CAPORETTO, GUERRA 1915-18 - La sanguinosa e umiliante ritirata oltre il Piave, sotto l'attacco dell'esercito austro-ungarico. La disfatta non dipese dai nostri soldati ma dagli errori tattici, strategici e psicologici dello Stato Maggiore di Cadorna. Quando il generale Diaz riorganizz� le armate, restitu� fiducia ai combattenti�
(Ma c'� anche la posteriore tremenda accusa a Badoglio)

"... E IL FANTE
MORMOR�:
"NON PASSA LO STRANIERO"

sui malintesi, la battaglia e la ritirata di Caporetto vedi in
< < "Riassunti storia d'Italia"

 

di PAOLA MOCCHI

Strano titolo per un articolo che intende occuparsi principalmente della rotta di Caporetto. Ma mi sono accorta, sfogliando la bibliografia riguardante la disfatta pi� famosa della storia d'Italia, che sono stati spesi fiumi di parole sulla batosta che gli austro-tedeschi hanno inflitto agli italiani sull'Isonzo, ma decisamente pochi (in relazione a Caporetto) circa la valorosa resistenza dei nostri soldati sul Piave e sul Grappa o la vittoria a Vittorio Veneto, episodi che segnarono pi� decisamente di Caporetto l'esito della guerra. Anche senza doversi recare in biblioteca o in libreria, basta aprire il proprio libro di storia di quinta superiore o di terza media e confrontare lo spazio dedicato all'una e alle altre battaglie. Il risultato � lo stesso. Pensiamo anche al linguaggio comune: per designare un disastro pi� o meno irreparabile non � insolito fare riferimento a Caporetto, mentre se qualcuno definisse una "Vittorio Veneto" una conquista memorabile, per essere compreso avrebbe bisogno di dare delle spiegazioni. 

Perch� questa discrepanza? Qualcuno risponder� che Caporetto ha messo in luce le pecche nella strategia militare italiana
(VEDI BATTAGLIA DI CAPORETTO) ; ha fatto emergere l'inettitudine di Cadorna e pi� in generale l'incapacit� degli alti comandi militari di rispondere prontamente ad una situazione di emergenza; ha provocato gravi ripercussioni politiche, eccetera. Tutto vero. Ma ci� non toglie che sul Piave, sul Grappa o a Vittorio Veneto gli stessi italiani "stanchi, demoralizzati e mal comandati" hanno rimandato indietro quegli stessi austriaci che tanto abilmente erano riusciti ad arrivare in pochi giorni fino al Piave. Lascio aperta la questione e torno ad occuparmi di Caporetto con la consapevolezza per� che questa clamorosa e dolorosa sconfitta inflitta all'esercito italiano, con le sue gravi implicazioni, ha fatto parte di una guerra che dopotutto abbiamo vinto. Alle 2 della mattina del 24 ottobre 1917 una rapida e poderosa sequenza di cannonate, proveniente dall'artiglieria austro-tedesca, assedia il fronte italiano stanziato sul fiume Isonzo.

Pochi minuti dopo un gas sconosciuto si propaga lentamente ma inesorabilmente sulle nostre truppe rendendo inutile l'uso delle maschere antigas in dotazione. Non � una delle solite azioni offensive, � il segno evidente di un imminente e massiccio assalto nemico. Ci troviamo sul fronte giulio. Le Alpi Giulie costituiscono a est la linea di confine tra il Regno d'Italia e l'impero asburgico d'Austria e Ungheria ed il fiume Isonzo � quasi interamente in mani italiane. In tutto sono schierate 63 divisioni per un totale di circa 1.800.000 uomini. Sono disposti su tre linee: quella di difesa avanzata, la pi� esposta, quella di difesa ad oltranza, in mezzo, e quella d'armata, la pi� arretrata. Lo schieramento di difesa pi� avanzato, scende dal monte Rombon nella valle di Plezzo, si inerpica nuovamente sul monte Nero, scende ancora fino alla cittadina di Tolmino.
E giunge all'altopiano della Bainsizza. E' tra Plezzo e Tolmino che avviene il bombardamento, proprio in quella zona dove fino a poche ore fa si � perpetrata una estenuante guerra di trincea. I soldati sono immersi nel fango fino alle ginocchia, logorati nel fisico e nel morale, da mesi e mesi vissuti in condizioni igieniche deplorevoli, senza potersi n� cambiare n� lavare, esposti alle intemperie e ai periodici attacchi avversari. Non sono mai usciti dalla trincea, salvo per compiere qualche azione pericolosa di ricognizione notturna, o per lanciarsi all'attacco delle trincee nemiche ed esporsi alla morte di massa sotto i colpi delle raffiche delle mitragliatrici austriache. 

