SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
ALESSANDRO MANZONI


IL CONTE DI CARMAGNOLA

Manzoni nel 1816 concepì il Conte di Carmagnola, lo pubblicò tre anni dopo. Alfieri scriveva una tragedia in quindici giorni; e si comprende, perchè la tragedia era lui, e poteva comporla senza bisogno di documenti. Manzoni verifica prima nelle cronache e nelle storie cosa sia il Conte di Carmagnola; cerca non un problema poetico, ma storico, che possa essere interessante. Ora il Conte di Carmagnola per lungo tempo fu dagli storici creduto reo di tradimento, e gli storici stessi riconoscevano giusta la pena di morte inflittagli dal Senato di Venezia. Manzoni studiando que' documenti, e aggiungendovi la sua riflessione, venne a scoprire che forse il Conte era innocente, senza che il Senato fosse reo : credette far opera interessante riabilitando quell'uomo infamato dagli storici. La sua tragedia ha già un interesse storico : il presentare quel carattere eroico purificato dalla colpa, la riabilitazione del Conte di Carmagnola.
A noi importa poco vedere se Manzoni ha ragione o torto. Pietro Verri dice che il Carmagnola fu reo, Manzoni lo nega; la tesi appartiene agli storici, a noi importa vedere se Manzoni ha potuto raggiungere il suo fine.

Se egli vuol rappresentare Carmagnola non come essere fantastico, ma con quei caratteri che gli dà la storia, comprendete cosa sia la composizione di questa tragedia storica. Manzoni sceglie in tutta la storia del Conte un punto di partenza, e dopo vi presenta i fatti non legati artificialmente, ma successivamente come appunto essi sono nella storia. Pure vi è un certo filo ideale che li aggruppa insieme, e non si hanno scene cucite fra loro ad arbitrio come all'autore rimproveravano i critici di quei tempi, tra cui Paride Zaiotti. La composizione storica deve essere pur fatta con un certo artificio e legame che dia il concetto dell'insieme.

Il Conte di Carmagnola prima di essere conte era semplice pastore. Incontrò una truppa di avventurieri, e costoro l'istigarono ad andare con essi. Era di ingegno pronto, avea coraggio, audacia, tutte le qualità che fanno andare avanti un uomo, specialmente in tempi in cui non c'è una forza speciale che impedisca lo sviluppo della potenza individuale. Carmagnola giunse ad avere una truppa, e con questa conquistò il ducato di Milano, ne fece dono a Filippo Maria Visconti, di cui sposò la figlia. Giunto qui, diventò uno strumento non più utile, ma pericoloso.

In que' tempi di violenza non poteva piacere ad un principe aver vicino un uomo così potente, così amato dai soldati. Filippo cercò di disarmarlo destramente; ma quando il pastore divenuto conte si accorse del tranello, abbandonò Filippo, e come Annibale andò cercando in Italia un nemico contro di lui; e poichè Venezia era in procinto di dichiarar guerra al Duca, il Conte offrì la sua spada al Senato veneziano. Allora si andava per le spicce, e Filippo mandò un assassino ad uccidere il Conte. Ciò che l'accreditò presso i veneziani fu questo, che quantunque Carmagnola fosse sposo della figlia del Visconti, pure tra essi era inimicizia irriconciliabile.

Tutta questa che è la parte più interessante della vita del Conte, è gettata come un antecedente nella tragedia, la quale comincia dall'offerta che egli fa della sua spada a Venezia. Da questo momento, sino alla morte di lui, si ha una serie di fatti storici.

L'autore bensì ha sentito istintivamente che una tragedia puramente storica, senza personaggi ideali, noti, poteva non riuscir fredda; e cercando il modo di combinare la storia e l'ideale, viene alla strana risoluzione di ficcare nella tragedia personaggi ideali, cioè, per Manzoni, inventati. Infatti tutti i personaggi della tragedia sono storici, tranne due, Marino e Marco, oltre i due commissari che sono anch'essi in parte inventati.
Quando si giunge alla catastrofe, quando i veneziani sospettano che il Carmagnola li tradisca per favorire Filippo Visconti, sorgono nel Senato due correnti. Da una parte è la ragione di Stato, il patriottismo superiore alla stessa moralità, l'idea che si riassume nel Salus publica suprema lex esto. Il rappresentante di questa idea è un senatore, Marino; il quale può dubitare se sia traditore Carmagnola, ma pure inculca l'atto più indegno che da uno Stato si possa commettere, sia qualunque la forma del suo governo: una insidia volgare. E sapete che il Senato, colmandolo di onori, invita Carmagnola a venire in Venezia, allontanandolo da' suoi soldati : preso, il tribunale segreto lo condanna a morte.

