SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
IMMANUEL KANT


IMMANUEL KANT

SECONDA PARTE: BIOGRAFIA E OPERE PRINCIPALI - "LA CRITICA DELLA RAGION PURA"
ETICA TRASCENDENTALE - ANALITICA TRASCENDENTALE - DIALETTICA TRASCENDENTALE

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TERZA PARTE: LA « CRITICA DELLA RAGION PRATICA » - "DELLA RELIGIONE E DELLA RAGIONE"
"DELLA POLITICA E DELLA PACE PERPETUA" - CRITICA E VALUTAZIONI

DA VOLTAIRE A KANT - DA LOCKE A KANT - DA ROUSSEAU A KANT
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QUARTA PARTE: (APPROFONDIMENTI) EVOLUZIONE PRE-CRITICA -
NOVA DILUCIDATIO - FALSA SOTTIGLIEZZA
SOGNI DI UN VISIONARIO
- DISSERTAZIONE DEL 70 ( ESTENSORE: PROF. GIOVANNI DE SIO CESARE)
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Queste sono tre celebri massime di Kant:
1) "Agisci in modo che la massima tua volontà possa sempre valere
come principio di una legislazione universale".
2) "Agisci come se tu potessi volere che la massima della tua azione
divenisse legge universale della natura"
3) "Agisci in modo da trattare l'umanità, nella tua come nell'altrui persona,
sempre come fine, mai come semplice mezzo".

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MAI sistema di pensiero dominò un'epoca come la filosofia di Emanuele Kant dominò il pensiero del XIX secolo. Dopo quasi sessant'anni di studio tranquillo e appartato, il misterioso scozzese di Kónigsberg risvegliò il mondo dal « letargo dogmatico », nel 1781, con la sua famosa Critica della ragion pura; e da quell'anno fino a noi la «filosofia critica» ha dominato l'idealismo europeo.

La filosofia di Schopenhauer salì a fugace potenza sospinta dall'ondata romantica che si sollevò nel 1848; la teoria dell'evoluzione abbatt� ogni altro ostacolo dinanzi a s� dopo il 1859 e l'esilarante iconoclastia di Nietzsche occupò il centro della scena filosofica verso la fine del secolo. Ma questi erano movimenti secondari e superficiali; sotto sotto, la forte corrente perenne del movimento kantiano continuava e si faceva sempre più strada; fino a che oggi i suoi teoremi essenziali sono diventati gli assiomi di tutta la filosofia matura. Nietzsche s'inchina a Kant e passa oltre (La volontà di potenza, II, parte I); Schopenhauer chiama la Critica «l'opera più importante della letteratura tedesca», e considera infantili tutti coloro che non hanno capito Kant (Il mondo come volontà e come idea, Londra, 1883; I, 30); Spencer non poteva comprendere Kant, e forse per questo non ascese alle più alte vette della filosofia. Ripetiamo pure la frase di Hegel a proposito di Spinoza: "per essere filosofo, bisogna prima esser stato kantiano".

Diventiamo, dunque, kantiani subito. Ma non si può diventarlo di punto in bianco; in filosofia come in politica, la distanza maggiore tra due punti e la linea retta. Kant è l'ultimo scrittore del mondo che dovremmo leggere per capire Kant. Il nostro filosofo e simile e dissimile da Geova; parla attraverso le nubi, ma senza la luce della folgore. Disdegna gli esempi di tutto ciò che e concreto; la sua opera sarebbe riuscita troppo lunga (C.D.R.P, Londra 1881, II, pag XXVII.). (Ma pur così abbreviata, essa � di circa 800 pagine). Solo i filosofi di professione dovevano leggerla; e quelli non hanno bisogno di tante delucidazioni. Eppure, quando Kant consegnò il manoscritto della Critica all'amico Herz, che se ne intendeva di speculazione filosofica, questi glielo rese dopo averlo letto a metà, dicendo che avrebbe temuto di diventar pazzo, se ne avesse continuato la lettura. Come dobbiamo comportarci noi con questo filosofo?
Avviciniamoci a lui indirettamente e con cautela, partendo da una sicura e rispettosa distanza, anzi da punti diversi della circonferenza che racchiude il nostro soggetto, e cerchiamo poi, brancolando, la nostra strada verso quel centro artificioso, in cui la più difficile di tutte le filosofie ha nascosto il proprio segreto e il proprio tesoro.

Ad aiutarci a conoscere Kant, ricorriamo alla stupenda opera di Will Durant:
The Story of Philosophy
, New York, 1926.

Nella TERZA PARTE, abbiamo invece l'intervento attualistico del Prof.
Giovanni De Sio Cesari.

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BIOGRAFIA e OPERE PRINCIPALI

1724
 
Immanuel Kant nasce a K�enigsberg, capitale della Prussia orientale, il 22 aprile, da Johann Georg Kant (1683-1747) di professione sellaio, originario di una povera famiglia che aveva lasciato la Scozia qualche centinaio d'anni prima della nascita d'Immanuel, quarto di undici figli, di cui sei morti in giovane età. L'unico fratello rimasto, diventerà pastore protestante.
La madre - Anna Regina Reuter- era una rigida seguace pietista - cioè, affiliata ad una setta religiosa, la quale, come i metodisti inglesi, insisteva sul più assoluto rigore delle pratiche religiose e della fede. Immanuel era tanto immerso nella religione da mattina a sera, che, da un lato, fu spinto a una reazione, e si tenne lontano dalla chiesa per tutta la sua vita di adulto: dall'altro, conservò fino alla morte il carattere del puritano tedesco, e, diventando vecchio, sentì un profondo desiderio di preservare, per s� e per il mondo, per lo meno le radici della fede, che sua madre gli aveva inculcato fin dalla prima infanzia.
Un'infanzia serena quella di Immanuel, sebbene non facile per le modeste condizioni della sua famiglia.

