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ANNO 637
AL– QADISIYYAH LA CONQUISTA ISLAMICA DELL’IRAQ

 

Data (637 d.C. secondo altri storici 636 d.C.)
Luogo al-Qadisiyyah (località vicino ad al-Hira nell’attuale Iraq)
Contendenti: Arabi mussulmani e Persiani Sassanidi

Protagonisti
Yadzagerd Re dei Persiani
Rustam Comandante in capo dell’esercito Persiano
Al-Jalnus Comandante dell’avanguardia
Al Bayruzan, al-Hormuzan ufficiali persiani

Sa’d b. Abi Waqqas comandante in capo dell’esercito mussulmano
Al-Qaqa, Zhurah, Shurabil, Abdallah: ufficiali arabi

Forze contrapposte
Arabi 12-18000 uomini a seconda delle stime
Sassanidi circa 30000 uomini, 33 elefanti


GLI ARABI IN IRAQ.

Subito dopo la morte di Maometto e la fine della guerra intestina della Ridda, bande di Arabi Mussulmani iniziarono la penetrazione negli imperi bizantino e persiano. I califfi Abu Bakr e Omar avevano dato il benestare e pianificato poi con una certa accuratezza l’invasione della Siria, ma nel caso dell’Iraq, che apparteneva ai Sassanidi, avevano dato ampia libertà d’azione ai capi beduini locali. In Iraq c’era sempre stata una fortissima presenza araba e il regno arabo satellite dei Lakhmidi per decenni era stato investito dai sovrani persiani del compito di sorvegliare la frontiera desertica e di impedire le incursioni delle tribù beduine. Il regno dei Lakhmidi comprendeva la città di al-Hira e i dintorni, un’area a poche decine di chilometri dalla stessa capitale persiana di Ctesifonte, e dunque di grande importanza strategica.

Nel 602 il re persiano Cosroe Parviz decise di deporre e mettere a morte l’ultimo re lakhmide, Nu’man b. Mundhir, che fu sostituito da un governatore persiano. Senza più il filtro degli alleati arabi a frenare le incursioni beduine, per l’intera zona iniziò un periodo di gravi turbolenze, non solo per le attività dei nomadi, ma per l’ostilità degli stessi Arabi della Mesopotamia che mal tolleravano di essere governati direttamente dai Persiani. Inoltre la defezione degli Arabi impedì ai Persiani l’impiego di truppe adatte per la guerra nel deserto; non potevano far altro che difendere le terre coltivate senza potere inseguire gli incursori beduini sul loro territorio.
Gli Arabi della zona sud- mesopotamica molestarono i Persiani senza alcun intento di conquistare il loro territorio fino al momento in cui vennero in contatto con le truppe di Khalid b. al-Walid, che aveva appena terminato di sconfiggere gli ultimi Arabi pagani nella guerra della Ridda. Khalid, dopo avere rimandato a Medina quasi tutti i suoi guerrieri, era rimasto con soli 900 uomini e aveva ricevuto l’ordine esplicito di Abu Bakr di non arruolare gli Arabi sottomessi durante l’ultima guerra.

La principale tribù araba beduina che operava nella zona meridionale dell’Eufrate era quella dei Shayban e Muthanna b. Haritha era uno dei suoi leader più prestigiosi. Quando Muthanna gli propose di sostenerlo nell’azione di guerriglia contro i Persiani, Khalid vide forse un’opportunità per far bottino e acquistare nuovi proseliti. Iniziò così, nel maggio del 333, la penetrazione islamica in Iraq. Al principio, data l’esiguità delle forze in gioco, furono condotti dei raid a corto raggio, ben poca cosa rispetto alle campagne in Siria.
Tuttavia la reazione persiana tardò ad arrivare e le forze locali subirono parecchi scacchi, culminati nella conquista araba di al-Hira. Questa fase della campagna non vide impegnato l’esercito reale persiano e secondo la ricostruzione del Donner (The Early Islamic Conquests pp. 173 sg.) si trattò più che altro di una fase di consolidamento dello stato islamico di medina sulle tribù arabe che operavano ai confini della pianura mesopotamica, senza che questa venisse seriamente minacciata.

LA REAZIONE PERSIANA.

