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REGIME POLITICO REPUBBLICANO (1948-) (di F.R.)
ANALISI DEL SISTEMA POLITICO REPUBBLICANO (1946-) (di L.M.)

 Regime politico repubblicano (1948) 
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A seguito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 l'Italia � divenuta una Repubblica. In quell'occasione era stata eletta, con sistema proporzionale, anche un'assemblea costituente col compito di redigere una nuova Costituzione, entrata in vigore il 1� gennaio 1948. Nel regime repubblicano, tuttavia, si pu� riscontrare un segno di cesura nel 1992, a seguito dell'esplodere di Tangentopoli e del dissolvimento del sistema politico preesistente, per cui si pu�, per comodit�, fare una distinzione fra Prima Repubblica (1948-1992) e Seconda Repubblica (1992-).
Alcuni sostengono che questa bipartizione sia inesistente, mentre altri sono del parere che si sia in una fase di transizione tale per cui la Prima Repubblica non si possa ancora dichiarare conclusa. Ritengo, tuttavia, ragionevole utilizzare questi termini perch�, se � vero che molti elementi sono comuni, � anche vero che notevoli sono le differenze tra la politica fino al 1992 e quella successiva, per cui il '92 ha segnato realmente una cesura. Discorso a parte merita il fatto che la Seconda Repubblica non abbia ancora raggiunto una sua stabilit� per diversi aspetti (bipolarismo, sistema elettorale, stabilit� dei governi ecc.). 
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Prima Repubblica (1948-1992)

Fasi 
1948-1960: centrismo 
1960-1976: centro sinistra 
1976-1979: solidariet� nazionale 
1979-1992: pentapartito 
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Centrismo (1948-1960) 

I governi di questo periodo sono sostenuti da una maggioranza composta da Psdi, Pri, Dc e Pli. Talvolta non tutti questi partiti sono al governo, ma votano ugualmente la fiducia; altre volte non tutti votano la fiducia, ma danno un appoggio indiretto astenendosi al momento del voto (non votano, cio�, n� a favore, n� contro il governo); infine, sono talora presenti governi monocolore democristiani, cio� dove tutti i suoi componenti sono espressione della Dc. 
Alle elezioni del 1948 la Dc, contrapposta al Fronte Democratico Popolare (alleanza elettorale fra Pci e Psi), aveva riscosso un grande successo, ottenendo il 48,5% dei consensi e permettendo, cos�, di instaurare una democrazia maggioritaria, con una netta distinzione maggioranza-opposizione, ma questo risultato durer� poco perch�, gi� nelle elezioni successive, i democristiani calarono i consensi e fu sempre pi� necessario, per governare, l'accordo fra diversi partiti. 
Nel 1953 viene approvata una nuova legge elettorale che prevedeva, per le elezioni della Camera dei Deputati, un premio di maggioranza a quella forza politica o a quelle forze apparentate che avessero ottenuto almeno il 50,01% di voti. Queste forze avrebbero ottenuto il 65% dei seggi, rendendo, cos�, pi� sicura la maggioranza a sostegno del governo. Questa legge, definita "legge truffa" dalle opposizioni, fu in vigore per le elezioni del 1953, non scattando per pochi voti, ma venne subito dopo abrogata. 
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Centro sinistra (1960-1976) 

All'inizio degli anni sessanta ci si prepara all'ingresso dei socialisti al governo, che si avr� nel 1963 col 1� governo Moro. Nonostante un travaso di voti dalla Dc al Pli nelle elezioni del 1963, la Democrazia Cristiana continu� nell'esperienza di centro sinistra. 
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Solidariet� nazionale (1976-1979) 

Negli anni settanta si avranno due test politici importanti: 1) il referendum sul divorzio (1974) viene politicizzato e visto come un voto su una possibile alleanza col Pci, per cui la vittoria dei s� col 59% dei voti segna una sconfitta dei moderati Dc e di Fanfani; 2) alle elezioni amministrative (1975) il Pci raggiunge il 33,4%, mentre la Dc scende al 35,3%. 
Questi fattori, assieme all'arrivo di Benigno Zaccagnini alla segreteria Dc, spingono ad un accordo col Pci. Il Partito Comunista non entrer� mai al governo con ministri propri, ma nell'estate del 1977 vota a sostegno del governo Andreotti, dopo che il Pli aveva abbandonato la maggioranza, e nel marzo 1978 sar� a pieno titolo nella maggioranza di governo, dando la fiducia al IV governo Andreotti (ancora una volta un monocolore Dc, ossia solo con componenti democristiani). 
Per coinvolgere il Pci, pur senza farlo entrare nel governo, molti processi decisionali avvengono in Parlamento, che diviene quasi un esecutivo. 
Quando nel gennaio 1979, il Pci chiede di entrare al governo, si rompe il sodalizio con la Dc e tale rottura sar� resa definitiva dalle elezioni che avvengono pochi mesi dopo e dalle quali il Pci uscir� sconfitto. 
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Pentapartito (1979-1992) 

