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LA NOBILTA'  (Nascita)


CORONE, BLASONI  E NOBILTA'

di MICHELE DUCAS PUGLIA
http://www.rivstoricavirt.com/main.html

SOMMARIO: 
UN' ANTICA LEGGENDA; IN GRECIA; A ROMA; FRANCHI E GERMANI; 
LA NASCITA DEI TITOLI; 
LA CAVALLERIA; IL PATRIZIATO; GIOSTRE E TORNEI; L'ARALDICA; GLI STEMMI; LE CORONE; MOTTI E IMPRESE; LA SITUAZIONE ITALIANA DOPO IL 1922; EPILOGO.

UN' ANTICA LEGGENDA

Un'antica leggenda nordica narra del dio Heindel che da tre diverse donne ebbe tre figli i quali furono i capostipiti delle tre categorie sociali. Thraell, il servo che aveva ruvide le mani e la faccia, curve le gambe e la schiena, grosse le dita. Karl il contadino rosso di capelli e di viso. Jarl, il conte dai chiari capelli, dalle guance lucenti e dagli occhi acuti come quelli di un giovane drago. Thraell spos� Tir, una fanciulla dal naso camuso e, tutti i suoi figli e nipoti furono schiavi come lui. Karl spos� S�or ed ebbe una lunga discendenza di contadini. Jarl, che sin da bambino si trastullava con le armi, conquist� terre e accumul� ricchezze, spos� la saggia Erna che gli diede molti figli, che conservarono di generazione in generazione il dominio e la signoria Il concetto di distinzione tra classi sociali � antico quanto l'uomo. In India, quando 2000/1500 anni a.C., un gruppo di guerrieri nomadi, gli Arya, avevano sottomesso la sua parte settentrionale e il Pakistan, (1), istituirono le caste: quella dei sacerdoti (brahmana), dei guerrieri o nobili (rajanya kshatriya) e degli uomini liberi che non erano discendenti n� dei sacerdoti n� dei guerrieri (2).

1) E' il caso di ricordare che l'idea della razza dominante collegata con questa migrazione � dovuto ad un errore storico, vale a dire all'erronea interpretazione del libro pubblicato nel 1926 e diventato all'epoca famoso (The Aryans), scritto dall'archeologo australiano Gordon Childe, sull'archeologia linguistica, il quale faceva derivare tutte le lingue da un unico ceppo. Questo libro era collegato con un precedente studio (1902) condotto da Gustav Kossinna, sulle origini preistoriche linguistiche, il quale aveva avanzato la teoria secondo cui l'espansione di un gruppo aveva determinato l'ampia dispersione degli indoeuropei in Germania. Da questi studi teorici, i nazisti giunsero alla conclusione che gli ariani alti e biondi avevano conquistato e sottomesso gli indigeni di pelle scura, e sarebbero stati poi i capostipiti della razza indoeuropea, con la conseguenza della superiorit� di quella germanica.
2) Successivamente questa divisione and� trasformandosi, assumendo tutt'altro significato che aveva portato alla tragica conseguenza della divisione della societ� in caste in cui quella che originariamente degli uomini liberi era diventata dei paria. Erano coloro che esercitavano i mestieri pi� vili facchini, minatori, spazzini, cuochi. Costoro, contrariamente a quanto si ritiene, non erano gli ultimi della gerarchia. Gli ultimi erano gli intoccabili considerati i fuori casta o senza casta. Ora queste caste sono state abolite, ma i pregiudizi rimangono!.

 

IN GRECIA

Nell'antica Grecia, tutte le famiglie reali si vantavano di discendere da Zeus, capostipite comune. Durante la dominazione degli Achei (XV sec. a.C.), il lavos, vale a dire il ceto dei nobili-guerrieri costituiva l'aristocrazia che originariamente esercitava la sovranit� sui paesi conquistati, e, l'assemlea degli anziani era formata dai capi delle famiglie pi� antiche e potenti. A Sparta, per un determinato periodo, il potere fu diviso tra le due famiglie aristocratiche (diarchia) che vantavano una genealogia divina, gli Agiadi e gli Euripontidi

