IL RUOLO DELLA DONNA

NELLA STORIA DELLE SOCIETA'


Giovanni De Sio Cesari
(www.giovannidesio.it )


INDICE: * Donne schiave e schiave donne. * Il ruolo della donna.
* Società di raccoglitori. *Società agricole. * Società industriale.


L’evoluzione del ruolo e dello status della donna ha mutato profondamente la nostra società nella sua struttura più profonda ed essenziale. Si tratta di un movimento molto ampio e dalle conseguenze molto complesse che probabilmente non conosciamo ancora e che solo il futuro rivelerà nella loro interezza interezza.

Il fenomeno appare del tutto nuovo nell’orizzonte della cultura umana: non si può, come spesso avviene nell’urgere della polemica , considerare che la parità uomo donna sia un fatto ovvio, autoevidente e che solo l’errore o la ignoranza o l’egoismo maschile ha negato per tanti millenni: gli avvenimenti storici vanno spiegati, non semplicisticamente condannati.

In questo lavoro non consideriamo il fenomeno dell’evoluzione femminile non da un punto di vista etico ma da quello storico sociologico.


DONNE SCHIAVE E SCHIAVE DONNE

Il termine di emancipazione ( dal latino: affrancamento dalla schiavitù) suggerisce l’idea che le donne si trovassero prima in una situazione di schiavitù e spesso infatti il termine viene usato per descrivere la condizione della donna nel passato. Dobbiamo allora però chiarire cosa intendiamo per schiavitù: il termine può essere inteso in senso lato e indefinito come ad esempio come schiavitù del vizio, delle convenienze, del consumismo oppure in senso proprio come la riduzione di un essere umano a oggetto animato di proprietà di un altro. In questo caso lo schiavo non ha diritti, può essere utilizzato in qualunque modo il padrone ritiene opportuno, può essere comprato e venduto. In nessuna società la donna si trova in una simile condizione: le leggi e gli usi le danno sempre diritti e ruoli precisi, non può essere venduta o comprata, non le può essere imposto di prostituirsi con altri, riceve rispetto soprattutto in quanto madre.

Non esistono quindi donne schiave (dei loro uomini) ma sono esistite schiave donne: (cioè schiave insieme ai loro uomini ). In questo caso il padrone aveva il diritto di usarle anche sessualmente ma il loro status era ben distinto da quella della moglie: la prostituzione antica era svolto per esempio quasi esclusivamente da schiave, non certo da mogli.
In particolare nelle guerre uno dei bottini più ambiti erano donne giovani e belle. Si ricordi, a mo di esempio, l’inizio dell’Iliade che si incentra intorno alla lite che divide due principi guerrieri, Achille e Agamennone, per il possesso di una ragazza fatta schiava in un’azione di guerra.

Anche nelle storia islamica si racconta che Maometto desiderasse avere rapporti sessuali con una giovane donna, Safyia , catturata e il giorno stesso in cui le avevano massacrato la famiglia in battaglia: ella non contesta il diritto del vincitore come era negli usi del tempo.
Persino nella Bibbia troviamo l’episodio singolare di Sara che dà al marito Abramo una sua schiava, Agar perchè questi possa avere una discendenza.
Ma la donne schiave sono tenute sempre ben distinte dalle donne spose e da tutte le altre donne della famiglia, come sorelle, figlie, madri.

IL RUOLO DELLA DONNA

Solo in tempi recenti è stato messo in dubbio il ruolo che la donna da sempre ha ricoperto e che quindi sembrava naturale e autoevidente
Benchè la posizione della donna vari moltissimo da cultura a cultura tuttavia si possono riscontrare due principi essenziali che sono stati, fino a tempi recenti, costanti nel tempo e nelle culture:
· Divisione dei ruoli: la donna si occupa dei figli, e quindi della casa e tutto quanto ad esser connesso mentre l’uomo si occupa della difesa, di procacciare il necessario e quindi tutto quanto ad essi connesso.
· Gerarchia: vi è una subordinazione della donna rispetto all’uomo.

I due principi non vanno intesi in modo assoluto ma solo come tendenziali e soprattutto ricevono contenuti e rigidità diversi secondo le circostanze.
Per il primo aspetto, anche quando le funzioni sono rigidamente distinte, tuttavia vi è sempre una possibilità di supplenza: anche l’uomo può occuparsi di tutti i lavori domestici femminili come accade nelle comunità solo maschili (eserciti, conventi) e all’occorrenza anche dei bambini. Le donne, d’altra parte, in mancanza dell’uomo possono ricoprire i ruoli maschili come lavorare fuori casa, a volte avere incarichi di governo: abbiamo molte regine, in genere, nella funzione di reggenti dei figli minori ma anche in proprio, in mancanza di eredi maschi .

