quale si lavora è irto di difficoltà e le manchevolezze (che un'analisi realistica deve dare per scontate) sono inevitabili.

Le sottolinea Giancarlo Pajetta, inviato in loco dal partito comunista come osservatore, in un rapporto del 3 ottobre: "Apparve subito l'insufficiente carattere popolare delle amministrazioni (quelle dei piccoli centri:ndr) e l'errore di impostarle sulla rappresentanza dei partiti. In piccoli villaggi nei quali alcuni partiti erano ignorati e tutti non organizzati, chi volle salire al potere dovette scegliersi sui due piedi un partito, e bastò che uno si dichiarasse rappresentante di un'organizzazione politica ignota ai suoi concittadini perché diventasse membro della Giunta in rappresentanza di quella organizzazione. Non fu capito che proprio la scarsa vitalità dei partiti imponeva l'organizzazione del movimento di liberazione su una base che non fosse esclusivamente politica".

Infatti l'aspetto politico, nella breve storia delle repubbliche partigiane, non è quello di maggior rilievo: lo scoglio difficile è rappresentato, per i residenti e per i partigiani, dal problema economico e dai rifornimenti.
E' un problema che influisce anche sulla strategia della guerriglia.
Nella
Storia della resistenza italiana (Torino 1964) Roberto Battaglia ricorda: "L'estrema povertà di mezzi spinge le formazioni, appena si sono date un aspetto organico, ad occupare il territorio più ricco, più idoneo a essere utilizzato come base di rifornimenti, specie alimentari, e a contrastare quindi il passo alle formazioni più vicine, a considerarle come pericolosi concorrenti alle preziose (e spesso uniche!) fonti di vita". La zona libera diventa così un centro di attrazione non solo per i partigiani, ma per le loro famiglie e per i civili in genere. Tendono a trasferirsi nel territorio anche i contadini con i buoi e con le greggi delle pecore e delle capre: tutti sono certi che i paesi della repubblica siano definitivamente liberati.

Questo atteggiamento ottimistico si rovescia quando, bloccati gli eserciti alleati sulla Linea Gotica, appare chiaro che ci si deve attendere un altro inverno sotto l'occupazione tedesca. Cambia il rapporto della popolazione con i partigiani, nasce l'ostilità legata a due elementi: la paura delle rappresaglie nazifasciste e la progressiva pesantezza dei prelievi alimentari e di altri generi, che i partigiani sono costretti a fare per ragioni di sopravvivenza. Se la repubblica di Montefiorino, che si trova su un territorio agricolo ricco, non risente particolarmente di questi prelievi, molto differente è la situazione nelle repubbliche a economia depressa come l'Ossola e la Carnia.
"Urge il grano che smuoverà certamente quel resto di apatia nella gente", scrive nella sua relazione un responsabile politico nel territorio carnico. I rifornimenti, ovviamente, non sono facili: la repubblica è un'isola circondata dalle truppe germaniche e dalle formazioni della Repubblica di Salò. In una lettera pubblicata dal giornalista e storico friulano G.A. Colonnello si scrive che, poco dopo la creazione della zona libera, verso il basso Friuli e il Trevigiano "inizia un vero esodo di centinaia di carnici alla ricerca soprattutto di cereali". A parte i problemi di questo genere la repubblica di Carnia dimostra in particolar modo l'importanza dell'esperienza, la validità del lavoro di autoricostruzione democratica. Certo non mancano le resistenze che nascono dalla cultura tradizionale e dai gruppi di conservatori che vogliono uscire dal periodo fascista ritornando semplicemente alla vecchia società pre-fascista del 1921.