Dopo l'esperienza di centro sinistra e dei governi di solidariet� nazionale, la Dc cercher� nuovamente di spostarsi al centro, dando vita a una nuova fase politica. Il pentapartito, in realt�, avr� inizio solo solo nel 1981 col I governo Spadolini e terminer� nel 1991, quando i repubblicani lasciano il governo per contrasti sulla legge Mamm�. In questo decennio i partiti al governo saranno Psi, Psdi, Pri, Dc, Pli, mentre la novit� sostanziale sar� l'arrivo alla presidenza del Consiglio di esponenti non democristiani: prima Giovanni Spadolini (1981-82), poi Bettino Craxi (1983-87). 
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Caratteri della Prima Repubblica

1. sistema multipartitico: i partiti determinanti per la politica nazionale sono diversi. 
2. polarizzazione: c'� una notevole distanza ideologica tra la sinistra (Pci) e la destra (Msi). Questi sono considerati anche partiti antisistema, ossia che non aspirano ad andare al governo, bens� a cambiare le regole del gioco (cio� l'ordinamento democratico). 
3. sistema tripolare: � difficile fare alleanze con partiti antisistema, perci� si ha una sinistra, una destra ed un centro che, seppure con diverse formule, � sempre al governo. 
4. immobilit�: i governi sono sempre di centro e possono essere solo tali; solo all'interno di questa formula si possono avere modeste variazioni, come, ad esempio, l'uscita o l'entrata dei liberali. 
5. impossibilit� di alternanza al governo: se questa si fosse verificata, avremmo avuto il centro all'opposizione e la sinistra o la destra al governo, con probabile sovvertimento del sistema democratico; �, comunque, un ipotesi di difficile realizzazione. 

Seconda Repubblica (1992-)
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� difficile essere obiettivi quando si parla dell'ambiente politico che ci circonda, e non di fatti gi� consegnati alla storia; tuttavia cercher� di sintetizzare con la massima obiettivit� possibile gli avvenimenti politico-istituzionali di questi ultimi anni. 
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1992-94

Le elezioni politiche del '92 vedono un crollo della Dc e dell'area post-comunista (Pds+Rc), che perdono, rispettivamente, circa cinque punti percentuali, mentre si afferma come quarta forza politica la Lega lombarda, partito con un programma razzista e volto a rompere l'unit� nazionale, che ottiene l'8,6% dei consensi alla Camera e l'8,2% al Senato. 
Gli equilibri politici vengono sconvolti dall'esplodere di Tangentopoli, inchiesta che pone in evidenza un diffuso meccanismo di corruzione. 
Numerosi esponenti politici vengono raggiunti da avvisi di garanzia e tra questi vi sono diversi socialisti vicini a Bettino Craxi, il leader del Psi "candidato" alla presidenza del Consiglio. Nel frattempo il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga rassegna le dimissioni (25 aprile 1992), rendendo ancora pi� profonda la crisi istituzionale. Difficile � la sua successione e numerose sono le candidature fallite: tra queste vi � quella di Arnaldo Forlani, candidato democristiano "bruciato" da numerosi franchi tiratori del suo stesso partito. 
Solo dopo l'uccisione a Capaci del giudice Giovanni Falcone, della moglie e degli uomini della scorta il Parlamento d� un segnale con l'elezione del democristiano Oscar Luigi Scalfaro, dopo 13 giorni di votazioni. Per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio dei Ministri, caduta la "candidatura" di Craxi a seguito di Tangentopoli, il neo-presidente affida l'incarico di formare il nuovo governo al socialista Giuliano Amato, col cui governo avr� inizio una complessa opera di risanamento dei conti pubblici.

