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ALESSANDRO MANZONI



I PROMESSI SPOSI COME ROMANZO STORICO

Il romanzo storico, come lo concepiva Manzoni, non c'� nei Promessi Sposi, ed è bene che non ci sia. C'è invece il vero romanzo storico, quale glielo fa incontrare il suo squisito senso d'artista. La storia è qui non la sostanza o lo scopo, ma la larga base, di dentro dalla quale esce alla luce la statua del pensiero e dell'immaginazione; una base non "segregata e indipendente come un piedistallo, ma vera causa generatrice, il fondamento e il motivo occulto che mette in moto gl'inconsapevoli attori. Onde nasce quella fusione armonica della composizione, che desideri nelle sue tragedie storiche, dove la storia è essa la sostanza e lo scopo, e rigetta dal suo seno ideali estranei invocati dall'immaginazione. Nessuno può dire che fine del racconto sia qui il ritratto della dominazione spagnola, o in modo più generale una storia poetica del secolo XVII in Lombardia: se, così fosse, non sarebbe un romanzo storico, ma una storia in veste di romanzo. Ed è invece un vero romanzo storico, perchè la storia è qui un semplice materiale, a cui il romanzo dà forma.

Lettori, ditemi in fede vostra, vi siete mai dato carico di ciò che è qui storia e poesia, di ciò che è inventato e ciò che è storico, e de' confini che dividono questi due generi? Voi non ci avete pensato; voi avete gustato il libro, come un tutto omogeneo e concorde; e libro gustato così è libro riuscito.

L'Italia era un paese romanzesco e fantastico: i romanzi di cavalleria avevano formato il suo spirito, e non presi sul serio, ma piacevole trastullo di immaginazioni vivaci e oziose, non ancora temperate da un senso serio della vita. Torquato Tasso cercò alle sue invenzioni una base nella storia, e non riuscì, perchè lo spirito italiano, e lui per il primo, era ancora impregnato di elementi fantastici e idillici in quel vuoto della coscienza. Quello che Tasso tentò, fece Manzoni. Viva era allora l'opposizione non solo verso quel vuoto fantastico che era stata la delizia de' nostri antenati, ma verso quei nuovi ideali scarni e rettorici de' tempi di Alfieri e di Foscolo.

Si può ora vedere quale significato e quale importanza avesse il nuovo genere venuto in moda, la poesia storica. Non era già un bisogno di conoscer la storia per mezzo della poesia, quantunque anche questo se ne possa cavare, ma era un bisogno più vivo del reale, l'immaginazione fastidita di quel fantastico e di quelle astrattezze, che cercava nella storia un nuovo nutrimento. Questo era l'indirizzo preciso del secolo XIX, e Manzoni fu l'uomo di questo indirizzo. Ma nella prima esagerazione le menti si confusero, e come prima tutto era immaginazione, allora tutto doveva essere storia, e lo stesso Manzoni vi si smarriva, dando al vero positivo, cioè al vero della natura e della storia, importanza maggiore che l'arte non può consentire. Perchè all'arte non importa nulla che il suo contenuto sia storico o sia inventato; ma ciò che le importa assai, è che il suo contenuto, o storico o immaginario, sia reale. E il reale nell'arte non è l'accaduto; non è natura e non è storia, ma è il loro riflesso nell'immaginazione, come il reale in filosofia è il loro riflesso nell'intelletto, e come il reale in religione è il loro riflesso nel sentimento. È là, nell'immaginazione, che natura e storia sono covate ed elaborate, ed escono a vita nuova, vita che non � riproduzione, ma vera produzione, con carattere e fisionomia sua.

Quando l'immaginazione lavora in se stessa e produce della sua sostanza, trastullandosi come fanciullo co' suoi castelli di carta, senz'altro scopo della sua attività che un puro gioco, avviene la decadenza dell'arte; ed e segno di rinnovamento, quando natura e storia, esagerando anche la loro importanza e cercando di sostituirsi a quella, la richiamano all'osservanza del reale. Queste esagerazioni, o del vero intellettivo e astratto o del vero positivo e storico, sono sempre indizio di crisi benefiche, appresso alle quali ritorna la salute. Chi getta uno sguardo sulle ultime sorti della nostra letteratura, vedrà che dalla esagerazione d'ideali intellettivi e astratti � uscito Panini, Alfieri e Foscolo, e dalla esagerazione del vero naturale e storico e uscito Manzoni e la sua scuola. E poichè sono in questo discorso, noto che oggi ritorna la stessa esagerazione con altro nome, perchè quello che a' tempi di Manzoni dicevasi vero positivo, naturale e storico, oggi dicesi
realismo. E, quantunque i fenomeni di questo realismo esagerato esprimano una certa lassitudine e superficialità dell'arte, pure non me ne spavento; perchè uno studio, anche eccessivo, del reale ha sempre una efficacia educativa sull'immaginazione, che si rinfresca e ci si rinnova.

