COLONIALISMO
(vedi anche: "2000 ANNI DI COLONIALISMO)
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Perché, dopo il XV secolo, Spagna e Portogallo furono in grado di trasformare l'America
ad altri ricchi territori in enormi e redditizi dominii?


CON LA SCIENZA
ALLA CONQUISTA DEGLI IMPERI


di ENRICO GALAVOTTI

I presupposti economici. Il colonialismo moderno nasce nell'Europa occidentale dei secoli XV e XVI, allorché già erano in atto i meccanismi economico-sociali di disgregazione del feudalesimo e di formazione dei rapporti di produzione capitalistici, basati prevalentemente sulla manifattura. In questo periodo, la metallurgia e l'industria mineraria, tessile, manifatturiera (ad esempio orologi, vetri, specchi, armi da fuoco, oggetti di lavoro precisi, eccetera) avevano raggiunto un'indipendenza quasi totale dall'agricoltura, realizzando profitti notevolmente superiori.
Anche nelle campagne era aumentata quella parte della produzione agricola e dell'allevamento del bestiame destinata non al consumo dei contadini e dei feudatari, ma al mercato e allo scambio con prodotti dell'industria. La piccola produzione artigianale destinata al mercato locale, l'economia agricola finalizzata all'autoconsumo, le rendite parassitarie dei grandi latifondisti, tutto ciò stava per essere superato da una forma sociale più redditizia: quella capitalistica, sia essa nella forma commerciale e usuraia del mercante, che nella forma imprenditoriale vera e propria.

L'allargarsi del mercato e della divisione sociale del lavoro stavano eliminando i rapporti personali tra produttore e consumatore, stavano trasformando i prodotti in merci, il valore d'uso in valore di scambio... I mercanti, in particolare, diventavano l'anello indispensabile che univa, su vasti mercati, le singole, grosse, aziende con i consumatori. I produttori diretti, artigiani e contadini, rovinati dalla concorrenza dei prodotti dell'industria manifatturiera, o intenzionati a emanciparsi dalla servitù della gleba o dalle costrizioni corporative, si trasformano in operai salariati: i più capaci o i più fortunati tentano la strada dell'imprenditoria privata a scopo di lucro.

Uno dei modi ritenuti più facili per arricchirsi era il commercio con l'Asia, la cui importanza era notevolmente cresciuta dopo le crociate. Genova e ancor più Venezia distribuivano a tutta Europa gli oggetti di lusso orientali più richiesti: le spezie (pepe, chiodo di garofano, cannella, zenzero, noce moscata...), l'oro e le pietre preziose. India, Cina e Giappone erano considerati Paesi ricchissimi già dai tempi di Marco Polo.

Tuttavia, tre problemi avevano messo in crisi questi commerci:
a) il mondo musulmano monopolizzava tutti i commerci con l'Oriente e l'Estremo Oriente, per cui l'Europa non poteva avere legami diretti con queste aree geografiche (la via commerciale che passava attraverso il Mar Rosso era monopolio dei sultani egiziani, che a partire dal XV sec. cominciarono a imporre dazi doganali estremamente alti su tutte le merci);
b) il crollo della potenza mongola, ad opera di quella ottomana, ebbe come risultato la fine del commercio carovaniero dell'Europa con la Cina e l'India attraverso l'Asia centrale e la Mongolia (l'ottomano era un regime dispotico di tipo feudale-militare);
c) la caduta di Costantinopoli nel 1453 e le conquiste turche nell'Asia minore e nella penisola balcanica avevano chiuso quasi completamente la via commerciale verso l'Oriente attraverso la stessa Asia minore e la Siria.

Prima della "scoperta" dell'America, i commerci più proficui, ma del tutto insufficienti, dei Paesi europei con l'Oriente e l'Africa erano diventati quelli con Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Solo questi Paesi potevano avere collegamenti diretti coi Paesi sub-sahariani (Sudan, Guinea, ecc.), per ottenere oro, avorio, schiavi e prodotti esotici. L'esigenza degli europei, quindi, era di cercare nuove vie marittime verso l'Africa, l'India e l'Asia orientale. Le classi socialmente più elevate: nobili e monarchi, borghesi e alto clero, che conducevano una vita molto dispendiosa o che miravano ad accumulare capitali per investirli in attività finanziarie o produttive, o che necessitavano di finanziamenti per gli apparati burocratici, amministrativi e militari degli emergenti Stati assoluti e nazionali, ritenevano che il modo migliore per soddisfare le loro esigenze fosse quello di avere ingenti quantitativi di argento e soprattutto di oro, cioè una moneta pregiata come mezzo di scambio. Ecco, in questo senso si può dire che il colonialismo fu una diretta conseguenza del capitalismo europeo, anche se ebbe delle ripercussioni fondamentali (ai fini, per esempio; dell'accumulazione dei capitali) sullo stesso sviluppo del capitalismo.