Rimpetto a quella idea c' è l' idea contraria, l' idea della moralità, della virtù, dell'amicizia, la quale non può consentire che così vigliacca insidia si trami contro Carmagnola. Rappresentante di essa è Marco; il quale non crede possibile che il Conte sia traditore, e invano si adopera a fargli comprendere che gli si tende un tranello, prima che vi caschi.

Ma non basta aver rimediato così al bisogno di personaggi ideali. Manzoni trova un'altra difficoltà. Quelli ch'egli voleva rappresentare erano tempi lontani da noi, e le virtù e i vizi vi erano considerati in altro modo. Immaginate che cosa fossero quegli avventurieri che si vendevano a chi più dava
E venduto ad un duce venduto,

Per lui pugna nè chiede il perchè.


Il Conte di Carmagnola stesso non aveva patria; Venezia gli era indifferente; non sentiva che il desiderio di vendicarsi del duca. Queste passioni oggi renderebbero l'immagine di un uomo volgare e disgustosa, ma erano inerenti alla vita di que' tempi. Nessuno sentiva che orrenda cosa fosse per Italiani spargere il sangue di altri Italiani : il sentimento dell' Italia non c'era ancora. Come dunque rappresentare in una tragedia una materia siffatta?
Alfieri non lo avrebbe neppur pensato, o ci avrebbe messo la coscienza del suo secolo, facendo i suoi personaggi alcuni liberi altri tiranni. Manzoni si domanda che farò ? E non si guasta la storia? Allora gli viene la strana idea di salvare capra e cavoli : mantenere il significato storico degli avvenimenti, ed aggiungervi la coscienza presente, interrompendo la tragedia con un Coro: tanto più che il suo Schlegel lodava il Coro greco e sosteneva che si potesse ancora adoperare.

Così in questa tragedia in mezzo alla trama storica e ai personaggi storici sono due personaggi ideali: poi nel punto più interessante, spariscono que' tempi, entra il secolo XIX, entra il poeta con la sua coscienza moderna, e ci mostra come quello spettacolo faccia vibrare le corde del suo cuore.
Finora Manzoni dopo lungo giro ci ha sempre presentato da ultimo la morte, e là ha sviluppato il suo ideale cristiano. Nell'Adelchi la conclusione sono le ultime parole di Adelchi, rivolte a Carlo : «
Tu pur morrai », e il Coro di Ermengarda.
È naturale che anche questa tragedia finisca così. Dopo che la composizione ha proceduto come abbiam veduto, al momento della catastrofe, quando già noi sappiamo che il Conte deve morire, si ferma, e tutto l'ultimo atto è consacrato alla morte, all' ideale della tomba. C'è prima Carmagnola solo, poi con la moglie e la figlia, poi con l'amico : dopo che egli ha sviluppato il sentimento cristiano del perdono, tutti i movimenti lirici dell'ideale cristiano, va alla morte.
Se avete innanzi tutto questo cammino della tragedia, potete comprendere l'impressione che fece sui contemporanei. Allora la politica per forza taceva, gli austriaci erano a Milano, ma c'era una nuova generazione ardente e piena di vita. Tutta questa vita si riversava nella letteratura.

Manzoni ebbe un privilegio mancato poi agli altri scrittori : quando compariva un suo lavoro, tutti se ne occupavano, tutti se ne interessavano. Il Conte di Carmagnola fu un avvenimento. Nella stampa, letteraria semplicemente perchè non poteva essercene una politica, primeggiavano la Biblioteca Italiana ispirata da Vincenzo Monti, diretta da Acerbi, scrittore che sotto le apparenze classiche era devoto agli Austriaci; e il Conciliatore, che sotto pretesto di conciliare gettò le passioni della nuova generazione nelle dispute letterarie levando la bandiera del romanticismo. Da una parte Monti con i suoi, dall'altra Manzoni, Pellico, Berchet, ecc.