Si può dire che il realismo sia un riposo necessario della stanca virtù formativa, mentre lo spirito dato all'osservazione lavora a preparare e accumulare un altro materiale, che spoltrisca l'immaginazione, porgendole nuovi stimoli e nuovi motivi. Tale benefica virtù aveva anche allora quella tanta foga di storia, sì che come nel passato secolo tutto era filosofico, allora tutto era storico. La storia rivolgeva l'immaginazione dalle astrattezze e dalle vane cogitazioni, dagl'ideali nudi, e la tirava fuori da' soliti repertori, mettendole innanzi un materiale nuovo e concreto, perfettamente determinato nei suoi motivi, nelle sue idee e nelle condizioni della sua esistenza. L'immaginazione, lavorando sopra un materiale positivo, e mossa da quello, mossa dallo stesso ardore della investigazione storica, poteva assimilarselo, scaldarlo, idealizzarlo, dargli una forma venuta di colà dentro, ispirata e prodotta da esso medesimo, una forma storica, anche dove il materiale sia inventato, storica nella concezione, nel disegno, nel colore, nella misura e nell'armonia, una forma che è poesia, e ti pare storia. Guarda il materiale storico ne' mediocri: rimane grezzo, o senza forma, o in forma fantastica e arbitraria : quasi l'immaginazione lavori per conto suo, e non sia immedesimata con quello. Guardalo ora ne'
Promessi Sposi.

Già fin dalla prima pagina ti senti in pieno Seicento; leggi un pezzo di cronaca di quel tempo. E quando comincia il racconto, ti è innanzi una lunga descrizione, che spesso pare scritta da un geografo o da un naturalista, anziche da un poeta : così preciso è il colore locale fin ne' minimi particolari. Per lo più nelle descrizioni di scrittori italiani la grande preoccupazione è di trovare l'effetto estetico con tali ingegnose combinazioni di ombre e di luce, con tale lavorio d'immaginazione, che si abbia non la veduta, ma la "bella veduta". Non basta il paese, ci vuole il paesaggio, un paese raffazzonato in modo, che produca non il suo effetto, ma certi effetti, classici o romantici, secondo le scuole.
Qui la preoccupazione è di rendere accessibili all'immaginazione anche più infingarda le figure e le disposizioni del sito, con esse le impressioni che naturalmente producono, se e quando; e l'effetto estetico non si cerca, ma s'incontra, in dati momenti, quando il sito stesso lo porta, e consegue più il suo fine, perchè i suoi colori non sono fregi dell'immaginazione, ma parte anch'essi del luogo, colori locali. Vedi l'uomo che descrive dal vero, quello che gli è innanzi all'occhio, e nota tutto, e tutto comprende, e tutto ti vuol far comprendere, con la curiosità paziente e attenta d'intelligente osservatore, anzi che con l'animo concitato e distratto di artista.
E dico osservatore intelligente, perchè qui tutto è natura, ma natura guardata e disposta da una mente superiore, che l'ordina, l'analizza, la spiega, la mette in moto, le dà vita come a persona, sì che quel lago che divien fiume e torna lago, quelle riviere, quei valloncelli, quei viottoli, quei monti hanno apparenza di figure mobili che ti camminano innanzi e prendono posto. Secondo che vai avanti, le impressioni si staccano dalle cose, e si fanno sempre più vive, fino a che nell'ultimo l'autore, quasi voglia godere dello spettacolo, se ne stacca e si fa a guardarlo, e ti dà la sua impressione estetica.