L’impero sassanide stava subendo in quegli anni un gravissimo sconvolgimento seguito alla sconfitta nella guerra contro i Bizantini, un conflitto che aveva lasciato il regno esausto e in preda all’anarchia. Cosroe Parviz era stato assassinato dal figlio nel 628 e nei successivi quattro anni si erano succeduti sul trono otto sovrani tra parenti del defunto, generali e persino due donne. Nel 632 finalmente i Persiani avevano trovato un accordo ed elevato al trono un giovane di un ramo collaterale della dinastia, chiamato Yadzegerd, l’unico sassanide scampato al massacro generale degli anni precedenti. Il nuovo sovrano non aveva però né autorità né prestigio sufficiente per assicurare all’Impero la leadership necessaria in quel frangente.
La corte era dominata dal generale Rustam, e le province dai satrapi locali che governavano in modo quasi indipendente. Il pericolo rappresentato dagli Musulmani non poteva essere trascurato ancora a lungo. Al contrario dell’impero bizantino che poteva perdere intere province salvando il proprio nucleo, qui la capitale, il cuore dell’impero persiano, era a soli cento chilometri dall’area in cui gli Arabi avevano portato il loro attacco. Alla sua difesa c’era pur sempre l’esercito del Re con le truppe scelte, ma la mancanza di contingenti adatti alla guerra nel deserto rendeva i Persiani operativi solo nella stretta fascia di terre coltivabili immediatamente a sud ovest dell’Eufrate. In questo fazzoletto di terra si svolsero tutti gli scontri decisivi.

SCACCO A HIRA

Nonostante l’inferiorità numerica degli Arabi questi continuarono a cogliere vittorie sotto la guida di Khalid e Muthanna, ma quando il primo fu richiamato nel fronte siriano(inizio 634), il corso della guerra mutò. Muthanna non aveva sufficienti forze per portare avanti la campagna e tenere la città di Hira, per cui dovette risolversi ad andare a Medina per chiedere rinforzi. Il califfo Omar si mostrò favorevole ad un reclutamento di volontari mussulmani per la campagna. A capo dei rinforzi fu scelto l’oscuro Abu Ubayda al Thaqafi (da non confondere con l’altro generale che guidava le forze mussulmane in Siria), per favorire un maggiore afflusso di combattenti, i quali preferivano servire sotto le bandiere di uno dei loro che non sotto quelle di un beduino come Muthanna, che non apparteneva ai Mussulmani della prima ora e la cui conversione appariva sospetta e opportunistica.

Per rinforzare il contingente sempre esiguo Omar diede il permesso di arruolare gli uomini delle tribù arabe sconfitte nella guerra della Ridda. Mentre Abu Ubaida raccoglieva con fatica l’eterogeneo contingente di soccorso, i Persiani, sotto la guida del generale Rustam riconquistarono tutte le posizioni perdute e la stessa città di Hira. Nonostante ciò gli Arabi batterono tutte le colonne mobili persiane a ovest dell’Eufrate, ed accettarono baldanzosamente la sfida di un generale persiano, Bahman che li invitava a passare un ponte poco a nord di Hira per combattere sulla sponda orientale.
L’invito nascondeva una trappola, perché il lato orientale dell’Eufrate era un terreno coltivato che offriva maggior possibilità ai Persiani che non il lato desertico della sponda occidentale. Nonostante gli inviti alla prudenza di Muthanna, Abu Ubaida attaccò con la cavalleria araba oltre il ponte. Bahman gli scatenò contro un contingente di elefanti, la cui efficacia in battaglia si rivelava proprio contro la cavalleria. Come i Persiani speravano, i cavalli arabi non ressero all’attacco degli elefanti; Abu Ubaida finì calpestato e i suoi uomini messi in rotta.

La situazione divenne ancora più tragica per i Mussulmani, quando un soldato della tribù del comandante defunto tagliò il ponte, affermando che i bravi soldati devono vendicare il loro comandante, o cadere sul campo. Privati della sola via di fuga gli Arabi si fecero prendere dal panico e si accalcarono ancora di più verso il ponte rotto, finendo nei gorghi dell’Eufrate.. Muthanna, alzò lo stendardo del comandante caduto e con pochi guerrieri scelti operò un’indispensabile azione di retroguardia che consentì la riparazione del ponte e la fuga dei guerrieri superstiti verso l’altra sponda.
Ma alla fine della giornata 4000 mussulmani erano caduti insieme ad Abu Ubaida, mentre lo stesso Muthanna aveva riportato ferite tali che dovevano in breve condurlo alla morte.

