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CRONOLOGIA

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E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI dal 947 al 966 

DA BERENGARIO II A OTTONE I
PAPATO - LA RIVOLUZIONE ROMANA DEL 965

IL REGNO DI LOTARIO - RAPPORTI TRA BERENGARIO E COSTANTINO PORFIROGENITO - ELEZIONE ED INCORONAZIONE DI BERENGARIO II - PRIGIONIA E FUGA DI ADELAIDE - LA DISCESA IN ITALIA DI OTTONE I - INFELICE SPEDIZIONE DI LIUDULFO - SPEDIZIONE ITALIANA DI OTTONE E MATRIMONIO CON ADELAIDE - RITORNO DI OTTONE IN GERMANIA - DIETA DI AUGUSTA: IL REGNO ITALICO FEUDO TEDESCO CON BERENGARIO RE - I MALCONTENTI DELLE DECISIONI DI AUGUSTA - RAPPRESAGLIE DI BERENGARIO - RIBELLIONE DI LIUDULFO - OTTONE I VINCE GLI UNGARI E GLI SLAVI - LIUDULFO RITORNA IN ITALIA E SCONFIGGE ADELBERTO - MORTE DI LIUDULFO E NUOVE RAPPRESAGLIE DI BERENGARIO - BERENGARIO CONTRO TEOBALDO DI SPOLETO E PAPA GIOVANNI XII - NUOVA SPEDIZIONE DI OTTONE I IN ITALIA - INCORONAZIONE IMPERIALE DI OTTONE I ED ADELAIDE. - IL PRIVILEGIO DI OTTONE ALLA CHIESA ROMANA - RIPRESA DELLA GUERRA CONTRO BERENGARIO: ASSEDIO DI S. LEO - TRAME DEL PONTEFICE CONTRO L' IMPERATORE - OTTONE I A ROMA: CONCILIO, PROCESSO DI GIOVANNI XII ED ELEZIONE DI LEONE VIII - RESA DI S. LEO E PRIGIONIA DI BERENGARIO E VILLA - TUMULTI A ROMA - RITORNO DI GIOVANNI XII A ROMA E SUA FINE - ASSEDIO DI ROMA, DEPOSIZIONE DI BENEDETTO V E RISTABILIMENTO DI LEONE VIII - MORTE DI LEONE ED ELEZIONE DI GIOVANNI XIII - RIVOLUZIONE ROMANA DEL 965 E FEROCE REPRESSIONE DI OTTONE - IL MONACO BENEDETTO DI MONTE SORATTE
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(qui la cartina gigante ( 540 kb) dell' IMPERO DI OTTONE NELL'ANNO 962)

DALLA MORTE DI UGO ALLA DIETA D'AUGUSTA


UGO, stipulato nel 946 l'accordo con il quale rinunziava alla corona imperiale e alle sue pretese su Roma, lasciò l'Italia e ritornò nella sua Provenza, ad Arles, dove cessò di vivere il 10 aprile del 947, l'anno con il quale iniziamo questo nuovo capitolo.

Come abbiamo letto alla conclusione del precedente riassunto, lasciava sul trono LOTARIO, e se rammentiamo, costui era figlio di UGO, avuto dalla prima moglie, la principessa borgognone Alda (prima che Ugo sposasse Marozia), che nel 931, aveva associato al trono senza affidargli alcun potere nel regno; con insofferenza del figlio forse, ed infatti fu proprio Lotario ad avvisare in tempo Berengario -nel '41- la congiura che il padre gli stava preparando convocando il temuto avversario a Pavia.
LOTARIO doveva avere in questo periodo circa 26-28 anni, ma come vedremo ha davanti a sé poco più che tre anni di vita. Teoricamente era diventato re, ma, di fatto, il potere era ben saldo nelle mani di Berengario, che dominerà con una politica aggressiva i prossimi 15 anni; poi sarà anche lui dominato e detronizzato.
Questo capitolo è appunto il riassunto di questo suo intero movimentato percorso.

Due mesi dopo la morte di Ugo, in giugno, LOTARIO sposava finalmente ADELAIDE, la giovine 16enne, figlia del famoso re RODOLFO di BORGOGNA, morto nel 937, cui il padre, quando era ancora fanciulla e quindi orfana, l'aveva fidanzata.
Sia la scomparsa di Ugo sia il matrimonio di Lotario non causò alcun mutamento in Italia. Lotario continuò ad essere il re; ma il vero arbitro del paese era BERENGARIO II che aveva nelle sue mani il governo, si servì della sua posizione, per formarsi un partito forte, dispensando dignità ed uffici e favorendo specialmente i vescovi; che seguitavano ad essere l'asse portante delle amministrazioni locali. In alcuni casi, come potere, perfino superiori a quello che esercitavano i papi stessi a Roma; anche perché questi negli ultimi anni cambiavano come le stagioni, e non sempre provenivano da un ambiente con le vocazioni evangeliche.

Berengario, a ADALARDO, cui aveva promesso il vescovado di Como, diede quello di Reggio, a VADO diede quello di Como, ad ANTONIO, deposto Giuseppe, assegnò la sedia vescovile di Brescia; BOSONE e LIUTFREDO ottennero per denaro di conservare rispettivamente i vescovadi di Piacenza e di Parma; a Pavia, per coadiuvare il potente ministro negli affari, furono chiamati BRUNENGO d'Asti e MANASSE. Quest'ultimo, morto ARDERICO, aspirava al seggio arcivescovile di Milano, ma glielo contrastava il popolo che sosteneva ADELMANNO. La lotta tra le due rivali doveva terminare cinque anni dopo con l'elezione di Valperto.
Infine RATERIO, mediante l'appoggio del conte MILONE, riebbe il vescovado di Verona. Insomma si adeguò anche lui all'"andazzo" di moda, anche se prima nei suoi scritti dipingeva a fosche tinte la corruzione del clero, di cui invano -diceva- cercava di riformare i costumi.
"Vediamo - scriveva - i vescovi di Lombardia coprirsi di greche armature e circondarsi di lusso babilonese. Si circondano a mensa di ballerini e lubrici cantori. Vanno a caccia e si mostrano su cocchi dorati, rivolgendo sguardi sprezzanti al popolo, fino a che il sopravvenir della notte di nuovo li chiama ai piaceri della mensa".

Mentre, continuavano i festeggiamenti per le nozze di Lotario, delle orde di Ungari scendevano a saccheggiare l'Italia. Per indurre i barbari a tornare nei loro paesi Berengario pagò loro fortissime somme che si procurò spogliando i templi ed imponendo un testatico di un danaro.
Queste misure e il sospetto che parte delle entrate costituite dalla nuova tassa andasse ad accrescere il tesoro privato del (re) ministro nonché l'allontanamento degli Ungari ottenuto per mezzo di danari produsse fra i Grandi (questi erano i nobili e l'alto clero) non poco malcontento, del quale non poteva che rallegrarsi Lotario, che, senza dubbio, sperava di risollevarsi dall'umiliante posizione in cui si trovava (che era un po' la continuazione di quell'anonimato che aveva già provato per 15 anni quando il padre lo associò al regno).

Fu forse lui che nel 948 richiese in proprio favore l'appoggio dell'imperatore bizantino COSTANTINO PORFIROGENITO, al cui figlio ROMANO II, come abbiamo letto in precedenza, aveva promesso allora ancora fanciulla, Berta, successiva figlia di re Ugo (quindi sorellastra di Lotario).