La zuffa s'impegnò sul Conte di Carmagnola, e le osservazioni furono al di sotto di quelle passioni; trite, volgari come la critica di quel tempo. Manzoni si trovò soverchiato nella lotta, e ricorse ai suoi amici fuori d'Italia : Goethe, Fauriel. Abbiamo un fatto che onora Goethe e Manzoni. Il gran poeta tedesco scrisse prima un articolo, e poi un altro in difesa della tragedia, dove sotto benevola critica si scorge la grande amicizia che egli nutriva per Manzoni.
Nonostante questa pressione sull'opinione pubblica, il Carmagnola non ha potuto reggere alla rappresentazione, perchè al di sopra dei partiti politici e letterari, c'è la voce popolare, ultima a dare il suo giudizio, e infallibile. Quando Manzoni pubblicò il
Cinque Maggio, tutti batterono le mani, e i critici furono ridotti al silenzio. Innanzi al Conte di Carmagnola la critica rimase incerta; e di tutta l'opera una sola cosa è rimasta viva, il Coro.

.... Il difetto del Carmagnola è il seguente. La base di questa tragedia dev'essere un processo psicologico, e pure questa parte capitale di tutto il movimento drammatico è rappresentata solo nel terzo atto. Là si vede il Conte, superbo della sua vittoria, quando un Commissario viene a dirgli : - Bisogna continuare nell'opera cominciata colla vittoria. -- Ed egli non sopporta che un Commissario del potere civile gli faccia lezione. Più tardi ecco che lo ammonisce un altro Commissario : - I vostri soldati restituiscono i prigionieri, ordinate loro che nol facciano. - Era quello un uso di guerra; e il Conte non solo si rifiuta ad impedire la restituzione, ma ne fa liberare altri quattrocento. Egli se ne va, e i due commissari, rimasti soli, si guardano in faccia e dicono: - Abbiamo a fare con un uomo avvezzo al comando, e che vuol sempre comandare. -

I due precedenti atti sono l'esposizione degli a n t e c e d e n t i, i due seguenti sono la condanna del Conte, la catastrofe. Tutta la tragedia si concentra nel terzo atto.

Manzoni, che vuol fare una tragedia storica, non si è domandato a questo punto : le cose sono avvenute così? In verità, la storia è stata più poetica della sua tragedia. Quel fatto de' prigionieri fu il primo incentivo del sospetto; passano due o tre anni dopo questo fatto, prima che il Conte sia condannato. In questo tratto di tempo il Conte comincia ad essere sfortunato, e ciò gli produce danno, perchè la sfortuna di un generale apre facile adito al sospetto. Egli ordina di prendere Cremona: i soldati le dànno l'assalto di notte, i cittadini resistono, quelli sono costretti a ritirarsi, e il Conte non insiste, non torna all'attacco. La flotta veneta si trova in mal passo, egli potrebbe salvarla; ma, per vendicarsi della mancanza di rispetto, per mostrare che non gli si può dar lezione in fatto di guerra, la lascia schiacciare. II cumulo di tutti questi fatti induce il sospetto nel Senato veneziano.
Manzoni vuol fare un dramma nuovo, ma ha innanzi un pubblico avvezzo alle regole classiche, ed ha pensato se prolungo la storia di due e tre anni, esco troppo fuori dei limiti che ammette il pubblico italiano. Quindi, nel quarto atto, mette in bocca ad un personaggio la narrazione dei fatti in cui è il processo psicologico, la tragedia: quei fatti perciò riescono freddi, sfuggono all'attenzione dello spettatore, perchè narrati e non rappresentati.
Vediamo quali sono le conseguenze di tutto questo. Poichè non c'è movimento drammatico, non quel processo psicologico che Manzoni medesimo vede nell'Otello, e le azioni sono quasi tutte narrate, e c'è una sola azione rappresentata, la battaglia di Maclodio, cosa accessoria che dà origine al Coro, è questa una tragedia composta di discorsi : non c'è vita drammatica.
Nel primo atto abbiamo innanzi il Senato che, dopo aver discusso a lungo, delibera di affidare al Carmagnola il comando delle truppe contro Filippo Visconti; poi Marco, amico del Conte, che va a comunicargli la notizia, e qui un discorso tra Marco e il Conte. Nel secondo atto è un consiglio di guerra de' generali di Filippo, e vi si discute a lungo se si deve dare battaglia oppur no; dall'altra parte, c'è il Conte che comanda ai suoi di starsene pronti : qui finisce il secondo atto.