La scienza della navigazione
I lunghi e pericolosi viaggi marittimi poterono essere intrapresi solo quando fu perfezionata la navigazione. I primi a trasformare la navigazione furono i portoghesi, che, utilizzando le due più importanti tradizioni navali del loro tempo: nordica e mediterranea (di quest'ultima, in particolare, essi presero come modelli la piccola imbarcazione araba, detta karabo, usata per i commerci mediterranei, e un tipo di nave a tre alberi in uso a Genova), crearono un nuovo veliero: la caravella. Più lunga delle grosse navi da carico del XIII sec. e più corta delle galee e liburne romane (il rapporto tra lunghezza e larghezza andava da 3,3 a 3,8), la caravella era veloce e facilmente manovrabile, in virtù dell'uso simultaneo di poche vele diritte o quadre (per la propulsione in mare aperto) e di molte vele oblique o triangolari o latine (per la direzione), che le permettevano, con soli 20-30 marinai, di muoversi anche col vento sfavorevole. La necessità di aumentare la velocità e di guadagnare in stabilità aveva determinato l'allargamento della superficie delle vele e, di conseguenza, la trasformazione della chiglia, che si alzava in due parti ricurve uguali, in elemento portante della nave.

Nel Mediterraneo, dove le navi usavano vele latine, introdotte dagli arabi all'inizio del XIV sec., l'uso della vela quadra all'albero maestro e della latina a quello di mezzana, segnò una vera rivoluzione, anche se la vela quadra era già stata ampiamente usata nell'antichità greco-romana. Fin dalla metà del '400, navi di tre o quattro alberi erano la normalità.
La caravella aveva un unico timone di poppa, interno allo scafo, manovrato attraverso un'asta terminante in una ruota: esso sostituiva il timone esterno e i remi di governo. Il timoniere operava sotto il ponte di coperta ed aveva una visuale molto limitata. La stiva, molto capiente, era utile per le lunghe navigazioni. Lo scafo di scarso pescaggio (grazie alla chiglia "panciuta") consentiva di avventurarsi sui bassi fondali costieri e addirittura di risalire i fiumi per lunghi tratti.
Delle tre caravelle di Colombo, solo la Niña (50 tonnellate di stazza, 17 metri di lunghezza) e la Pinta (60 tonnellate di stazza, 21 metri di lunghezza), possono essere definite tali, in quanto la Santa Maria, nave ammiraglia (100 tonnellate di stazza, 26 metri di lunghezza) era piuttosto una "caracca". Essa si sfasciò durante il primo viaggio, mentre l'equipaggio costeggiava l'isola di Haiti.
La velocità della caravella sarà superata soltanto dai clippers, gli enormi velieri del XIX sec. La caravella, col tempo, si trasformerà nella fregata, nave tipica da guerra, passando dalla struttura in legno a quella in acciaio.

Oltre a ciò furono adottati o migliorati la bussola (l'ago magnetico prima immerso nell'acqua, montato su un perno, ora viene inserito in una scatola, insieme ad un quadrante circolare, diviso in 32 punti: nord, nord-est, nord-nord-est ecc., formando la cosiddetta "rosa dei venti", indipendente dal movimento della nave), le carte nautiche (basate sul mappamondo di Toscanelli) e i portolani (libri particolari che descrivevano le coste e gli approdi: i portolani saranno prodotti come vere e proprie carte marine solo quando si generalizzerà la proiezione cartografica di Mercatore nel 1569), l'astrolabio (strumento goniometrico preso dagli arabi, con cui si calcolava la posizione degli astri e la latitudine), il quadrante nautico e la balestrigia (che facilitavano il calcolo della latitudine in mare), le tavole trigonometriche di martelogio (che permettevano di correggere in modo approssimato lo scarto fra il Nord e il polo magnetico indicato dalla bussola).

Qui si può precisare che molta di questa strumentazione, già in uso sulla terra per lo studio dei corpi celesti, venne adottata sulle navi proprio per intraprendere dei viaggi in mari sconosciuti. Per i navigatori era necessario imparare a determinare la posizione delle terre avvistate, in rapporto a precisi punti di riferimento (i corpi celesti), a cominciare dalla stella polare, la cui altezza, cioè l'angolo sopra l'orizzonte, diminuiva via via che una nave procedeva verso sud. Nell'emisfero australe, dove non era più possibile riferirsi alla stella polare, si ricorreva, sempre con l'aiuto dell'astrolabio, alla misurazione dell'altezza della meridiana del sole, il che comportava calcoli piuttosto complicati.

In ogni caso per tutto il '500 non fu possibile risolvere il problema della determinazione della longitudine. La navigazione in mare aperto era basata su una stima approssimata della velocità, della direzione e del tempo, integrata con osservazioni di latitudine. La stessa decisione di usare le Canarie come base di partenza del primo viaggio, era nata da un'errata valutazione di Colombo che, sulla scia del Toscanelli, credeva il Giappone (Cipango) non solo sulla stessa latitudine dell'arcipelago canario (28o parallelo), ma anche a una distanza inferiore ai 5000 km, mentre in realtà la distanza è di quasi 20.000 km. Fu dunque un caso che Colombo scoprì l'America.

La cartografia
Un serio ostacolo all'organizzazione dei viaggi marittimi erano alcune opinioni geografiche che risultarono dominanti nei primi 1500 anni d.C., fondate sulla teoria di Tolomeo, uno scienziato dell'antica Grecia, la cui mappa terrestre fu comunque di gran lunga migliore di tutte le mappe prodotte nel Medioevo.
Tolomeo ammetteva la sfericità della Terra, ma la restringeva all'8% della sua reale dimensione, mettendo l'equatore troppo a nord, al punto che a sud la sua mappa si fermava all'Etiopia. Inoltre sosteneva che l'Asia sud-orientale si congiungesse con l'Africa orientale e che l'Oceano Indiano era completamente racchiuso dalla terra (ignorava anche la natura peninsulare dell'India e l'esistenza dell'arcipelago indonesiano). In tal modo non sarebbe stato possibile passare dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano e raggiungere, per via mare, le coste dall'Asia orientale. Inoltre nel Medioevo si credeva che presso l'equatore esistessero temperature così elevate da far "bollire" il mare e bruciare le navi. La vita sulla Terra era ritenuta possibile solo nelle zone climatiche temperate.