Anche la gerarchia uomo donna può avere contenuti molti diversi: nell’800 sia le donne inglesi che quelle indiane dovevano obbedienza ai mariti: ma la posizione della donna inglese, rispettata regina della casa, era incomparabilmente diversa da quella indiana richiusa nell’harem.
Bisogna poi tenere conto che sussistono grandi differenze fra i principi enunciati dalle società e l’effettiva realtà in ogni campo umano e che tale differenze sono oltremodo accentuate nei rapporti uomo-donna nei quali la effettiva reale personalità dei componenti della coppia finisce con il prevalere sulle regole teoriche del società
Anche se all’uomo viene riconosciuta la funzione di capofamiglia spesso quel ruolo è ricoperto effettivamente dalle donne che sono più esperte e vicine ai figli e alla casa cosi come una donna che abbia maggior capacità può, nei fatti, sostituire il marito stesso anche negli affari.

Dobbiamo quindi guardarci dal ritenere che le regole formali che tutti mostrano di accettare siano poi veramente quelle che informano la realtà effettiva.
Per fare un esempio comune: un tempo le ragazze non potevano prendere iniziative in campo sentimentale, anche le canzoni di amore erano prerogativa solo maschili: tuttavia nella realtà erano di solito le ragazze che sceglievano realmente l’uomo che le avrebbe formalmente scelte, con una azione accorta e complessa, estremamente sofisticata (le malizie femminili).
E difficile quindi farsi un'idea della effettiva situazione dei rapporti uomo- donna semplicemente guardando alle realtà apparente che spesso ne nasconde un’altra ben diversa: le madri di famiglie prendevano decisioni ma spingevano i mariti ad enunciarle come proprie per nascondersi dietro la autorità paterna: i matrimoni proibiti dai padri erano quasi sempre quelli avversati dalle madri.

Vediamo ora in linea generalissima come tali principi si siano manifestati nelle società primitive e in quelle agricole accennando quindi alla loro evoluzione nelle società moderne industrializzate.

SOCIETA’ DI RACCOGLITORI

Un primo stadio dell’umanità è quello dei cacciatori e raccoglitori detti anche ma impropriamente “primitivi”: sparse nel mondo ne esistono ancora alcune comunità anche se vanno man mano sparendo. E stata la condizione più lunga in cui la umanità ha vissuto. La loro comprensione è oltremodo difficile: vi sono difficoltà di rapporti, di lingua, di interpretazione delle loro azioni, di immedesimazione nel loro universo magico e simbolico che orami a noi sfugge e, soprattutto, mancano fonti scritte.
Tutto quello che abbiamo di essi sono i racconti dei viaggiatori, in genere scarsamente attendibili. Modernamente si sono fatti invero studi accurati con principi scientifici sociologici ma è sempre difficile capire quanto in quelle culture sia autentico e quanto invece appreso dai contatti con gli europei che costituiscono sempre un forte impatto scioccante per quelle popolazioni.

Per quanto riguarda la posizione della donna spesso si è oscillato fra due posizioni ambedue unilaterali. Per alcuni nella società primitive la donna sarebbe schiava dell’uomo e quindi il processo di emancipazione femminile sarebbe coincidente con la civiltà: la dignità e la parità della donna sono quindi considerati requisiti essenziali della civiltà: chi non li ammette è un incivile.

Un'opposta corrente di pensiero vede invece nelle comunità primitive un primato femminile: il matriarcato che in seguito sarebbe stato sostituito dal patriarcato e spesso poi di due istituti sono semplicisticamente identificati con il bene e il male. Ad esempio William Reich parla di società matristiche e patristiche, le prime caratterizzate da amore, libertà, felicità, mentre le seconde da odio, oppressione guerra e infelicità
Si tratta di posizioni ideologiche senza nessuna base scientifica.

Restando alla realtà antropologica si nota che le società cosi dette primitive sono molte diverse le une dalle altre. Infatti mentre le grandi civiltà agricole hanno percorso le stesse strade e quindi, a grandi linee, hanno istituti similari, le culture primitive hanno grandissime differenze fra di loro, secondo i diversissimi ambienti dai quali dipendono: alcune sono pacifiche, altre guerriere, alcune hanno risorse sufficienti e facili a reperire, altre invece sopravvivo in ambienti ostili. In fondo un contadino cinese o uno europeo si trovano di fronte agli stessi problemi ma poco accomuna un esquimese che vive in un ambiente estremo a un polinesiano che vive in una specie di paradiso terrestre. Conseguentemente parlare della posizione della donna nelle società primitiva come di un tutto unico è fuorviante.