1732-1739
 
Forse sotto la pressione della madre, nei primi anni di scuola lo troviamo nel Collegium Fredericianum, diretto dal pastore Franz Albert Schultz, guarda caso, il più noto pietista del tempo. Kant mostra invece una particolare predilezione per le lingue classiche, per la matematica e per la scienza. La sua destinazione però sembra segnata.

1740

 Ed infatti, si iscrive all'Università studiando sì teologia ma con scarso entusiasmo. Ha come maestro Martin Knutzen, tipico esponente della cultura accademica germanica settecentesca, influenzata dalla scuola cartesiana e da quella leibniziana spesso in contrasto. Tuttavia è proprio questo maestro a trasmettere a Kant l'interesse per la filosofia newtoniana; e oltre che partecipare ad accesi dibattiti, Kant nella sua tesi di laurea fa pure un tentativo di conciliazione delle due correnti di pensiero.
Un giovane, educato nell'età di Federico e di Voltaire, non poteva isolarsi dalla corrente scettica del suo tempo. Quello che va pensando Kant fin dall'inizio è che la filosofia deve trovare al più presto un'unità di metodo e di contenuti per potersi incontrare fruttuosamente con la fisica di Newton, che si è ormai imposta in modo universale come conquiste definitive dello spirito umano.
Kant fu profondamente influenzato anche da chi, più tardi, cercò di ripudiare, e forse più che da tutti gli altri, dal suo nemico preferito, Hume (di lui, Kant disse "mi ridestò dal sogno dogmatico"), i cui scritti costituirono forse uno degli stimoli principali e che indussero Kant a tentare una sintesi tra il razionalismo e empirismo Vedremo poi il notevole fenomeno di un filosofo che supera il conservatorismo della sua maturità e ritorna quasi, nell'ultima sua opera, e all'età di circa settant'anni, a un virile liberalismo, che lo avrebbe condotto al martirio, se non lo avessero protetto l'età e la fama.

Già a metà della sua opera di restaurazione religiosa, sentiamo, con frequenza sorprendente, la voce di un altro Kant, che potremmo quasi scambiare per quella di Voltaire. Schopenhauer disse che « non fu il minor merito di Federico il Grande se, sotto il suo regno, Kant pot� svilupparsi e osò pubblicare la sua Critica della ragion pura. Sotto qualsiasi altro governo un professore stipendiato... (quindi, in Germania, un impiegato governativo) ... non avrebbe certo osato una cosa simile. Kant fu obbligato a promettere all'immediato successore del gran Re che non avrebbe scritto più ». Fu appunto prova di questa libertà il fatto che Kant dedicasse la Critica a Zedlitz, il ministro dell'istruzione sotto Federico, uomo di larghe vedute e amante del progresso.

1746

Conseguita la laurea si dedica per quasi un decennio all'insegnamento privato, come precettore presso famiglie nobili della Prussia orientale.

1755

 Lasciato l'insegnamento privato, torna a Konigsberg, dove ottiene l'incarico di insegnamento presso quell'Università (posto che conservò fino al 1801, all'età di 75 anni). Fa molte ore di lezioni, insegnando un po' di tutto, matematica, fisica, geografia, pedagogia, ma con una retribuzione molto scarsa.
Per quindici anni fu lasciato a quel modesto impiego. La sua domanda per una cattedra di professore ordinario fu respinta due volte. Finalmente, nel 1770, fu nominato professore di logica e metafisica.
Il suo insegnamento lo inaugura con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui espone la fondazione trascendentale delle scienze matematiche,
e segna la conclusione del periodo pre-critico. Con essa la meditazione Kantiana giunge a un punto di maturazione ma lascia aperta la questione delle scienze fisiche, che si ripromette di risolvere in uno scritto successivo; ma dopo dieci anni Kant non aveva ancora onorato la promessa.

In questi anni di esperienza come insegnante, scrisse un libro di testo di pedagogia, di cui egli stesso diceva contenesse molti precetti eccellenti, da lui però mai applicati. Eppure, egli era forse miglior maestro che scrittore; e due generazioni di studenti impararono ad amare quel piccolo omino, alto un metro mezzo.
Uno de' suoi principi pratici era quello di occuparsi maggiormente dei suoi alunni di media capacità; diceva che gli stupidi non valevan la pena di essere aiutati e che i genii se la sarebbero cavata da s�.

Nessuno si sarebbe aspettato ch'egli atterrisse il mondo con un nuovo sistema metafisico; pareva che atterrire qualcuno fosse l'ultimo delitto imputabile a quel timido e modesto professore. Egli stesso non si riprometteva nulla del genere; a quarantadue anni scriveva: «Ho la fortuna d'essere un innamorato della metafisica; ma finora la mia signora mi ha elargito ben pochi favori».
In quel tempo egli parlava dell'«abisso senza fondo della metafisica», e diceva che la metafisica era «un cupo oceano senza sponde e senza faro», sparso di molti naufragi filosofici
(In Paulsen: E. Kant, New York, 1910, pag.82). Poteva persino attaccare i metafisici, come coloro che se ne stavano sulle alte torri della speculazione, «dove generalmente domina un gran vento» (ib.pag.56). Non prevedeva che la più tremenda di tutte le tempeste metafisiche l'avrebbe scatenata lui.