Viene infatti fortemente contrastata e infine battuta la posizione congiunta del partito d'azione e del partito comunista nella quale si afferma che nelle elezioni dei comitati di liberazione locali "tutta la popolazione bisogna far intervenire e soprattutto tutta la gioventù e tutte le donne. Quello di limitare il diritto di voto ai capifamiglia è un sistema antidemocratico, un sistema patriarcale in decadenza".
Avversari decisi di questa proposta sono soprattutto i cattolici. La partita si risolve con un compromesso: concessione del voto consultivo, tranne sui problemi riguardanti le categorie direttamente interessate. Tuttavia la dialettica democratica compone e assembla polemiche e divergenze porta a risultati positivi. Lo dimostra la
"Relazione della Giunta di governo della zona libera della Carnia nel periodo settembre-ottobre 1944", scritta da Celestino (Nino Del Bianco), esponente del partito d'azione e membro della giunta. "Facevano inoltre parte del governo le organizzazioni di massa perché si riteneva che per la loro stessa struttura fossero le più adatte a lievitare il popolo ed a farlo più intensamente partecipare alla nuova vita democratica del paese. In ogni Comune venne eletta la Giunta popolare comunale. Il numero di membri variava da cinque a undici, a facoltà della popolazione, più un referente militare, designato d'accordo tra le formazioni partigiane, che aveva funzioni di collegamento tra l'autorità civile e militare. Elettori tutti i cittadini di sesso maschile aventi più di ventun anni, candidati tutti i cittadini di sesso maschile aventi pure superato il ventunesimo anno di età".

La giunta di governo si trova davanti a problemi di non facile soluzione ma, sia pure entro i limiti del possibile, si arriva alla riapertura delle scuole, alla riorganizzazione dei rifornimenti alimentari. I decreti toccano tutti i settori: amministrazione della giustizia attraverso il tribunale del popolo; costituzione della polizia; gestione delle foreste; manutenzione delle strade. Particolarmente interessante il decreto finanziario del 30 settembre-1 ottobre 1944: "La Giunta di governo fece un decreto nel quale venivano abolite tutte le imposte e tasse esistenti e veniva ordinata un'imposta straordinaria sul patrimonio per le spese di gestione della vita civile. Questa imposta partiva dai valori di lire 200.000 (2%) valore dicembre 1939 e arrivava progressivamente al valore di 1.000.000 (8%). Per i patrimoni superanti tale importo la giunta di governo decideva caso per caso. Le liste dei beni venivano fatte dalla giunte popolari comunali e controllate dai comitati di liberazione locali. Il decreto dava quindici giorni di tempo per il pagamento e in tal modo non ci fu il tempo di controllarne gli effetti".
"Non ci fu il tempo" perché la data di scadenza coincide con l'offensiva tedesca contro le zone libere. Assieme alle altre crolla anche la repubblica di Carnia. E' la fine di un'esperienza che, pur brevissima, resta nella memoria storica di quanti l'hanno vissuta direttamente. In questa memoria c'è già l'embrione della futura Costituzione italiana.

 

 

Vedi: La mappa delle repubbliche principali partigiane
che vennero formate in Italia nel 1944


IL PARERE DI UNO STUDIOSO
DI STORIA DELLA RESISTENZA


Il professor Massimo Legnani s'è laureato in lettere a Milano ed ha insegnato storia del secolo XX all'università di Bologna. E' stato direttore scientifico all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia ed ha diretto la rivista dell'Istituto, Italia contemporanea.
Questa intervista è stata rilasciata alcuni anni orsono, prima della scomparsa dell'illustre studioso.

Professor Legnani, quale contributo hanno dato allo spirito della nostra Costituzione le "piccole Costituzioni" delle repubbliche partigiane?
"Credo abbiano dato un contributo non indifferente, se lo interpretiamo non tanto come sperimentazioni concrete quanto come spinte ideali cioè come proposizioni di spinte future. "Se pensiamo ad esempi come la zona libera della Carnia, le repubbliche dell'Ossola e dell'Alto Monferrato, sicuramente rintracciamo, a livello giuridico, fiscale, scolastico e in generale a livello degli ordinamenti locali, piccole sperimentazioni di temi, di tensioni riformatrici che poi hanno lasciato una traccia anche nel lavoro preparatorio del futuro assetto costituzionale. "Una cosa direi, comunque: il minimo comun denominatore che tiene legati questi vari aspetti è uno spirito fortemente autonomistico, cioè il desiderio di far valere le scelte dei cittadini, degli amministrati, insomma".