Nonostante che le fonti riportino una vittoria dello stesso Muthanna in una successiva battaglia combattuta a Buwaib, dove sarebbe riuscito a sua volta a tagliare la ritirata ad un contingente persiano incautamente avanzato oltre la riva occidentale dell’Eufrate, chiaramente la disfatta della battaglia, “del ponte” marcò la fine dei progressi mussulmani sul fronte mesopotamico per almeno due anni. Con il grosso delle truppe impegnato in Siria il califfo Omar poteva mandare rinforzi soltanto a piccoli scaglioni, soprattutto dalle tribù dei b. Bajila e Azd.
Il comandante dei primi rinforzi era Jarir b. Abdullah dei b.Bajila. Il suo arrivo portò ad una crisi di comando perchè Muthanna questa volta voleva assumere il comando delle forze riunite, mentre Jarir si rifiutava di obbedirgli. Muthanna si lamentò con il califfo Omar che prese però le parti di Jarir che era stato compagno del profeta e quindi aveva un grado di nobiltà maggiore di un capo beduino. Secondo alcune fonti Omar tolse addirittura il comando a Muthanna, amareggiandogli ulteriormente gli ultimi mesi di vita.

 

LA NUOVA OFFENSIVA ARABA

Nel 636 mentre in Siria si combatteva la grande battaglia di Yarmuk, uno sforzo più grande dei precedenti venne fatto dal Califfo Omar per risolvere il conflitto con l’impero persiano. Un esercito di circa 12000 uomini venne posto sotto il comando di Sa’d b. Abi Waqqas con l’ordine di riconquistare le posizioni perdute. L’importanza dell’armata in partenza da Medina è data dal pedigree del comandante. Sa’d era stato uno dei Muhajirun di Maometto e aveva combattuto nella battaglia di Badr. Il suo prestigio l’avrebbe fatto accettare come comandante anche da parte dei capi beduini più riottosi (Muthanna era comunque morto).Il contingente era numeroso ma eterogeneo, diviso in tribù che mostravano poca attitudine a combattere in modo organizzato. Sa’d dovette addestrare i suoi focosi soldati a combattere disciplinati, e pur mantenendo l’ordine tribale, cercò di dividerli in raggruppamenti di dieci uomini.

Queste operazioni richiesero parecchio tempo, e solo nell’inverno 636-637 Sa’d fu pronto a muovere verso l’Eufrate, che raggiunse presso la località di Udhaib. Qui iniziò a concentrare le truppe che avevano proceduto in piccoli gruppi separati per poter attraversare il deserto. Le forze arabe ricevettero i rinforzi degli uomini di al-Muthanna e di altri contingenti tribali. Sa’d b. Abi Waqqas poteva contare anche su numerosi contingenti di non-arabi, tra cui alcuni preziosi guerrieri persiani, convertitisi all’Islam dopo aver disertato dall’armata del Re dei Re (jund shahansha) Nel frattempo, non appena giunse a Medina la notizia della battaglia di Yarmuk e della disfatta irrimediabile dei Bizantini, il califfo Omar ordinò ad alcuni contingenti scelti dell’esercito arabo in Siria di attraversare il deserto e portare aiuto a Sa’d in vista dell’imminente battaglia contro i Persiani. Questi rinforzi erano assommavano a 6000 guerrieri scelti ed erano guidati da Hashim b. Uthba b. Abi Waqqas, un nipote di Sa’d.

Nel frattempo le attività militari furono sostituite da quelle diplomatiche. Una legazione di venti guerrieri arabi, guidata dall’eminente Nu’man b. Muqarrin fu ricevuta da Yadzegerd.
Secondo quanto riferisce lo storico arabo al-Tabari
Il Re (Yadzegerd) allora chiese: Perché siete venuti qui?Cosa vi ha indotto ad attaccarci e a mettere le mire sul nostro paese? Avete forse preso coraggio perché vi abbiamo lasciati soli ed eravamo impegnati in altre questioni…Al-Nu’man disse:”Dio ha avuto pietà di noi e ci ha mandato un messaggero che ci ha mostrato cosa è bene e ci ha ordinato di praticarlo, ci ha fatto conoscere cosa è il male e ci ha ordinato di astenerci da esso…Poi ci ha ordinato di iniziare con le nazioni adiacenti alla nostra e invitarle alla giustizia. Noi ti stiamo quindi invitando ad abbracciare la nostra religione. Se tu rifiuti l’invito dovrai pagare il tributo. Questa è una cosa cattiva, ma non così cattiva come l’alternativa; se rifiuti di pagare sarà la guerra. Se ti converti ed abbracci la nostra religione, noi lasceremo con te il Libro di Dio e ti insegneremo i suoi contenuti, e tu governerai in accordo con le leggi incluse in esso. Se tu ti proteggerai contro di noi pagando il tributo, noi l’accetteremo da te ed assicureremo la tua sicurezza. Altrimenti ti combatteremo.