I referendum acquistano, in questi anni, un rilievo sempre crescente e frequentemente vengono usati come stimolo a legiferare nei confronti di un parlamento incapace di affrontare costruttivamente le riforme istituzionali di cui il Paese ha bisogno. In quest'ottica va letto anche il referendum del 18 aprile 1993, con il quale, mediante una complessa alchimia politica, si rende maggioritaria la legge elettorale per il Senato. L'obiettivo � quello di giungere ad una riforma elettorale complessiva (Camera e Senato), che si avr� con le leggi 276 e 277 dell'1 e 2 agosto 1993. Il nuovo sistema elettorale � misto, ossia unisce al maggioritario (richiesto da gran parte del paese) una consistente quota proporzionale. 
Nel frattempo, all'indomani del risultato referendario, al governo Amato era succeduto un "governo tecnico" presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, gi� governatore della Banca d'Italia: il suo obiettivo � quello di portare a compimento alcune riforme, tra cui quella elettorale, e condurre il paese verso le elezioni anticipate. 
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1994-96

Nella campagna per le elezioni politiche del 1994 i partiti devono recepire una tattica che consenta loro di massimizzare il risultato che uscir� dalle urne col nuovo sistema. Bipolarismo e schieramenti ampi e coesi sono obiettivi ancora lontani (e, ad oggi, discussi e non ancora affermatisi): le forze di sinistra si presentano sotto il simbolo dei "Progressisti", un gruppo di ex democristiani al seguito di Mario Segni d� vita ad una forza moderata e centrista dal nome "Patto per l'Italia", mentre il centro-destra realizza alleanze differenti al nord e al sud. Al nord Forza Italia ed il Ccd si alleano con la Lega Nord (Polo delle libert�) e An si presenta con una sua lista, mentre al sud si realizza l'alleanza di FI e del Ccd con An (Polo del buon governo). 
A tutto ci� si aggiungono forze minori, come la Lista Pannella, che presentano propri candidati.
Polo delle libert� e Polo del buon governo vincono le elezioni: � dunque necessario, per andare al governo, portare a termine quell'alleanza non riuscita (e non voluta) in sede pre-elettorale, unendo in uno stesso schieramento, assieme a FI e al Ccd, Alleanza Nazionale (forza di destra, paladina dell'unit� nazionale) e la Lega Nord (che insegue l'idea della Padania e della distruzione dell'unit� italiana per non avere niente a che spartire con i meridionali, definiti sprezzantemente "terroni" da Umberto Bossi e dai suoi seguaci). Il leader del Polo, Silvio Berlusconi, diventa Presidente del Consiglio, ma la presenza della Lega rende difficile la vita del governo Berlusconi, che finir�, dopo appena sette mesi, proprio a causa della Lega Nord, che si stacca dalla maggioranza e non appoggia pi� il governo. 
Dopo le consultazioni di rito, all'inizio del 1995 il Presidente Scalfaro affider� l'incarico a Lamberto Dini, che dar� vita ad un governo tecnico. 
Esponenti politici, soprattutto del Polo, chiedendo elezioni anticipate, grideranno al "ribaltone" di fronte al nuovo governo. 
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1996