A ROMA

A Roma erano i patrizi (patres) ad esercitare le funzioni pubbliche e ricoprire tutte le cariche dello Stato. Con la cessazione delle lotte tra patrizi e plebei, venne a sorgere accanto alla classe dei patrizi di nascita un altro tipo di patriziato, quello costituito dagli homines novi, vale a dire dei plebei che raggiungevano il consolato e ricoprivano una delle cariche curuli.
I romani avevano molto sviluppato il senso del gruppo familiare, della gens e del vincolo di sangue che la univa, vincolo peraltro diffuso presso tutti i popoli, siano essi civili come i greci, che allo stato barbarico come i Tartari, tra i quali (dice Gibbon), gli infimi e i pi� ignoranti conservano con coscienza e orgoglio, il tesoro inestimabile della loro genealogia, e, per quante distinzioni di rango si possono essere introdotte per l'ineguale distribuzione delle ricchezze pastorali, essi si rispettano reciprocamente come discendenti del primo fondatore della trib�.
La gens romana, raccoglieva tutti coloro che si vantavano di discendere da un capostipite comune che poteva essere individuato dal nomen. I membri della gens infatti, avevano un praenomen che era il nome individuale; il nomen che era quello gentilizio o agnatizio, vale a dire della gens e il cognomen, che contraddistingueva la famiglia in seno alla gens; p. es. Quinto Fabio Massimo si ricollegava alla gens Fabia e Massimo, era il nome della famiglia d'appartenenza. La gens raccoglieva numerosissimi gruppi familiari; p. es. la gens Cornelia, alla quale apparteneva Lucio Cornelio Scipione, faceva capo le famiglie dei Lentuli, dei Silla, dei Cinna, dei Cassi e dei Colabella. Una famiglia cos� formata aveva evidentemente tutti i numeri per raggiungere posizioni di ricchezza, potere, nobilt�..
Per avere un'idea del numero dei componenti di una gens, Engels riprende (da Tito Livio) l'episodio della gens Fabia che nel 300 dopo la fondazione di Roma, aveva intrapreso una spedizione punitiva contro Veio ed era stato raccolto un numero di 306 discendenti dallo stesso capostipite. Tutti erano stati uccisi in un'imboscata; si era salvato un solo giovanetto che avrebbe poi perpetuato la "gens". In seno a questa, vi era anche la tendenza ad incrementare il gruppo con le adozioni. Infatti, quando questa tendeva ad assottigliarsi, s'incrementava con questo sistema; ci� si era verificato tra la gens Giulia, Claudia e Domizia: Nerone era stato adottato da Claudio; Tiberio aveva adottato Germanico-Cesare figlio di Druso, per non parlare della famiglia degli Antonini, o, nell' Impero d' Oriente, dei successori di Giustiniano.

 

FRANCHI E GERMANI

Presso gli antichi Germani, quello degli adelingi era il ceto pi� elevato degli uomini liberi, ritenuti di origine divina e di capacit� sovrana. E di origine divina erano considerati i Franchi Merovingi, sui quali fiorirono tante ipotesi e teorie, (anche esoteriche) collegate con il Graal. Alcuni studiosi i interpretano il Santo Graal come Sang-Raal/Sang-Real cio� sangue reale, ritenendo che questa storia vada collegata con i Merovingi che discenderebbero cos� da Ges� Cristo, il quale era di sangue reale perch� discendente dal re Davide e dalla Maddalena (Maria di Magdala), che sarebbe stata sua moglie, anch'essa di nobile origine e sposata nelle famose nozze di Cana. Ges�, poi, non sarebbe morto sulla croce, ma si sarebbe imbarcato con la moglie e uno o pi� figli, per la Francia. Nei Merovingi, quindi, si sarebbe perpetuata la stirpe di Ges�.

LA NASCITA DEI TITOLI

Il periodo aureo che vede il sorgere e l'istituzionalizzazione dei titoli nobiliari e dell'arte araldica � il medioevo.
I primi titoli sorgono in rapporto all'amministrazione di territori, province e citt�. Presso i Longobardi troviamo il titolo di duca che costituisce la pi� alta carica subito dopo il sovrano. Quando Alboino aveva conquistato Cividale del Friuli (VI sec) aveva concesso al nipote Gisulfo il titolo e gli onori di duca del Friuli. Cos� man mano che continuavano le conquiste longobarde erano nominati dei duchi che governavano le citt� e i territori conquistati (3).
Presso i Franchi troviamo il conte, derivato dal comes il comandante di origine romana, e il marchese.
Queste cariche furono istituite da Carlo Magno il quale conquistando nuove terre, ne affidava l'amministrazione ai conti, e le marche erano distretti militari di confine, i cui comandanti erano i marchesi, sotto Carlo Magno erano otto (la Marca di Bretagna, quella di Spagna, il ducato (ex longobardo) di Spoleto, del Friuli, dell'Istria, della Norbaldigia e i due distretti della Baviera).
Presso i normanni (4) troviamo il titolo di barone che in precedenza indicava genericamente i feudatari e vassalli (5) del sovrano.
Successivamente al disfacimento dell'impero carolingio, verso la fine del X sec., si ebbe quel grande movimento che prese il nome di feudalesimo (6). Si verific� infatti che in seguito alle lotte tra i discendenti di Carlo Magno, i signori che detenevano i beni in nome del sovrano, riuscirono ad ottenere i feudi a titolo personale per questo questi divennero ereditari. E questi titoli, che come abbiamo visto designavano gli amministratori che detenevano in nome del sovrano, vennero ora a designare i feudatari, titolari dei feudi .
Il sovrano aveva anche il diritto di revocare titoli e benefici quando il vassallo si macchiava di fellonia, cio� di tradimento quando veniva meno al suo obbligo di fedelt�.
Abbiamo visto che il titolo era strettamente legato ai benefici, costituiti da terre e castelli donde derivava il predicato, concessi in cambio della fedelt� e dell'obbligo di fornire armi e cavalieri quando il sovrano ne aveva bisogno per difesa o per conquiste.