Molte di queste idee già nel sec. XIII, con Marco Polo e altri viaggiatori (inclusi i missionari francescani), erano state messe seriamente in discussione (si dimostrò, ad esempio, che la costa orientale dell'Asia era bagnata dal mare).
Nel 1375 l'Atlante catalano dell'ebreo Abramo Cresques aveva presentato un'assoluta novità. Sino a quel momento si credeva che esistesse solo ciò che gli europei avevano visto: ora invece le terre che si sapevano esistere, ma che non si conoscevano, erano raffigurate in bianco, come "luogo sconosciuto" (le isole atlantiche, l'Estremoriente e i regni africani oltre il Sahara).
Agli inizi del XV sec. si avanzò l'idea di poter raggiungere via mare la costa orientale dell'Asia, navigando dall'Europa verso occidente, attraverso l'Oceano Atlantico (vedi ad es. l'opera Imago Mundi del vescovo francese Pierre d'Ailly, del 1410, la carta geografica del cosmografo fiorentino Paolo Toscanelli e il mappamondo dell'astronomo di Norimberga, Martin Behaim).

Naturalmente, per condividere un'idea del genere bisognava accettare l'ipotesi della sfericità della Terra e di un unico oceano che la bagnava (ipotesi peraltro già formulata da alcuni antichi scienziati greci). Verso la metà del '400 le mitiche Colonne d'Ercole, barriera del mondo conosciuto, si erano spostate in mezzo all'Atlantico. Il problema era diventato non solo quello di arrivarvi ma anche quello di ritornare in Europa. Non pochi casi erano finiti tragicamente.

Decisive furono le esperienze dei portoghesi che nel 1483-84 avevano superato l'equatore, dimostrando a tutti che la zona intertropicale era abitata e attraversabile. Era di colpo crollata la teoria tradizionale secondo cui agli Antipodi gli uomini non potessero stare in piedi e che le navi, scivolando verso sud, non potessero mai fare ritorno. Praticamente, alla fine del XV sec. la rotondità della terra non veniva messa in discussione da nessuno, se non da qualche ambiente clericale. Il merito di Colombo, in tal senso, sta piuttosto nell'aver saputo sfruttare, nel percorso di andata, i venti alisei che nel mese di settembre soffiano in modo regolare e costante presso le Canarie, e, nel percorso di ritorno, i venti occidentali.

Da notare che le mappe del capitano turco Piri Reis, scoperte nel 1929 negli archivi del Topkapi, essendo molto precise e di assoluta avanguardia per quei tempi, gettano una luce diversa sul patrimonio delle autentiche conoscenze nautiche a cavallo tra XV e XVI secolo. Forse a partire da esse gli studiosi riusciranno anche a risolvere il famoso mistero di una mappa segreta giunta nelle mani di Colombo prima della sua partenza per San Salvador.

L'arte militare. - Naturalmente senza il perfezionamento dell'arte militare, non sarebbero potute avvenire le esplorazioni marittime commerciali, poiché sia il Portogallo che la Spagna non scartarono mai a priori l'idea di dover usare la forza (soprattutto contro il mondo musulmano), pur di ottenere quello che cercavano. Furono la scoperta della polvere da sparo (miscela di carbone, zolfo e potassio) e i progressi nella lavorazione del ferro ad aprire la strada alla costruzione dei cannoni, in grado di lanciare bombe di ferro o di bronzo che esplodevano sino a mille metri di distanza.

Con i cannoni (che perfezionarono le primitive bombarde, larghe di bocca e molto corte, capaci di lanciare solo palle di pietra lungo una traiettoria quasi circolare) si potevano distruggere torri, bastioni, castelli e assediare con successo le città; mentre con i proiettili dei fucili si poteva forare il ferro e il cuoio, rendendo così inutili le pesanti armature medievali. Le caravelle, nate come battelli da commercio, si potevano trasformare in navi da guerra, in grado di portare anche pesanti cannoni, da un minimo di 15 a un massimo di 40.

Il resto del mondo
E' bene però sottolineare che in questi secoli non era sviluppata solo l'Europa occidentale ma anche una buona parte dell'Asia. Indiani, cinesi, malesi e arabi avevano raggiunto già nel periodo medievale notevoli risultati nel campo delle conoscenze geografiche, nello sviluppo e nell'arte della navigazione negli oceani Indiano e Pacifico. Molto tempo prima della comparsa degli europei nell'Oceano Indiano, questi popoli avevano scoperto la grande via marittima sud-asiatica che collegava i Paesi dal Mar Rosso e dal Golfo Persico fino al Mar Cinese meridionale.

Come già detto, nel XV sec. il primato nel commercio e nella navigazione nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nella parte occidentale dell'Oceano Indiano, era passato agli arabi, che erano gli unici veri intermediari nel commercio dell'Asia meridionale con l'Europa. Le loro navi raggiungevano l'India, Ceylon, Giava, la Cina. Città e mercanti dell'Islam -ha scritto F. Braudel- s'impadronivano già di oro, avorio e schiavi sulla costa di Zanzibar e, attraverso il Sahara, nell'ansa del Niger.