L'appoggio di Costantinopoli, se pur la richiesta che qui supponiamo, ci fu, non poteva esser dato che sotto forma di raccomandazione. E proprio sotto questa forma, quest'appoggio fu, infatti, dato. Nei primi mesi del 949, per mezzo di un ambasciatore, Costantino inviava a Berengario una lettera, con la quale lo esortava a collaborare fedelmente con Lotario e lo pregava di mandare a Costantinopoli un rappresentante per rinnovare l'alleanza stipulata con Ugo.

Berengario inviò alla corte bizantina lo storico LIUDPRANDO, il quale, partito da Pavia il 1° d'agosto di quell'anno 949, giunse a Costantinopoli il 17 settembre e vi rimase certamente fino al marzo del 950. La data precisa del suo ritorno è ignota e sconosciuto è pure il risultato della sua missione. In ogni caso sia, l'intervento di Costantino si rendeva inutile per l'immatura morte di Berta (Eudossia) avvenuta nel 949 (senza neppure consumare il matrimonio con Romano II) e poi quella di Lotario, seguita a Torino il 22 novembre del 950.

L'improvvisa scomparsa del giovane re fece nascere il sospetto che causa di questa morte fosse stato l'ambizioso e spregiudicato Berengario, ma il sospetto se è giustificato dai non idilliaci rapporti tra il re e il ministro, non è confermato da alcuna prova sicura, né da ostilità a lui manifestate. Tuttavia esisteva questa voce pubblica, messa in giro dagli oppositori e dalla giovane vedova stessa Adelaide.
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In favore di questa tesi innocentista del marchese d'Ivrea sta anzi il fatto che, nonostante il malcontento serpeggiante fra i grandi, questi, riunitisi tutti in assemblea nella basilica pavese di S. Michele il 15 dicembre del 950, elessero ed incoronarono BERENGARIO II re d'Italia, insieme con il figlio ADALBERTO che il padre volle associare al trono.

Forte era la posizione del nuovo re: nipote, per parte della madre di Berengario I, parente, dal lato della moglie di Lotario, egli poteva considerarsi e, non era, dal punto di vista del diritto, un usurpatore; la sua vera forza stava, oltre che nei suoi domini d'Ivrea, nell'appoggio dell'imperatore OTTONE I.
Tuttavia, Berengario non si sentiva sicuro sul trono; egli vedeva una minaccia grandissima alla stabilità della propria posizione in ADELAIDE, la diciannovenne vedova di Lotario, donna bella, fiera ed energica, che dalla morte del marito fino all'elezione del nuovo sovrano aveva tenuto in mano lei il governo e dagli oppositori alla nuova dinastia era considerata come la vera erede.

Berengario II pensò di neutralizzare l'azione che Adelaide (e un suo partito, ovviamente i suoi oppositori) avrebbe potuto svolgere ai suoi danni, facendola entrare nella sua famiglia come moglie del figlio Adalberto; ma trovò a questo progetto una vivissima opposizione da parte della vedova, alla quale ripugnava congiungersi in matrimonio con il figlio di colui che era stato il rivale del marito e del suocero e che la voce pubblica diceva causa della fine immatura di Lotario.
Adelaide resistette fieramente alle pressioni del re e, messasi in aperto contrasto con lui, fu alla fine imprigionata a Como il 20 aprile del 951 e relegata poi in una torre del Lago di Garda.
Una tradizione, che ha sapore di leggenda, narra che un prete di nome Martino, scavata una via sotterranea, riuscì a liberare la prigioniera e a metterla in salvo nel castello di Azzo, vassallo del vescovo di Reggio, ADALARDO.
A parte la leggenda, è assodato che a Reggio l'infelice regina ebbe asilo sicuro contro le persecuzioni di Berengario e là rimase fino a quando l'imperatore OTTONE I scese in Italia; a Pavia gli dissero che era giovane, (20enne) bellissima, energica e pure di aspetto e carattere regale, se ne innamoro e la sposò per procura e quando la vide e la sposò non se ne penti proprio.

Sulle cause che hanno spinto OTTONE I (il Grande) a discendere in Italia molte opinioni sono state espresse. Affermano alcuni che fosse stata la stessa Adelaide ad invocare l'intervento del sovrano germanico, che perciò, si ridurrebbe alle proporzioni di un cavalleresco atto di generosità (ma il fatto che Ottone punti direttamente a Reggio dove non c'era nessun altro motivo di un suo intervento, significa che c'era dell'altro).
Altri sostengono che fu papa AGAPITO II (945-955) colui che sollecitò la discesa di Ottone, per abbattere ALBERICO (signore incontrastato di Roma), e non pensano - così scrivendo - che i Pontefici di quel tempo, Leone VII (936-939), Stefano VIII (939-942), Marino II (942-945) erano, come lo stesso Agapito, creature docili e servili di Alberico, la cui potenza risiedeva in gran parte nella sua energia, nella saggezza del suo governo e nel favore che aveva dal popolo.
Altri, dando scontato e molto peso al racconto della monaca HROSWITHA, credono che il re tedesco sia stato indotto da una commossa petizione di pellegrini che, reduci da Roma, avevano assistito alle persecuzioni patite da Adelaide (ma dov'era Adelaide non passava nessuna strada dei pellegrini).
Altri infine, sono d'avviso che Ottone I, scendendo in Italia, sia stato mosso dal desiderio di punire Berengario, che aveva rotto il vincolo vassallatico, contratto prima di salire al trono.

Alcuni di questi motivi da noi accennati forse influirono sulle decisioni del sovrano germanico e non è improbabile che abbiano costituito il pretesto all'intervento; ma la vera causa di questo è da ricercarsi nella politica estera di Ottone, che "aveva - come scrive il Romano - le sue origini nella tradizione, non ancora spenta, dell'Impero Carolingio, e pareva corrispondere alle nuove condizioni dell'Europa cristiana e specialmente della Germania del X secolo.
"Fra tutti gli stati d'Europa il regno tedesco era indubbiamente quello che presentava maggiori doti di solidarietà e di consistenza. La Francia, governata dagli ultimi Carolingi, contava poco nella politica generale europea; il potente regno di Borgogna era caduto interamente sotto l'influsso della potenza tedesca; quello d'Italia, sempre diviso da fazioni in lotta fra loro, aveva visto varie dinastie succedere sul trono senza mai metter radici nel paese, in uno stato perenne di crisi ed esposto a tutti i danni di una situazione incerta e violenta.

"Di fronte a questi stati, che erano i più esposti al flagello dell'anarchia feudale e dove l'autorità pubblica tendeva ad affievolirsi sempre più innanzi alla potenza e all'arbitrio dei grandi, era sorta in Germania una monarchia che, armonizzando le opposte tendenze della società era riuscita ad evitare egualmente gli eccessi del dispotismo e dell'anarchia, e che dalla stessa posizione geografica pareva chiamata a difendere il patrimonio della cultura occidentale contro la nuova barbarie dei Magiari, degli Slavi e dei Danesi.
Questa monarchia, fondata da ARNOLFO, svoltasi non senza difficoltà attraverso il governo pupillare di LUDOVICO il Fanciullo e quello di CORRADO di Franconia, aveva trovato nei principi della casa di Sassonia i fedeli interpreti dei suoi bisogni e gli uomini capaci di guidarla ad un'alta meta di potenza e di gloria. La tradizione carolingia era in questo periodo tuttora viva in Germania, dove erano ancora recenti i ricordi delle lotte combattute per la successione imperiale di Ludovico II, e dove viveva ancora la venerazione, che aveva assistito all'incoronazione di Arnolfo per mano di Formoso.