Le elezioni anticipate avverranno un anno dopo, nell'aprile 1996, con un panorama politico modificato e pronto, in buona parte, ad affrontare la sfida parzialmente maggioritaria. 
Il centrosinistra si compatta sotto il simbolo dell'Ulivo e la guida di Romano Prodi, professore universitario ed ex presidente dell'IRI, mentre il centrodestra si presenta come Polo al seguito di Silvio Berlusconi. Oltre a questi due schieramenti partecipano alla competizione elettorale la Lega Nord, la Lista Pannella e formazioni minori, mentre all'estremit� del continuum sinistra-destra si ha Rifondazione Comunista (Prc) a sinistra, che si accorda con l'Ulivo secondo il principio della "desistenza", ed il Movimento Sociale Fiamma Tricolore (Msft) a destra, che non trova un accordo col Polo e si presenta in contrapposizione a quest'ultimo. 
L'Ulivo riesce a sfruttare meglio le caratteristiche del nuovo sistema elettorale e vince le elezioni (una delle ragioni della sconfitta del Polo, a titolo esemplificativo, � stata la mancanza di un accordo con l'estrema destra: i voti di Msft vengono, presumibilmente, tolti al Polo). 
Gi� prima del voto era chiaro che la coalizione vincente avrebbe espresso, come candidato premier, il proprio leader, quindi, secondo questo principio non scritto, ma accettato da tutti, dopo la vittoria dell'Ulivo il Presidente Scalfaro dar� l'incarico di formare il nuovo governo al prof. Romano Prodi. 
Il traguardo principale del governo Prodi, che verr� raggiunto nel maggio 1998, � l'entrata in Europa, ossia la possibilit� per l'Italia di partecipare fin dal primo momento alla moneta unica. 
Tuttavia anche all'interno della coalizione che sostiene questo governo ci sono grosse tensioni, soprattutto con Rifondazione Comunista, che ne critica la politica economica e finanziaria. Proprio durante la discussione della legge finanziaria, nell'ottobre 1998, Rifondazione toglier� il suo apporto al governo, che cadr� in seguito ad una mozione di sfiducia alla Camera. Anche qui la decisione del Presidente Scalfaro di non sciogliere le camere far� gridare al "ribaltone"; comunque nascer� un nuovo governo presieduto da Massimo D'Alema, segretario Ds. 
Attorno a questa crisi il panorama politico registra qualche mutamento: i comunisti si spaccano e Armando Cossutta, presidente del Prc, dar� vita al Partito dei Comunisti Italiani, che entrer� a pieno titolo nel governo D'Alema, mentre Francesco Cossiga, ex presidente della Repubblica, aveva fondato, assieme a Clemente Mastella, l'Udr, che avr� un ruolo determinante nel far cadere il governo Prodi e nella nascita del governo D'Alema, ma registrer� continui cambiamenti, spaccature e cuciture. 
Nella primavera del 1999, infine, sale al Quirinale, come nuovo Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, eletto al primo scrutinio, che rappresenta, a mio parere, la migliore sintesi di quelle dispute fra "laici" e "cattolici" che si erano avute alla vigilia del voto. 
Il resto non � storia, ma cronaca di oggi: nella primavera del 2000 il centrosinistra � sconfitto alle elezioni amministrative regionali e Massimo D�Alema rassegna le dimissioni; viene formato un nuovo esecutivo di centrosinistra guidato dal socialista Giuliano Amato, gi� Ministro del Tesoro nel governo uscente. 
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ANALISI DEL SISTEMA POLITICO REPUBBLICANO (1946-) 
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Gli elementi fondamentali del sistema politico italiano durante il primo cinquantennio repubblicano sono stati essenzialmente tre: forte multipartitismo, polarizzazione, immobilismo dei ruoli ed instabilit� degli esecutivi. 
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Il multipartitismo
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La forte frammentazione politica � frutto di una societ� complessa ed eterogenea in cui, complice lo stesso sistema elettorale proporzionale puro, ogni singolo gruppo sociale e/o politico cerca di avere una propria autonoma e rilevante presenza nelle assemblee elettive locali o nazionali che siano. 
Questa tendenza all�atomizzazione del panorama politico � stato molto pi� ampio di quanto si potrebbe immaginare guardando l�elenco dei partiti, gi� rilevante ed esteso, dei partiti presenti nel Parlamento italiano. Infatti solo sette formazioni politiche con rilevanza nazionale ( Pci, Psi, Psdi, Pri, Dc, Pli, Msi) hanno sempre ottenuto seggi in tutte le competizioni elettorali durante il periodo 1948-1992, ma ad esse vanno affiancate le rappresentanze delle minoranze linguistiche presenti sul territorio italiano ( Svp, Uv, PSd�A) ed altre forze politiche che hanno conseguito un�apprezzabile rappresentanza alla Camera e/o al Senato (e quindi hanno avuto un�influenza pi� o meno forte nel sistema politico) solo in alcuni periodi della nostra vita repubblicana. 

Questo � stato il caso della destra qualunquista e monarchica (UQ, Pnm, Pmp, Pdium) negli anni �50, della sinistra scissionista socialista (i cosiddetti carristi) avversi al primo centrosinistra negli anni �60 (Psiup), dal partito radicale ( Pr) a partire dal 1976, dagli ecologisti (Verdi, verdi Sole che Ride poi unificati nelle Federazione dei Verdi) a partire dagli anni �80 ed infine, nei recenti anni �90, il fenomeno populista e qualunquista rappresentate dalla cosiddette Leghe (tra cui il ruolo pi� importante � stato assunto dalla  Lega Nord � Lega Lombarda). 

Il ruolo e l�influenza di tutte queste formazioni politiche minori che, al pari dei partiti laici (Psdi, Pri, Pli), non hanno mai o quasi mai superato la soglia del 5% dei consensi in seno al corpo elettorale, � spesso stato molto alto e, sicuramente, sproporzionato rispetto ai risultati elettorali conseguiti (ed al numero dei seggi parlamentari ottenuti). Ci� � stato determinato dal ruolo di ago della bilancia o di ruote di scorta svolti da alcuni fra questi in alcuni importanti fasi della nostra storia: i monarchici per l�affermazione dell�egemonia della leadership di Alcide De Gasperi dopo la rottura delle coalizioni governative di unit� antifascista nel 1947, i laici per l�affermazione del centrismo degasperiano, il Msi durante il tentativo autoritario di Tambroni nel 1959, il Pri per l�affermazione del centrosinistra negli anni �60 ed infine il Psi partito chiave per le coalizioni di pentapartito negli anni �80.