Anche gli arabi disponevano di bussole, compassi, portolani, carte nautiche e di una vasta letteratura specializzata per la navigazione. Senza questa letteratura, l'arrivo dei portoghesi in India sarebbe stato sicuramente più difficoltoso. Quando le navi di Vasco de Gama, nel 1498, gettarono per la prima volta l'ancora nella città indiana di Calcutta, il loro pilota era il famoso marinaio Ahmed Ibn Madjid. Egli scrisse il Libro di dati utili sulle basi della scienza marinara e sulle sue regole, ove vengono minuziosamente delineate tutte le rotte nel Mar Rosso e nel Golfo Persico lungo l'Africa, verso l'India e verso l'arcipelago malese, fino alle coste della Cina e di Formosa.
Solo il commercio marittimo nell'Asia sud-orientale era sostanzialmente nelle mani dei cinesi e dei malesi. La Cina, in particolare, era una grande potenza marinara. Già nel II secolo d.C. nei cantieri cantonesi si fabbricavano navi a quattro alberi, con una capacità di carico di 100 tonnellate.

La Cina esportava grandi quantità di seta, porcellane, oggetti d'arte, mentre importava spezie, cotone, erbe medicinali, vetro e altre merci. Nei suoi porti si costruivano vascelli per i viaggi di lungo percorso, in grado di contenere fino a mille marinai e soldati (scorta necessaria per fronteggiare i pirati dell'arcipelago malese). Queste navi erano mosse da vele fatte di canna, fissate su pennoni mobili: il che permetteva di mutarne la posizione a seconda della direzione del vento.

Le carte geografiche erano note da tempi immemorabili e alla fine dell'XI sec. le navi cinesi impiegavano regolarmente la bussola, mentre i loro marinai conoscevano alla perfezione i monsoni dei mari del Sud, le correnti marine, le secche, i tifoni, ecc.
Nella prima metà del XV sec. essi avevano già realizzato grandi spedizioni militari e marittime nell'Oceano Indiano e nell'arcipelago malese, eliminando le numerose bande di pirati che ostacolavano lo sviluppo del loro commercio con i Paesi dell'Asia meridionale.
Tra il 1403 e il 1419 i cinesi erano riusciti a costruire delle navi di circa 100 metri di lunghezza. Si pensa addirittura che intorno al 1420 essi siano giunti al Capo di Buona Speranza. Ciò non può escludere l'ipotesi che la Cina o comunque l'Asia abbia tenuto contatti sporadici con l'America fino a poco tempo prima dell'arrivo degli europei.

Anche per i cinesi la Terra era composta da tre continenti: essi conoscevano il profilo sud-occidentale dell'Asia fino al Mar Rosso, la forma triangolare dell'Africa e l'esistenza del Mediterraneo. Inoltre, benché non conoscessero né il nome né il profilo dell'Europa, indicavano sulle loro carte un centinanio di toponimi europei, tra cui Germania, Francia, Budapest... Alla fine del '500 saranno i gesuiti a introdurre in Cina la nuova immagine del mondo.

Perché Spagna e Portogallo
Sino a pochi anni fa si sosteneva che gli indios americani erano venuti dall'Asia (australiani, mongoli, popolazioni uraliche e malesi-polinesiani) attraverso lo stretto di Bering nell'età della pietra. Oggi invece, grazie alla nuove scoperte archeologiche, ai progressi nella stratigrafia e nell'uso del carbonio 14, si fa risalire tale migrazione a 40-80.000 anni prima della nostra era. Alcuni degli antichi abitatori dell'America possono essere giunti dall'Asia attraverso l'Antartico. Probabilmente tale migrazione è cessata circa 20.000 anni prima della nostra era.

Non pochi studiosi oggi sono dell'avviso che i rapporti tra Asia e America siano continuati anche dopo la fine delle migrazioni. Troppe cose simili lo attestano: non solo oggetti di artigianato, sculture, ceramiche..., ma anche nell'ambito dell'architettura, della letteratura, della religione, delle tecniche agricole e di costruzione delle canoe, persino nei calendari e nell'alimentazione.
Esiste un documento cinese, conosciuto col nome di Storia delle dieci isole, che risale a due secoli prima di Cristo, e che narra di una spedizione di monaci buddisti diretti verso il continente americano, tornati in Asia dopo 40 anni, attraverso il Pacifico a sud.

Da notare che quando Colombo raggiunse per la prima volta la terraferma, nell'attuale territorio del canale di Panama, gli aborigeni gli comunicarono che sul versante opposto non solo c'era il mare, ma anche che da quel punto si poteva raggiungere la Cina.
Naturalmente nessuno dei fatti qui ricordati è sufficiente da solo a provare che gli asiatici abbiano "scoperto" l'America prima degli europei; anche perché questi contatti attraverso il Pacifico, se vi sono stati, non hanno prodotto effetti significativi sulle popolazioni del Nuovo Mondo. Alla "scoperta" non seguì la "conquista". E questo vale anche per alcuni europei pre-colombiani: si pensi a quel gruppo di monaci irlandesi, tra cui san Brendano, che nel VII sec. avrebbe -secondo una tradizione- varcato l'Atlantico. O al vichingo Leif Ericsson, che attorno all'anno mille, approdò in Vinlandia, l'attuale Terranova.