Abbiamo visto che il titolo era strettamente legato ai benefici, costituiti da terre e castelli donde derivava il predicato costituito dal nome del feudo del castello che accompagnava il titolo. Questi benefici erano detenuti in nome del sovrano, durante il regno di Carlo Magno. Successivamente i benefici erano divenuti ereditari, cio� trasmissibili in via maschile secondo il diritto franco (che seguiva la legge salica) oppure in via femminile, secondo la legge longobarda (e borgognona), purch� vi fosse un uomo che assumesse gli obblighi militari. La funzione dei feudatari e quindi della nobilt� da essi derivata, era quella di combattere per difendere il territorio a loro assegnato, non solo, ma di portare aiuto al sovrano al quale il feudatario era legato dal vincolo del giuramento (7), e al quale doveva essere fedele e prestare assistenza in tempo di guerra e consigli in tempo di pace. Egli, in caso di necessit� del sovrano si presentava con un proprio seguito che variava da 50 a 150 o pi� uomini e altrettanti cavalli (che provvedeva a foraggiare). La funzione quindi dei feudatari sfociati nella casta della nobilt� (feudale) era quella di difendere il sovrano e il territorio, mentre al clero spettava la salvezza delle anime e alla borghesia-terzo stato (che a comprendeva tutte le altre categorie sociali dal pi� ricco al diseredato), la produzione della ricchezza; non a caso ricadeva su questa categoria il pagamento delle tasse.

3) Paolo Diacono, nella sua Storia dei Longobardi, indica Zaban, duca di Pavia; Vallari di Bergamo; Alachis di Brescia; Evin di Trento oltre ad altri trenta ducati che comprendevano altrettante citt� con territorio circostante, come il ducato Spoleto, ducato di Benevento ecc..
4) Durante la conquista normanna del meridione d'Italia, Ruggero d'Altavilla, appena conquistata la Sicilia, prima di usurpare il titolo di duca di Puglia al fratello Roberto il Guiscardo, per breve periodo si freg� del titolo di Gran Conte di Puglia.
5) Oltre ai vassalli, che avevano rapporti diretti col sovrano, nella scala gerarchica vi erano i valvassori, che dipendevano dal vassallo e i valvassini che a loro volta dipendevano dai valvassori.
6) Era il grande cambiamento del feudalesimo che � stato quel complesso fenomeno verificatosi in periodo successivo alla morte di Carlo Magno, con lo smembramento dell'Impero da lui costituito. Infatti, mentre con Carlo Magno, proprietario era il sovrano il quale assegnava le propriet� ai suoi fedeli che detenevano in suo nome per amministrare, con l 'obbligo di servirlo prestandogli aiuto militare, con la possibilit� di restituzione nel caso del venir meno a quest'obbligo o al giuramento prestato, quindi per fellonia.
7) I benefici concessi al feudatario e il giuramento erano fatti con una sontuosissima cerimonia detta dell'investitura.