Ecco le lettere scritte da due soldati ai propri familiari dalle quali emerge tutto il dramma della vita di trincea: " (...) Vi voglio raccontare un pochino come me la passo io qui, come ci trattano al fronte. (...) Si fa altro che maledire i nostri superiori (cos� si devono chiamare perch� galonati) che vogliono tante mondizie, dico mondizie perch� � fuori di ogni imaginazione. (...) Sino che eravano al masatoio cio� in prima linea, in rischio di farci macelare ogni minuto, e ci trattavano un po' meglio (perch� avevano paura pi� di noi, e quando si fava per avanzare cridavano avanti, avanti altrimenti vi sparo. Altro che dire nella stampa, e voi certo l'avrete letto sul Corriere che spiegava quei drappelli della morte che vanno seriamente e volontariamente a quella pericolissima operazione di mettere sotto i reticolati i tubi di alto espluzione, e di tagliare i fili; che specialmente chi va non torna pi� (...) certo si rischia la pelle, altrimenti la pelle me la fano i nostri superiori. (...) Questa � la civilt� che � venuta in Italia. Fate pure leggere al Consiglio della Cooperativa (...) Trieste lo prenderemo col binocolo (...)". -- "Oggi la S. festa di risurrezione ne cia portato, anche a noi poveri soldati al fronte alcune ore di quella Pace da tanto tempo sospirata (...) nemmeno un colpo di fucile si fa pi� sentire. Delle bandieruole bianche sventolano dalla parte, del nemico, e dei gruppi si tacano del suo stelle, venindo verso di noi. Faciamo anche noi altretanto, andiamo incontro a loro, li
incontramo, ci diamo amichevolmente la mano scambiandosi dei zigareti e tabaco, e pane. Pasiamo alcune ore per il campo pasegiando asieme, che per noi era divenuto un paradiso terestre. Mai ai che un colpo di canone tirato in aria da una parte e dellaltra, si fa sentire il segnale della separazione ci separamo mal volentieri perche sapevano che tornavamo nemici". (da G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra. Con una raccolta di lettere inedite, Roma, ed. Riuniti, 1993, pp. 378-379). 

Quel mattino del 24 ottobre il gas e i colpi dell'artiglieria nemica non danno tregua, soprattutto nella conca di Plezzo il gas, ristagnando, si rivela devastante. Si tratta di acido cianidrico in alta concentrazione, mortale istantaneamente per paralisi del centro respiratorio cerebrale. Alle 4.30 tutto tace e cala sulle truppe un insolito silenzio, di attesa e di indecisione. Alle 6.30 scoppia nuovamente e improvvisamente l'inferno. Questa volta l'artiglieria italiana risponde prontamente, ma c'� la nebbia che crea un ostacolo non indifferente e impedisce di accorgersi che le truppe austriache guidate dal comandante tedesco Otto von Below, stanno avanzando lentamente ma con decisione a ridosso del fronte italiano. Non incedono in ranghi numerosi, rumorosi e facilmente individuabili; avanzano in plotoni ristretti, pi� agili, cercando di rompere lo schieramento italiano in pi� punti, penetrare il pi� possibile senza preoccuparsi di fortificare le postazioni conquistate o fare prigionieri, quindi sorprendere alle spalle i soldati rimasti a difendere il fronte.

Sono aiutati dalle asperit� del terreno e dal fuoco intenso che li precede e hanno in dotazione non solo gli ingombranti e pesanti fucili usati anche dal nostro esercito, ma nuove e leggere mitragliatrici. Il preciso piano di attacco nemico, si sapr� in seguito, � quello di sfondare in conca di Plezzo e a Za Kraiu, puntando su Saga e Caporetto, immettersi nella val Natisone e arrivare a Cividale. Pi� a sud, attaccare frontalmente il monte Jeza, conquistare tutta la catena del Kolovrat, entrare nella valle del fiume Judrio, accerchiare la Bainsizza e arrivare a Korada. Le linee telefoniche del nostro fronte, indispensabili per coordinare l'azione tra i vari corpi d'armata, saltano una dopo l'altra in quanto non sono state interrate n� protette con tubi di piombo. Inoltre tutta la rete di comunicazione � mal predisposta. Saltano anche ricoveri, magazzini e caverne. Alle 8 l'assalto finale. Gli alpini del monte Rombon riescono a resistere per ore all'attacco, ma nella valle dell'Isonzo l'avanzata nemica, tra cadaveri e trincee abbandonate, � implacabile. Alla destra del fronte i bosniaci aprono via via vari varchi sbaragliando la brigata Caltanissetta e la brigata Alessandria e riescono a raggiungere facilmente Gabrie e Volarie. Le postazioni italiane sotto il monte Mrzli e il monte Vodil, famose perch� considerate inespugnabili in quanto i nemici, una volta superata la cima dei monti e in discesa verso il fronte, si sarebbero scoperti completamente, si rivelano una trappola: ogni colpo d'artiglieria provoca frane verso valle e la presenza della nebbia, che impedisce la visibilit�, favorisce chi attacca dall'alto. Alle 12.15 i bosniaci e gli slesiani arrivano a Kamno puntando verso il ponte di Caporetto.