La notevole frammentazione politica � stata determinata anche dalla notevole eterogeneit� presente all�interno agli stessi partiti politici, soprattutto quelli definiti (o autodefinitisi) di centro. Tutti e tre i maggiori partiti di massa avevano una suddivisione interna in lungo il continuum destra � sinistra (con la presenza in alcuni casi di un centro). Queste divisioni interne furono poco visibili nel Partito Comunista Italiano sia per il meccanismo decisionale interno di tipo verticistico ed unanimistico tipico del partito fino agli anni �70-�80 (centralismo democratico), sia per la guida tendenzialmente carismatica dei suoi pi� importanti leader (Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer in primis), sia per il ruolo storico d�opposizione svolto dal partito in seno al sistema politico italiano, ruolo che semplificava la vita interna del partito limitandone le spaccature politiche. Nonostante ci�, per�, all�interno del Pci si � assistito all�esistenza, in determinati momenti della sua vita a partire dalla met� degli anni �60, ad una forte dialettica fra linee politiche divergenti e contrapposte: negli anni �60 i seguaci di Giorgio Amendola (favorevoli ad un accordo neofrontista con i partiti socialisti Psi-Psdi-Psiup) opposti a quelli di Pietro Ingrao (pi� propensi ad accordi con la sinistra democristiana di Amintore Fanfani), i filosovietici di Armando Cossutta opposti ai fautori dello strappo da Mosca di Enrico Berlinguer, i berlingueriani anticraxiani di Achille Occhetto e Massimo D�Alema in divergenza con il gruppo migliorista di Emanuele Macaluso, Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano, pronto a riaprire il dialogo con il leader del Garofano. 

Sembra superfluo sottolineare come la maggiore divisione interna al Pci si sia avuta al XX Congresso con la contrapposizione tra il Fronte del Si (favorevole al mutamento del simbolo e del nome del Pci in Pds) e il Fronte del No (contrario a tale cambiamento e molti dei quali dirigenti hanno dato origine al Partito della Rifondazione Comunista). 

La situazione all�interno dell�altro grande partito della sinistra, il Partito Socialista Italiano, era caratterizzata da una cronica instabilit� delle maggioranze congressuali e dei segretari politici generali da esse eletti. La divisione in correnti (autonomisti, demartiniani, manciniani, lombardiani, ecc. �) indebol� notevolmente il ruolo e l�influenza del partito. A questa situazione pose rimedio Bettino Craxi (1976) che, riducendo al silenzio quasi tutta l�opposizione interna (cooptandola nel nuovo gruppo dirigendole o annullandola), fece del Psi un partito personalista a guida autoritaria (questo a scapito del dibattito e della democrazia interna) facendone l�ago della bilancia del sistema politico. Per un quindicennio ci� diede onori e potere ai leader socialista, ma la fine delle fortune personali di tali dirigenti, in assenza di una vera e motivata base socialista, ha condotto all�estinzione del pi� antico partito politico italiano. 

La frantumazione interna raggiungeva il massimo in seno al partito di maggioranza relativa ed egemone del sistema politico, la Democrazia Cristiana. Dopo la scomparsa di Alcide De Gasperi la Dc divenne una federazione di correnti (� Dc) in cui convivevano (e lottavano fra loro) uomini di destra e di sinistra ed alcuni che, non contenti di militare nel partito di centro per eccellenza, affermavano di essere il Grande Centro democristiano con l�obbiettivo di essere al centro del centro. Nella Dc militavano ex fascisti ed ex partigiani, liberisti e cristiano sociali solidaristi, americanisti di chiara e sicura fede atlantica e pacifisti internazionalisti e mondialisti. In alcune occasioni si � assistito al paradosso per cui alcune correnti democristiane davano �voti di fiducia tecnici� (quindi non facevano parte dell�esecutivo o non ne condividevano, in parte o totalmente, il programmo) a governi guidati e composti da compagni di partito. Fu questo il caso, con l�estromissione della destra democristiana, dei governi Fanfani di centrosinistra negli anni �60 e del VI governo Andreotti (1991) dopo le dimissioni di cinque ministri della sinistra dc contrari all�approvazione della nuova legge Mamm�. 

Il massimo dei paradossi lo si ebbe nel 1954 quando il monocolore dc guidato da Giuseppe Pella venne definito dai dirigenti di Piazza del Ges� solamente come governo amico. Ogni tentativo di porre ordine nel partito di maggioranza relativa (Fanfani anni �50, De Mita anni �80) venne ostacolato ed impedito dagli stessi notabili democristiani che temevano di vedere scemare il proprio potere  esterno al partito in presenza di un�eventuale forte leadership. 