Nel terzo si comincia a mostrare lo sviluppo drammatico, i Commissari proibiscono la restituzione dei prigionieri, il Conte nega di farlo. Nel quarto si ha la narrazione de' fatti accaduti dopo, il Senato fa venire a Venezia il Conte, e c'è un lungo dialogo tra Marco e Marino. Nel quinto atto è la catastrofe.
Come si vede, tutto il dramma è vuoto di azione; vi sono magnifici discorsi; ma sono discorsi : nulla fa tanto danno alla rappresentazione di un dramma come il vuoto dell'azione. Oggi che i più mediocri scrittori sono pratici del teatro, si va all'eccesso opposto, e si vuol presentare una catena di fatti e di situazioni, sopprimendo quasi dei tutto i discorsi. Ma, ripeto, nulla rende così fredda la rappresentazione come i discorsi, il dramma ristagna, sorge la disattenzione e la noia, che si risente anche nella semplice lettura; tanto che di simili opere voi siete tratti a saltare alcune pagine per veder ciò che accade dopo. Invece, appunto per l'eccellenza della poesia, la lettura di que' discorsi del Carmagnola ci rapisce; ma nella rappresentazione ci sono finezze che sfuggono allo spettatore. Come volete che egli, quando si narra l'assalto di Verona, colga colla fantasia i fatti che gli sono narrati e non gli sono posti sott'occhio ? Egli prende le cose all'ingrosso, e per colpirlo è d'uopo presentargli qualche cosa che operi, e che si muova.

Nel Conte di Carmagnola, dunque, la maggior parte è narrazione, e l'azione è scarsa. E vi è una curiosa singolarità. Manzoni vuol darci un dramma storico, e non si accorge che strozza il conflitto drammatico in un solo atto, riempiendo il rimanente di discorsi; il che se mantiene la parte, diciam così, materiale della storia, falsifica, fraintende la parte spirituale di essa. Nel secolo XIX un dramma pieno di discorsi e soliloqui è concepibile, perchè è un secolo in cui si discorre più che non si operi: essendo la intelligenza molto sviluppata, siamo avvezzi a ripiegarci su noi, c'è dell'Amleto nel nostro secolo. Ma nel Medioevo la vita era tutta al di fuori, e quei capitani di ventura erano tutta azione; e non c'era molto sviluppo d'intelligenza. Onde io direi che questi discorsi nel Carmagnola sono non solo un errore artistico, ma anche un anacronismo storico.

Quando Marco è obbligato a sottoscrivere un foglio e ad impegnarsi di non avvertire il Conte amico suo, fa un lungo soliloquio e sottili considerazioni. Egli si domanda: - fo bene o male ? Che cosa farò ? Avvertirò l'amico? Ma così infrango il giuramento ! Non infrango il giuramento ? E sono un perfido amico. - Infine, come una canna in balìa del vento, perde la volontà e dice si segua il destino! Accusa del suo operato il destino, il quale non è altro che la sua codardia morale, battezzata con quel nome, e lo segue maledicendo la sua patria che l'ha messo in quella situazione. Egli dice
Che tu sii grande
E gloriosa, che m'importa? Anch'io
Due gran tesori avea, la mia virtude
Ed un amico ; e tu m'hai tolto entrambi !.