LA CAVALLERIA

Nel medioevo, per merito della chanson de geste si sviluppa la figura del cavaliere -chevalier - titolo molto ambito dagli esponenti della nobilt� di cui amavano fregiarsi principi e re, come Riccardo Cuor di Leone.
La cavalleria, costituita in Ordine della Cavalleria, aveva portato una ventata di sentimenti che avevano raffinato la rudezza d'animo e di comportamenti di uomini adusi a una vita il cui scopo principale era combattere.
Essa era fondata su principi di lealt� e di onore, con un misto di sacro e profano in quanto il cavaliere metteva la sua spada a difesa della Chiesa (8), della giustizia, dei deboli e degli oppressi da una parte, e dall'altra l'amor cortese che portava il cavaliere a struggersi d'amore per la donna amata, che non poteva essere la propria donna, ma la moglie di un altro, fosse questi il suo sovrano o il suo miglior amico, escludendosi che tale amore potesse esser riversato nel confronti di pulzelle (cio� di donne vergini e non sposate)
L'investitura di cavaliere (9) era quindi riservata ai soli nobili che venivano a formare una casta nella casta. Essa poteva avvenire dopo un apprendistato come scudiero e dopo aver superato una prova di coraggio.
Il figlio di un nobile passava normalmente il periodo dai sette ai quattordici anni , come scudiero (o paggio come si chiamer� successivamente), al servizio del sovrano o di un grosso feudatario, diventando poi cavaliere.
Con una fastosa cerimonia che si svolgeva nella cappella del castello, dopo un bagno purificatore e una veglia d'armi (la notte passata nella cappella), era armato cavaliere (nel nome di Dio, s. Michele e s. Giorgio ti faccio cavaliere, sii valoroso e leale), e gli erano donati cingulum militaris e speroni dorati. Al cavaliere si dava originariamente lo scappellotto (col�e), sostituito in seguito dal colpo di spada sulla nuca e sugli omeri del neofita inginocchiato.
La cerimonia (10), per la quale si sceglieva la ricorrenza di qualche particolare festivit�, era accompagnata da tornei e festeggiamenti e terminava con un sontuoso banchetto e, spesso, finiti i festeggiamenti il novello cavaliere partiva in cerca di ventura.

Il cavaliere era tale perch� legato indissolubilmente al suo cavallo. Senza cavallo sarebbe stato soltanto un uomo. Egli quindi allevava il suo destriero, che era un cavallo da battaglia o da giostra, forte, enorme, impetuoso, veloce e fedele, montato esclusivamente in combattimento. Nelle altre occasioni invece il cavaliere montava il palafreno che era un purosangue ma di indole pi� docile e il gentiluomo al suo servizio (palafreniere), che accompagnava sempre il suo signore, guidava il destriero dal suo lato destro. Da qui il nome.
In Italia verso la fine del 1400 il titolo di cavaliere non era pi� rigorosamente collegato a quello di nobile, tanto che, come scriveva un cronista, si vedeva far cavalieri meccanici, artieri, insino ai fornai�e ancora pi� gi�, gli scardassieri, gli usurai e ribaldi barattieri.

8) Le armi del cavaliere avevano anche un valore simbolico: la spada simbolo della croce, nel suo doppio taglio rappresentava la giustizia; la lancia significava la verit� e l'acciaio della lancia la forza della verit�; l'elmo, la vergogna del disonore senza la quale il cavaliere non poteva essere obbediente all'Ordine della Cavalleria; la corazza , castello e muraglia contro i vizi e gli errori; gli speroni, diligenza, prudenza e zelo che guidavano il cavaliere nel mantenere l'onore dell'Ordine; lo scudo significava l'ufficio del cavaliere; come infatti lo scudo era tra il combattente e il nemico cos� il cavaliere era il mezzo tra il suo re e il popolo.
9) Il titolo di cavaliere divenne ereditario. Questo principio fu codificato da Federico Barbarossa con un editto che stabiliva che il cavalierato spettava anche ai figli del cavaliere e da Federico II che ribadiva che avrebbe acquistato rango di cavaliere solo colui che fosse di famiglia cavalleresca e solo per grazia di speciale licenza e mandato.
10) Alla fastosit� della cerimonia di nomina a cavaliere poteva seguire la umiliante degradazione durante la quale il cavaliere da un palco assisteva alla distruzione della sua armatura e della sua spada che veniva spezzata; il suo blasone veniva cancellato dallo scudo che legato alla coda di un cavallo era trascinato nella polvere e nello sterco. Gli venivano tolti gli speroni gli araldi gridavano il suo nome chiamandolo traditore, villano e sleale, mentre i sacerdoti gli scagliavano le pi� tremende maledizioni recitando il Deus laudem meam.