Dal nord i tedeschi raggiungono Idersko con facilit� e alle 15.30 sono a Caporetto dove il capitano Platania ha appena dato l'ordine di far saltare il ponte di ferro. Slesiani e tedeschi si ricongiungono e proseguono uniti nella penetrazione: Staro, Stelo, Robic, Creda, 27 chilometri in cui fanno 10.000 prigionieri. Entro mezzogiorno anche i monti Podklabuc, Jeza e Krad Vrh sono espugnati. Gli alpini italiani pur opponendosi strenuamente sono in inferiorit� numerica, sterminati dal gas o debilitati dal lungo combattimento a cui, su quel tratto, non sono abituati. L'unica parte del fronte dove non avviene lo sfondamento delle nostre linee, � quella dell'Alta Bainsizza, a sinistra dell'Isonzo, ma una logorante difesa ci costa la perdita di un migliaio di uomini tra morti e feriti. In ogni caso, la difesa � nel complesso debole e insufficiente. L'artiglieria � fiacca e disordinata, praticamente innocua per l'avversario.

Ma ci� che incide maggiormente sull'esito della battaglia � la disorganizzazione con cui viene diretto l'intero esercito. Fin dal 21 ottobre due disertori rumeni avevano rivelato con sufficiente precisione le intenzioni degli austriaci di attaccare alle due della mattina con gas e lacrimogeni al fine di destabilizzare le nostre difese; infatti i soldati italiani che fossero sopravvissuti al gas, obbligati ad indossare le maschere, avrebbero poi avuto grosse difficolt� di movimento. Quindi, dopo una breve pausa, erano in programma 90 minuti di attacco serrato per paralizzare i difensori nelle trincee e nei ricoveri e far collassare la rete di comunicazione. Nonostante queste avvisaglie, da parte italiana non viene studiato alcun piano di difesa. I comandi intermedi vengono colti di sorpresa e, in mancanza di ordini dall'alto (solo in parte per colpa delle linee di comunicazione saltate), o si danno alla fuga, lasciando soli i battaglioni, o rimangono coraggiosamente con i propri uomini, ma inutilmente. Si verificano casi in cui i comandanti impartiscono l'ordine di abbandonare il campo; gli stessi soldati talvolta decidono di abbandonare le loro postazioni prima ancora di tentare una difesa.

Il risultato � che viene spalancata la strada agli austriaci. In un modo o nell'altro la pi� parte fugge e una fiumana di soldati si riversa nelle strade principali per scendere a fondovalle, verso Caporetto. E' la rotta. Alle 18 finalmente arrivano precisi ordini direttamente dal Capo di Stato maggiore dell'Esercito e Comandante supremo militare, generale Luigi Cadorna. E' necessario rinforzare le linee arretrate e le vette dei monti retrostanti con le riserve e, nel caso di un cedimento ulteriore, tutte le forze si dovranno attestare sul Tagliamento, cercando per� di resistere il pi� possibile sul fiume Torre. Ma le riserve sono scarse. Cadorna ha infatti costipato di uomini, magazzini e materiale bellico le prime linee del fronte allo scopo di portare avanti una strategia di combattimento di tipo esclusivamente offensivo (le famose "spallate" in avanti per strappare, metro per metro, il territorio al nemico). Nel caso ci fosse necessit� di difendersi, gli ordini sono quelli di resistere per presidiare anche l'ultimo palmo di terra con l'ultimo uomo disponibile. Dunque di forze fresche disponibili ve ne sono ben poche. Inoltre quelli che riescono a ritirarsi, non trovando punti di appoggio negli schieramenti pi� arretrati quasi inesistenti, sono costretti a cercare rifugio sempre pi� indietro. Pi� in generale manca un piano di ritirata. E ormai, comunque, per qualunque tipo di strategia � troppo tardi.