I ricercatori tuttavia hanno individuato uno schema generale che pare ragionevole: la condizione femminile è correlata fortemente all’apporto che ella può dare alla ricerca dei mezzi di sussistenza. Nelle società in cui prevale la raccolta la donna partecipa all’attività ampiamente e la sua condizione è relativamente simile a quella dell’uomo; nelle società invece in cui prevale la caccia, attività esclusivamente maschile, la sua posizione si differenzia notevolmente: ad esempio presso i Boscimani, popolo di raccoglitori, non appare una decisa autorità maschile mentre presso gli Esquimese, che vivono esclusivamente di caccia, la donna è soggetta totalmente all’uomo
Tuttavia questa regola non è assoluta perchè trova limitazioni in credenze religiose, in usi antichi, in mille altre situazioni contingenti.

Bisogna comunque considerare che i gruppi primitivi si trovano facilmente in situazioni estreme e sull’orlo della estinzione e pertanto ogni regola sociale può essere improvvisamente travolta dagli eventi: anche nelle grandi civiltà guerre e carestie fanno saltare tutti gli schemi di comportamento.

Nel complesso tuttavia il ruolo maschile e quello femminile sono sempre nettamene distinti per motivi propriamente fisiologici: perché il gruppo possa sopravvivere occorre che le donne mettano al mondo un gran numero di figli solo pochi dei quali riusciranno a sopravvivere fino all’età fertile: pertanto la donna in pratica è sempre impedita nella sua azione da gravidanze e puerperio e sull’uomo ricade quindi il maggiore onere del mantenimento della comunità. Nella generalità dei casi ne consegue anche un rapporto gerarchico che può essere più o meno forte ma che si incontra sempre in tutte le comunità studiate. Questo non significa che le donne non possono avere ruoli importanti: a volte gestiscono esse le risorse che gli uomini procacciano e quindi acquistano potere, a volte possono scegliere i loro mariti, o cacciarli, a volte credenze religiose o usi danno loro dei poteri particolari ( le donne-regine di alcune isole del Pacifico).

Non si può parlare però di un matriarcato generalizzato: non è stato riscontrato in nessuna comunità: spesso si è pensato ad esso perchè in alcune culture possono avere dei ruoli che noi riteniamo propriamente maschili .
Talvolta la famiglia matriarcale viene confusa con quelle matrilineare che è cosa diversa: in questa un bambino viene allevato ed educato non dal padre biologico ma dal fratello della madre che viene ad avere verso di lui lo stesso ruolo che comunemente noi assegniamo al padre biologico.
Ma la famiglia matrilineare non è però affatto una famiglia matriarcale: il ruolo del padre viene esercitato dallo zio materno anche esso un maschio, all'uomo spetta sempre una posizione dominante, la donna resta in una posizione subordinata.

A una osservazione superficiale però la cultura matrilineare può apparire o essere assimilata a una cultura matriarcale e questo può avere ingenerato l'equivoco che esistano società matriarcali e che, poichè esse si trovano presso società molto "primitive", siano più antiche di quelle patriarcali.

LE SOCIETA' AGRICOLE

La nascita dell’agricoltura è anche la nascita di quella che noi chiamiamo comunemente civiltà. Gli uomini non si presentano più come piccoli gruppi sparsi in immense distanze ma si raccolgono in gran numero in ambienti ristretti: diventa necessaria una complessa organizzazione sociale che assegna a ciascun componete funzioni determinate e specializzate: vi sono i contadini, gli artigiani, i guerrieri, i sacerdoti, i nobili: nascono le città, i grandi monumenti, l’arte, la scrittura.
Non si tratta di un processo semplice e rapido: occorrono molti secoli e stadi intermedi.
In questo contesto i ruoli maschili e femminili si differenziano nettamente creando un modello comune, sostanzialmente, a tutte le grandi civiltà. La donna si dedica esclusivamente al compito di accudire ai propri figli perchè questi sopravvivano. Non è compito facile: non esistono quei ritrovati moderni che noi diamo per scontati: non esistono pannolini per cambiarli, acqua calda per lavarli, pappine e omogeneizzati per nutrirli, soprattutto non esistono medicine per curarli: l’impresa di farli sopravvivere è davvero una impegno che assorbe completamente tutte le forze delle donne.
Quindi la donna tralascia ogni altra compito che non sia quello della famiglia e dell’allevamento dei bambini.