La divisione lungo la linea destra � sinistra interna ai partiti di grandi dimensioni � comune a tutti i partiti di massa, ma pi� peculiare appare la stessa frantumazione interna a partiti di piccola dimensione. Infatti esistevano una destra ed una sinistra interna al Psdi (Paolo Rossi, Pier Luigi Romita), al Pri (Randolfo Pacciardi, Ugo La Malfa), al Pli (Giovanni Malagodi, Bruno Villabruna) ed al Msi (Giorgio Almirante, Pino Rauti) che diedero origine a scissioni, ricuciture e trasformazioni di tali formazioni politiche. La sopravvivenza e le fortune dei partiti minori erano giustificate, oltre che dalla guida di alcuni leader autorevoli (Giuseppe Saragat per il Psdi, Giovanni Malagodi per il Pli, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini per il Pri) e dalla continuit� con la tradizione risorgimentale a cui si rifacevano alcuni di queste forze politiche (Pri, Pli) essenzialmente dai seguenti motivi: 
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* il sistema elettorale proporzionale non premia, ma anzi punisce gli accordi elettorali tra pi� partiti in quanto si perdono voti sia a destra, sia a sinistra (cos� � avvenuto al Pci ed al Psi nel 1948, al Psi ed al Psdi nel 1969 e, alle elezioni europee del 1989 al Pri ed al Pli). � molto meglio e paga molto di pi� in termini di consenso elettorale presentarsi autonomamente con la propria lista alla prova delle urne facendo appello all�orgoglio di partito ed alla propria peculiarit�; � 
*  i partiti minori assumevano un ruolo importante (a volte al limite del ricatto) per permettere la formazione dei governi durante le crisi e le fratture interne alla Dc. 
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La polarizzazione, l�immobilit� dei ruoli e l�instabilit� dei governi

La distanza ideologica tra i due estremi (Pci, Msi) dell�elenco dei principali partiti politici di cui abbiamo parlato in precedenza � stata molto forte ed accentuata per tutto il cinquantennio repubblicano ( Il primo confronto in una tribuna elettorale con il confronto diretto tra il leader del maggiore partito della sinistra e quello del Msi avvenne tra Achille Occhetto (Pds) e Gianfranco Fini (Msi-Dn) in occasione del referendum abrogativo relativo alla legge elettorale del 1993, quando il Pci si era gi� trasformato in Pds da un paio di anni e ci si trovava nel pieno della crisi della prima fase del sistema politico repubblicano.

Il Msi fu considerato (e cos� lo autodefinirono i suoi dirigenti) erede dell�esperienza dittatoriale fascista e partito antisistema pi� interessato allo stravolgimento dell�ordinamento democratico in chiave autoritaria che alla competizione per il governo. La antisistemicit� dei missini non imped� alla Dc di contrattare ed ottenere l�appoggio dei deputati dell�estrema destra per alcuni monocolori dc negli anni �50 (Segni, Zoli, Tambroni), anche se la partecipazione neofascista al governo veniva esclusa da tutti i leader dei partiti democratici (democristiani e non). A parte che alla met� degli anni �70, durante la cosiddetta solidariet� nazionale, quando l�emergenza terroristica, la crisi economica e l�incremento elettorale comunista imposero l�inserimento del Pci nella maggioranza di governo tramite le astensioni, la non sfiducia ed il voto a favore del IV governo Andreotti, anche un governo a partecipazione comunista veniva a priori escluso dal novero delle coalizioni governative possibili  per la posizione di politica estera filosovietica dei comunisti e per pressioni anticomuniste di ambienti nazionali ed internazionali. 

Come hanno sottolineato Norberto Bobbio e Leopoldo Elia si giunse alla costituzione di una poco democratica �conventio ad escludendum�. Come si � visto nel paragrafo precedente l�eterogeneit� interna ai partiti tradizionalmente di governo (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) � sempre stata alta e, quindi, anche la polarizzazione interna alle maggioranze di governo era, a parte il collante anticomunista, molto elevata. Oltre alla polarizzazione politica � esistita in seno alle differenti coalizioni governative anche una forte polarizzazione tra laici e cattolici. 
Questa polarizzazione ha visto agli estremi della linea due importanti partiti di governo: il Pri (ovviamente sul versante laico) e la Dc (ovviamente su quello cattolico). Alcuni esponenti dei due schieramenti (laici e cattolici) su alcune tematiche importanti, in alcuni momenti della nostra storia, hanno interrotto quella sorta di accordo e di reciproca collaborazione instauratasi nei primi anni del dopoguerra, trasformando la dialettica laici/cattolici in un infruttifero scontro laicisti/clericali.