Nessuna meraviglia quindi che l'idea imperialista, decaduta per l'inettitudine dei Carolingi francesi, ridotti in Italia a semplice orpello di re deboli e combattuti, rifiorisse in Germania, verso la quale si era ormai spostato il baricentro della potenza cristiana e dove OTTONE, con la sua forte personalità di politico e di guerriero, pareva il più indicato a rappresentarla" (Romano).

Grandioso era il disegno politico di OTTONE: annettere il regno italico alla Germania o farne uno stato vassallo e rivestirsi della dignità imperiale. Per ottenere la
corona d'imperatore Ottone aveva bisogno del consenso del Pontefice o meglio di… ALBERICO, mentre per sottomettere l'Italia sarebbero state sufficienti le sue armi. L'intervento sarebbe stato giustificato dalla condotta di Berengario verso il re tedesco e la vedova di Lotario; la conquista -inoltre- avrebbe trovato legittimazione nel matrimonio con Adelaide, la quale oltre i diritti alla corona avrebbe portato ad Ottone l'aiuto di tutti coloro che si erano schierati in suo favore.
La spedizione di Ottone fu preceduta da un infelice tentativo del figlio LIUDULFO di conquistare tutto o parte del regno italico. Senza il permesso del padre, alla testa di un'esigua schiera di cavalieri ed accompagnato dal vescovo RATERIO (che torna nuovamente alla ribalta, dopo che era stato cacciato da Verona e desiderava ritornarvi), Liudulfo scese in Italia, ma osteggiato nei suoi disegni dallo zio ENRICO, duca di Baviera, il quale nella mossa del nipote vedeva un ostacolo alle sue mire sul Friuli, dovette tornarsene nella Svevia.

OTTONE I si mosse nel mese di settembre del 951 attraverso la via del Brennero. Lo seguiva un forte esercito e lo accompagnavano i due fratelli ENRICO e BRUNONE, il duca CORRADO di Lorena e uno stuolo di vescovi ed arcivescovi, fra i quali quelli di Magonza, Colonia e Treviri che nel 936 lo avevano incoronato ad Aquisgrana.
Lungo la via si unirono alla spedizione Liudulfo e Raterio.
Nessuna opposizione incontrò Ottone durante la sua marcia: MANASSE gli aprì le porte di Trento, MILONE quelle di Verona e il re germanico riuscì finalmente e rapidamente giungere il 23 settembre a Pavia, dove BERENGARIO, abbandonato da tutti, era partito il giorno prima a rifugiarsi nei suoi castelli della marca d'Ivrea.
A Pavia Ottone ricevette l'omaggio di numerosi signori italiani e, non curandosi di farsi eleggere e coronare, si proclamò re; poi (probabilmente si informò bene chi era quell'Adelaide, e le informazioni di certo non furono povere di magnificazioni) spedì messi con ricchissimi doni a Reggio perché chiedessero in suo nome a Adelaide la mano di sposa. La regina accettò e, scortata da ENRICO di Baviera e da uno stuolo di cavalieri, giunse a Pavia e qui nell'autunno dello stesso anno furono con grandissima pompa celebrate le nozze.

Durante il suo soggiorno a Pavia, Ottone inviò presso il papa AGAPITO come ambasciatori i vescovi di Coira e di Magonza per annunciargli che desiderava visitarlo. Lo scopo di quell'ambasceria era evidente: il re germanico voleva assicurarsi delle intenzioni del potente "princeps" di Roma ALBERICO prima di chiedere l'incoronazione imperiale.
L'atteggiamento del principe romano non poteva essere che ostile. Proprio lui, che aveva sostenuto di fronte ad Ugo una decisa politica di indipendenza (e che, di fatto, aveva ottenuto da lui, e poi anche da Lotario-Berengario) non poteva certamente accogliere nelle mura della città il sovrano germanico di cui conosceva i propositi che, se tradotti in realtà, lo avrebbero reso vassallo del nuovo imperatore.

I legati del re tedesco non furono nemmeno ricevuti. OTTONE, con il carattere che aveva, se avesse avuto le mani libere in Italia, non si sarebbe certo rassegnato allo scacco e con il suo esercito sarebbe sceso subito verso Roma; ma la sua posizione in Italia non era sicura, perché realista e accorto com'era, sulla fedeltà degli incostanti e oscillanti signori del regno italico non poteva fare assegnamento, inoltre Berengario, riparato ma nella attesa nella sua marca, rappresentava una perenne minaccia.
Si aggiunga che LIUDULFO, venuto in discordia con il padre forse perché questi nella contesa del figlio con lo zio aveva preso le parti del fratello Enrico, se n'era tornato in Germania e cospirava proprio contro il padre Ottone. Il quale si credeva così gravemente minacciato dall'atteggiamento del figlio che, rimandata a tempi migliori la partita con Alberico, verso la metà del 952 ripassò le Alpi con la moglie Adelaide.

Partendo dall'Italia, OTTONE I aveva lasciato a Pavia una forte guarnigione tedesca comandata da CORRADO di Lotaringia. Costui, poco dopo la partenza dell'imperatore, credendo di operare bene e secondo i desideri del suo sovrano, entrò in trattative con BERENGARIO II e, poiché lui s'impegnava, se gli fosse stata riconosciuta la signoria d'Italia, di regnare in nome e come vassallo di Ottone, gli promise di riconciliarlo con il re e lo accompagnò insieme con il figlio ADALBERTO in Germania per ratificare l'accordo.

OTTONE -l'abbiamo già rilevato sopra- che aveva le intenzioni di fare dell'Italia una provincia della Germania, sorpreso e contrariato dalla sottomissione di Berengario, non potendo venir meno alla parola data da Corrado, si appigliò a un espediente: quello di affidare la soluzione della questione ad un'assemblea di grandi; e in tal senso rispose a Berengario ricevendolo alla sua presenza dopo tre giorni di umiliante attesa.

L'assemblea si tenne ad Augusta nell'agosto del 952 e vi parteciparono, oltre numerosi conti e vescovi della Germania, parecchi porporati d'Italia, tra cui gli arcivescovi MANASSE di Milano e PIETRO di Ravenna e i vescovi di Pavia, Brescia, Como, Tortona, Piacenza, Parma, Modena, Reggio ed Acqui.
L'assemblea decise che le marche di Verona ed Aquileia dovevano essere staccate dall'Italia e incorporate al ducato di Baviera, e che il resto del regno italico dato in vassallaggio a Berengario II e Adalberto.

Dopo tale decisione il re d'Italia e suo figlio prestavano ad Ottone I, l'omaggio feudale e ricevevano da lui l'investitura del regno.

Queste decisioni, inutile farle osservare, vanno a creare quel distacco dall'Italia di un territorio, che inizia ora, ma che in seguito, in parte o interamente, creeranno dispute regionali, poi guerre nazionali, e infine mondiali, nei successivi 1000 anni.
Ottone non si limiterà a fare solo questo in Italia, ma (per assicurare meglio le basi del proprio potere) distribuì i ducati più importanti fra i quali la Lorena, la Baviera e la Svevia a membri del proprio lignaggio. Ed infine creò quel territorio Marca, con il nome Osterreich (Austria).
Anche di questi ducati e marche, sappiamo poi quanto potenti diventeranno nel loro ascensionale potere.
Osterreich (Regno (o stato) ad Oriente - il nome comparirà per la prima volta in un documento nel 996), ma comunemente anche chiamato Deutchosterreich (Regno Germanico Orientale). A usare quest'ultimo sono ovviamente quelli di sinistra di origine germanica, a evitarlo invece gli altri, quelli a destra, che sono popolazioni miste, di numerose etnie levantine.