Naturalmente Yadzegerd non capì il senso della minaccia; per lui gli uomini del popolo arabo erano i più miserabili del mondo conosciuto, mangiatori di scorpioni, serpenti e altri animali impuri prodotti dalla loro terra ingrata; venire ad un accordo con loro era fuori questione. Dopo aver cercato di blandire i loro capi con doni, vedendo che erano fanatici irriducibili li congedò con queste parole: “ Ritornate dal vostro comandante e riferitegli che sto mandando da voi Rustam per far finire voi e il vostro comandante nel fossato di al-Qadisiyyah. Lui vi punirà severamente come un esempio per gli altri. Dopo lo manderò nel vostro paese e vi insegnerò a farvi gli affari vostri in un modo più duro di quello che avete sofferto dalle mani di Sabur (Sapore II 309-379, noto agli Arabi per la sua crudeltà). Come pagamento del tributò si limitò a dare al più nobile di loro una zolla di terra per dileggio, ma l’arabo l’accettò come un presagio del fatto che Yadzegerd aveva ormai sigillato il suo destino e consegnato la sua terra a loro.

Al fallimento delle trattative seguì una serie di scorrerie arabe in tutta la zona del Sawad, principalmente per procurarsi cibo e rifornimenti. Messaggi dei governatori locali iniziarono ad arrivare alla corte di Yazdegerd, tutti implorando l’aiuto dell’esercito. Rustam aveva ricevuto l’incarico di muovere l’armata reale, ma si mostrò particolarmente restio a rischiare l’intero regno in una battaglia campale su un terreno favorevole agli Arabi - certamente non ad al-Qadisiyyah-, pertanto non diede l’ordine di mobilitazione. Parecchie voci chiedevano le dimissioni del ministro/generale, e la sua sostituzione con un comandante più audace. Alla fine le pressioni del sovrano costrinsero Rustam ad organizzare l’esercito in vista della battaglia decisiva a cui si avviò molto di malavoglia.
Rustam impiegò ben quattro mesi per muovere l’esercito verso il fronte. Arrivò ad al-Najaf e trovò gli Arabi accampati sulla sponda di un canale artificiale dell’Eufrate usato per l’irrigazione, detto al-Atiq. Ancora una volta i Persiani chiesero di parlamentare e gli Arabi mandarono diversi inviati che riproposero le stesse tre opzioni: Islam, tributo o guerra. Entrambe le parti volevano ormai solo guadagnare tempo per spiare i movimenti dei rivali.
Alla fine fu Rustam a far passare al suo esercito l’ultimo corso d’acqua che lo divideva dagli avversari. L’esercito persiano sarebbe transitato attraverso un molo di terra appositamente costruito. Si era secondo la cronologia qui adottata nei primi mesi del 637.

LE FORZE CONTRAPPOSTE

Secondo quanto riferisce al-Tabari XII, 2266 l’esercito persiano era diviso in nei seguenti contingenti: L’avanguardia di Rustam era comandata da al-Jalnus, le sue due ali da al-Hurmuzan e Mihran, la sua cavalleria leggera da Dhu al-Hajib, e i ricognitori da al-Bayruzan, con Zad b. Buhaysh al comando dei fanti
La nostra fonte araba riferisce che i Persiani erano in tutto 120000, accompagnati da un ugual numero di servitori; un dato sicuramente esagerato ma non come quelli riportati dalle fonti greche sulle guerre persiane. In realtà uno degli storici citati da al-Tabari parla di 30000 guerrieri e 30 elefanti nell’armata sassanide. Nessuna cifra può essere presa per certa, ma probabilmente i Persiani godevano di una certa superiorità numerica sui Mussulmani all’inizio della battaglia e fino all’arrivo dei veterani della Siria.
L’arma su cui confidavano i Persiani non era la loro potente cavalleria corazzata, ma gli elefanti, 33 in tutto, tutti dotati di palanchini con equipaggi formati da arcieri, che avevano dato un’ottima prova contro la cavalleria araba nella battaglia del ponte.

