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DON LUIGI STURZO (3 di 4)


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(suggeriamo anche se ci ripetiamo in qualcosa,
di leggere i singoli periodi in RIASSUNTI STORIA D'ITALIA )

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LETTERA DALL'ESILIO
(Datata Londra, 18 gennaio 1925, questa lettera fu indirizzata da Luigi Sturzo
ai suoi amici nel settimo anniversario della fondazione del Partito popolare)


"Amici, oggi, lontano da voi, nel difficile momento che si attraversa il ricordo del giorno della nascita del Partito popolare italiano, sette anni fa, è per me di commozione soave e triste, piena di amarezze e di speranze.
Noto: il nostro partito è sempre avversato da tutti gli altri partiti e da tutte le correnti politiche, da allora a oggi, sempre, ora vi si accaniscono contro anche degli ex amici: il coro è completo. Se non è questo il segno di bontà, non vi è simile nel mondo.
Bisogna approfondirne il significato: il Partito popolare sorse rivendicando la libertà nel campo sociale contro il monopolio socialista; nel campo scolastico, amministrativo, economico e religioso contro il monopolio democratico-liberale e il centralismo di Stato. Infine esso ha dovuto rivendicare le libertà politiche contro il regime fascista. La sua missione a favore di una libertà vera lo rende inviso a quanti vogliono la libertà per s�, o mascherandola col monopolio statale, o col monopolio di classe, ovvero annullandola con la dittatura di partito.

Però, mentre nella lotta per le libertà sociali, amministrative, economiche, scolastiche e religiose in confronto a socialisti e demo-liberali, vi era un terreno comune sul quale potere lottare; cioè: il terreno di eguaglianza dell'esercizio dei diritti politici; questo terreno manca del tutto nella lotta contro il fascismo.
Sicch�, la posizione di antitesi tra fascismo e popolarismo oltre che derivare dai princìpi, deriva dalla ragione stessa del Regime, dalla sua esigenza totalitaria, dalla sua negazione di ogni diritto di esistenza dei partiti di opposizione, dall'annullamento della Costituzione e dalla impossibilità di esercitare liberamente i diritti civili e politici. Per questa ragione coloro che ancora cercano dei punti di contatto, sul terreno politico e parlamentare, col fascismo, fanno opera vana e rinnegano di fatto i princìpi di libertà, sui quali è fondato e solo può vivere il Popolarismo. Se ancora vi sono di questi illusi, è bene che il partito li lasci cadere, foglie secche di un albero ancora verde, che passa il suo inverno, per preparare la sua primavera.

Oggi, dunque, è l'inverno politico del Ppi; ma «sotto la neve il pane» dice il proverbio. Nessuno sciupio di forze, nessuna mossa discutibile, nessun gesto inutile: il raccoglimento, lo studio, la preparazione. Essere, anzitutto, se stessi: cioè rigidi assertori di libertà, aperti negatori del regime fascista, vigili scorte di moralità pubblica, ranghi disciplinati di uomini di carattere e di fede.
Il pensiero, la meditazione, lo studio, la prova del dolore e del sacrificio, l'esempio del carattere, la forza della convinzione valgono assai di più di cento conferenze o di mille articoli di giornale, costretti alla mutilazione o dosati con 99 di lode al governo per poter contenere quell'uno di biasimo, che
perde ogni valore.

L'esempio dei giorni aspri del I Risorgimento deve farci convinti che nessuna forza armata o potere di principi o di dittatori valgono a contenere la diffusione delle idee e a impedire che si affermino in istituti politici quando esse sono mature. E non occorrono i molti a questo fine.
Dice Dante: "
Quando si parte il giuoco della zara, / Colui che perde si riman dolente, / Ripetendo le volte e tristo impara; / Con l'altro se ne va tutta la gente. "
È chiaro: la gente, tutta la gente, va appresso al vincitore: lasciamo che vada. Riconosciamo che sul terreno politico abbiamo perduto: non è questo un segno che non avevamo forza o arte pari a guadagnarci la vittoria. Ma è vile chi è convinto della bontà delle proprie idee e abbandona il campo per debolezza o per mancanza di fiducia. Bastano i pochi che abbiano fiducia, pazienza e costanza; anzitutto fiducia.
Una delle debolezze del Ppi è stata la non completa fiducia in se stesso. Era naturale che un partito divenuto grande appena nato, per l'apporto di molta attività sociale preesistente, non potesse subito acquistare quella coscienza politica e quella unificazione ideale che forma la vera personalità di partito.