IL PATRIZIATO

Accanto alla nobilt� feudale, con lo sviluppo delle citt� si viene a formare un altro tipo di nobilt�, appunto quella cittadina detta patriziato che trova il suo pi� fulgido esempio in quello veneziano. Nella Serenissima Repubblica troviamo infatti famiglie di antico lignaggio che avevano origine tribunizia discendenti cio� dai tribuni (11) che avevano governato prima della creazione del dogato (12). Erano queste le famiglie antichissime o vecchie dette anche apostoliche (13) dal loro numero alle quali andavano aggiunte le altre quattro dette evangeliste. A queste pi� antiche famiglie si aggiunsero le nove (nuove), cio� quelle che avevano raggiunto la nobilt� prima della serrata del Maggior Consiglio avvenuta nel 1260 e poi le novissime, ascritte al patriziato nel 1391. Erano tutte famiglie che potevano vantare tra i propri antenati, dogi papi e cardinali. A queste si aggiunsero tra il 1600 e 1700 altre famiglie che furono nobilitate per soldo, cio�, offrendo alla Repubblica (gi� in declino) centomila ducati (pari a circa un miliardo di oggi) furono ascritte nel libro d'oro della nobilt�.
I patrizi veneziani erano tra i pochi n Europa che esercitavano il commercio, considerata arte vile e disdegnata dalla nobilt�. Si trattava comunque di commercio di livello industriale a carattere internazionale in quanto collegato con i traffici marittimi e con l'attivit� armatoriale. Moltissimi erano i capitani generali da mar che in tempo di guerra venivano scelti tra i patrizi che conoscevano l'arte marinaresca ai quali veniva affidata la condotta della guerra marittima. I figli dei nobili infatti erano imbarcati in giovanissima et� sulle navi dove facevano la loro esperienza. Il caso di Marco Polo partito per la Cina a dodici anni non era un'eccezione.
Caratteristica del patriziato veneziano era quello di non avere titoli e predicati, e in verit� non ne avevano bisogno. Bastava infatti chiamarsi Morosini, Contarini, Dandolo, Loredan, Soranzo che valeva pi� di tanti altisonanti titoli. Non a caso per illustri famiglie di terraferma (europee) era un grande onore essere aggregate alla nobilt� veneziana, come avevano ottenuto gli Orsini, i Colonna, gli Estensi, i Gonzaga, i Pallavicino, i Savoia, gli Asburgo, i Wittelsbach di Baviera, i Borboni di Francia.

 11) La carica tribunizia (di derivazione romana) era stata istituita durante la dominazione bizantina. I tribuni erano scelti tra i grandi proprietari terrieri e, mentre in un primo momento avevano avuto il solo governo della vita economica, successivamente avevano assunto il dominio della vita amministrativa, civile e militare, impadronendosi quindi del governo locale che alla fine port� al distacco da Bisanzio con l'elezione del Doge.
12) La storia che Paoluccio Anafesto sia stato il primo doge, sarebbe leggendaria. Infatti Paulicius poi Paulicio-Paoluccio, sarebbe stato dux-esarca di Ravenna che aveva definito i confini di Venezia. Primo doge quindi sarebbe stato Ursus, Orso, cittadino di Eraclea (la madre di Venezia), eletto il 727.
13) Le dodici famiglie apostoliche che avevano partecipato alla nomina del primo doge (v. sopra), erano Badoer, Barozzi, Contarini, Dandolo, Falier, Gradenigo, Memmo, Michiel, Morosini, Polani, Sanudo e Tiepolo cui si aggiunsero le quattro evangeliste, Giustinian o Zustinian, Bragadin, Bembo e Corner.

  GIOSTRE E TORNEI

I nobili quando erano a riposo, cio� quando non andavano in guerra a combattere per tenersi in allenamento e per mostrare alle donne, per le quali spasimavano, il loro valore, partecipavano volentieri a giostre (combattimento che si svolgeva tra due concorrenti) e tornei (combattimenti che si svolgevano tra gruppi che potevano raggiungere un numero di cavalieri da quaranta-cinquanta e oltre). Su di essi erano sorte disquisizioni tra araldisti francesi e tedeschi che rivendicavano ciascuno la priorit� dei tornei, ma i tornei erano sorti in Italia (14).

Essi erano occasione oltre che di divertimento, anche economica sia per i partecipanti che per la popolazione che arrivava anche da lontano. Queste gare duravano alcuni giorni e richiamavano mercanti, artigiani, giocolieri, prostitute che si presentavano pi� o meno sfacciatamente vestite. Per i tornei si presentavano grosse casate guidate dal capo o da un suo rappresentante, con seguito di gentiluomini e accompagnatori, tutti con gli stessi colori e sotto un'unica insegna.
Veniva montato l'accampamento, e tranne il capo che era ospitato nel castello, tutti la sera precedente provvedevano a lustrare e verificare le armature e bardature. Dame e cavalieri indossavano abiti coloratissimi. Le dame gettavano le loro sciarpe ai cavalieri che le avvolgevano attorno alle corazze o agli elmi. Tra la fantasmagoria di colori, di abiti, bandiere e stendardi, squilli di tromba, musica, l'atmosfera risultava magica ed eccitante. La sera, alla fine dei giochi era tutto un mercanteggiare sulle armi, sui cavalli, sui riscatti che si pagavano per gli ostaggi. Alla fine della giornata nel castello si svolgevano grandi festeggiamenti con banchetti, libagioni, danze e libertinaggi�che trasformavano la notte in giorno, come aveva scritto, certamente con rammarico, un monaco cronista dell'epoca.