I Mussulmani erano così organizzati: come è stato detto sopra, Sa’d aveva cercato di dare all’esercito un’organizzazione più efficiente di quella tribale, dividendo l’armata in unità di 10 uomini dotati ciascuno di un ufficiale. Le unità maggiori, rispecchiavano quelle persiane ed erano costituite da un’avanguardia, un centro, due ali, una retroguardia e i corpi speciali, Secondo. (Tabari, XII, 2225: Sa’d nominò Khalid b. Urfutha vicecomandante. ‘Asim b. ‘Amr al-Tamimi al-‘Amri venne posto a capo della retroguardia, Sawad b. Malik al-Timimi comandava i ricognitori, Salman b. Rabi’ah al-Bahili la cavalleria leggera, Hammal b. Malik al-Asadi, la fanteria e ‘Abdallah b. Dhi al-Sahmayn al-Khath’ami i cavalieri. Al comando dell’ala destra fu posto ‘Abdallah b. al-Mu’tamm, uno dei compagni del profeta, mentre il comando dell’ala sinistra toccò a Shurabil b. al-Simt che si era già distinto nella guerra della Ridda contro gli Arabi apostati. L’avanguardia era al comando di Zuhrah b. Abdallah. Tutti uomini di alto prestigio e quindi immuni a possibili invidie dei capi tribali.

Il comandante Sa’d b. Abi Waqqas era stato cugino del Profeta ed uno dei primi a convertirsi all’Islam. Eccellente arciere e uomo d’armi, non poté però partecipare alla battaglia in persona perché affetto da piaghe e ulcerazioni nel fondoschiena che gli impedivano di cavalcare. Fu costretto a farsi portare in cima ad un fortino persiano che dominava il centro della piana di al-Qadisiyyah. Da questa postazione era in grado di dare gli ordini ai comandanti di reparto mentre giaceva supino sopra un cuscino. Nonostante l’evidenza della sua menomazione i suoi soldati e ufficiali non avrebbero mancato di sottolineare la sua mancata partecipazione al combattimento con versi di scherno. Le stesse fonti arabe, come pare alludere al-Tabari tendono a mettere in ombra il suo ruolo a favore di quello di altri condottieri appartenenti a determinate tribù come i Tamim, falsando probabilmente persino il racconto della battaglia per scopi propagandistici.

Il racconto della battaglia poggia esclusivamente su storici arabi raccolti da al-Tabari nella sua monumentale opera. Manca qualsiasi fonte che ci renda il punto di vista persiano. Ovviamente il tono aneddotico o quasi favolistico di gran parte del racconto, nonché l’assoluta impossibilità di ricostruire dai singoli episodi un quadro coerente della grande battaglia, ha indotto gli storici a non farne uso nella ricostruzione dell’espansione araba. Tuttavia è interessante conoscere come gli studiosi Arabi (che non mancavano certo di intelligenza e senso critico) pensavano che fossero andate le cose.

LA BATTAGLIA
Il primo giorno

I Persiani attraversarono il canale dopo l’alba
Al-Tabari racconta che Rustam era seduto su un trono al di sotto di un baldacchino posto al centro dello schieramento. Jalnus, che aveva comandato l’avanguardia, venne schierato tra la divisione centrale di Rustam e l’ala destra, mentre Bayruzan che era stato in retroguardia fu schierato tra il centro e l’ala sinistra. Alla testa del raggruppamento centrale c’erano 18 elefanti, divisi probabilmente tra Jalnus e Bayruzan, mentre all’ala destra furono posti otto elefanti e alla sinistra sette. Secondo alcune testimonianze i comandanti delle ali montavano elefanti non combattenti per avere una migliore visione della battaglia dall’alto.

Gli Arabi si disposero su un’unica linea con le divisioni di Zuhrah e Asim poste rispettivamente tra il centro e la divisione destra di ‘Abdallah e quella sinistra di Shurabil. La linea di battaglia mussulmana era disposta in prossimità del fortino circondato da un fossato dove era posto il comando di Sa’ad. A mezzogiorno i Mussulmani pregarono e in ciascuna unità venne recitato un versetto della VIII Sura del Corano

Furono i Sassanidi a muoversi per primi, ma l’inizio dello scontro vero e proprio si ebbe quando i migliori combattenti dei due eserciti si sfidarono a singolar tenzone secondo i costumi dell’epoca. Naturalmente i resoconti arabi parlano solo di vittorie ottenute dai campioni dell’Islam.