Oggi peraltro nessuno mette in discussione che gli scandinavi abbiano mantenuto piccoli stanziamenti nel nord-est del continente americano tra il IX e il XV sec., anche se non compresero di aver scoperto il Nuovo Mondo e non introdussero neppure i cavalli.

Era necessario elencare queste cose per sfatare anzitutto il mito che Spagna e Portogallo siano state le prime nazioni del mondo a metter piede in America. Gli europei non hanno "scoperto" l'America: semmai l'hanno fatto i primi emigranti asiatici, che hanno popolato un continente disabitato.

Meglio sarebbe dire che con Colombo inizia il colonialismo europeo di tipo capitalistico in un nuovo continente. E inizia in modo consapevole, poiché lo stesso Colombo, che per l'occasione cambiò il proprio cognome in Colòn (ripopolatore), negli anni 1497-98 elaborò un Memoriale, abbastanza dettagliato, di colonizzazione, rivolto ai Re Cattolici sul popolamento delle Indie. Nel 1500 scrisse una lettera a donna Juana de Torres in cui rivendicò esplicitamente il suo ruolo di conquistatore: "Io debbo essere giudicato come capitano inviato di Spagna a conquistare fino alle Indie gente bellicosa e numerosa, di costumi e credenza opposti ai nostri, la quale vive per balze e monti senza fissa dimora... Io debbo essere giudicato come capitano, che da tanto tempo ad oggi, porta le armi al fianco senza abbandonarle nemmeno un'ora e che comanda a cavalieri di conquista e a uomini d'azione e non a letterati".

Il modello di colonialismo cui Colombo s'ispirava era evidentemente quello portoghese, che aveva realizzato grandi successi, nel decenni precedenti alla "scoperta" dell'America, sia in Africa che in Asia.
Molto tempo prima di Colombo vi era stato il colonialismo medievale delle crociate, indirizzato verso l'Europa orientale e il Medioriente. Praticamente l'Europa occidentale, da quando è sorta l'istituzione della proprietà privata, è sempre stata caratterizzata da rapporti colonialistici col resto del mondo. Al tempo dei romani il ruolo veniva svolto dall'Italia nei confronti dell'Europa e dei paesi mediterranei.

Solo partendo da questo presupposto si può comprendere il motivo per cui Spagna e Portogallo, e non Cina o qualche paese arabo, hanno fatto dell'America un continente da sfruttare. Naturalmente non sarebbe inutile cercare di capire se il cristianesimo aveva in sé degli elementi che potevano essere usati meglio di quelli dell'islam o del buddismo, per un'operazione del genere. Gli studi, in questo senso, sono davvero pochi, almeno in Europa.

Ancora, in effetti, non è molto chiaro il motivo per cui sono state proprio le due nazioni più cattoliche d'Europa, quelle peraltro che si trovavano nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico (si pensi soprattutto alla Spagna), a dare il via al moderno colonialismo borghese.
Probabilmente Spagna e Portogallo cercavano nelle avventure coloniali internazionali un modo pratico per non far morire l'ideale della cristianità, che nell'Europa umanistica e rinascimentale era entrato fortemente in crisi. Spagna e Portogallo, rimaste troppo indietro rispetto ai processi emancipativi del continente europeo, credettero di trovare nel colonialismo l'occasione della propria sopravvivenza in quanto nazioni "cattoliche".

In questo senso la Riconquista antislamica non sortì l'effetto sperato, poiché alla omologazione ideologica non seguì il benessere economico. Eliminando ebrei e musulmani (cioè le classe e i ceti artigianali, commerciali e finanziari), gli spagnoli e i portoghesi non furono capaci di sostituirli con proprie forze sociali di tipo borghese, né seppero edificare un tipo di società più democratica. Il fallimento economico della Riconquista rese in un certo senso inevitabile, se si voleva salvaguardare inalterata l'ideologia cristiana, la sua prosecuzione aldilà dei confini nazionali.

Solo col passare del tempo, non senza drammi e tragedie, Spagna e Portogallo saranno costrette ad ammettere che il medioevo cattolico non aveva alcuna possibilità di contrastare l'emergente capitalismo protestante. L'ideale cristiano poteva sperare di sopravvivere solo dopo averlo negato.

ENRICO GALAVOTTI

Riferimenti

http://www.homolaicus.com

Questa pagina
(concessa solo a Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net


LA COLONIZZAZIONE DEGLI EUROPEI IN AFRICA

By Yuri Marcialis

L’Europa iniziò una sorta di conquista del mondo grazie ai suoi soldati, missionari e mercanti a partire dai tempi delle grandi scoperte geografiche. Questa tendenza raggiunse il culmine nella seconda metà dell’ottocento però con obiettivi differenti rispetto al passato. Se sino ad allora l’espansione coloniale fu favorita dall’iniziativa privata (le grandi compagnie mercantili), la nuova espansione fu sempre più un obiettivo strategico dei governi europei. La costruzione di enormi imperi coloniali oltremare divenne un imperativo per tutte le grandi potenze. Alla penetrazione commerciale, unico obiettivo del colonialismo sino a quel momento, si aggiunse un progetto di sfruttamento economico e assoggettamento politico.
Vennero istituite colonie (con amministrazione diretta degli europei) e protettorati (controllo indiretto) in vastissimi territori dell’Asia, del Pacifico e in particolar modo dell’Africa. In pochi decenni le grandi potenze europee ampliarono a dismisura i propri possedimenti africani, arrivando a dividersi tutto il territorio del continente.