 14) D. A. De Sade assicura che i tornei originariamente si chiamavano giostre, trattandosi di un tipo di esercizio militare-cavalleresco, e che le sue origini dovevano essere ricercate in Italia all'epoca di Teodorico, che le sostitu� ai giochi gladiatori, sostanzialmente aboliti nei suoi editti. I figli di Ludovico il Bonario, prosegue De Sade, festeggiarono nell'870 la loro riconciliazione con questi giochi e nel 920 Enrico l'Uccellatore diede una rappresentazione equestre per celebrare la propria incoronazione. Attraverso Verona e Venezia contagi� le altre nazioni diffondendosi in tutta Europa.

L'ARALDICA

Si  sviluppa nel periodo dei tornei e l'araldica � l'arte di interpretare le armi (ossia le figure) riprodotte sugli stemmi. Il nome deriva dagli araldi che avevano il compito di organizzare giostre e tornei, erano i giudici di gara, annunciavano i partecipanti di cui descrivevano le imprese e la fama riconoscendoli dalle armi e dai colori dipinti sugli scudi, e riprodotte sulle gualdrappe dei cavalli e sugli stendardi.
Come si � verificato in altri campi, l'araldica italiana, nel contesto europeo, � stata la pi� negletta essendosi ritenuto che la vera araldica fosse la francese, la tedesca, l'inglese
Una tal considerazione era stata determinata dalla circostanza che quest'arte in Italia era stata trascurata, pur potendo l'Italia vantare che il primo trattato di araldica era stato scritto nel 1360 da Bartolo di Sassoferrato (De insignis et armis) e solo con notevole ritardo, dopo l'unificazione si � avuta la codificazione con regio decreto (15) nel quale si richiamava il vocabolario araldico le cui voci erano state tradotte dal francese!
In Inghilterra, invece, nel 1484, Riccardo III istituiva la corporazione degli araldi con sede in Londra e nel 1555 si istituiva la Consulta degli Araldi con sede in Queen Victoria Street, nel cuore della City, dove tuttora vi sono gli uffici dove sono svolte consulenze e compilazione di alberi genealogici (16) per chi li richiede.

15) Regio decreto 13.4.1905 n. 234 e il vocabolario araldico approvato con D.M. 6.2.1906.
16) Gli alberi genealogici fin dal tempo dei romani, era uso esporli nell'atrio della propria casa. Galba, successore di Nerone, di antica e illustre famiglia aveva esposto il suo albero genealogico (mitico!) che faceva risalire le origini dal lato paterno a Giove e da quello materno a Pasifae (moglie di Minosse).

GLI STEMMI

Gli stemmi di cui si fregiavano i nobili erano in pratica  dei marchi che servivano ad individuare la casata, cui  apparteneva il nobile. Il decifrarli era diventata un'arte  con un particolare linguaggio che non � cambiato molto  attraverso i secoli.
 Lo stemma pu� avere figure diverse. Dalle pi� semplici,  con un'unica figura, si era passati a forme pi�  complesse, tanto da potervisi leggere (perci� dette  parlanti) la storia di una casata, le imprese compiute, i  matrimoni avvenuti.Lo stemma pu� essere diviso in vari  modi, vale a dire: fasciato, se ha una fascia centrale;  partito, se diviso in due verticalmente; spaccato, se  diviso in orizzontale; trinciato, se diviso dall' angolo  superiore destro (dello scudo) all' angolo inferiore  sinistro; tagliato, se diviso dall' angolo superiore sinistro (dello scudo) all' angolo inferiore destro; inquartato, se diviso in quattro parti, e cos� via. La lettura dello stemma (si usa il verbo blasonare), va fatta considerando destra la parte che si trova alla sinistra di chi blasona e viceversa. La numerazione quindi (almeno per gli italiani e i francesi) va fatta da destra verso sinistra, perci� in uno stemma inquartato (abbiamo visto diviso in quattro parti) i due quarti superiori sono primo e secondo, i due inferiori sono terzo e quarto.
I colori usati in araldica sono i pi� svariati. Per indicarli simbolicamente essi sono descritti con punti e linee. Il rosso � indicato con linee perpendicolari; il nero con linee orizzontali incrociate con verticali; l'oro con punti; l'argento � rappresentato da un campo bianco. Le figure sono prese dalla vasta gamma degli animali (anche mitologici come il liocorno) o dei vegetali o del firmamento. Pi� precisamente le figure che compongono l'arma, si distinguono in: araldiche (il capo, la fascia, il palo, la croce di s. Andrea ecc.); naturali, rappresentano tutti i corpi che si trovano in natura e nei suoi diversi regni; artificiali, quelle create dall'uomo (si dividono in fabbricati, istrumenti, vesti e armi); chimeriche che sono figure bizzarre rappresentate dal capriccio degli uomini.