I Persiani giocarono subito la carta degli elefanti per scompaginare la cavalleria araba, e l’azione ebbe immediatamente successo. Gli elefanti caricarono la tribù di Bajilah all’ala sinistra e ne misero in fuga la cavalleria, mentre i fanti resistettero a stento alla carica. Sa’d, osservando la scena dalla fortezza mandò un ordine scritto a Tulayhah della tribù di Asad di andare in aiuto ai Bajilah. Il soccorso ebbe successo e riuscì a stornare l’attacco degli elefanti dal reparto minacciato, ma la cavalleria leggera persiana e l’avanguardia di al-Jalnus si rivolsero contro la tribù di Asad, mentre anche all’altra ala le forze mussulmane venivano attaccate.
Ovunque la cavalleria araba si stava ritirando, e la fanteria con le lance e spade pur tenendo a bada gli elefanti era martoriata dagli arcieri che i pachidermi portavano sul dorso e stava subendo perdite terribili. Sa’d diede allora ordine ai reparti di arcieri della retroguardia agli ordini di Asim di mirare direttamente agli arcieri persiani in groppa agli elefanti. Gli uomini di Asim svolsero magnificamente il loro compito,e alcuni di loro, infilatisi sotto gli elefanti, tagliarono le corregge che tenevano i palanchini fissati alla groppa degli elefanti e li fecero precipitare col loro equipaggio. Dopo una giornata intera di scontri , i due eserciti infine si ritirarono. La sola tribù di Asad aveva sofferto 500 perdite e l’intero esercito mussulmano era stato più volte sull’orlo della sconfitta.

La notte venne passò senza incidenti e venne ricordata dagli Arabi come la Notte della tranquillità, ma le perdite del giorno prima erano state gravi. Alcune voci rimpiangevano la mancanza degli eroi come al-Muthanna, come amaramente fece notare la sua vedova che aveva poi sposato lo stesso Sa’ad. Bisognava sperare nella provvidenza divina per uscire vincitori dallo scontro.

Il secondo giorno

Veramente provvidenziali giunsero i rinforzi dal fronte siriano all’alba del secondo giorno. L’avanguardia, di circa 1000 uomini era guidata da al-Qaqa, della tribù dei Tamim, già compagno del Profeta e valoroso guerriero ed aveva un giorno di vantaggio sul resto delle truppe guidate da Hashim. Al-Qaqa aveva diviso il suo contingente in gruppetti da 10 uomini per facilitarne la marcia nel deserto e si era posto alla testa del primo. Il suo arrivo sul campo di battaglia fu salutato con grida nel campo mussulmano; i rinforzi compensavano certamente le perdite subite il giorno precedente. I Persiani non avevano ancora riparato le corregge dei loro elefanti, tagliate dagli Arabi di Asim il giorno prima, quindi avanzarono con la loro cavalleria. Fu l’ala sinistra Persiana a cozzare contro i nuovi rinforzi mussulmani che erano posti all’ala destra. Secondo Tabari al-Qaqa avrebbe ucciso in combattimento personale sia Bahman Jadhawayhi – che aveva sconfitto gli Arabi nella battaglia del ponte-, sia Al-Bayruzan, comandante della retroguardia ma le cui truppe erano disposte tra il centro e l’ala sinistra sassanide.
Si tratta probabilmente di un’invenzione dato che lo stesso Bayruzan compare più avanti ben vivo nel racconto di Tabari, ma è sicuramente probabile che le gesta personali del loro leader e la presenza di truppe fresche ed esperte abbiano dato la prevalenza agli Arabi. La cavalleria Persiana ebbe i ranghi sconvolti anche da un attacco di cammelli grossolanamente camuffati da sembrare elefanti, un trucco che non poteva ingannare i guerrieri ma che, a quanto pare ebbe un effetto portentoso sui loro cavalli che alla vista di questi strani mostri cercarono di fuggire. Alla fine gli Arabi penetrarono profondamente nei ranghi sassanidi minacciando di prendere lo stesso Rustam e di finire quel giorno la battaglia, ma la risolutezza della fanteria persiana e un contrattacco guidato dallo stesso Rustam salvarono la giornata per i Persiani. Le loro perdite erano state pesanti, circa diecimila uomini e la loro cavalleria era stata severamente provata. Durante la notte molti Arabi inorgogliti dai successi personali, gridarono il loro lignaggio e tribù di appartenenza.

Il terzo giorno

Il terzo giorno i due eserciti si schierarono di fronte, ma la terra di nessuno era ormai ricoperta di cadaveri ed aveva assunto un colore rosso a causa del sangue sparso nei giorni precedenti e che ancora colava dai feriti abbandonati. Le donne mussulmane al seguito dell’esercito si occuparono di trasportare i morti in una vallata adiacente al campo di battaglia per dar loro una pietosa sepoltura. Anche i numerosi feriti arabi furono portati al sicuro in attesa che Allah concedesse loro la guarigione o la morte da martire. I Persiani invece non si mossero per recuperare i loro feriti. Gli effetti della disfatta del giorno precedente si facevano sentire sul morale dell’esercito.