Durante quegli anni tranquilli (periodo pre-critico), il suo interesse si concentrò più sulla fisica che sulla metafisica. Scrisse sui pianeti, i terremoti, il fuoco, i venti, l'etere, i vulcani, la geografia, l'etnologia e cento altre cose del genere, che quasi sempre non hanno nulla a che fare con la metafisica. La sua Teoria dei cieli
(Koenigsberg-Leipzig 1755) proponeva qualcosa di molto simile alle nebulose ipotesi di Laplace, e tentò una spiegazione meccanica di ogni movimento e sviluppo sidereo. Kant pensava che tutti i pianeti sono stati o saranno abitati; tutti quelli situati più lontano dal sole, avendo avuto il massimo periodo di sviluppo, ospitano probabilmente una specie di organismi intelligenti superiore a quella prodotta ne' nostri pianeti.

La sua Antropologia (la quale consta di una raccolta di conferenze) prospettò la possibilità di un'origine animale dell'uomo. Kant diceva che, se, nell'età preistorica, quando l'uomo era ancora in balia delle belve, l'infante umano avesse gridato, aprendo gli occhi al mondo, tanto forte quanto grida oggi, sarebbe stato scovato e divorato dalle bestie da preda: con tutta probabilità, dunque, l'uomo era dapprima assai diverso da quello che � divenuto con la civiltà. E Kant proseguiva argutamente: «Non sappiamo come la natura abbia raggiunto un tale sviluppo, e da quali cause esso fosse aiutato. Quest'osservazione ci porta assai lontano. Suggerisce l'idea che il presente periodo della storia, in seguito a una grande rivoluzione fisica, possa essere seguito da un terzo, in cui l'orangotano e lo scimpanz� sviluppino gli organi che servono a camminare, toccare, parlare, secondo la struttura articolata di un essere umano, con un organo centrale per l'uso della ragione, e gradatamente si perfezionino alla scuola d'istituzioni sociali».
Forse questo schizzo del futuro era un garbato modo di Kant per lanciare indirettamente la sua idea sulla effettiva evoluzione dell'uomo dalla bestia?"
(Wallace, E. Kant, Philadelphia, 1882, pag.115).

Nello sviluppo della filosofia di Kant, il periodo pre-critico abbraccia opere sino al 1769. Monadologia physica (1756), L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio (1763), Ricerca sulla chiarezza dei principi della teologia naturale e della morale (1764), Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1766).
Il periodo critico, si apre invece con la già ricordata dissertazione Intorno alla forma e ai principi del mondo sensibile e di quello intelleggibile (1770) e comprende le opere maggiori di Kant: Critica della ragion pura (1781), Prolegomeni a ogni metafisica futura che potra presentarsi come scienza (1783), Critica della ragio pratica (1788), Critica del giudizio (1790), La religione entro i limiti della pura ragione (1783), Per la pace perpetua (1795), Metafisica dei costumi (1797), Antropologia (1798). Da aggiungere Opus postumum, che è una raccolta sistematica dei più importanti scritti, curati dai suoi discepoli dei corsi universitari del maestro nell'arco di quasi trentanni, e quasi mezzo secolo di insegnamento.

Così assistiamo alla lenta evoluzione di questo ometto semplice, gracile, di bassa statura, modesto, timido, che conteneva nella testa o vi generava la più profonda rivoluzione nel campo della filosofia moderna. La vita di Kant, dice un suo biografo, trascorre come il più regolare dei verbi regolari. «Alzarsi, bere il caffè, scrivere, far lezione, pranzare, andare a passeggio, - dice Heine, - tutto aveva la sua ora precisa. E quando Emanuele Kant, in soprabito grigio, col bastone in mano, appariva sulla porta di casa e s'avviava a lenti passi verso il breve viale di tigli, che ancora è chiamato la «passeggiata del filosofo», i vicini sapevano che erano le tre e mezza in punto. Faceva la sua passeggiata in ogni stagione; e quando il tempo era brutto, o le nuvole grigie minacciavano pioggia, il suo vecchio servo Lampe gli sgambettava dietro, tutto premuroso, con un grande ombrello sotto il braccio, come un simbolo della prudenza ».

La sua debolezza fisica lo obbligava ad aversi la massima cura; e si regolava da s�, senza ricorrere al dottore; questo sistema gli pareva più sicuro; e visse sino all'età di 80 anni. A 70, scrisse un saggio
Sulla potenza dello spirito nel dominio del senso di malessere fisico con la forza della risoluzione.
Una delle sue massime favorite era quella di respirar solo per il naso, specialmente fuori di casa; perciò non permetteva che nessuno gli parlasse durante le sue passeggiate in autunno, in inverno e in primavera; meglio il silenzio che un raffreddore. Applicava la filosofia persino a sostenere le calze con due fettucce che passavano lungo la gamba e andavano a finire nella tasca dei calzoni, dove terminavano con due molle, contenute in due piccole scatole. Ponderava molto tutto prima d'agire, e rimase perciò celibe per tutta la vita. Due volte pensò di offrir la sua mano a una donna; ma ci pensò tanto, che una volta la signorina sposò un uomo più coraggioso, e la seconda, la signorina lasciò Kónigsberg prima che il filosofo si decidesse. Forse egli sentiva, come Nietzsche, che il matrimonio lo avrebbe ostacolato nell'onesta ricerca della verità: «un uomo sposato, - usava dire Talleyrand, - farà qualsiasi cosa per il denaro». E Kant aveva scritto, a ventidue anni, con tutto il bell'entusiasmo della gioventù onnipotente «Ho già deciso quale linea terrò nella mia vita: adotterò un metodo d'esistenza, e nulla m'impedirà di attenermi ad esso».
(Wallace, ib, pag.100)