LE CORONE

Sormontano normalmente gli stemmi e  denotano il titolo spettante alla casata. Il titolo  pi� alto � quello di principe che si trova allo  stesso livello di quello di duca, perci� le due  corone sono uguali, costituite da una vera  sormontata da otto foglie di acanto o fioroni d'  oro, di cui cinque visibili (le due laterali si vedono  per met�), alternate da altrettante perle (quattro  visibili). Segue il titolo di marchese, la cui vera �  cimata di quattro foglie d'acanto, di cui tre visibili (le due laterali si vedono per met�), alternate da dodici perle disposte in quattro gruppi piramidali di tre perle ciascuno, dei quali due gruppi sono visibili. Segue il titolo di conte la cui corona � costituita da vera cimata di sedici perle di cui nove visibili. In Francia vi era anche il titolo di visconte, la cui corona � cimata di quattro grosse perle di cui tre visibili, alternate da quattro piccole perle di cui due visibili. La corona baronale � costituita da vera con filo di perle che gira intorno alla stessa, del quale risultano visibili tre giri. Infine, quella di nobile � cimata di otto perle di cui cinque visibili. La corona di patrizio � costituita da una semplice vera.
Si pu� verificare il caso che uno stemma sia ornato da due corone; una � pi� grande appoggiata al lembo dello scudo, una pi� piccola sostenuta dall'elmo. La corona maggiore � quella del titolo personale, la minore designa il maggior titolo che si � avuto in famiglia.
Per il patriziato veneto la corona � costituita dal corno ducale (zogia) che pu� essere usato anche senza stemma.

MOTTI IMPRESE E DIVISE

In  uso presso i greci e romani, si svilupparono in Francia nel periodo cortese, giungendo poi in Italia. I motti e le imprese entrarono nell'uso araldico traendo origine dal grido d'arme o di guerra che costituiva non solo incitamento in battaglia, ma serviva anche per riconoscersi. In seguito accompagnarono gli stemmi.
I cavalieri che indossavano l'armatura e avevano il volto coperto dalla celata si riconoscevano tra loro lanciando il grido d'arme. Montjoie-Saint Denis fu il grido d'arme di Giovanni II di Francia nella sfortunata battaglia di Poitiers (17), segnata dalla disfatta dell'esercito francese (1356). Normalmente motti e imprese sono in latino: Virtutis fortuna comes, quello che accompagna lo stemma del duca di Wellington. Compositum jus fasque animi, lo stemma degli Ellenborough (Inghilterra). Nil nisi rectum quello della casa di Schwarzemberg, principi del Sacro romano impero (Austria). Nec timide nec tumide quello degli Huyssen van Kattendijke (Olanda). Quo rescunque cadunt, semper stat linea recta, quello dei principi de Ligne (Belgio).
Le divise, in particolare, erano costituite da una massima o esortazione personale o un oscuro messaggio che poteva essere anche amoroso, ed erano riprodotte sulle armature e sulle gualdrappe dei cavalli: Quand sera ce. Plus duel que joye. Va oultre. Votre plaisir. Souviennes vous. Plus que toutes. Vi erano anche quelle riportate sugli anelli: Je le desire. Pour toujours. Tout pour vous.
Alle divise erano collegati gli emblemi, che le illustravano figurativamente. Il porcospino era l'emblema di Luigi d' Orleans con la divisa Cominus et eminus (combatto o mi difendo da vicino e da lontano, nel senso che si riteneva che il porcospino oltre a difendersi da vicino con gli aculei, si riteneva che anche li lanciasse), e aveva come emblema anche il bastone nodoso e la divisa Je l'envie (io sfido). La pialla con la divisa Ic houd (io accetto) era l'emblema di Giovanni senza Paura; la pietra focaia l'emblema di Filippo il Buono.

 17) Sfortunata per� fino a un certo punto, perch� la causa della disfatta era da attribuire all'orgoglio dei nobili francesi che erano numerosi ma poco affiatati tra loro. Prima di iniziare la battaglia avevano mandato a casa tutti i soldati borghesi. Questo per la mentalit� del tempo che le guerre erano solo ed esclusivamente affari di nobili. Altra causa della sconfitta, era stata determinata dall'uso delle frecce usate dai famosi arcieri inglesi, arma che i nobili francesi aborrivano�col risultato che gli arcieri miravano alle parti dei cavalli, che non erano coperte dall'armatura. Inciampando e cadendo i cavalli precipitavano con i cavalieri in groppa oppure s'impennavano indietreggiando creando scompiglio tra quelli che sopraggiungevano. I cavalieri caduti non riuscivano a rialzarsi o far rialzare i cavalli. Furono tutti uccisi o fatti prigionieri.