Tutti i sette anni della esistenza del Ppi sono stati un travaglio continuo per potersi individuare, per caratterizzare la propria politica, per segnare la sua nota specifica in confronto agli altri partiti, per acquistare la completa fiducia in se stesso. E malgrado tutto e perdendo per strada compagni di lotte e posizioni notevoli, è riuscito a essere quel che veramente è e doveva essere, un partito indipendente, schiettamente ed esclusivamente politico, di carattere, democratico e di ispirazione cristiana; e che sulla Libertà prepara il suo avvenire. Quanti sono arrivati, presto o tardi, a questa concezione, hanno acquistata fiducia nel partito (al di sopra di ogni contingenza); gli altri invece, mancando di questa concezione, hanno perduto fiducia nel partito, o non l'hanno avuta mai (cosa più esatta); e sono andati a riporre la loro fiducia in altri partiti o in altri uomini, non importa se questo siano il fascismo o Mussolini, il liberalismo o Giolitti, ovvero i socialisti o i comunisti russi. Altri invece si sono ritirati dalla politica, cercando di trovare nell'Azione cattolica quel minimo di morale politica che possa in loro conciliare i doveri di cittadini, senza gli incomodi della lotta politica.

Tutto fa sì che coloro che sono rimasti sulla breccia hanno l'obbligo di saper resistere a ogni tentativo di adattamento, a ogni suggestione di sfiducia, a ogni fretta per una qualsiasi soluzione, e hanno l'obbligo di saper difendere la propria bandiera e i propri ideali, perch� in questi, e solo in questi, essi hanno fiducia.
Se l'aspra prova di oggi porta a questo saldo sentimento, assai meglio che non il favore dei primi anni, non possiamo che riconoscerne l'utilità e il vantaggio. Il Partito popolare non è sorto n� per un giorno, n� per una situazione transitoria, n� per una questione particolare: è sorto per esprimere sul terreno politico un programma vasto, coerente, realistico, utilissimo al Paese. I motivi ideali di questo programma non sono venuti meno, anzi sono aumentati. Anche i motivi morali, anzi specialmente i motivi morali. N� alcuno che sia in buona fede può non guardare con tristezza e preoccupazione il tentativo del governo di coinvolgere la Chiesa col regime fascista e di rendersela solidale, attraverso favori e vantaggi.

Il Partito popolare non ha compiti e responsabilità religiose, sa bene quali sono i limiti della sua azione pratica; ma ha il diritto e il dovere di non dare la sua adesione a un sistema politico che vuole fare della religione uno strumento di dominio, mentre tende alla deificazione della Nazione-Stato, e alla confusione dello Stato col governo e del governo con il partito e del partito con una persona.
Non c'è concezione più pagana e più ripugnante allo spirito di civiltà e ai princìpi del cristianesimo.
In tutte le nostre azioni, solo il sentimento del dovere ci deve guidare; senza preoccuparci n� dei vantaggi politici, n� delle soddisfazioni personali, n� delle probabilità di riuscita.
Il resto è nelle mani della Provvidenza: Melius est sperare in Domino quam in Principibus.
Un affettuoso saluto a tutti.

Luigi Sturzo
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Don Sturzo rimase in esilio fino al 1945, in un completo isolamento dagli ex amici, e da "Roma". Ma anche quando tornò in Italia, l'isolamento decretato dalla DC continuò fino alla sua morte, avvenuta nel 1959. E se con Mussolini Don Sturzo non trovò nessuna tolleranza, al ritorno dall'esilio, nell'utopistico tentativo di creare in Italia una società cristiana e socialista, trovò poca tolleranza nei suoi stessi "amici" politici democristiani, tutti impegnati a far germogliari i semi dello statalismo, sempre a preoccuparsi delle leggi economiche e mai a procedere sulle riforme sociali, dimentichi del grande patrimonio di valori e principi, e che pur professandosi cattolici, davano l'impressione di non aver mai letto la
Rerum Novarun di Leone XIII.

Finiamo qui, ma presto ci occuperemo ancora di lui, con i suoi interventi dal '47 al '59
sullo statalismo, sul Mezzogiorno, sulla moralità pubblica, sulla libertà.
Più che scritti sono delle profezie di una Italia che stava - negli ultimi anni di vita di Don Sturzo - entrando nel vorticoso tunnel delle spese pubbliche assurde, e non contenta, con l'irresponsabilità, iniziò a entrare nel "buco nero" del debito pubblico per creare solo, spesso inutili, "cattedrali nel deserto".

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