E così, in povertà e nell'oscurità, egli continuò ad abbozzare, scrivere e riscrivere la sua magnum opus, per quasi quindici anni: la terminò nel 1781, all'età di cinquantasette anni. Mai uomo maturò così lentamente; e, ripetiamo, nessun libro allarmò e scompigliò tanto il mondo filosofico.

In un successivo capitolo (nella Seconda Parte) tratteremo
DA VOLTAIRE A KANT - DA LOCKE A KANT - DA ROUSSEAU A KANT
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Qui affrontiamo subito la magnum opus

LA CRITICA DELLA RAGION PURA (*)

(*) Una nota del Durant: - "Una parola su quanto si deve leggere. Kant stesso è quasi inintelligibile agli esordienti, perchè il suo pensiero è isolato da una terminologia strana e intricata. Forse l'introduzione
più semplice è il Kant di Wallace, nella collezione Blackwood dei Classici filosofi. Più pesante ed elevato è l'Immanuel Kant di Paulsen. L'Immanuel Kant di Chamberlain
(2 vol.; New York, 1914) è interessante, ma indeciso e digressivo. Una buona critica di Kant si trova nell'opera di Schopenhauer: «Il mondo come volontà e rappresentazione», II, I, 159. Ma caveat emptor".

IL TITOLO

Che cosa significa il titolo? Critica non è precisamente una critica nel vero senso della parola, ma un'analisi critica; Kant non attacca la «ragion pura», se non alla fine, per mostrarne le limitazioni; vuol piuttosto dimostrarne la possibilità ed esaltarla al di sopra della conoscenza impura, che ci viene per i sinuosi canali del senso. Per ragione «pura» bisogna intendere la conoscenza che non ci viene attraverso i sensi, ma che è indipendente da qualsiasi esperienza di essi; la conoscenza che ci appartiene per la natura inerente e per la struttura della nostra mente.
In fin dei conti, Kant lancia una sfida a Locke e alla scuola inglese la conoscenza non è totalmente derivata dai sensi. Hume pensava d'aver dimostrato non esistere n� anima n� scienza; che le nostre menti sono soltanto progressioni e associazioni delle nostre idee; e che le nostre certezze sono soltanto probabilità in perpetuo pericolo di violazione. Queste false conclusioni, dice Kant, sono il risultato di false premesse: voi presumete che ogni conoscenza venga da sensazioni «separate e distint»; naturalmente, queste non possono darvi la necessità, o successioni invariabili, di cui possiate essere definitivamente certi; ed è naturale che non possiate aspettarvi di «vedere la vostra anima, nemmeno con gli occhi del vostro senso interiore».

Ammettiamo pure che l'assoluta certezza della conoscenza è impossibile, se ogni conoscenza viene dalla sensazione, da un mondo esterno indipendente, che non è obbligato a darci una formale promessa di regolarità di condotta. Ma, se la nostra conoscenza fosse indipendente dall'esperienza de' sensi cioè una conoscenza la cui verità è a noi certa a priori, prima di qualsiasi esperienza? Allora, la verità assoluta e la scienza assoluta sarebbero possibili, non vi pare? Esiste una conoscenza assoluta? Ecco il problema che si pone la prima Critica. «Io chiedo che cosa possiamo sperar di raggiungere con la ragione, quando siano allontanati il materiale e l'aiuto dell'esperienza »
(C.D.R.P, prefaz. pag.XXIV).

La Critica diventa una minuta biologia del pensiero, un esame dell'origine e dell'evoluzione dei concetti, un'analisi della innata struttura mentale. Questo, secondo Kant, è il problema della metafisica. "In questo libro ho soprattutto mirato alla perfezione: e oso sostenere che non dovrebbe esistere un solo problema metafisico che non sia stato risolto qui, o alla soluzione del quale non sia stata qui trovata la chiave»
(ib. pag. XXIII). Exegi monumentum aere perennius! Con tale egoismo la natura ci sprona alla creazione.
La Critica espone subito la sua tesi. «L'esperienza non è assolutamente l'unico campo in cui la nostra intelligenza possa essere delimitata. L'esperienza ci dice ciò che esiste, ma non ci dice che ciò che esiste dev'essere necessariamente com'è, e non altrimenti. Perciò, essa non ci dà mai verità realmente generali; e la nostra ragione, la quale tende a questo genere di conoscenza, ne è eccitata più che soddisfatta. Le virtù generali, che, al medesimo tempo, portano il carattere di una necessità interiore, debbono essere indipendenti dall'esperienza, chiare e certe in sè medesime»
(ib. pag. 1) . Cioè, esse debbono essere vere, qualunque sia la nostra esperienza posteriore; vere anche prima dell'esperienza, vere a priori.