 



Divisione coloniale prima della fase di decolonizzazione

I fattori che decretarono questo cambio di politica furono molteplici ma certamente ebbero un ruolo fondamentale gli interessi di tipo economico. L’accaparramento di materie prime a basso costo era uno degli obiettivi principali ma anche la ricerca di sbocchi commerciali nuovi, in un periodo di politiche protezionistiche degli Stati europei.
Le nazioni europee giustificarono le loro mire sul continente africano in nome di una presunta missione civilizzatrice. In effetti l'importanza economica dei territori africani, sia in termini di risorse naturali che di sbocchi per le merci europee, fu sovrastimata dai promotori delle imprese coloniali. L'effetto maggiore della dominazione europea fu quello di destabilizzare un intero continente.
Durante la colonizzazione l’Europa portò la sua organizzazione economico-sociale e più in generale la sua civiltà, spesso imponendole con l’uso delle armi. Nell’Africa animista e pagana gli effetti furono dirompenti: interi sistemi di vita, di riti e credenze, di costumi e di valori furono messi in crisi. Molto spesso l'azione degli europei si limitò al saccheggio della risorse naturali e non vennero create strutture utili ad un'economia moderna ed inoltre nei paesi nei quali si stabilirono comunità di origine europea nacquero tensioni con la popolazione locale, discriminata politicamente ed economicamente.
I colonizzatori non si posero mai il problema della qualità della vita delle popolazioni locali e mai cercarono di migliorarne le condizioni. Le infrastrutture, fossero esse strade, ponti o ferrovie, si svilupparono solo ed esclusivamente a beneficio degli occidentali o meglio a beneficio dell’economia europea. Per esempio la rete ferroviaria africana si sviluppa in due modi differenti:
- lungo le coste, spesso per collegare più porti tra loro;
- per brevi tratti che dall’interno arrivano alle città portuali.
In entrambi i casi si tratta di uno sviluppo finalizzato alla raccolta delle materie prime da portare verso i mercati europei.
In questa situazione è facile comprendere come i colonizzatori preferissero stabilirsi stabilmente presso le città portuali che essi stessi avevano fondato dal nulla o creato grazie all’ampliamento di piccoli insediamenti . Lo sviluppo delle città locali fu fortemente influenzato da questa anomala dislocazione di infrastrutture e tutte le città nate o cresciute in questa epoca si trovano lungo i tratti di strada ferrata o sui fiumi navigabili.
Le città della regione sudanese che possono essere inserito in uno studio sugli effetti della colonizzazione nelle aree urbane sono: Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Sudan, Eritrea

 

Bamako
Capitale del Mali è situata sulle rive del fiume Niger, venne fondata nel 1650 ma all’arrivo dei francesi non era che un villaggio di 800 abitanti. Si sviluppò demograficamente ed urbanisticamente solo agli inizi del XX secolo, grazie anche al suo collegamento ferroviario con Dakar, avvenuto nel 1904.
Nel 1908 divenne capitale dell’Alto Senegal e da allora l’incremento demografico è stato notevole, si passa dai circa 8000 abitanti del 1915 ai 37000 del 1945. Nel 1960 con l’indipendenza del Mali, divenne capitale dello Stato e dai circa 160000 abitanti si arriva all’attuale milione.
Durante il periodo della colonizzazione ebbe funzioni di tipo politico e commerciale. Fu sede degli organismi politici dell’Alto Senegal ma svolse anche il ruolo di centro di smistamento delle merci provenienti da tutta la regione infatti nel 1920 era già attivo un mercato di tipo europeo.
Attualmente Bamako continua a svolgere funzioni politico-amministrative e funzioni economiche, è infatti un importante centro commerciale (prodotti agricoli, ittici e forestali) nonché un importante nodo di comunicazioni per il Paese. Oltre al collegamento ferroviario con il Senegal è fondamentale la navigazione sul Niger, praticabile per circa 360 km anche a monte della città, fino all'altra ferrovia, proveniente da Conakry. Le strade principali collegano la capitale a Gao (con diramazione per il Sahara), a Kayes (Senegal), a Sikasso (Burkina Faso) e a Conakry.
Bamako è anche sede sede di giardini botanici e zoologici e dei maggiori Istituti culturali del Paese, tra cui la Scuola Nazionale di Amministrazione, la Scuola di Medicina e quella di Ingegneria, svolge quindi un ruolo culturale fondamentale per il Mali.
La pianificazione urbana della città è stata opera dei francesi ed è possibile distinguere chiaramente i quartieri europei, organizzati secondo criteri urbanistici occidentali, da quelli africani, cresciuti spontaneamente a seguito dell’urbanizzazione abnorme.