Parallelamente l’uomo invece si dedica a procacciare il necessario per la famiglia: ricopre tutti i ruoli della società: contadino, artigiano, guerriero, amministratore. L’uomo crea la civiltà per le nuove generazioni, la donna crea le nuove generazioni stesse: questo è lo schema che si impone non tanto per scelta o pregiudizio o ignoranza ma per le forza stesse delle cose. In questa prospettiva appare “sconveniente” che una donna si occupi di cultura o di politica o di affari: dove troverebbe il tempo se non sottraendolo al suo vero e unico compito che è quello di occuparsi dei bambini ?
Una donna per essere buona sposa e madre si dedica unicamente alla famiglia, “casta fuit, lanam fecit domum servavit ("fu casta, lavorò la lana, custodì la casa," ) era il massimo elogio che i romani concepivano per le donne. "la donna è l’angelo del focolare”, dicevano i nostri nonni.

Concetti e formule simili troviamo in tutte le civiltà e in tutti i tempi. La donna tende a sparire dalla vita sociale, dalla storia, si rinchiude in casa nello sforzo supremo e totalizzante di far sopravvivere la propria progenie lasciando agli uomini tutti gli altri compiti. Il processo si coglie benissimo nell’antichità greca: nell’età omerica, come in tutte le civiltà orientali del Mediterraneo, la donna svolge ancora un suo ruolo sociale: nell’Iliade compaiono figura femminili importanti come Andromaca, Ecuba, Cassandra e soprattutto nell’Odissea campeggia la figura di Penelope.
Nell’età greca classica invece le donne sembrano sparite: non compaiono più al fianco dei loro uomini, ruolo ricoperte dalle etere donne che, un pò come le gheishe, si occupano di intrattenere gli uomini e alle quali è interdetto il ruolo proprio delle donne di essere spose e madri. Analogamente i nostri nonni dicevano che le donne oneste non devono essere nemmeno nominate.

Se il ruolo fondamentale è analogo in tutte le civiltà, tuttavia esistono notevoli differenze nella posizione della donna in ciascuna civiltà per complessi motivi culturali, religiosi storici il cui esame esula dai limiti di questo lavoro.
Facciamo solo qualche esempio .
In Cina il tradizionale assetto della famiglia prevede che la donna entri nella famiglia del marito e perda quasi del tutto i suoi rapporti con la famiglia di origine. Questo significa che i genitori debbono allevare una figlia per perderla appena questa diventi adulta, e che non saranno curati da lei quando saranno anziani: la nascita di una femmina quindi è una disgrazia, un perdita; in condizioni di miseria si arriva perfino all’infanticidio (presente anche tuttora in Cina attraverso l’aborto selettivo) perchè il peso dell’allevamento di una femmina appare insopportabile: meglio aspettare che nasca un maschio. Divenuta poi sposa, la donna entra nella famiglia del marito e poichè la famiglia è patriarcale e fortemente gerarchica ella deve obbedienza non solo e tanto al marito quanto ai suoceri che non hanno per lei nessun vincolo naturale di affetto e di loro dovrà prendersi cura fino alla loro morte: dopo, finalmente, prenderà la posizione di suocera a farà scontare alle nuore tutto quello che avrà dovuto sopportare: nascere donne è una vera disgrazia.

Anche in India il ruolo femminile è visto solo e semplicemente in funzione dell’uomo: rivelatore di questa mentalità è la tradizione del sati: sul rogo del marito si gettano anche le mogli perchè una donna vive solo ed esclusivamente in funzione di un uomo senza il quale la sua vita non avrebbe più senso. Questa terribile usanza fu vietata al tempo della dominazione inglese ma tuttora riscuote una certa popolarità negli ambienti più tradizionalisti.

Nel mondo dell’islam la posizione della donna risulta nettamente migliore: le vengono riconosciuti propri diritti, abbastanza estesi: all’atto del matrimonio riceve dal marito una dote, ha una sua autonomia finanziaria sconosciuta nella stessa Europa. L’impressione negativa che abbiamo noi Occidentali è dovuta al fatto che noi paragoniamo la posizione della donna islamica a quella della donna moderna e non a quella di un nostro passato non lontano.