«La matematica ci dà un magnifico esempio di quanto si possa procedere indipendentemente da ogni esperienza, nella conoscenza a priori »
(ib. pag. 4). La conoscenza matematica è necessaria e sicura; non possiamo concepire esperienza futura che la violi. Possiamo credere che il sole «sorgerà » domani ad occidente, che un altro giorno qualunque, in un qualsiasi mondo d'asbesto, il fuoco non brucerà il legno (l'asbesto, nell'antichità era l'amianto, e si credeva che una volta acceso non si potesse più spegnere - Ndr); ma per nessuna ragione possiamo ammettere che due per due dia un numero diverso da quattro. Queste verità sono vere prima dell'esperienza; non dipendono dall'esperienza passata, presente o futura. Perciò, esse sono verità assolute e necessarie; non si può concepire che esse possano mai diventare false. Ma donde viene questo carattere di assolutezza e necessità? Non dall'esperienza; giacch� l'esperienza ci dà solo sensazioni ed eventi separati, i quali possono mutare la loro sequenza in un tempo a venire. Queste verità derivano il proprio carattere di necessità dalla struttura inerente alla nostra mente, dal modo naturale e inevitabile in cui la nostra mente deve agire. Giacch� la mente dell'uomo (e qui finalmente � la grande tesi di Kant) non � cera passiva, su cui l'esperienza e la sensazione scrivono la loro volontà assoluta e capricciosa, e nemmeno � un nome astratto per una serie o un gruppo di stati mentali; � un organo attivo, che foggia e coordina le sensazioni in idee, un organo che trasforma la molteplicità caotica dell'esperienza nell'ordinata unità del pensiero.
Ma come?

ETICA TRASCENDENTALE

Il tentativo di rispondere a questa domanda, studiando la organicità inerente alla mente, oppure le leggi innate del pensiero, è chiamato da Kant «filosofia trascendentale», perch� � un problema che trascende l'esperienza de' sensi. «Chiamo trascendentale quella conoscenza che si occupa non tanto degli oggetti, quanto de' nostri concetti e oggetti a priori
(ib. pag. 10), con i nostri metodi di correlazione tra esperienza e conoscenza. Si hanno due gradi o stadi in questo processo di elaborazione della materia prima, fornita dalla sensazione, in prodotto finito del pensiero. Il primo stadio è la coordinazione delle sensazioni, applicando loro le forme di percezione - spazio e tempo; il secondo stadio e la coordinazione delle percezioni sviluppate, applicando loro le forme di concezione - le «categorie » del pensiero.

Kant, usando la parola estetica nel suo senso originale ed etimologico, applicata alla sensazione o al sentimento, chiama lo studio del primo stadio « estetica trascendentale »; e usando la parola logica, per indicare la scienza delle forme del pensiero, chiama lo studio del secondo stadio «logica trascendentale», Sono parole terribili, che acquistano significato man mano che l'esposizione procede; giunti su questo culmine, sarà relativamente chiara la via che conduce a Kant.

Ed ora, che cosa intendiamo per sensazioni e percezioni? - e come cambia la mente le prime nelle seconde? La sensazione è in s� la percezione di uno stimolo; abbiamo un gusto sulla lingua, un odore nelle narici, un suono nelle orecchie, una temperatura sulla pelle, un lampo di luce sulla rètina, una pressione sulle dita: tutto questo e il principio greggio dell'esperienza; ciò che il neonato ha ne' primi giorni della sua brancolante vita mentale non e ancora conoscenza. Ma lasciate che queste sensazioni varie si raggruppino attorno ad un oggetto nello spazio e nel tempo - per esempio, una mela; lasciate che l'odore nelle narici, il gusto sulla lingua, la luce sulla rètina, la pressione delle dita e della mano che rivela la forma dell'oggetto, si riuniscano e si raggruppino attorno ad esso: ecco ora la percezione non tanto di uno stimolo, ma di un oggetto specifico; la percezione nel vero senso della parola. La sensazione è divenuta conoscenza.

Ma vediamo: questo passaggio, questo raggruppamento è stato automatico? Le sensazioni hanno formato per conto proprio, spontaneamente e naturalmente, un ordine e un insieme, tanto da trasformarsi in percezione? Si, risposero Locke e Hume. Niente affatto, risponde Kant.
Giacchè queste sensazioni varie ci vengono attraverso diversi canali del senso, per mezzo di migliaia di «nervi conduttori», che passano dalla pelle, dall'occhio, dall'orecchio e dalla lingua nel cervello: che confusione di richiami deve sorgere nella mente, quand'essi vi si affollano tutti, cercando di fermare la nostra attenzione! Non c'è da meravigliarsi che Platone parlasse della « plebe de' sensi ». Lasciati a se stessi, essi rimangono una « plebe », un miscuglio caotico, pietosamente impotente, in attesa di venir ordinati in concetto, scopo e potenza. Altrettanto impotenti sarebbero i messaggi portati a un generale da mille settori della linea di battaglia, se non venissero coordinati e raccolti in una unica comprensione e in un solo comando. Esiste un legislatore di questa plebe, una potenza dirigente e coordinatrice, la quale non soltanto riceve, ma raccoglie questi atomi di sensazione e li trasforma in senso.
(Chi conosce l'attuale neuroscienza, resta stupefatto davanti a queste anticipazioni. - Ndr)