E come nelle descrizioni, così nelle narrazioni. Vedi la stessa minuta cura di ogni particolare storico, quasi l'autore copi modelli che abbia innanzi vestiti e atteggiati così e così. Tutto il secolo ti sfila avanti nelle sue abitudini e attitudini, nelle sue opinioni e tendenze, nelle sue classi, nelle sue violenze e nelle codardie, nelle sue forze le più grossolane e appariscenti e le più occulte e delicate, e in tutte le sue gradazioni e variazioni, dal più umile villaggio sino alla superba capitale. Trovi già nel villaggio il secolo nel suo spirito e nei suoi elementi; il nobile soverchiatore col suo castello e con i suoi bravi; il borghese con la sua mezza coltura, strumento corrotto e basso di quello, com'è il dottore, il console, il podestà; il popolino sotto la doppia servitù incolto, credulo, tutto quasi ancora natura, come Renzo, Lucia, Perpetua, o già attratto e parte assimilato in quell'atmosfera, imparatavi l'arte del saper vivere, come il curato e l'oste, e fino il monaco che va alla ricerca, e perfino anche un po' Agnese. Tutto comincia e finisce nel villaggio ; pare non ci sia altro cielo, sia quello tutto il mondo; Milano è un nome grosso, come chi dica oggi America. Pure, assistendo all'orgia di don Rodrigo, tra quei discorsi e quelle dispute vedi come attraverso di un foro nuovi cieli, e pur gli stessi, vedi come in confuso e in immagine ridotta tutta la storia che segue.

Da Lecco a Monza, da Monza a Bergamo, da Bergamo a Milano, l'orizzonte s'ingrandisce, le proporzioni si allargano, le viste si variano, i nomi sono più rotondi, i personaggi più grossi, pur trovi sempre quel nobile, quel borghese e quel popolo: il villaggio è già tutta quella società in miniatura. E tutto si spiega alla vista non successivamente, a modo di descrizione, come in una camera oscura, ma per intreccio e antagonismo di forze umane, come in un vero dramma, fino a che, cessata ogni opera di uomini, e quando il racconto sembra finito, le fila si riannodano con epica solennità, entrati in scena i formidabili fattori della collera di Dio, fame, guerra e peste.

L'Angelica o l'Armida che dà moto a tutta questa macchina, è Lucia. E' intorno a lei che si sviluppano, combattendo, tutte queste forze storiche. E' da vedere, se l'avrà Renzo, a cui è promessa, o vincerà don Rodrigo impuntato ad averla lui. Qui è tutto l'interesse del racconto. E sembra impossibile come avvenimenti così grandiosi e tante passioni e tanti grandi personaggi debbano servire a scopo così piccolo e così poco interessante. Perchè Lucia non ha niente di straordinario, che la renda eminente sopra tutto un secolo che pur gira intorno a lei. Non è un'eroina foggiata dall'immaginazione, privilegiata di tutte le buone qualità, che dico? non si può neppure chiamar bella. La è di una stoffa molto ordinaria, colta nelle più basse sfere della vita, una di quelle contadine giovinette e casalinghe, intatte ancora come pur ora uscite dalle mani della natura, buone, pure e semplici in un ambiente viziato, di cui non si accorgono, tutte mamma e confessore, vergognose e trepide innanzi alla castità di un primo pensiero amoroso.

L'immaginazione si vergogna di abbellire una creatura così semplice, e te la presenta quale tu giureresti di averla vista in qualche villaggio. La società non l'ha ancora modificata, e mal potresti dire a qual secolo appartenga. Cosa è in lei che t'interessa tanto? E' un fiore candido nato, che la società calpesta e passa. Di fiori simili n'abbiamo visti tanti. Cosa è che questa contadina ha tanto potere su di noi? possiamo dire insieme con l'Innominato. Contadine scopertesi figlie di regine, poverette scopertesi in ultimo milionarie abbiamo visto; ma Lucia rimane quella che è, e non abbiamo ancora visto povera contadina destare tanto interesse, che intorno a lei pugnano uomini e dei, forze umane e forze celesti, e si mettono in moto tutte le molle sociali. Questo pare impossibile, e ancor più pare impossibile che vero intreccio e antagonismo ci sia in condizioni così disuguali di lotta. Perche tutte le forze sono dall'un canto, e dall'altro nessuna speranza di resistenza. Può ben farsi assegnamento sul caso o sul miracolo, e ne uscirebbe un romanzo d'intrigo, che altererebbe profondamente il suo carattere storico. Pare impossibile che Lucia desti tanto interesse. E lo desta. Pare più impossibile che un serio antogonismo ci sia. E c'è. Quale e dunque il Deus ex machina? Qual'e la forza di Lucia ? E qual'è la forza che entra in urto contro tutte le forze storiche? Una e la forza che rende interessante Lucia, e rende serio l'antagonismo, e crea il dramma. Questa forza è l'ideale.


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