Il cedimento presso Caporetto della II Armata sotto il comando del generale Luigi Capello, ha messo a repentaglio tutta la zona a sinistra della Carnia col rischio di una discesa degli austro-tedeschi lungo la valle del Torre, del Natisone e dello Judrio e quindi l'aggiramento dell'esercito italiano stanziato nel Carso e forse nell'intero Trentino. Nel frattempo la fuga di massa continua: soldati che corrono a presidiare il Piave prima che vi sopraggiunga il nemico, civili che scappano abbandonando le proprie abitazioni di fronte all'avanzata nemica, i vinti che, gettate le armi e strappate le mostrine dalle divise per paura di essere rispediti a combattere, si mescolano ai civili.

In tutto si contano tra i due e i tre milioni di uomini in movimento mentre il Friuli appare come un enorme campo di battaglia: roghi ed incendi vengono appiccati un po' ovunque dagli invasori o dagli italiani che tentano di distruggere i depositi di munizioni; saccheggi e depredazioni compiute dai fuggitivi per la sopravvivenza durante la fuga, si mescolano ad atti di vandalismo puro; tedeschi e austriaci ubriachi di danno allo scasso di negozi e abitazioni e non mancano casi in cui fraternizzano con italiani sbandati allo scopo di rubare e fare razzia. Gli alti comandi dell'esercito rispondono immediatamente a questa situazione con dure repressioni e fucilazioni di civili o soldati sorpresi a rubare, applicando anche in questa circostanza l'atteggiamento di ferreo autoritarismo con cui gestivano le truppe in guerra.

Venivano comminate condanne a morte immediate senza processo per gli accusati di insubordinazione; durante la rotta il generale Andrea Graziani viene appositamente nominato 'ispettore generale del movimento di sgombro'. Gli austriaci non sono messi meglio: "Greve il passo, terrei i volti, avanzavano con andare pesante, indifferenti a tutto e dall'indifferenza resi coraggiosi e insensibili. Modeste (e tenute celate) le perdite cruente in combattimento, molti soldati si disperdevano lungo gli itinerari percorsi dalle loro formazioni" (da: M. Silvestri, Caporetto, ed. Mondadori, 1990, p. 207). In questa situazione di anarchia e disorientamento generale, Cadorna ha buon gioco nello scaricare tutta la colpa sulle truppe per l'andamento disastroso della guerra: "La mancata resistenza di reparti della II Armata" scrive il 28 ottobre sul bollettino di guerra indirizzato al governo "vilmente ritiratasi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze armate austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte giulia". E' uno degli ultimi atti di Cadorna che viene sollevato dall'incarico dal nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Al suo posto viene nominato il generale Armando Diaz, col compito prioritario di organizzare la resistenza. Il 27 ottobre gli austriaci arrivano in pianura, e in tre giorni occupano Cividale, Udine e prendono posizione sul Tagliamento; quindi il 9 novembre si fermano sul Piave dove Cadorna aveva concentrato tutti gli uomini e il materiale bellico possibile. La guerra offensiva lascia il posto ad una azione prettamente difensiva. Il fronte appare pi� corto rispetto al precedente, protetto dal monte Grappa e dal fiume Piave e soprattutto facilmente raggiungibile dalle vie di comunicazione principali.