Segou
Fondata nel 1620 dai Bozo, conta oggi circa 100.000 abitanti. La città ebbe una prima espansione nel XVIII secolo dopo che Biton Mamary Coulibaly divenne re e fondò l’Impero Segou, ma declinò sino all’arrivo dei francesi nel 1892. La principale città della tribù dei Bambara, è situata nei pressi dei ruderi di Mbelba, un'antica capitale di questa etnia a 235 km ad est di Bamako, è attualmente una delle città più importanti del Mali. Posta sulle rive del fiume Niger, è stata la capitale del Niger durante l’occupazione francese, svolgendo un ruolo amministrativo di primaria importanza ma anche una funzione propulsiva nei confronti dell’economia della regione. Nei progetti francesi la zona circostante sarebbe dovuta essere la principale fornitrice di materie prime come il cotone, a tale scopo venne costruita una diga e iniziarono i lavori per i canali di irrigazione, mai terminati, e il cotone fu abbandonato ma iniziò la produzione di riso.
Attualmente conserva l’aspetto delle tipiche città coloniali africane, nota come la Venezia del Mali per il suo sistema di canali e acquedotti. Le costruzioni del centro sono composte da muri di fango e le vie sono strette e lunghe, conservano quindi la conformazione dei secoli scorsi, perché lo sviluppo demografico ha portato allo sviluppo di nuovi quartieri e nessuna pianificazione o riorganizzazione è avvenuta nel centro della città.
Oggi Segu, come viene anche chiamata è conosciuta per il famoso mercato e per la produzione di ceramica e l’industria ittica.

Kayes
Il cui nome deriva da una deformazione del nome locale Karrè, è situata nell’attuale Mali e conta circa 70.000 abitanti. Kayes è il capoluogo dell’omonima regione ed è situata a 500 km da Bamako sulle rive del fiume Senegal e sulla ferrovia che da Bamako conduce a Dakar. I francesi arrivarono a Kayes a metà del XIX secolo e per assumere il controllo della città dovettero espugnare il forte situato nelle vicinanze. Nel 1857 l’assedio durò quattro mesi a causa della strenua difesa delle milizie comandate da El Hadji Omar.
Kayes conserva ancora le funzioni, che aveva anche in età coloniale, di mercato agricolo e centro di lavorazione delle pelli. Attualmente è uno dei maggiori centri commerciali sul fiume Senegal all’interno di una regione le cui produzioni principali sono quelle dell’arachide e della gomma arabica.

Tombouctou
Altra città del Mali venne fondata nell'XI secolo, nella regione del Gao, alla sinistra del fiume Niger e sulla strada transhariana che conduce in Algeria, fu un fiorente mercato degli schiavi, dell'oro e del sale.
Timbuctù, come viene anche chiamata, fu una delle città più importanti dell’intero mondo arabo. Durante il XVI secolo quando era una dei principali centri di commercio sulle rotte transhariane nacquero numerose scuole craniche e due università, ma il suo ruolo di tipo culturale cambiò con l’arrivo degli europei nel 1828. Oggi Tombouctu è una cittadina di soli 20000 abitanti e le sue strade sono perennemente coperte di sabbia.
Attualmente è presente un modesto mercato agricolo e del bestiame e permangono forti e moschee all’interno dell’area urbana.

Dakar
Capitale del Senegal e capoluogo dell'omonima regione, all'estremità meridionale della penisola del Capo Verde, con i circa due milioni di abitanti è una delle maggiori città della costa nord-occidentale dell’Africa.
Lo sviluppo della città è relativamente recente: fondata verso la metà del XIX secolo dai francesi come base militare, è divenuta lo sbocco marittimo del Paese oltre ad essere l’unico grande e moderno porto dell’Africa occidentale. Ha avuto un improvviso sviluppo con la costruzione di ferrovie interne e l’impetuoso processo di crescita urbana con fortissime correnti immigratorie dall'intero Paese, hanno fatto assumere a Dakar la tipica connotazione di "città-fungo". Questo ha fatto si che, dal punto di vista urbanistico, ci sia stata una formidabile espansione dell'agglomerato urbano, a partire dal quartiere politico-amministrativo, che occupa l'estremità meridionale della penisola e dal quartiere degli affari, a nord del precedente, a sua volta affiancato dalla zona portuale.
Da importante centro militare, quale era nelle intenzioni francesi, Dakar è diventato un grande porto commerciale e di pesca, con la presenza di industrie alimentari, meccaniche, tessili, chimiche e del cemento. Uno de porti meglio protetti di tutta la costa occidentale africana è il punto nevralgico delle linee di navigazione intercontinentali, vasto emporio di traffici commerciali (tra i quali quelli relativi al carbone, cereali, zucchero, arachidi, cotone). Inoltre Dakar svolge anche un’importante funzione culturale, essendo sede di una frequentata università (fondata nel 1957) e di numerosi musei.
Dal punto di vista urbanistico Dakar assume sempre più l’aspetto di una città occidentale, presenta un’urbanizzazione eterogenea caratterizzata da elementi tradizionali ed europei, moderni e di sottosviluppo.

Niamey
Niamey (popolazione di circa 1 milione di abitanti), è la capitale del Niger e capoluogo del dipartimento di Tilabery. È la città principale del Niger e sorge sulle rive del fiume Niger, prevalentemente sulla riva destra.
Niamey venne presumibilmente fondata nel XVIII secolo, ma all’arrivo dei francesi non era altro che un villaggio. Fu costruita una postazione coloniale intorno al 1890 e da allora iniziò una crescita che dura tutt’oggi. Nel 1926 Niamey divenne la capitale del Niger e la popolazione aumentò gradualmente da circa 3.000 unità nel 1930, a circa 30.000 nel 1960, 250.000 nel 1980. La principale causa di tale incremento è stata l'immigrazione durante i periodi di siccità. Attualmente Niamey, col suo 5,7% annuo, è la sesta città al mondo per crescita demografica.
Oggi Niamey conserva le sue funzioni di centro amministrativo, culturale ed economico della nazione e il suo ruolo commerciale centrale essendo un importante mercato del bestiame (cammelli), con industrie alimentari, tessili, conciarie, delle ceramiche e dei materiali da costruzione. La città sorge in una regione di coltivazione delle arachidi. mentre l'industria manifatturiera riguarda mattoni, prodotti in ceramica e tessile.