Ora tutto questo è moderno : quel modo di sentire e di concepire suppone intelligenza sviluppata, avvezza alla concentrazione. Questa mancanza di vita drammatica nel Carmagnola è dunque difetto non solo in se stesso, ma rispetto ai tempi in cui visse il protagonista.
Ed ora facciamo un po' di critica produttiva. Ma era veramente quella l'idea poetica del Conte di Carmagnola ? E quella la totalità organica di cui vi ho parlato ?
Manzoni si è messo in capo che quella idea sia la lotta tra il potere civile e il militare. Ma è veramente qui l'idea? Considerando tutto il dramma storico, penetrando nella sua totalità, noi possiamo vedere qual' è veramente l'idea organica della composizione. Ed è questa : che le stesse qualità le quali hanno condotto Carmagnola alla grandezza, son quelle che lo conducono alla decadenza.

Analizziamo il Conte non solo qual è rappresentato, ma anche qual è narrato, con tutti i suoi antecedenti. Trovate un uomo nato in bassa fortuna, un pastore; pure, egli ha qualità che lo fanno superiore alla sua condizione : forte volontà, febbre di attività, intelligenza non ordinaria, coraggio indomabile : e senza saperlo, egli ha anche ambizione straordinaria.
E che cosa è l'ambizione? Oggi diciamo : ambizione di partito, ambizione di questo e di quell'altro. La vera ambizione è rara, è il desiderio, la necessità di attuare quello che un' uomo ha dentro di sè, di farlo diventare realtà; e quindi vi ha diverse specie di ambizione: politica, letteraria e via di seguito. E quando un uomo si propone uno scopo sproporzionato alle sue qualità, la sua non è se non vanità. La vera ambizione è la coscienza della propria forza, il sentirsi capace di attuare grandi cose.
Quest'uomo è evidente che rimarrà turbato, scontento finchè non avrà esplicata quella forza. Il Carmagnola pastore, trova una truppa d'avventurieri che lo invita a seguirlo; ed egli lascia la greggia, diventa soldato, le sue qualità lo distinguono subito. Il suo capitano è Pergola; questi ha fiutato l'ingegno di Carmagnola, lo mette sotto la sua protezione, lo fa progredire. Di protetto egli diventa a poco a poco protettore; anch'egli capitano di ventura, ha un esercito a cui comandare. La stia ambizione ha già raggiunto un certo grado di attuazione. Aveva aspirazioni, ora ha la potenza. Mette la sua spada al servizio di Filippo Visconti, conquista Milano, regala a Filippo la corona, sposa la figlia di lui. Fin qui la sua vita è ascendente, poichè sapete che l'uomo sale sino a un certo punto, dopo il quale è la china. E viene la china nella vita di Carmagnola : egli è costretto a lasciare Milano, e va a Venezia, dove succede la sua catastrofe.

E quali sono le ragioni della sua rovina? Le stesse qualità che lo hanno fatto salire. Finchè ha avuto uno scopo a cui tendere, e per mezzo i soldati e le battaglie, egli è rimasto nel suo ambiente. Ma eccolo ora suddito di Filippo Visconti, sposo della figlia di lui, circondato da cortigiani invidiosi che gli tessono insidie: a lui, avvezzo a sciogliere i nodi con la spada, inconscio degli intrighi di corte. Filippo Visconti non lo guarda più come strumento utile, anzi peggio che inutile, pericoloso. Un uomo volgare a quel posto sarebbe stato contento, egli no; vi si sente morire, è fuori del suo campo di azione; la sua attività febbrile è rimasta senza scopo. Egli dà ombra al suo signore, se ne avvede, domanda un'udienza. Filippo Visconti gliela nega, e Carmagnola lo abbandona, va come Annibale cercando nemici al duca, la vendetta diviene il suo stimolo. L'abitudine del comando, l'indole irrequieta, la sete delle battaglie lo han reso grande, ora lo mettono in rovina.

Venezia prepara guerra al Visconti, egli va ad offrirle la sua spada. Colà trova un'oligarchia sospettosa, un Senato che vuol comandar anche nelle cose di guerra, che si permette di mandargli de' commissarii - oggi diremmo delle spie, - di dirgli : devi far questo o quello. Carmagnola, avvezzo a comandare, guerriero, si trova di fronte borghesi pieni di menzogne, consci della loro debolezza, i quali cercano vincere non per forza ma per arte. Carmagnola, perchè ha quelle qualità che lo condussero in alto, deve morire. Un uomo mediocre sarebbe caduto nella trappola? No; ma egli sa che si sospetta di lui, gli amici lo avvertono; eppure, quando è chiamato dal Senato, va a Venezia. All'ultimo dice: fui uno stolto. È la stoltezza d'un'anima generosa.