L'intera Marca, tutta forzatamente riunita sotto l'impero di Ottone, nel 976 divenne un feudo dei BABEMBERG (dei vassalli imperiali) che incontrastati per tre secoli detennero il potere, fino al 1246, costruendo un nucleo politico-culturale quasi del tutto indipendente; anche perché i dodici sovrani di questa dinastia non furono mai interessati allo sviluppo delle vie di comunicazione né ad un altro tipo di economia di mercato e quindi distaccate dalle influenze che nel frattempo -dopo le crociate- erano già avvenute in altri stati del centro e del sud Europa, quindi in Germania, Sono tre secoli in cui si sviluppò una ben definita feudalità, tutta militare e con una mentalità accentratrice nell'amministrazione, piuttosto bizantina e non tedesca; caratteristica che l'Austria (dal 1273, con l'avvento degli Asburgo, non perderà più fino al crollo del suo Impero (1918).

Deutchosterraich, cioè Stato tedesco ovest; dopo Westfalia, perse pure il Deutch, e cessò di essere identificato in uno stato germanico. L'Austria si rinchiuse nel suo territorio ma si spaccò in due, in osterraich superiore e in osterraich inferiore, che non significa in senso figurativo alto o basso, ma il primo è il territorio a sinistra di Linz, l'altro si trova a destra di Linz: quest'ultimo vivrà sempre sotto la "chioccia" dello statalismo accentratore della potente corte di Vienna. Un imponente apparato burocratico amministrativo concentrato in un piccolo territorio, creando uno stato assolutista dentro lo stato.

Ma fra i confini più contrastanti fra le due popolazioni (tedesche e austriache) fu quello della Baviera (divisa in due), con quel famoso confine sull'Inn, a Braunau, una città divisa da un ponte sul fiume, dove dopo ancora mille anni non sognavano altro gli abitanti che abbattere il ponte e riunire due popolazioni che parlavano la stessa lingua e le stesse tradizioni lontane da quelle di Vienna. Uno di quelli che fin dalla culla insegnava loro quest'odio verso l'Austria, fu il figlio di un doganiere che lavorava proprio su quel ponte: Hitler.

A parte quella politica, moltissima e determinante fu anche l'influenza religiosa -ma solo nella parte est- inizialmente esercitata non da Roma, ma dalla Chiesa Bizantina. In seguito poi fortemente dal papato, quando -con il crollo di Costantinopoli (e nascita del Regno Latino - dopo la crociata del 1204)- i nuovi regni resisi indipendenti -Serbia e Ungheria- chiesero protezione ai cattolici di Roma, e in più combinarono matrimoni con i sempre più potenti Asburgo. In seguito tra Riforma e Controriforma gli Asburgo causarono proprio in Austria e nei suoi satelliti una grande spaccatura: dalla Polonia fino ai Balcani. Gli Asburgo si eressero a difesa del cattolicesimo e iniziarono a cacciare dal loro territorio -e in quella miriade di staterelli assoggettati- tutti i protestanti.

La prima decisiva svolta -politica e religiosa, quindi anche etnica- era però già avvenuta molto prima di Ottone, ai tempi dell'impero carolingio. Dall'impero di Costantinopoli Slavi e monaci bizantini - dal VII-VIII secolo, dilagarono su tutto il territorio balcanico, dalla Grecia fino alla Ostmark carolingia, e si fermarono ai confini della Carinzia (tedesca) anche questo una "creazione" di Ottone in questo periodo.
E a proposito degli slavi che Ottone cercò di arginare la loro penetrazione tra il secolo IX e il X, gli slavi raggiunsero la massima espansione. E fu un periodo che per sfuggire alla pressione dell'impero germanico, MOJMIR già nel 830-846 aveva fondato il regno della Grande Moravia (che comprendeva Slovacchia, Boemia, Piccola Polonia, Lusazia e Slesia) e si era alleato con i bizantini stringendo un forte rapporto politico; ma contemporaneamente anche religioso, quando la corte di Bisanzio, tesa alla riconquista dei Balcani inviò in queste regioni i fratelli CIRILLO e METODIO ad evangelizzarla. E ci riuscirono, visto che nell'874 gli Slavi, si convertirono al cristianesimo, entrando così anche nella campo d'azione religioso e politico bizantino.
Ma di questo parleremo più avanti nei prossimi secoli.

BERENGARIO II, ADALBERTO E OTTONE I
VICENDE DEL REGNO ITALICO DAL 956 AL 966

Le decisioni dell'assemblea di Augusta avevano accontentato solo ENRICO di Baviera la quale vedeva finalmente appagati i suoi desideri.
Ma quanti erano i malcontenti ! Lo stesso Ottone aveva dovuto piegarsi di malavoglia e lasciare che l'Italia, già caduta sotto il suo dominio, ritornasse, sia pure in qualità di feudo germanico, sotto lo scettro di Berengario. Malcontenti erano specialmente CORRADO di Lotaringia, il figlio di Ottone LIUDULFO e insoddisfatto era lo stesso BERENGARIO: il primo perché le decisioni di Augusta non avevano tenuto conto dell'accordo da lui stipulato con il re d'Italia e gli sembravano un'offesa personale; il secondo perché tutti i benefici erano andati allo zio Enrico, che nel 951 gli aveva fatto fallire la spedizione ed ora guarda un po', impinguava il suo ducato con le importantissime marche di Verona e di Aquileia; il terzo, infine, per l'umiliazione subita non essendo stati approvati i patti statuiti con Corrado e perché veniva a trovarsi sovrano di un'Italia mutilata, divenuta feudo della Germania.

Berengario non aveva tutti i torti; e forse vedeva davanti anche il futuro di questa feudalità, e vassallaggio, che come sappiamo (e vedremo) sottoporrà a condizioni e restrizioni (con gli imperatori germanici) per circa cinque secoli il territorio.

Tornato da Augusta, non potendo vendicarsi di Ottone, Berengario rivolse il suo sdegno contro tutti coloro che prima aveva beneficiati, poi all'apparire di Ottone subito si erano schierati dalla sua parte, e avevano perfino buttato nelle braccia del sovrano tedesco Adelaide.
Invece di appoggiare MANASSE nella lotta contro ADELMANNO diede l'arcivescovado di Milano a VALPERTO; al vescovo di Novara tolse il possesso dell'isola di S. Giulio; assediò in Canossa AZZO per punirlo di aver dato ricovero e protezione alla vedova di Lotario e perseguitò fra gli altri lo storico LIUDPRANDO, diacono della chiesa pavese, il quale dovette fuggire in Germania, dove, durante gli anni del suo esilio, scrisse anche lui per vendicarsi l'"Antapodosis", che è un libello feroce contro Berengario e la regina Villa.