Le divisioni schierate sono solo 38 e i soldati circa 700.000 ed appartengono alla I e alla IV Armata, rimaste quasi intatte dalla disfatta di Caporetto, mentre i resti della II Armata sono relegati nelle retrovie. Ad esse si aggiungono sei divisioni francesi e cinque inglesi che per� rimangono sulle linee pi� arretrate. Il generale Von Below � convinto che per dominare il Grappa sia necessario un attacco incisivo e vigoroso. Tra novembre e dicembre una serie di attacchi dell'uno e contrattacchi dell'altro si susseguono senza tregua: le truppe italiane reagiscono con efficacia, non pi� ferme e ammassate sulla prima linea, bens� raggruppate in varie posizioni sparse per tutta la profondit� del terreno di battaglia. In questo modo il nemico sfondando, si chiude in un sacco. Qualche crinale gli austriaci riescono ad espugnarlo, ma il Grappa viene tenuto coi denti. Ecco alcune riflessioni del generale Giardino, vicecapo di stato maggiore, che si interroga a proposito della ripresa dell'esercito italiano: "Nessuna illusione si faceva il Comando di poter modificare istantaneamente lo stato morale delle
truppe, mentre gi� si accendeva la battaglia. (...). Nessun dubbio si presentava per le truppe dello schieramento ad ovest del Brenta (...). All'infuori della vaga ripercussione morale degli avvenimenti del fronte giulio, nessun fattore di demoralizzazione poteva essere intervenuto. Eguale sicurezza non si poteva avere per le truppe del Piave e del Grappa. Non sarebbe stato ragionevole temere che il loro spirito fosse simile a quello dei corpi e degli sbandati, che si sgombravano nelle retrovie (...), travolti direttamente dalla rottura del fronte. Erano truppe di altre grandi unit�. Ma erano dello stesso esercito e della stessa nazione; e anch'esse avevano dovuto compiere, a contatto o quasi a contatto di quelle (...), sotto la pressione o la minaccia nemica ed assistendo da vicino a quello sfasciamento (...), una lunga e difficile ritirata (...). Da una schieramento ad arco disteso per circa 300 chilometri, avevano dovuto passare, dopo una ritirata media di 100 chilometri, ad uno schieramento di appena 100 chilometri (...). Per masse cos� grandi di uomini e materiali, bastano queste cifre a dare idea delle difficolt�, degli inevitabili disordini parziali, della conseguente scossa morale. Ed ora (...) nelle condizioni organiche dinanzi riportate, e con linee improvvisate, od appena imbastite, o neppure imbastite, queste truppe avevano da sole il compito di resistere all'urto nemico (...). Se � vero, come sicuramente � vero, che il morale fra tutti gli imponderabili della guerra, � l'imponderabile pi� delicato, ognuno riconoscer� che, sotto questo aspetto, la situazione del 9 novembre si presentava straordinariamente incerta per il Comando Supremo. 

L'indomani, senza respiro, si accendeva la battaglia (...). Una battaglia ininterrotta di 15 giorni, combattuta nelle condizioni esposte, sostenuta e vinta (...). Studiare nei suoi complessi elementi, questo meraviglioso fenomeno, o di perfetta immunit� collettiva, o di istantanea metamorfosi storica, non � soltanto accertare storicamente una fattore essenziale della battaglia d'arresto. Pu� anche condurre a giustizia storica e a non disprezzabili ammaestramenti (...)." (da G. Giardino, Rievocazioni , vol. I, pp. 130-132). Il nuovo anno porta con s� un periodo di relativa pace sul fronte del Piave, tantopi� che i nuovi comandi si dimostrano pi� inclini, rispetto ai precedenti, a prestare attenzione alle esigenze del singolo soldato.

Vengono presi dei provvedimenti con lo scopo di migliorare le disastrose condizioni materiali e morali dei combattenti; inoltre viene portata avanti un'azione di propaganda tra le truppe grazie alla diffusione di giornali di trincea, ricchi di illustrazioni e caricature comprensibili da tutti, e alla creazione di un servizio P (propaganda) svolto da ufficiali ma anche da intellettuali di prestigio come lo storico Gioacchino Volpe o lo scrittore Giuseppe Prezzolini. 
Lo scopo � quello di far conoscere le finalit� della guerra, presentata in veste ideologica, cio� come lotta per un pi� giusto ordine interno e internazionale e di rendere noti i vantaggi che si sarebbero avuti da un'eventuale vittoria. Ma la guerra non � ancora vinta: l'Austria non molla perch� vuole conquistare l'Adige e il 15 giugno attacca violentemente le nostre truppe sul Piave. 

Tra morti, feriti e prigionieri, l'Italia perde 87.000 uomini contro i 117.000 della parte avversaria ma dopo una settimana di furiosi combattimenti, gli austro-tedeschi non guadagnano nemmeno un metro di terra. In Europa su tutti fronti la Germania sta capitolando: � evidente che fra non molto dichiarer� la resa e le potenze europee si riuniranno per le trattative di pace. Urge per l'Italia riconquistare il Veneto. L'offensiva viene lanciata il 24 ottobre, esattamente un anno dopo Caporetto, quando i comandanti delle Armate italiane ricevono l'ordine di attaccare a oltranza: � la battaglia di Vittorio Veneto. Lo sforzo delle nostre truppe � sovrumano, le perdite incalcolabili, troppe considerando che gli austro-tedeschi sono gi� estremamente logorati e che, per la recente defezione di reparti cechi e ungheresi, non sono riusciti ad organizzare una linea di resistenza. Dopo alcune ore gli avversari sono messi in fuga e l'Italia si avvia al tavolo delle trattative per reclamare i suoi confini "naturali".

di PAOLA MOCCHI

vedi LA BATTAGLIA DI CAPORETTO > 
CON UNA GRAVE ACCUSA A BADOGLIO

Questa pagina
(e solo per apparire su Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net


sui malintesi, la battaglia e la ritirata di Caporetto vedi in
< < "Riassunti storia d'Italia"


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