In Occidente, comunque la posizione della donna è stata sempre incomparabilmente più elevata che nelle altre civiltà. La sottomissione all’uomo è sempre stata contemperata dal grande rispetto e considerazione riservata alla sposa e alla madre. Universale e sentito è stato nelle genti cristiane il culto della Madonna, la madre di Dio ed esempio di ogni donna. Il problema magari è che la donna era messa su un piedistallo, cadere dal quale era sempre rovinoso: le donne erano sempre o sante da venerare o puttane da disprezzare; non si ammette una via di mezzo.

Alla donna però non viene riconosciuta la capacità di ricoprire un ruolo sociale autonomo senza passare per la mediazione degli uomini. Ad esempio non può amministrare il suo patrimonio: la dote assegnatale all’atto del matrimonio è di proprietà della moglie ma viene amministrata dal marito, le viene solo riconosciuto a volte lo “spillatico”, una somma per le sue esigenze di abbigliamento. Tuttavia nell’ambito della governo della casa è completamente autonoma: è la regina della casa e l’uomo non osa interferire.

Dal 1300 inoltre abbiamo il fenomeno tutto europeo dell’”amore cortese” che va sviluppandosi fino al grottesco nel 700: alla donna viene riconosciuto un primato di onore: le si cede il passo, le si bacia la mano, si elevano serenate e poesia in suo onore, gli uomini affettano una specie di culto. Tuttavia si tratta solo di maniere formali: in realtà l’uomo è sempre il capo della famiglia a cui la donna deve obbedienza e comunque il fenomeno resta confinato nei ceti alti e poi borghesi.
Tuttavia la sua importanza per la condizione femminile è stata enorme.

LA SOCIETÀ INDUSTRIALE

Il ruolo femminile immutato nel corso dei millenni viene messo in crisi nello sviluppo della civiltà industriale: ciò è possibile solo e in quanto sono venute meno le condizioni materiali e sociali che quel ruolo avevano fissato nei millenni. La causa fondamentale è di ordine medico: la mortalità infantile crolla dal 50% e più a tassi insignificanti, l’età media passa dai 35 ai 70 anni, non si verificano più paurosi crolli demografici per epidemie e carestie. Non occorre allora che le donne mettano al mondo più figli che possano, anzi occorre limitare le nascite: non più le dieci gravidanze di un tempo ma è ottimale una media di due e i contraccettivi rendono possibile la pianificazione delle nascite. Inoltre un gran numero di grandi e piccole invenzioni rendono più agevole accudire i bambini; vi è lo scaldabagno, la lavatrice, i pannolini, alimenti specifici, frigoriferi per conservarli, carrozzini per uscire, auto per spostarsi. Difficilmente noi riusciamo ormai a immaginare la “fatica” di una mamma di un tempo che doveva lavare a mano le fasce sporche o spostarsi a piedi con un bimbo in braccio e altri per la mano.

Poi, presto, il bimbo a tre anni comincia ad andar a scuola dove passerà buona parte del suo tempo. Il ruolo femminile cambia radicalmente: non è più la mamma sempre incinta o con un bimbo al seno, con un nugolo di altri bimbi intorno, che praticamente non può uscire di casa, sommersa da un lavoro esasperato, con l’aiuto delle altre donne di casa fra le quali le figlie appena un po grandicelle: dove troverebbe mai il tempo per interessarsi di qualcosa altro?
La casalinga moderna invece si occupa della casa e in media di due bambini: poi questi presto vanno a scuola, i lavori casalinghi sono poco richiesti ed apprezzati perchè tutto può essere agevolmente prodotto in modo industriale: la casalinga rischia la nevrosi da perdita di ruolo, di diventare una “maniaca” dell’‘ordine e della pulizia: che altro potrebbe fare?
La donna verrebbe ad essere sprecata nella società industriale: ha spazio libero davanti a se per partecipare accanto agli uomini alla vita sociale e lavorativa.
D’altra parte può portare un contributo economico decisivo al reddito familiare raddoppiandolo o quasi con il suo lavoro. Poichè poi ormai la famiglie si sono abituate a un alto tenore di vita, il lavoro femminile diventa una necessità, non solo una scelta: nella maggior parte dei casi ormai il livello economico dipende dal fatto che la donna lavori o meno: le famiglie monoreddito sono famiglie povere.
Se tale contesto è la condizione essenziale per il mutamente del ruolo femminile tuttavia non è di per se sufficiente: occorre superare antiche e cristallizzate tradizioni, occorre ristruttura tutta la vita sociale che è cosa complessa, compito di molte generazioni. Si tratta di un grandioso processo in corso e di cui quindi pertanto non possiamo conoscere lo sbocco effettivo.