Questa condotta del suo vassallo non poteva lasciare indifferente OTTONE, il quale sarebbe senza dubbio tornato in Italia se non fosse stato trattenuto oltre le Alpi dalla ribellione del figlio e da una grave invasione degli Ungari.
LIUDULFO, come già accennato, ritornato nel suo ducato di Svevia, si era messo a cospirare contro il padre mentre questi si trovava ancora in Italia; sapute le decisioni dell'assemblea di Augusta, si era apertamente ribellato, trascinando nella rivolta parecchi grandi del regno germanico, fra cui l'arcivescovo FEDERICO di Magonza e CORRADO di Lotaringia. La guerra civile infuriò nella Germania per circa due anni; poi di fronte al pericolo ungaro che minacciava la patria, le fazioni posarono le armi.
Primo a desistere dalla lotta fu FEDERICO di Magonza che nella dieta di Langenzenn giurò fedeltà al re; e CORRADO e LIUDULFO si sottomisero più tardi ad Arnstadt nel dicembre del 954.

La cessazione delle ostilità era necessaria. Circa centomila Ungari avevano invaso la Germania meridionale ed assediavano Augusta. Questa, valorosamente difesa dal vescovo Uldarico, già stremata di forze stava per cadere, quando nell'estate del 955 comparve sul Lech OTTONE I alla testa di un poderoso esercito. Una battaglia sanguinosa fu combattuta il 10 agosto e, nonostante lo straordinario valore con cui combatterono i barbari furono sconfitti con delle gravissime perdite, un vero massacro.
La battaglia sul Lech, in cui CORRADO di Lotaringia trovò gloriosa morte, produsse conseguenze importantissime: da un canto accrebbe la potenza del regno germanico di cui assicurò il possesso alla casa di Sassonia, dall'altro liberò l'Europa occidentale dalle invasioni ungariche, che per circa mezzo secolo l'avevano afflitta. Gli Ungari, ridottisi nei loro confini, dopo Lech, non osarono più molestare i loro vicini e accolsero fin da allora l'opera di evangelizzazione che doveva ammetterli nell'orbita delle nazioni civili.

Effetto di quella guerra fu anche la costituzione della marca d'Austria che costituì il primo nucleo di quello che fu poi lo stato austriaco.

Poco dopo la vittoria sugli Ungari OTTONE I mosse contro gli Slavi dell'Elba che si erano ribellati e li sconfisse del tutto il 16 ottobre del 955, indi, persuaso che più delle armi avrebbe influito l'opera della religione a tenere a freno quel popolo turbolento, stabilì di fondare sulla frontiera orientale due nuovi vescovadi, quelli di Merseburgo e di Magdeburgo.
Occorrendo l'adesione del Pontefice, il re inviò a Roma come ambasciatore Ademaro, abate di Fulda, che, ottenuto il consenso dal papa, ritornò nell'autunno di quell'anno in Germania.
Sicuro dalla parte degli Ungari e degli Slavi, Ottone rivolse il pensiero all'Italia dove l'atteggiamento di Berengario rendeva ormai necessaria la sua presenza.
ENRICO di BAVIERA era morto il 1° di novembre del 955 e LIUDULFO era tornato in ottimi rapporti con il padre. Tuttavia bramando il giovane principe di acquisire per il suo ducato qualche provincia e dar modo ai suoi amici di rifarsi delle proprie sostanze perdute durante la guerra civile, Ottone, per intercessione del fratello Brunone, gli concesse di capitanare una spedizione in Italia.

LIUDULFO passò le Alpi con un forte esercito, contro il quale si mosse ADALBERTO, mentre BERENGARIO rimaneva a guardia delle città. La fortuna arrise alle armi germaniche: vinto il nemico in due battaglie, Liudulfo entrò a Pavia e ricevette l'omaggio dei grandi del regno e del clero, abituati da qualche tempo - come abbiamo visto- a sposare subito in poche ore la causa del vincitore.

Liudulfo indubbiamente non conosceva questo "vizietto", credendo che con la conquista della capitale di essersi reso padrone del regno, lasciò Pavia presidiata da alcune truppe e si mise sulla via del ritorno, ma a Piomba, il 6 settembre del 957, colto da una violenta febbre, cessò di vivere. La morte fu così improvvisa che nacque e si divulgò il sospetto che era stata causata quella morte da un veleno somministratogli in qualche modo da Berengario nel suo soggiorno a Pavia.
La fine di Liudulfo annullò ben presto i vantaggi conseguiti dalle armi germaniche, le truppe tedesche se ne tornarono in Germania e Berengario, rialzato il capo, ricominciò le sue vendette contro quei grandi che, alla discesa del principe germanico (e non era la prima volta nell'arco breve di tempo) lo avevano "subito" abbandonato.

I primi a sposare la causa germanica erano stati VALPERTO, arcivescovo di Milano, e VALDO vescovo di Como. Questi riuscì mettersi in salvo con la fuga, l'altro fu scacciato dalla sua sede che fu data a Manasse.
Riaffermata la sua autorità sull'Italia settentrionale, Berengario rivolse il pensiero a Roma perché finalmente il potente ALBERICO "princeps" di Roma, era nel frattempo morto (954). Ma prima di cessare di vivere, radunata la nobiltà nella basilica di S. Pietro, si era fatto promettere con un giuramento che alla morte di AGAPITO II, avrebbero eletto Papa il figlio sedicenne OTTAVIANO.
Morto Agapito nel 955, i nobili avevano mantenuto la promessa innalzando al trono pontificale, il 16 dicembre, il giovane Ottaviano con il nome di GIOVANNI XII.

Sedicenne, ma ambizioso come nessun altro, il nuovo Papa Bambino aveva già subito concepito (ma dubitiamo che fossero sue precoci capacità di statista) di sottomettere alla Chiesa Capua e Benevento e, alleatosi con il marchese UBERTO di Toscana, suo parente, e con TEOBALDO, marchese di Spoleto e Camerino, aveva iniziato le operazioni cingendo di assedio Capua. Questa città però, difesa dal valoroso PANDOLFO "Testa di Ferro", aveva opposto tale resistenza da consigliare il Pontefice a desistere dall'impresa. Concluso un accordo con GISULFO, principe di Salerno, GIOVANNI XII, approfittando delle cattive condizioni in cui si trovava Berengario in lotta allora con Liudulfo, aveva rivolto il pensiero all'Esarcato, che da molti anni era divenuto proprietà dei re d'Italia.

Ma anche questo disegno doveva fallire, o perché era un bambino, o perché era papa, o perché chi lo guidava, e forse in tanti, non erano all'altezza della situazione, soprattutto con un navigato Berengario.

Morto LIUDULFO, il piccolo Pontefice si trovò esposto all'ira del risorto BERENGARIO. Questi, prima di giungere al Pontefice, lungo la strada doveva debellare i marchesi di Toscana e di Spoleto. Non avendo forze sufficienti per fronteggiarli insieme, staccò abilmente dal marchese di Spoleto quello di Toscana e, assicuratosi il concorso di quel PIETRO CANDIANO, che, come altrove abbiamo detto (nella puntata di Venezia) per aver cospirato contro il doge suo padre, era stato costretto a lasciare Venezia, mosse guerra a TEOBALDO. La spedizione fu capitanata da Candiano e da Guido, figlio di Berengario; il primo però, dopo poco tempo (959), essendo morto il padre, fece ritorno a Venezia per succedere al defunto doge; il secondo continuò da solo le ostilità e riuscì ad occupare Spoleto.

Tolto di mezzo Teobaldo, Berengario si rivolse contro il Papa, inviando suo figlio Adalberto ad occupare molte località dello stato pontificio.
Minacciato da vicino, GIOVANNI XII, allontanandosi dalla saggia politica del padre che aveva sempre chiuso le porte di Roma ai sovrani, italiani e soprattutto stranieri (ricordiamo l'affronto fatto ad Ottone ai suoi ambasciatori, che non li ricevette neppure), invocò contro Berengario proprio l'aiuto di OTTONE I alla cui corte mandò come ambasciatori il cardinal diacono GIOVANNI e AZZO.