Innanzi tutto, osservate che non tutti i messaggi vengono accettati. In questo istante, una miriade di forze agiscono sul nostro corpo; una tempesta di stimoli percuote i tentacoli de' nervi, che, come l'ameba, voi cacciate fuori per sperimentare il mondo esterno: ma non tutti vengono ricevuti; vengono scelte soltanto le sensazioni che possono essere foggiate in percezioni, secondo il vostro bisogno presente, oppure che portano quegli imperiosi messaggi di pericolo, che sono sempre rilevanti. L'orologio batte le ore e voi non l'udite; ma lo stesso suono, non più forte del precedente, sarà udito subito, se ne avete bisogno. La madre, addormentata presso la culla del suo neonato, è sorda ad ogni rumore di vita che la circonda; ma se il piccino si muove, la madre fa ogni sforzo per ricuperare la sua vigile attenzione, con tanta sollecitudine quanta ne mette il palombaro a risalire alla superficie del mare. Se il nostro scopo è quello di fare un'addizione, lo stimolo « due e tre » conduce alla risposta « cinque »; se lo scopo è la moltiplicazione, lo stesso stimolo, le stesse sensazioni uditive, « due e tre » portano alla risposta « sei ». L'associazione delle sensazioni o idee non avviene soltanto per contiguità nello spazio e nel tempo, n� per somiglianza, n� per freschezza, frequenza o intensità di esperienza; è soprattutto determinata dallo scopo della mente. Sensazioni e pensieri sono servi, essi attendono d'esser chiamati, non vengono a noi, se non ne abbiamo bisogno. Esiste un agente di selezione e direzione, che lì adopera e ne è il padrone. Oltre le sensazioni e le idee esiste anche la mente.

Quest'agente di selezione e coordinamento, secondo Kant, usa, innanzitutto, due metodi semplici per la classificazione del materiale che gli si presenta: il senso dello spazio e il senso del tempo. Come il generale coordina i messaggi recatigli secondo il punto da cui essi giungono, e il tempo in cui furono scritti; e trova così un ordine e una sistemazione per tutti; così la mente colloca le sensazioni nello spazio e nel tempo, le attribuisce a questo o a quell'oggetto, al tempo presente o al passato. Spazio e tempo non sono cose percepite, ma modi di percezione, modi di mettere il senso nella sensazione; spazio e tempo sono organi della percezione.
Essi sono a priori, giacch� ogni esperienza ordinata li comprende e li presuppone. Senza di essi, le sensazioni non diventerebbero mai percezioni. Sono a priori, perchè e inconcepibile qualsiasi nostra esperienza futura, che non li implichi. E perchè sono a priori, le loro leggi, che sono leggi matematiche, sono a priori esse pure, assolute e necessarie in un mondo senza fine. Non e soltanto probabile, � certo che non troveremo mai una linea retta che non sia la minima distanza tra due punti. Almeno la matematica si salva dallo scetticismo dissolvente di Davide Hume.

Possono tutte le scienze salvarsi allo stesso modo? Sì, se il loro principio di base, la legge di causalità - che, cioè, una data causa deve sempre esser seguita da un dato effetto - può dimostrarsi, come lo spazio e il tempo, talmente inerente ad ogni procedimento dell'intelletto, che nessuna esperienza futura possa esser concepita capace di violarlo o evitarlo. La causalità è forse, a priori, anche un requisito necessario e indispensabile, una condizione di ogni pensiero?

ANALITICA TRASCENDENTALE

Così passiamo dall'ampio campo della sensazione e percezione all'oscuro e ristretto ambito del pensiero; dall'« estetica trascendentale » alla « logica trascendentale ». E prima di tutto, passiamo alla designazione e all'analisi di quegli elementi nel nostro pensiero, che non sono dati tanto dalla percezione alla mente, quanto dalla mente alla percezione; a quelle leve, che innalzano la conoscenza «percettuale» degli oggetti alla conoscenza «concettuale» delle relazioni, conseguenze e leggi; istrumenti della mente che raffinano la esperienza e la trasformano in scienza. Come le percezioni disponevano le sensazioni attorno agli oggetti nello spazio e nel tempo, così la concezione ordina le percezioni soggette ad eventi attorno alle idee di causa, unità, relazione reciproca, necessità, contingenza, ecc. Queste ed altre «categorie» sono la struttura in cui le percezioni vengono ricevute, e dalla quale esse sono classificate e trasformate nei concetti ordinati del pensiero.

Ecco l'essenza vera e il carattere della mente; la mente è la "coordinazione dell'esperienza".
Qui, osservate ancora l'attività di questa mente, che, per Locke e Hume, era una semplice «cera passiva», esposta. alle pressioni dell'esperienza de' sensi. Considerate un sistema di pensiero come quello di Aristotele: è concepibile che quell'ordinamento quasi cosmico di dati potesse venire dalla spontaneità automatica e anarchica dei dati stessi? Ecco un magnifico catalogo a schede di una biblioteca, disposto intelligentemente in ordine alfabetico, per servire alla consultazione. Immaginate ora tutte quelle schede gettate a terra, sparse al suolo in perfetto disordine. Potete voi concepire, ora, che quelle schede sparpagliate, alzandosi da s�, alla Munchhausen, passino tranquillamente dal disordine perfetto all'ordine alfabetico preciso nel loro schedario, ed ogni scatola dello schedario ritrovi la sua vicina, - fin che tutto ritorni ordine, senso, coordinazione? Che storia miracolosa ci hanno fatto credere, in fondo, questi scettici
La sensazione � composta da stimoli disorganizzati, la percezione è sensazione organizzata, la concezione è percezione organizzata, la saggezza è vita organizzata; ognuna di esse è un grado più alto di ordine, conseguenza, unità.