Intanto durante il giorno arrivarono altri scaglioni del contingente siriano, 700 uomini in gruppi di 70 guidati da Hashim. A quanto pare non tutto il contingente di 6000 uomini poté arrivare in tempo, ma i rinforzi riuscirono comunque a dare nuova forza agli Arabi e a demoralizzare i Persiani. Questi avevano lavorato alacremente per riparare l’equipaggiamento degli elefanti: le corregge che fissavano i palanchini alle bestie erano state riparate, e nuovi equipaggi e mahout avevano sostituito quelli uccisi nel primo giorno di battaglia. Rustam diede ordine di far scortare ciascun elefante da un contingente di fanti per evitare che i nemici potessero avvicinarsi all’elefante e tagliare le corregge, mentre la cavalleria doveva essere impegnata a difendere i fanti. Così facendo però impediva agli elefanti, circondati dai propri uomini, di esprimere tutto il loro potenziale offensivo e la stessa cavalleria, ridotta ad un ruolo di supporto alla fanteria non poteva essere l’arma risolutiva che tante volte aveva dato la vittoria ai Persiani.
Radunati al centro gli elefanti entrarono a cuneo nello schieramento degli Arabi, ma essi avevano preso le loro contromisure. Sa’d, su consiglio dei Persiani del suo seguito che avevano abbracciato l’Islam, aveva dato ordine di approntare delle lance lunghe per arrivare all’unico punto immediatamente vulnerabile degli elefanti; gli occhi. Gruppi di guerrieri scelti puntarono sull’elefante di testa, un elefante dalla pelle chiara, chiamato Sabur dagli Arabi, dal nome del loro più irriducibile persecutore, e riuscirono ad accecarlo tagliandogli poi la proboscide. Sabur, impazzito dal dolore iniziò a vagare tra i due schieramenti, calpestando indifferentemente nemici e amici, per buttarsi infine nel canale al-Atiq, seguito dagli altri elefanti, alcuni dei quali giunsero privi di equipaggio fino alla capitale persiana. Lo scontro tra gli opposti eserciti rimase in equilibrio fino a sera inoltrata, quando i soldati tornarono ai loro accampamenti, ormai logori da tre giorni di lotta. Eppure la notte non sarebbe stata passata in silenzio.

La notte delle Grida

Tabari racconta un incidente che fece riaccendere lo scontro. Sa’d mandò una pattuglia a sorvegliare uno dei guadi sull’al-Atiq, per evitare che i Sassanidi effettuassero un attacco notturno a sorpresa da quella direzione. Dopo una scaramuccia con altri Persiani che sorvegliavano il guado dalla parte opposta, uno dei leader della pattuglia, Tulayhah, attraversò la diga di terra, si diresse verso il campo persiano e grido tre volte il Allah Akbar, il tipico grido che segnalava l’inizio alla battaglia per i fedeli dell’Islam.
A quanto pare i Persiani, pensando ad un attacco uscirono dall’accampamento e si schierarono in ordine di battaglia, e gli Arabi ritornarono a combatterli senza aver ricevuto alcun ordine da Sa’d. La battaglia furiosa che seguì, uno dei rari esempi di battaglia notturna nell’antichità, venne chiamata la notte delle grida. I Mussulmani patirono fortissime perdite perché caricarono con la sola cavalleria senza l’appoggio della fanteria le formazioni persiane che si erano ricomposte alla meglio.. Alla fine Sa’d riuscì ad organizzare i guerrieri che non erano sfuggiti al suo controllo nel seguente modo - Tabari 2330:
I Mussulmani erano nelle loro posizioni, eccetto quelli che avevano formato unità militari per loro conto o stavano combattendo i Persiani. Essi furono schierati in tre linee. I fanti, armati con lance e spade costituivano una linea; la seconda linea era fatta di arcieri, la terza linea di cavalieri che avevano preso posizione davanti ai fanti. L’ala destra e l’ala sinistra furono organizzate allo stesso modo”.