Quelle del Papa non furono le sole sollecitazioni che il monarca germanico ricevette di intervenire in Italia; altre ne giunsero da quanti avevano motivo di dolersi di Berengario e fra questi debbono essere ricordati VALPERTO, già arcivescovo di Milano, VALDO già vescovo di Como, e il conte OBERTO (il capostipite degli ESTENSI), i quali si recarono personalmente in Sassonia a invitare Ottone a calare in Italia.
Veramente, superflui erano tutti questi inviti, perché, fin da quando era morto LIUDULFO (nella sua infausta discesa a Pavia), OTTONE aveva già concepito il disegno di una seconda spedizione in Italia. Ma questa volta vi era spinto da più ragioni; più che dalle sollecitazioni dei vari duchi e papi, dal desiderio di punire Berengario, di vendicare il figlio i cui sospetti che fosse stato assassinato li aveva anche lui, ma era anche spinto dal motivo che voleva ricevere la corona imperiale, che GIOVANNI XII il "papa bambinello", non avrebbe voluto né potuto rifiutargli (davanti a un grande e potente esercito che a Roma nemmeno potevano immaginare)

Decisa la spedizione, vi si preparò con infinita cura impiegando quasi tutta la prima metà del 961. Prevedendo di rimanere a lungo assente dalla Germania e volendo prima della partenza dare un buon assetto alle cose del regno e provvedere alla sicurezza dei suoi domini, convocò nel maggio di quell'anno una dieta a Worms e fece eleggere re suo figlio OTTONE II avuto da Adelaide, che allora contava sette anni, e il giorno della Pentecoste (6 maggio) lo fece incoronare ad Aquisgrana.

Avendo provveduto alla successione, pensò alla reggenza e all'amministrazione e difesa del regno: alla madre Matilde e all'arcivescovo Guglielmo- di Treviri affidò la tutela del figlio e la cura del governo, all'arcivescovo di Colonia, BRUNONE, che era suo fratello, diede da governare provvisoriamente la Lotaringia e ad ERMANNO di Sassonia assegnò il compito di difendere dagli Slavi la frontiera.

Nell'agosto del 961, seguito da un poderoso esercito, di cui facevano parte alcune schiere di Vendi, ed accompagnato dalla moglie Adelaide e da parecchi esuli italiani, OTTONE I attraverso la via del Brennero scese verso l'Italia.
Già nell'autunno dell'anno precedente, Berengario, probabilmente già a conoscenza dei progetti del sovrano di Germania, aveva con molto opportunismo sospeso le operazioni contro il Pontefice. A contrastare il passo ad Ottone mandò il figlio ADALBERTO con numerose truppe a trincerarsi con l'intenzione di sbarrare il passo ai tedeschi, a Chiuse dell'Adige.
Se si deve prestar fede agli scritti dell'"Anonimo Salernitano", i grandi del regno italico, dopo una lunga attesa, nei trinceramenti della valle dell'Adige, dichiararono che avrebbero combattuto contro i Tedeschi a condizione che Berengario abdicasse in favore di ADALBERTO. Essendosi Berengario e sua moglie Villa rifiutati, le truppe abbandonarono le Chiuse e ritornarono alle loro città.
Qualche storico fu talmente sorpreso da questo improvvisa defezione che lo relegò nel mondo delle leggende. Il fatto invece non ha nulla di strano e di inverosimile; esso è anzi una prova del malcontento che Berengario aveva suscitato e della volubilità, diciamo pure spudorate voltafaccia, altre volte constatate, dei grandi. Ancora una volta, all'avvicinarsi del pericolo, i grandi italiani ricorsero al "vizietto", abbandonarono il loro signore proponendogli una cosa che sapevano che non avrebbe accettata.

La diserzione dell'esercito aprì così la via all'invasione tedesca. Senza colpo ferire, subito acclamato da vescovi e conti, OTTONE passò le Alpi ed entrò poco dopo a Pavia, mentre Berengario, la moglie, i figli e le poche truppe rimastegli fedeli si chiudevano in alcune città nell'attesa degli eventi: a S. Leo presso Fossombrone il re, nell'isola di S. Giulio sul lago d'Orta la moglie Villa, nei castelli dei laghi di Garda e di Como Adalberto e Guido.

Ottone nemmeno li disturbò, forse per non frazionare e logorare le sue milizie; a Pavia fece ricostruire il palazzo che Berengario prima di partire aveva fatto demolire ed ebbe cura di premiare i perseguitati e di rimettere nel loro seggio i vescovi esiliati. Fra i primi ci fu LIUDPRANDO che ricevette il vescovado di Cremona; degli altri, VALPERTO ritornò a Milano e VALDO riebbe la sua cattedra di Como.
Dopo di aver celebrato a Pavia il Natale dell'anno 961, Ottone si mosse alla volta di Roma preceduto dall'abate di Fulda, il quale era stato incaricato di prendere con il Pontefice gli accordi per l'incoronazione.
GIOVANNI XII aveva, è vero, invocato l'aiuto del re di Germania, ma prima di aprirgli le porte di Roma e rivestirlo della dignità imperiale intendeva porre delle condizioni chiare e precise che lo assicurassero da possibili sorprese. OTTONE I doveva:
"sotto il sacro vincolo del giuramento promettere di difendere la Chiesa Romana e il Papa, impedendo che gli fosse fatto alcun male, di non usurpare nessuna delle attribuzioni del Pontefice e di non fare a Roma alcun nuovo ordinamento senza il consenso del Papa; infine doveva dare assicurazione che avrebbe restituito i beni di S. Pietro e che avrebbe imposto al suo rappresentante in Italia di difendere il patrimonio della Chiesa".

OTTONE I giunse sotto le mura di Roma il 31 gennaio del 962 e prima di entrare prestò il giuramento che gli avevano preparato, e che abbiamo appena letto sopra. Solo allora si schiusero al re le porte di Roma e dove fu ricevuto con grandissima pompa. La cerimonia dell'incoronazione avvenne il 2 febbraio. Il concorso della nobiltà romana nella basilica di S. Pietro fu imponente e grandi le dimostrazioni di gioia; di tutti gli antitedeschi a Roma per tanti anni piena, neppure l'ombra, anzi all'improvviso i romani, il clero, i nobili, erano diventati tutti filo-tedeschi.
OTTONE (che non aveva dimenticato l'affronto del 951) a quanto sembra diffidava di queste feste e da tanto palese ambiguo servilismo, e temeva per la sua persona tanto che, se è vero quel che riferisce un cronista, il giorno stesso della cerimonia ordinò al suo armigero Ansfredo di tenersi pronto a difenderlo mentre era inginocchiato davanti la tomba dell'Apostolo, di fargli il guardaspalle e di non distrarti nel pregare: "avrai tempo e comodo di recitare orazioni quando saremo tornati a casa nostra".

Alla presenza di numerosi grandi e vescovi d' Italia e di Germania, in quell'infausto giorno che segnò la servitù dell'Italia alla Germania, OTTONE I fu incoronato dal Pontefice imperatore e con lui ricevette la corona la moglie Adelaide; poi il Papa e il popolo prestarono giuramento di fedeltà promettendo di non favorire in nessuna maniera Berengario II e Adalberto.