D'onde viene quest'ordine, questa conseguenza, quest'unità? Non certo dalle cose stesse; giacch� esse ci sono rese note soltanto dalle sensazioni, le quali giungono subito in moltitudine disordinata, passando per mille canali; e il nostro scopo che mette ordine, conseguenza ed unità in quell'arbitrio inopportuno; noi stessi, le nostre personalità, le nostre menti, portano luce su questi oceani. Locke sbagliava dicendo che «nulla esiste nell'intelletto se non in quanto era prima nei sensi»; Leibniz aveva ragione, aggiungendo: «nulla, se non l' intelletto stesso». Kant dice: «Le percezioni senza concezioni sono cieche». Se le percezioni si unissero automaticamente nel pensiero ordinato, se la mente non fosse uno sforzo attivo che fa ordine dal caos, come potrebbe la medesima esperienza lasciare un uomo mediocre, e, in un'anima più attiva e instancabile, venire inalzata alla luce della saggezza e alla magnifica logica della verità?

Il mondo, dunque, non ha ordine per se stesso, ma perch� il pensiero, che conosce il mondo, � per se stesso un ordine, il primo stadio in quella classificazione d'esperienza, che, infine, � scienza e filosofia. Le leggi del pensiero sono anche leggi delle cose, giacch� le cose ci sono rese note solo per mezzo di questo pensiero, il quale deve obbedire a queste leggi, poich� esso ed esse sono un'unica cosa; secondo quanto Hegel disse più tardi, le leggi della logica e quella della natura sono tutt'uno, e logica e metafisica si assorbono a vicenda. I principi generalizzati della scienza sono necessari, perch� sono, in fondo, le leggi del pensiero contenute e presupposte in ogni esperienza passata, presente e futura. La scienza è assoluta, la verità è eterna.

DIALETTICA TRASCENDENTALE

Nondimeno, questa certezza, questa assolutezza delle massime generalizzazioni della logica e della scienza è paradossalmente limitata e relativa; limitata strettamente al campo dell'esperienza attuale, e relativa strettamente al nostro umano modo d'esperienza. Poich�, se la nostra analisi è stata corretta, il mondo - così come noi lo conosciamo - è una costruzione, un prodotto finito, quasi - diremo - un articolo manufatto, cui la mente contribuisce tanto con le sue forme foggiatrici, quanto la cosa contribuisce con i suoi stimoli (così percepiamo rotonda la superficie della tavola, mentre la nostra sensazione e di un'ellissi). L'oggetto, com'esso ci appare, è un fenomeno, un'apparenza, forse assai diverso dall'oggetto esterno prima ch'esso giungesse a conoscenza dei nostri sensi; non possiamo mai sapere che cos'era quell'oggetto originale; la «cosa in se» può essere un oggetto del pensiero o deduzione (un « noumeno »), ma non può essere sperimentato, - giacch�, se fosse sperimentato, esso muterebbe nel suo passaggio per il senso e per il pensiero. «Ci è completamente sconosciuto quali oggetti possano esistere di per se stessi, all'infuori della recettività dei nostri sensi. Non conosciamo che il nostro modo di percepirli; e questo modo è proprio a ciascuno di noi e non necessariamente condiviso da ogni essere nemmeno (senza dubbio) da ogni essere umano »
(ib. pag.37).

La luna, come noi la conosciamo, non è che un insieme di sensazioni (come Hume vedeva), unificate (come Hume non vedeva) dalla nostra struttura mentale innata, per mezzo dell'elaborazione di sensazioni in percezioni, e di queste in concezioni di idee; insomma, la luna non è per noi che le nostre idee.
Non che Kant metta mai in dubbio l'esistenza della « materia » e il mondo esterno; ma aggiunge che non ne sappiamo nulla di preciso, se non che essi esistono. La nostra conoscenza esatta è sulla loro apparenza, i loro fenomeni, le sensazioni che noi ne abbiamo. Idealismo non significa, come crede il profano, che nulla esista all'infuori del soggetto che osserva; ma che una buona parte di ogni oggetto è creata dalle forme di percezione e d'intelletto: noi conosciamo l'oggetto come trasformato in idea; non possiamo sapere che cosa esso sia prima di questa trasformazione. La scienza, dopo tutto, è ingenua; suppone di aver a che fare con le cose in s�, nella loro pura realtà esterna e incorrotta; la filosofia è un po' più sofisticata e s'accorge che tutto il materiale della scienza consiste di sensazioni, percezioni e concezioni, più che di cose. Schopenhauer dice: «Il maggior merito di Kant e la distinzione del fenomeno dalla cosa in se stessa».
Ne segue che ogni tentativo, fatto dalla scienza o dalla religione, per dire proprio che cosa sia l'ultima realtà, deve ridursi ad una semplice ipotesi : «l'intelletto non può mai giungere oltre i limiti della sensibilità»
(ib. pag.215). Questa scienza trascendentale si perde in « antinomie », e questa teologia trascendentale si perde in « paralogismi ». La crudele funzione della «dialettica trascendentale » è di esaminare quanto valgono questi tentativi della ragione per sfuggire al circolo chiuso delle sensazioni e delle apparenze nel mondo inconoscibile delle cose « in se stesse ».