Manzoni non ha veduto che cosa rende interessante questa vita, la quale è simile alla vita di Napoleone; quelle stesse qualità che condussero Napoleone in alto, gli fanno girare il cervello e lo spingono alla rovina. Manzoni non s'innalza fino a quell'altezza ed ampiezza, aveva ancora i pregiudizi classici. Ma se vi fosse giunto, che dramma avrebbe fatto, e senza i lunghi discorsi! In questo dramma il punto di partenza sarebbe simile a quello del Wallenstein di Schiller: Wallenstein è il personaggio storico che più si accosta al Carmagnola. Vedreste quest'uomo entrare in scena quando è all'epoca della sua potenza, circondato di amici e ammiratori e seguaci devoti: egli regala una corona a Filippo Visconti, è promesso sposo della figlia di lui. Magnifica entrata ! E ci trovereste non solo la vita di Carmagnola; ma tutta la vita italiana, quando gli si mettessero accanto Pergola, Piccinino, tutti que' capitani di ventura che egli aveva vinti, la figlia di Filippo e lo stesso Filippo, que' cortigiani e que' soldati. Così avreste en raccourci, in abbozzo, tutta la vita italiana di quel tempo. In questo modo avremmo avuto un Wallenstein, uno di que' drammi come li sapeva concepire Shakespeare, un Macbeth, un Re Lear.

La decadenza del Conte proviene non dal perchè egli si è mutato, ma perchè si è mutata la situazione ed egli è rimasto lo stesso. E per seconda parte del dramma concepito in questo modo, avremmo tutto ciò che avviene a Milano; vedremmo il leone che si dibatte tra i lacci che gli tendono i cortigiani, e si rode nell'inerzia, di fronte a quel sospettoso Filippo Visconti. Qui ci è tutto un soggetto di tragedia. Nella terza parte Carmagnola sarebbe a Venezia, ove egli non è mutato; il suo carattere non muta, ma s'inasprisce; e infine giunge alla catastrofe. In questo modo avremmo innanzi tutta la vita di una grande individualità, un processo psicologico interessantissimo, una vita piena, ricca, che si svolge fatalmente, necessariamente fino alla catastrofe, rappresentata in tutte le sue fasi. E insieme con essa, come parte di questa totalità, la vita italiana di quel tempo. E allora quel Coro, invece di comparire in mezzo alla tragedia a proposito d'una battaglia che è un accessorio, quel Coro che non ha nulla che fare con la battaglia, e rimane lì sconnesso dal resto; che effetto immenso produrrebbe, anche nella rappresentazione in teatro !

E tutto ciò, dopo tre secoli, innanzi a un popolo che per conseguenza di quella vita è stato servo or di questo or di quello straniero, di tedeschi, di spagnoli, di francesi ! Se il poeta avesse fatto sentire in tutta la tragedia questa intonazione della vita italiana, come in quel
Tu che angusta ai tuoi figli parevi,
Tu che in pace nutrirli non sai;

detto a un popolo anelante a nuovi destini, quel Coro produrrebbe un effetto straordinario. Invece rimane un incidente. E si comprende perchè la tragedia sia stata messa da parte, e perchè ciò che è rimasto ancora vivo nel popolo sia il Coro, che il popolo ha staccato dalla` tragedia.
Qui Manzoni esce fuori della drammatica e va nella lirica. In lui manca il sentimento del dramma, del conflitto, della collisione ; ma mettendo le mani a questo Coro, il suo orecchio pare senta una nuova musica, il suo genio si risveglia, una nuova lirica gli prorompe dall'anima, perchè la sua potenza è lirica. E innanzi a questa nuova espressione lirica, egli trova una corda finora non toccata. C'è pure il sentimento religioso, il sentimento della fratellanza universale, come in quel
"Tutti fatti a sembianza d'un solo,
Figli tutti d'un solo riscatto ;

ma c'è anche qualche cosa di nuovo; ed è il sentimento nazionale.

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