 Contrariamente a quanto si potrebbe pensare il Pci non assunse mai posizioni fortemente antireligiose, preferendo prospettare una collaborazione con le componenti pi� avanzate del mondo cattolico. Non � quindi un caso se la soluzione ad alcune spinose questioni (ad esempio la riforma della scuola e la relativa parificazione tra scuole pubbliche e private) a cui per 50 anni non si era data risposta, a causa dell�impossibilit� di decidere e a causa delle profonde divisioni tra laici e cattolici, siano state risolte negli ultimi anni dalle maggioranze uliviste e di centrosinistra in cui i post comunisti e l�ex sinistra dc hanno creato le condizioni per giungere alla sintesi tra le posizioni pi� nobili del mondo laico e del mondo cattolico. 

La scelta a priori degli unici partiti destinati alla composizione delle maggioranze governative ed il ruolo egemone svolto dalla Dc hanno portato ad una sorta di paradosso: scarso ricambio della classe politica governativa (hanno sempre governato gli stessi partiti e quasi sempre gli stessi uomini) e un notevole cambio degli esecutivi (nel periodo 1946-1999 vi sono stati 54 governi escluso quello attualmente in carica, con una durata media di circa 363 giorni ognuno). 

Questi due aspetti del nostro sistema politico hanno fatto si che eterogenee coalizioni governative, di fronte a problemi di difficile risoluzione, preferissero rinviare a divinis tali decisioni e formare nuovi governi con geometrie e programmi politici nuovi piuttosto che giungere a fratture insanabili. Non vi era, infatti, alcun rischio, soprattutto per la Dc, di essere estromessa dal governo e per gli alleati socialisti e laici brevi periodi di opposizione (magari alla vigilia delle elezioni o all�indomani di consultazioni elettorali risultati non soddisfacenti) venivano considerati salutari per ricostruirsi un�identit� autonoma con la quale presentarsi di fronte a militanti ed elettori facendo dimenticare i troppi compromessi concessi ai democristiani durante la collaborazione di governo. � 
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Breve conclusione
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Da quanto scritto si desume che il pi� grande problema del nostro sistema politico � stato rappresentato dalla difficolt� di prendere decisioni; come ha detto Gustavo Zagrebelsky: �Il sistema politico italiano funziona male perch� non � in grado di prendere decisioni�.(ora in Gianfranco Pasquino, La Repubblica dei cittadini ombra, Garzanti Editore s. p. a., 1991, p. 32-33). Questa affermazione � vera solo in parte in quanto quando ha voluto la classe politica ha saputo prendere, anche molto rapidamente, decisioni importanti e di notevole rilevanza: la scelta europeista e atlantica fatta da De Gasperi, le riforme tendenzialmente strutturali attuate dal centrosinistra di Fanfani, Moro e Nenni e, last but not least, le riforme strutturali (scuola e della pubblica amministrazione) ed il risanamento dei conti pubblici per aderire all�Euro fin dalla sua fase iniziale di cui sono stati artefici i governi Prodi e D�Alema. 

Come si nota dagli esempi citati molto spesso le scelte sono state prese a seguito di pressioni ed input parzialmente esogeni al sistema politico (l�Unione Europea, N. d. A). Il paradosso del professor Zagrebelsky rimane, quindi, di forte impatto e fortemente critica nei confronti della cronica incapacit� decisionale del sistema politico e ci� � sintomo della forte sclerotizzazione e tendenziale autoreferenzialit� dei partiti in determinate situazioni. D'altronde il sistema politico non poteva che essere cos�, poich� i padri costituenti, memori della ventennale dittatura fascista (si noti la felice espressione �Complesso del tiranno� coniata dal Presidente dell�Assemblea Costituente Umberto Terracini, crearono un sistema che preferiva fotografare le forze in campo piuttosto che incoronare dei vincitori: chi avrebbe avuto l�onere e l�onore di governare sarebbe stato deciso dalla mediazione parlamentare e mai nessuno avrebbe mai comandato del tutto, come nessuno sarebbe mai stato escluso del tutto da una parte del processo decisionale o da quello di controllo. 