La vittoria dell’Islam

La battaglia andò avanti per tutta la notte e parte della mattina successiva e vide in prima fila al-Qaqa, che le fonti arabe, forse influenzate da tradizioni favorevoli a i Banu Tamim e ostili a Sa’d, mostrano come il vero trascinatore dell’esercito arabo. Alla fine di questa battaglia di attrito in cui né tattica, né ordini contavano più, ma la capacità di resistenza dei singoli soldati, gli Arabi prevalsero, sfondando il centro dello schieramento avversario. Un forte vento iniziò a soffiare dal deserto gettando sabbia negli occhi degli ormai provati Persiani. Il vento strappò pure i paramenti del trono di Rustam facendoli precipitare nell’al-Atiq, Il comandante persiano distinse nella tempesta di sabbia un gruppo di Arabi dirigersi verso di lui, ormai non più contrastati dalla sua guardia personale, e cercò scampo nella fuga. I Mussulmani lo raggiunsero e lo uccisero mentre cercava di salvarsi attraversando a nuoto il canale.
La sua morte completò la disgregazione dell’esercito persiano. I reparti di al-Bayruzan e Hormuzan si ritirarono relativamente in ordine, alcuni scapparono a monte e a valle del molo di terra, altri cercarono di attraversarlo, mentre al-Jalnus riuscì a riannodare le file dei pochi uomini non ancora presi dal panico, per eseguire un’azione di retroguardia. Sa’d diede ordine a Zuhrah di organizzare l’inseguimento dei Persiani oltre il canale, mentre al-Qaqa inseguiva quelli scappati a valle e Shurabil quelli diretti a monte. Zuhrah e 300 cavalieri attraversarono la diga di terra che al-Jalnus aveva cercato di tagliare. Il valoroso comandante persiano, mentre con un pugno di uomini cercava di proteggere i fuggitivi, cadde per mano dello stesso Zuhrah che rivendette i suoi ornamenti e la sua armatura per 70000 dinar.
Gli Arabi inseguirono i fuggiaschi fino a Najaf non dando loro tregua. Gli ultimi ufficiali persiani, Zad b. Buhaysh e Hormuzan, con alcuni guerrieri scelti morirono con le armi in pugno. 10000 Persiani caddero nell’ultimo giorno di battaglia, in aggiunta alle loro perdite precedenti, ma anche i Mussulmani, a causa degli attacchi disordinati e della resistenza dei loro nemici dovettero contare 6000 nuovi martiri, oltre ai 2500 persi nei tre giorni precedenti. al-Qadisiyyah fu certamente una delle battaglie più sanguinose e disperatamente contese del Medioevo.

CONSEGUENZE

La battaglia di al-Qadisiyyah non chiuse la lotta tra Mussulmani e Sassanidi, ma ne decise l’esito. Le truppe migliori del Gran Re erano perite nel carnaio e non rimaneva più una forza mobile in grado di difendere la capitale del regno. I Mussulmani investirono la capitale poco tempo dopo la battaglia e l’assedio si protrasse per parecchio tempo, forse occupò il resto del 637.
Quando gli assedianti riuscirono a varcare il Tigri, Yadzagerd e la sua corte si dovettero ritirare dalla città. Ben presto caddero anche Takrit e al-Qarqisiya. I Persiani tentarono di riformare un’armata nella zona collinare degli Zagros, ma Sa’d spedì contro di loro un esercito di 12000 uomini che incontrò e sconfisse i Persiani a Jalula spegnendo le loro residue velleità di riconquistare la regione. L’intero Iraq fu sottomesso e aperto alla colonizzazione araba nel giro di un anno.
Due nuove città, Kufa e Basra sorsero nelle pianure mesopotamiche, e le popolazioni locali cominciarono a convertirsi all’islamismo e a fornire nuovi uomini per le successive campagne. Yadzegerd avrebbe formato nuovi eserciti, per vederli finire invariabilmente distrutti da quelli mussulmani, e, dopo l’ultimo disastro di Nihawand presso Hamadan nel 642, non avrebbe avuto altro scampo che la fuga, che, come nel caso dell’achemenide Dario III, doveva finire con il suo inglorioso assassinio. I suoi discendenti si sarebbero rifugiati presso la corte cinese dove per decenni avrebbero tentato di ricevere aiuti per riconquistare il terreno perduto, ma ormai la storia aveva decretato la fine della loro dinastia e del loro mondo. Gli iranici avrebbero riguadagnato la loro indipendenza, ma già convertiti all’Islam, soltanto nel IX secolo.

by ALESSANDRO CONTI

Libri letti
Friedmann Yohanan, Trad. The History of al-Tabari Vol XII - The Battle of al-Qadisiyyah and the Conquest of Syria and Palestine, New York 1992
CHIr (The Cambridge History of Iran) vol III, The Seleucid, Parthian and Sasanian periods, Cambridge 1993
Donner, F.M., The Early Islamic Conquests, Princeton 1981
Gabrieli, F. Maometto e le grandi conquiste arabe, Newton, Roma 1996
Glubb J.B. The Great Arab Conquests, London 1963
Kennedy, Hugh The Armies of the Caliphs, New York 2001
Lo Jacono, C, Storia del mondo islamico, Il Vicino Oriente, Einaudi, Torino 2003
Wilcox, P. Rome’s Enemies (3) Parthians & Sassanid Persians, Osprey, Oxford 1985


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