Come reagiva la popolazione locale, abituata alla dittatura, di fronte all'esperienza democratica?
"Si deve innanzitutto tener conto del fatto che spesso i civili percepivano i caratteri eccezionali della situazione, si rendevano conto che anche le repubbliche erano delle costruzioni precarie rispetto all'andamento complessivo della guerra. "Direi che le risposte a questa domanda sono due: da una parte si registra una calorosa adesione, soprattutto in quelle zone dove c'è una forte presenza, nelle formazioni di partigiani con la società locale; dall'altra parte, dove questo legame non esiste o è molto debole, l'atteggiamento della maggioranza della popolazione è molto circospetto, soprattutto per ragioni di carattere economico: le formazioni partigiane avevano ovviamente problemi di approvvigionamento e ciò presupponeva la spartizione delle limitate risorse esistenti… questa dialettica legata alle condizioni materiali spesso determinava climi psicologici che incidevano negativamente sui rapporti politici".

Quale fu la "piccola Costituzione" più illuminata, più avanzata?
"Il problema degli ordinamenti di queste repubbliche è legato alla presenza o meno, tra le formazioni partigiane o tra i Comitati di liberazione nazionale, di personalità politiche di alto livello o per lo meno di grossa notorietà. "Di solito si cita l'Ossola, come esempio di repubblica partigiana particolarmente evoluta e dotata di ordinamenti anche complessi, e sicuramente l'indicazione è giustificato. Ma questo carattere è dovuto al fatto che nell'Ossola agivano personalità politiche di livello nazionale, come il democristiano Malvestiti e il comunista Terracini, personaggi di diversa estrazione politica ma tuttavia professionisti, diciamo, con una visione più profonda e complessa delle cose e per questo in grado di produrre risultati migliori".

Come veniva amministrata la giustizia nelle repubbliche partigiane? Veniva applicata la pena di morte?
"Le disposizioni nazionali del movimento prevedevano l'irrogazione della pena capitale in alcuni casi: in primo luogo nei confronti delle spie, poi nei confronti dei tedeschi e dei fascisti che si fossero macchiati di reati tali da configurarli come criminali di guerra. "Per quanto riguarda la giustizia spicciola mi rifarei all'Ossola, dove furono celebrati diversi processi per reati comuni cercando di applicare in modo elastico, duttile, le disposizioni penali vigenti".

Nella repubblica partigiana che posizione aveva la donna? Com'era considerata?
"Penso che su questo tema si debba fare lo stesso discorso che si deve fare per la Resistenza nel suo complesso. Senza dubbio c'era una partecipazione femminile, senza dubbio questa partecipazione era sollecitata. "Ci sono stati casi innumerevoli non solo di donne partigiane (di solito si pala soprattutto delle staffette) ma anche di donne che all'interno delle formazioni partigiane ebbero ruoli di comando. Per l'Ossola posso ricordare Gisella Floreanini, membro del governo della Val d'Ossola, che poi fu anche deputato al Parlamento per diverse legislature. "Ma debbo dire che sostanzialmente c'è una bassa sensibilità sul problema del nuovo ruolo della donna nella società. Tant'è vero che dopo la liberazione, la maggioranza delle donne, che pur avevano espresso un impegno politico e nella lotta armata, di fatto rifluirono nella vita familiare. E le eccezioni non furono molte, indubbiamente pesavano elementi di tradizione e di cultura. Di conseguenza è difficile trovare anche nella documentazione prodotta dalle organizzazioni partigiane un qualcosa, documenti, prese di posizione su questo tema che andassero al di là della mobilitazione del momento".

FRANCO GIANOLA

Bibliografia
* Il combattente, pubblicazione clandestina - Numero del 21 luglio 1944
* La Nuova Italia, giornale del territorio libero del Taro - Numero del 13 luglio 1944
* Fondo Garibaldi-Emilia Romagna, archivio dell'Istituto Gramsci - Documento con data del 14 luglio 1944
* Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane, di Massimo Legnani, Milano 1978
* Storia della resistenza italiana, di Roberto Battaglia - Ed. Einaudi, Torino 1964
* Relazione della Giunta di governo della zona libera della Carnia nel periodo settembre-ottobre 1944, di Celestino (Nino Del Bianco), archivio dell'Istituto storico per la resistenza - Udin
e

Questa pagina
(e solo per apparire su Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net

La mappa delle repubbliche principali partigiane
che vennero formate in Italia nel 1944


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