Nei giorni seguenti all'incoronazione, tra l'imperatore e il Pontefice ci furono molti colloqui; in questi vi furono presi parecchi provvedimenti riguardanti le chiese di Germania fra la quali meritano menzione quelli relativi alle chiese di Merseburgo e Magdeburgo che furono innalzate a sedi arcivescovili.
Infine, in data 13 febbraio del 962, con privilegio che è giunto fino a noi, l'imperatore confermò alla S. Sede tutte le donazioni che da Pipino in poi le erano state fatte e cioè Roma e il suo ducato, la Sabina, l'Esarcato, la Pentapoli, alcune città della Tuscia e della Campania tra cui Capua, i patrimoni ecelesiastici esistenti nei territori di Benevento e Napoli, della Calabria e della Sicilia e da ultimo Gaeta e Fondi. Ottone aggiunse alcune città della marca di Spoleto, come Rieti, Amiterno, Aquila (Forcone), Norcia, Valva, Marsica e Teramo e confermò il censo annuo dovuto da Spoleto e dalla Tuscia.

Le nuove donazioni e la conferma delle vecchie furono però fatte a condizione che si mantenevano i diritti imperiali contemplati nella COSTITUZIONE DI LOTARIO DELL'824, che in altre parole all'elezione del Papa partecipassero, oltre che gli ecclesiastici, anche i laici che per antica consuetudine vi avevano diritto, che la consacrazione fosse fatta alla presenza dei messi imperiali e che il Pontefice pronunziasse il giuramento di fedeltà secondo la formula stabilita. Messi dell'imperatore e del Papa dovevano sorvegliare i funzionari delle terre della Chiesa, i cui abusi dovevano venire repressi dal Pontefice, solo o col concorso dell'imperatore, il quale si riservava d'intervenire anche nell'amministrazione della giustizia.

OTTONE I lasciò Roma il 14 febbraio e giunse a Pavia prima della Pasqua dell'anno 962. Nella capitale l'imperatore fece un soggiorno abbastanza lungo, per prepararsi alla ripresa della guerra contro Berengario e dare assetto alle cose del regno. Fra i vari provvedimenti che prese alcuni riguardavano le chiese e il clero che Ottone intendeva favorire, altri avevano carattere politico e tendevano a premiare gli amici. RATERIO riebbe il vescovado di Verona, la cui marca costituita e annessa alla Baviera sotto GIUDITTA vedova di Enrico e il figlio omonimo, fu data da governare ad un conte tedesco; OBERTO fu creato conte palatino ed ebbe in beneficio l'abbazia di Bobbio, GUIDO, vescovo di Modena, fu innalzato alla dignità, d'arcicancelliere.

Quando i preparativi per la nuova campagna militare furono terminati, OTTONE diede inizio alle ostilità, rivolgendo le armi contro l'Isola di S. Giulio, sul Lago d'Orta, dove si era barricata Villa. L'assedio, cominciato sul finire di maggio del 962 e fu condotto con tenacia, durò fin quasi agli ultimi di luglio. Dopo circa due mesi di resistenza la regina si arrese. L'isola fu restituita al vescovo di Novara, cui era stata tolta; Villa fu trattata generosamente e lasciata libera di andare dove volesse. Così, facendo, l'imperatore sperava di ingraziarsela; invece Villa, una volta libera, si recò a S. Leo, presso il marito incitandolo alla resistenza.

Nel frattempo Ottone andava a Como a debellare i figli di Berengario che tenevano l'isola Comacina e il forte di Garda; ma qui incontrò una vivissima resistenza e, abbandonata per il momento l'impresa, fece ritorno a Pavia, dove lo troviamo nel Natale di quell'anno 962 e nella Pasqua del successivo 963.
Si trovava a Pavia quando ebbe notizia che GIOVANNI XII tramava contro di lui, aveva dunque ragione quando a Roma era stato diffidente di tutte quelle smancerie, ora ne aveva la prova.
Infatti, il Pontefice, pentitosi quasi subito di avere invocato l'aiuto di Ottone in cui sperava di avere un liberatore -iniziò a pensare come il padre ("che chiamare e accogliere nelle mura della città uno straniero voleva dire rendersi vassallo del nuovo imperatore" lui non aveva nemmeno ricevuto i suoi ambasciatori, mentre il figlio lo aveva incoronato, peggio di così non poteva andare).

GIOVANNI XII, insomma capì in ritardo, e cercava di avvicinarsi al figlio di Berengario, ADALBERTO, il quale, lasciata l'Italia settentrionale, dove non era sicuro di potersi a lungo sostenere contro i tedeschi, era andato prima presso i Saraceni di Frassineto poi in Corsica, e qui l'aveva raggiunto l'invito del Papa di recarsi a Roma.
Queste notizie e significava una trama, giunsero e poi furono confermate dai suoi informatori, a Ottone I che pensò di scendere subito verso l'Italia centrale per sorvegliare meglio le mosse del Pontefice.

Era però prima necessario debellare Berengario. Per la via del Ticino e del Po, da Pavia l'Imperatore si recò a Ravenna con la moglie e un numeroso esercito. Di là mosse verso S. Leo nel cui territorio giunse nella prima quindicina del maggio del 963.
S. Leo, per la natura del luogo e per le imponenti fortificazioni naturali di cui era munita, era una fortezza pressoché inespugnabile con i mezzi di cui disponeva un esercito a quei tempi. Si aggiunga che Berengario fosse deciso a resistere fino all'ultimo per dar tempo al Papa e al figlio Adalberto di venire in suo aiuto, sperando pure che nel frattempo tutti coloro che non erano contenti dell'imperatore si sollevassero contro di lui.
Convintosi dell'impossibilità di prender d'assalto S. Leo, Ottone I lo cinse di rigoroso assedio per averlo con la fame. Durante questo periodo di stallo, ne approfittò per accrescere il numero dei suoi sostenitori, concedendo benefici e privilegi, di cui specialmente fruì il clero per mezzo del quale l'imperatore era sicuro di rafforzare la propria posizione e neutralizzare l'opera ostile del Papa.

Fu in questo lasso di tempo che Ottone entrò in rapporti con Venezia allo scopo, certamente, di staccare il doge CANDIANO IV, che, come sappiamo, godeva l'amicizia di Berengario. Ottone donò a Vitale Candiano la regia corte di Mestre, nella contea di Treviso, e confermò i beni posseduti dal monastero veneziano di S. Zaccaria, di cui era abbadessa Giovanna, la moglie ripudiata del doge.
Mentre largheggiava in concessioni e si procurava nuove amicizie, l'imperatore si manteneva tuttavia in contatto con il Pontefice, il quale a sua volta mandava ambasciatori al campo di S. Leo a protestare perché Ottone non aveva ancora restituito le terre alla Chiesa Romana, secondo le promesse e i giuramenti fatti a Roma, e perché aveva offerto ospitalità a due dignitari ecclesiastici ribelli, il vescovo di Velletri Leone e il cardinal diacono Giovanni.