Khartoum, o Khartum
Capitale dello Stato ha circa un milione di abitanti ed è situata alla confluenza del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, mentre alla sinistra del Nilo Bianco sorge l'abitato di Omdurman , antica capitale del Madi. Fondata nel 1822 da Mohammed Ali, come piazzaforte militare, divenne capitale dello Stato nel 1830. Occupata dai mahdisti nel 1885 subì un lungo assedio (1884-1885) poi distrutta da un incendio, fu riconquistata 13 anni più tardi dagli Anglo-Egiziani.
Fu un importante mercato degli schiavi e dell'avorio, attualmente è un importante nodo di comunicazioni stradali e ferroviarie, con intense attività commerciali e industrie della gomma, del vetro, alimentari, meccaniche, tessili.
La pianta della città è impostata su vie rettilinee, ampie e spesso alberate, con begli edifici pubblici centrali. La popolazione, assai mescolata dal punto di vista etnico e religioso a causa della forte immigrazione, è aumentata in modo esponenziale nella seconda metà del XX secolo.


Asmara
Capitale dell'Eritrea (circa 500.000 abitanti), a 2329 m sull'Acrocoro in una fertile regione irrigata dai fiume Barca e Anseba. Si sviluppò durante la dominazione italiana (dal 1889) quando, divenuta centro dei rifornimenti nel corso della guerra italo-etiopica, fu collegata tramite strada e ferrovia con Agordat e con il porto di Massaua , sul Mar Rosso. Fu proclamata capoluogo della colonia dell’Eritrea nel 1897 e con la conquista italiana dell’Etiopia avvenuta nel 1935-36 divenne nodo di importanti comunicazioni stradali ed ebbe un notevole sviluppo.
Attualmente Asmara è un centro amministrativo dall'aspetto europeo, dalle vie rettilinee e con numerosi giardini e sede di un'università. Da quando nel 1991 è stata liberata dal dominio etiopico si è sviluppato un fiorente mercato agricolo (cereali, semi oleaginosi) e del bestiame, con industrie alimentari (carne in scatola, birra) e del cemento.

N'djamena
Città di circa 600.000 abitanti, è la capitale del Ciad, porto alla confluenza dei fiumi Chari e Logone, fu fondata nel 1900 col nome di Fort-Lamy in ricordo del comandante Lamy, caduto nel combattimento di Kousseri, fu uno dei forti costruiti a partire dal 1900 per servire di base alla conquista del Ciad.
Attualmente è un importante centro commerciale situato in una posizione particolarmente favorevole perché all'incrocio delle principali direttrici del traffico con la Nigeria, la Repubblica Centrafricana.
N'djamena è servita da un porto fluviale di grandi dimensioni e da un aeroporto internazionale. La città è sede delle poche attività industriali del Paese che comprendono sia la trasformazione dei prodotti agricoli che quelli dell'allevamento: impianti per la lavorazione del cotone e la produzione di oli vegetali, mattatoi, concerie.

Ouagadougou
Capitale del Burkina Faso è la città più grande della nazione, con una popolazione di 960.116 abitanti (2000) e ne è il centro culturale ed economico, oltre che amministrativo. Il suo nome viene spesso abbreviato in Ouaga. Ouagadougou fu uno stato fondato nell'XI secolo il cui insediamento centrale, Kombemtinga, divenne capitale dell'Impero Mossi. A seguito della conquista francese del 1896 lo stato venne unito ad altri tre nella colonia francese dell'Alto Volta (Haute Volta) e nel 1919 Kombemtinga venne ribattezzata Ouagadougou che nel 1960 divenne capitale dell'indipendente Repubblica dell'Alto Volta, ribattezzato Burkina Faso nel 1984.
La città è collocata approssimativamente nel centro del paese (12,4° N 1,5° O). Possiede un'industria limitata, principalmente nel settore alimentare e tessile e non è dotata di una rete di comunicazione adeguata.
Dal punto di vista urbanistico si può notare che la città possiede pochi edifici moderni importanti ed è divisa in 30 settori, molti dei quali organizzati secondo una pianificazione puntuale e altri cresciuti in maniera più o meno spontanea.


città - abitanti - stato - abitanti - proporzione

Bamako 1.000.000 Mali 11.000.000 9,09 %
Segou 100.000 Mali 11.000.000 0,91 %
Kayes 70.000 Mali 11.000.000 0,64 %
Tombouctou 20.000 Mali 11.000.000 0,18 %
Dakar 2.000.000 Senegal 10.500.000 19,05 %
Niamey 1.000.000 Niger 11.500.000 8,70 %
Khartum 1.000.000 Sudan 38.000.000 2,63 %
Asmara 500.000 Eritrea 4.500.000 11,11 %
N'djamena 600.000 Chad 9.500.000 6,32 %
Ouagadougou 1.000.000 Burkina Faso 13.500.000 7,41 %

By Yuri Marcialis

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