Le antinomie sono i dilemmi nati da una scienza che tenta di scavalcare l'esperienza. Così, per esempio, quando la conoscenza tenta di decidere se il mondo sia finito o infinito nello spazio, il pensiero si ribella ad ambedue queste supposizioni: oltre ogni limite, siamo portati a concepire qualcosa ancora, all'infinito; eppure l'infinito è di per s� inconcepibile. E ancora: ebbe il mondo un principio nel tempo? Non possiamo concepire l'eternità; ma allora, non possiamo nemmeno concepire alcun punto nel passato senza sentire subito che esisteva qualcosa prima di esso. Oppure la catena di cause che la scienza studia, ha essa forse un principio, una causa prima? Si, giacche una catena infinita non è concepibile; no, perch� una causa prima non causata è altrettanto inconcepibile. Esiste un'uscita da questi vicoli ciechi del pensiero? Essa esiste, dice Kant, se ricordiamo che spazio, tempo e causa sono modi di percezione e concezione, che debbono entrare nella nostra esperienza, poich� essi sono il tessuto e la struttura dell'esperienza; questi dilemmi nascono dalla ipotesi che spazio, tempo e causa siano cose esterne, indipendenti dalla percezione. Non avremo mai esperienza, se non interpreteremo in termini di spazio, tempo e causa; ma non avremo mai filosofia, se dimentichiamo che queste non sono cose, ma modi d'interpretazione e intendimento.

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(Qui vale la pena ricordare un'affermazione del grande John Eccles, il più grande neuroscienziato (Nobel 1963), in "La conoscenza del cervello", Edit. Piccin, pag. 249: "Consideriamo brevemente il libero arbitrio. Non intendo lasciarmi andare a una disputa filosofica su questo tema fin troppo discusso. Tutto ciò che ho da dire è che il libero arbitrio è un fatto di esperienza. E' qualcosa che ciascuno di noi prova. Nessuno avrebbe immaginato che il libero arbitrio esistesse se non ne avesse fatto esperienza, con il che io intendo la capacità di effettuare delle azioni che sono state programmate nel pensiero, o almeno il tentare di effettuarle. Il libero arbitrio è spesso negato per il motivo che non si può spiegarlo, che esso implica degli eventi inspiegabili con la fisica e la fisiologia odierna. A questo io rispondo che la nostra incapacità può derivare dal fatto che la fisica e la fisiologia non sono ancora sufficientemente sviluppate rispetto all'enorme complessità dei moduli di attività neuronica in gioco. La sottigliezza, l'immensa complessità dei disegni tracciati nello spazio e nel tempo da questo "telaio incantato" di Sherrington, e le proprietà essenziali di questo sistema sono al di là di qualsiasi livello di indagine possibile con la fisica e la fisiologia di oggi, e forse con la fisica e la fisiologia di un lungo tempo a venire"
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Così è del paralogismo della « teologia razionale » - la quale cerca di provare con la ragione teoretica che l'anima è una sostanza incorruttibile, che la volontà è libera e al di sopra della legge di causa ed effetto, e che esiste un «essere necessario», Dio, come presupposto di ogni realtà. La dialettica trascendentale deve ricordare alla teologia che sostanza, causa e necessità sono categorie finite, modi di disposizione e classificazione, che la mente applica all'esperienza dei sensi, e certamente validi solo per i fenomeni che appaiono a questa esperienza; non possiamo applicare queste concezioni al mondo noumenale (o puramente dedotto e congetturale). La religione non può esser provata dalla ragione teoretica.

Così finisce la prima Critica. Si potrebbe bene immaginare Davide Hume, ancor più scozzese di Kant, osservarne i risultati con un sorriso sardonico. Ecco un libro tremendo, lungo ottocento pagine; gravato oltre misura da una ponderosa terminologia; il quale si propone di risolvere tutti i problemi di metafisica, e di salvare, incidentalmente, l'assolutismo della scienza e la verità essenziale della religione. Che cosa aveva fatto il libro, in fin dei conti? Aveva distrutto il mondo ingenuo della scienza e lo aveva limitato se non in grado, certamente nello scopo, - ad un mondo di pura superficie ed apparenza, oltre il quale poteva dare soltanto « antimonie » ridicole; così la scienza era «salva !»

Il libro, nelle sue parti più eloquenti ed acute aveva osservato che gli oggetti della fede - un'anima libera e immortale, un creatore benevolo - non si sarebbero mai potuti provare con la ragione; così la religione era «salva» ! Non c'è da meravigliarsi se gli ecclesiastici di Germania protestavano acerbamente contro questa salvezza e si vendicarono chiamando Emanuele Kant il loro cane.

E nemmeno possiamo meravigliarci se Heine paragonò il piccolo professore di Konigsberga al terribile Robespierre: questi aveva soltanto ucciso un re e qualche migliaio di Francesi - cosa che un Francese poteva perdonargli; ma Kant, diceva Heine, ha ucciso Dio, ha messo in dubbio le tesi più preziose della teologia. «Quale profonda differenza tra la virtù esteriore di quest'uomo e i suoi pensieri distruttori, capaci di sconvolgere il mondo! Se i cittadini di Konigsberga avessero sospettato tutta l'importanza di quei pensieri, avrebbero provato più orrore alla presenza di quest'uomo che a quella di un boia, il quale uccide soltanto creature umane. Ma quella buona gente non vedeva in lui che un professore di filosofia; e quando, all'ora fissa, egli passava, gli facevan col capo un saluto cordiale e regolavano il loro orologio»
(Heine, Miscellanee di prosa, Philadelphia, 1876, pag. 146).

Era questa una caricatura o una rivelazione?

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"DELLA POLITICA E DELLA PACE PERPETUA" - CRITICA E VALUTAZIONI


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