Ci� ha sicuramente permesso una pacificazione interna ed ha evitato traumi interni al sistema politico, ma ci� � avvenuto a scapito di una forte e reale incisivit� dell�azione di governo. Nessuno dei soggetti politici presenti nell�arena avrebbe mai potuto ottenere una completa ed esclusiva propriet� del processo decisionale, ma avrebbe dovuto condividerlo con altri soggetti. 
Tale divisione ha assunto sia la forma nobile della compropriet� del potere decisionale, sia quella degenerata e biasimabile della spartizione e dell�usurpazione del potere. Nessun singolo attore e nessuna singola coalizione di attori potevano sovrastare o danneggiare gli avversari ed i concorrenti. Si cre� un sistema volutamente debole poich� esso nasceva in una situazione come quella del 1946 di forte ignoranza previsionale relativamente al comportamento ed alle preferenze del corpo elettorale che non aveva avuto modo di esprimersi liberamente da oltre un ventennio ed era in grado di garantire la sicurezza di tutti i soggetti presenti all�Assemblea Costituente. 

Quel sistema, tra luci ed ombre, ha funzionato e permesso all�Italia di crescere e di far migliorare le condizioni di vita dei cittadini, ma ormai da un decennio � giunta l�ora di modificare alcuni aspetti di ingegneria costituzionale della II Parte della Costituzione (restano eternamente validi i principi ispiratori antifascisti, democratici, liberali, solidaristici ed egualitari). 
Dopo i referendum relativi alle leggi elettorali (1991, 1993), dopo le riforme parlamentari delle medesime (1993) e dell�elezione degli esecutivi e delle assemblee locali (1993, 1999) sembra essersi arenata la spinta riformatrice. Anzi affiorano spinte neoproporzionaliste che mirano a ricreare un passato che non deve tornare lodando, anche con battute mediche (Da alcuni organi di stampa viene riportata la seguente frase attribuita al senatore a vita Giulio Andreotti: �La proporzionale? � come la pressione bassa. Ti fa sentire un po� gi� di corda, ma ti fa campare a lungo�) un sistema basato sull�immobilit� e sull�eternit� del potere e su un molto italico, ma poco edificante tirare a campare (Non stupisce affatto la nostalgia del sen. Andreotti per il sistema proporzionale, in quanto tale sistema ha contribuito in maniera notevole alle sue cinquantennali fortune politiche e governative; ci� che colpisce e che stupisce � la recente conversione, dopo aver tanto pellegrinato nei pressi di sistemi maggioritari all�inglese, presidenzialismi all�americana e �crostate�, a tale obsoleto sistema elettorale di chi, come l�on. Silvio Berlusconi, aveva fatto e fa tuttora dell�efficienza e del nuovismo la propria bandiera elettorale). 

I limiti e le difficolt� di affermazione di un moderno ed europeo sistema politico tendenzialmente bipolare vanno ricercate nella necessit� di far apprendere ad elettori e politici i nuovi meccanismi ed i comportamenti da assumere in tali nuove realt� (si noti che in Francia, dopo l�instaurazione della V Repubblica, si impiegarono circa una decina di anni per giungere ad un sistema bipolare) ed al fatto che molti aspetti sia del circuito primario del sistema politico, sia, soprattutto di quello secondario, non sono stati adattati al nuovo sistema elettorale (un esempio per tutti � la mancata riforma dei regolamenti parlamentari). Non si pu� essere un novello Giano bifronte, che da una parte sogna una sistema riformato, e con l�altra rimpiange quello ormai tramontato, ma si deve operare per giungere ad una moderna democrazia europea competitiva in cui si riesca a saper coniugare efficienza decisionale e rispetto delle minoranze a cui si deve tutelare il sacrosanto diritto di espressione del proprio parere (non sembra poi cos� assurdo affermare che chi � minoranza oggi, e forse anche piccola minoranza, possa non diventare maggioranza domani). 

Gi� una volta l�Italia si ferm� in mezzo al guado ed il risultato fu che negli anni recenti si sono pagati i prezzi degli errori e del malcostume derivati da tale mancato completo sviluppo della democrazia nazionale. Speriamo proprio, ora anche e soprattutto per la salute e la qualit� della nostra stessa vita civile, che non si ricada di nuovo in quello stesso pernicioso errore. Bench� a volte ci appaia un sistema lento e con difetti da criticare, la democrazia, come ricordava sir Winston Churchill, rimane sempre il miglior sistema in cui vivere e, proprio per questo va curata e migliorata quotidianamente, per cui sembra opportuno associarsi alle seguenti parole del politologo Gianfranco Pasquino: �Poich� non esistono alternative politicamente pi� attraenti della democrazia, � plausibile concludere che i regimi democratici hanno vinto, all�interno dei singoli sistemi politici e fra sistemi politici, tutti i confronti. Adesso, affrontano consapevolmente la sfida che essi si pongono: quella della qualit� diffusa" (Gianfranco Pasquino, La democrazia esigente, il Mulino, Bologna 1997, p. 82)

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