Con la parificazione dei ruoli viene anche messo in crisi e superata il principio gerarchico tradizionale che vuole l’uomo capo della famiglia. L’uomo era quello che manteneva famiglia che aveva esperienza del mondo esterno, che incarnava la “competenza”: la donna era tutta chiusa nel suo orizzonte casalingo, incarnava la dedizione dell’amore: del tutto naturale che si affidasse all’uomo.
Un uomo “fatto”, esperto delle cose della vita sposava una ragazzina che appena appena aveva finito di giocare con la bambola: il primato maschile era nelle cose.
Ma ora un uomo sposa una coetanea, collega di studi o di lavoro: perchè mai essa gli dovrebbe ubbidienza ? sarebbe fuori della realtà !

La parità uomo donna si impone quindi nei fatti stessi. Tuttavia non è certo un processo compiuto, anzi. Vi sono ancora pregiudizi, antiche tradizioni, abitudini che si insinuano un pò dappertutto anche in modo inconsapevole .
Ma a prescindere da essi vi sono difficoltà reali, oggettive nella parificazione dei ruoli che non vanno sottovalutate e liquidate come semplici sopravvivenze del passato.
Il sovrapporsi dei ruoli, la mancanza di una autorità riconosciuta rende più difficili i rapporti. Un tempo uomini e donne si occupavano di cose diverse e si riconosceva all’uomo il diritto di dire l’ultima parola: a meno che uno dei due coniugi venisse meno ai propri doveri i contrasti pertanto erano rari e facilmente componibili.

Ma ora ciascuno dei coniugi vuole dire l’ultima parola su ogni questione, nessuno vuole cedere all’altro anche proprio per una questione di principio. Di fronte alla prospettiva del dissolvimento della famiglia a volte le donne realisticamente preferiscono fare un passo indietro, lasciare alcuni campi al suo compagno e rimettersi alla sue decisioni. Nei fatti ricompare la divisione dei ruoli e la supremazia maschile. Soprattutto pero c’è il problema della conciliazione fra vita familiare e lavoro. E’ vero che non si richiede più che una donna dedichi tutta la sua vita alla famiglia: tuttavia i figli anche se in pochi abbisognano sempre di una grandissima cura, un impegno costante: anche se l’uomo collabora, tuttavia la madre se ne assume sempre in proprio il compito.

Ma i lavori più impegnativi che aprono le maggiori prospettive sono quelli per i quali occorre un impegno maggiore che mal si concilia con la cure parentali. Ecco allora che, benchè le donne studino più e con maggiore profitto degli uomini, tuttavia già all’università vanno ad affollare le facoltà meno promettenti, nelle carriere in seguito scelgono quelle che richiedono meno impegno. Il risultato è che, benchè le donne siano in ogni ramo della vita lavorativa, tuttavia nei posti più elevati il loro numero è molto inferiore a quello degli uomini; è una realtà evidente, facilmente osservabile e ampiamente studiata: le donne realisticamente limitano le proprie possibilità di carriera.
In realtà solo se rinunciano al matrimonio, ai figli o se hanno un livello economico tale da poter scaricare i compiti materni su un’altra donna a pagamento e sono disposti psicologicamente a farlo, possono gareggiare a parità con gli uomini.

D’altra parte va pure osservato che la società e il diritto proclamano a gran voce la parità, ma nei fatti distinguono nettamente i due ruoli. Ad esempio per un matrimonio un requisito essenziale è che l’uomo abbia un posto di lavoro: che lo abbia la donna non basta e anche se essa non lo ha ci si può sposare lo stesso: l'uomo rimane pur sempre quello che deve provvedere al mantenimento, il contributo della donna è solo sussidiario. Anche nella giurisprudenza, nelle separazioni e divorzi, i giudici nei fatti, affidano invariabilmente i figli minori alle madri mentre i padri sono tenuti al mantenimento: benchè le leggi proclamano la parità tuttavia all’atto pratico le donne diventano quelle che allevano e i padri quelli che provvedono al mantenimento.
La scuola non distingue maschi e femmine e proclama nei fatti la assoluta parità: ma una volta uscite dalle scuole ed entrate nella vita i problemi non risolti riappaiono tutti e spesso soffocano la donna nella delusione e nella fatica.

Giovanni De Sio Cesari
(www.giovannidesio.it )

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