 

LA SITUAZIONE ITALIANA DOPO IL 1922

In  Italia attualmente, cio� da quando i titoli sono stati aboliti, regna molta confusione e molti abusi.
La Costituzione italiana ha abolito i titoli nobiliari e quindi qualunque prerogativa collegata ai titoli, anche se non � vietato usarli. Questo ha finito per incrementare gli abusi.
Dopo il 1922 sono stati concessi titoli nobiliari senza predicato, mentre prima di tale data i titoli erano rilasciati con il predicato, che a seguito dell'abolizione del titolo � diventato parte integrante del cognome (da non confondere con il doppio cognome che non � sinonimo di nobilt� come comunemente si ritiene), che quindi risulta dai registri anagrafici, cosa che non pu� risultare per chi ha avuto un titolo dopo il 1922, ma che deve essere in possesso di regie patenti che riconoscono il titolo.
Gli abusi sono determinati dalla circostanza che in una famiglia, in cui tutti i componenti hanno il diritto di usare il predicato (per quelli che ne hanno il possesso), tali componenti usino tutti anche il titolo, che invece pu� essere usato solo ed esclusivamente dal primogenito, che ha diritto di trasmetterlo ai suoi diretti discendenti maschi. Il titolo potr� essere trasmesso in via collaterale solo se non vi sono discendenti diretti del primogenito. Esso potr� essere trasmesso anche in linea femminile, ma soltanto se non vi sono figli maschi, ma occorrer� che trasmetta al figlio maschio il proprio cognome con il predicato. La donna con il matrimonio assume il titolo del marito; se divorzia non potr� pi� usare il titolo, cosa che in Italia avviene normalmente.
Di recente ha fatto discutere, a Milano, il caso di una possibile adozione, e particolarmente della trasmissione del titolo nobiliare dall' adottante all' adottato. Sono state fatte molte illazioni e dette le cose pi� strane. Se il titolo � regolare (si discuteva anche della regolarit� del titolo), non vi sono dubbi che l' adozione � stata codificata (dai Romani, v. supra, par. Roma) apposta per trasmettere oltre ai beni anche le cariche e i titoli.

EPILOGO

La  nobilt� � sempre stata una casta gelosa e nello stesso tempo custode della propria identit�. Proprio per questo spirito di consapevolezza e di conservazione che la distingue, ha la possibilit� di documentare la propria ascendenza (genealogia) e risalire attraverso varie generazioni al proprio capostipite, cosa che invece non pu� fare un comune borghese che riesce a risalire di sole tre-quattro generazioni.
Nella genealogia vi deve essere una rigorosa continuit�. Quando si pensa di trovare degli agganci per superare periodi oscuri dal punto di vista documentale, sarebbe come seguire la stessa traccia seguita da Cesare Musatti nel libro Il nipote di Giulio Cesare, in cui il celebre psicanalista, molto scherzosamente, riesce a dimostrare, facendo anche il calcolo delle probabilit� di discendere da Giulio Cesare (e non � detto che cos� non fosse!). Oppure, come molti genealogisti del '600, che si erano sbizzarriti a ricercare assurde quanto fantasiose ascendenze mitiche a nobili famiglie dell'epoca, come quella che faceva discendere una casata da Giove, re di Toscana e imperatore del mondo!.
Di storico c'� da tener presente che nel corso dei secoli vi � stato un conmtinuo avvicendamento e mutamento di posizioni in ambedue i sensi. Vale a dire che molte famiglie, per l'impossibilit� di mantenere un certo tenore di vita, o per capovolgimento di fortuna finivano per cambiare stato passando da quello nobiliare a quello borghese; altrettante, invece, raggiunta una posizione di ricchezza e di potere entravano a far parte della classe nobiliare.
Si � calcolato che la scomparsa di famiglie nobili fosse del 50% per secolo e la durata media di una dinastia, nell'arco di 100-200 anni fosse di cinque-otto generazioni. Vi sono stati casi di resistenza genetica di famiglie che si sono riprodotte (anche numericamente) sfidando i secoli come i Borbone e gli Asburgo. Nel passato si � spesso considerata la nobilt� per grazia di Dio. Non � stata evidentemente la grazia di Dio ma pi� prosaicamente l'intraprendenza di un antenato a far la fortuna di tutta la sua discendenza. Se vogliamo, la grazia di Dio � dovuta alla circostanza che solo pochi hanno potuto avere la fortuna di quell' avo intraprendente.

 

MICHELE DUCAS PUGLIA
CURATORE DELLA  "RIVISTA STORICA VIRTUALE"
http://www.rivstoricavirt.com/main.html
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