L'imperatore mandò a Roma i vescovi LAUDOARDO di Minde e LIUDPRANDO di Cremona, i quali in nome del sovrano risposero che la restituzione delle terre della Chiesa non poteva esser fatta fin quando Berengario era in armi e negarono che Leone e Giovanni fossero ospiti dell'imperatore. I due prelati anzi erano stati arrestati perché, inviati dal Papa, si stavano recando a Costantinopoli per chieder l'aiuto dei Bizantini. Inoltre gli ambasciatori accusavano Giovanni XII di aver spedito un vescovo bulgaro presso gli Ungari per provocarne l'intervento.
Insieme con gli ambasciatori Ottone inviò a Roma alcuni militi che dovevano sfidarlo a duello, se il Pontefice non credeva alle affermazioni imperiali, e alla verità delle affermazioni stesse, ma Giovanni XII non volle che si ricorresse alla prova delle armi né agì in modo da agevolare la composizione del dissidio, contraria del resto, agli interessi del Papato. Egli per tenere a bada l'imperatore, inviò a lui dei messi, ma continuò a mantenere rapporti con Adalberto, il quale di lì a poco giunse a Roma e vi fu accolto da Giovanni con molto onore.

L'arrivo del figlio di Berengario a Roma segnò la rottura dei rapporti tra il Papa e l'imperatore, il quale, lasciata all'assedio di S. Leo una parte dell'esercito, mosse con il resto verso la metropoli, sotto le cui mura giunse a novembre.
Il Papa aveva dalla sua una parte del popolo, ma non la nobiltà romana, che aveva l'altra parte del popolo e parteggiava con l'imperatore e che aveva perfino sollecitato di scendere a Roma, promettendogli ostaggi.
Quando si rese conto di non potere opporre un'efficace resistenza in una città la cui popolazione non era concorde, GIOVANNI XII prese con sé quasi tutto il tesoro di S. Pietro e, assieme a ADALBERTO, si rifugiò in Campania.

Giunto Ottone I, entrato a Roma, fu accolto con grandi onori e dalla cittadinanza ricevette il giuramento di fedeltà e la promessa che per l'avvenire non avrebbero mai eletto e consacrato i Pontefici se non con il consenso dell'imperatore e del figlio Ottone II.

II 6 novembre 963 Ottone convocò nella basilica di S. Pietro un concilio di cui lo storico Liudprando, che vi partecipò, ci ha lasciato particolareggiato ragguaglio. Vi presero parte i rappresentanti della nobiltà e del popolo di Roma, preti e cardinali romani e un gran numero di vescovi e arcivescovi italiani, tutti favorevoli all'imperatore, fra i quali notiamo VALPERTO di Milano, PIETRO di Ravenna, i vescovi UBERTO di Parma ed ERMENALDO di Reggio. Il patriarca di Aquileia, ammalato, si fece rappresentare dal diacono INGILFRIDO. La Sassonia era rappresentata dagli arcivescovi ADELTAC e LANDUARDO, la Francia dal vescovo OTCHERIO di Spira.

Il concilio era stato convocato allo scopo di intentare un processo contro Giovanni XII, sulla cui condotta furono portate numerose e gravi accuse. Il prete cardinale PIETRI affermò di aver visto il Papa celebrar messa senza comunione; il vescovo di Narni e il cardinal diacono Giovanni dissero di averlo visto ordinare un diacono in una stalla; il cardinal diacono BENEDETTO lesse un libello zeppo di accuse confermate dalla testimonianza di altri preti e diaconi. Nello scritto diffamatorio il Pontefice era accusato di avere ordinato vescovo a Todi un fanciullo decenne, di aver vendute le cariche ecclesiastiche, di avere esercitata pubblicamente la caccia, di avere accecato un tal Benedetto, suo padre spirituale, evirato ed ucciso il cardinal suddiacono Giovanni, di aver cinta la spada e portato l'elmo e la lorica, appiccato incendi, fatto adulteri, di aver, giocato a dadi, invocato l'aiuto agli dei pagani, e di altri sacrilegi di cui Liudprando ci ha lasciato un lungo elenco.

Tutti i presenti confermarono le accuse formulate dal cardinal diacono Benedetto, tuttavia il concilio non volle prendere alcun provvedimento a carico di papa GIOVANNI, prima di sentire le discolpe dell'accusato. Pertanto fu spedita al Pontefice una lettera che Liudprando ci ha conservato e che qui riportiamo tradotta:

"Al sommo Pontefice e Papa universale Giovanni signore, Ottone per concessione della divina clemenza imperatore augusto, con gli arcivescovi e vescovi di Liguria, Toscana, Sassonia e Francia, in nome del Signore. Venuti a Roma per servizio di Dio, avendo richiesto intorno alla vostra assenza i vostri figli, cioè i vescovi romani, i cardinali preti e diaconi e tutto il popolo, e per qual motivo non volevate veder noi, che siamo difensori di vostra Chiesa e della vostra persona, ci riferirono di voi tali e così turpi cose che ci farebbero arrossire se si dicessero di un istrione. E perché queste non siano ignote alla grandezza vostra ne diremo brevemente alcune, perché se volessimo riferirle tutte, un solo giorno non sarebbe sufficiente. Sappiate dunque che non da pochi ma da tutti, ecclesiastici e secolari, Voi, siete accusato d'omicidio, di spergiuro, di sacrilegio ed incesti. Aggiungono cosa che fa arrossire ad udirsi, che avete brindato al diavolo, che avete invocato al gioco dei dadi l'aiuto di Giove, di Venere e altri demoni. Ora noi preghiamo vivamente la paternità vostra di venire a Roma senza indugio e di discolparvi da tutte queste accuse. E se mai temeste la violenza della moltitudine temeraria noi vi assicuriamo con giuramento che nulla si farà fuor della sanzione dei sacri canoni".
In questo periodo, il nipote di Marozia, aveva 26 anni.

Quando ricevette la lettera dell'imperatore, GIOVANNI XII si trovava a Tivoli. Egli si guardò bene dal recarsi a Roma, sapendo quale sorte lo aspettava e rispose con un biglietto in barbaro latino:
"Giovanni vescovo, servo dei servi di Dio, a tutti i vescovi. Abbiamo sentito dire che volete fare un altro papa; se ciò fate io vi scomunico da parte di Dio onnipotente di modo che non abbiate licenza di ordinare nessuno, né di celebrare messa ("Nos audivimus dicere quia vos vultis alium papam facere; si hoc facitis, excommunico vos da Deum omnipotentem, ut non habeatis licentiana nullum ordinare et missam celebrare")".

La lettura di questa risposta indignò l'assemblea, e pure OTTONE scrisse una seconda lettera in cui, fra l'altro, si rimproverava al Pontefice l'errore di grammatica commesso scrivendo nullum invece di ullum. La lettera fu affidata ai cardinali Adriano e Benedetto ma questi non trovarono Giovanni e se ne tornarono a Roma dove per la terza volta si riunì l'assemblea.
Qui l'imperatore, facendosi lui accusatore, ricordò ai presenti che "il Pontefice (e questo lo abbiamo letto in precedenza) oppresso da Berengario e Adalberto, gli aveva mandato ambasciatori in Sassonia, chiedendo proprio a lui di liberare e la Chiesa dagli artigli dei tiranni; e che fu strappato dalle mani del re d'Italia e del figlio di questo; ma dimenticando il giuramento di fedeltà pronunziato solennemente, aveva poi fatto venire a Roma Adalberto impugnando le armi come un capo d'esercito".

Detto questo, l'imperatore chiese che il concilio pronunciasse la sentenza; e tutti gli astanti deliberarono che fosse deposto "quel mostro i cui vizi non erano redenti da alcuna virtù" e gridarono tre volte il nome del protoscrinario LEONE il quale, con il consenso di Ottone, fu condotto in processione al palazzo lateranense. Dopo alcuni giorni, il 6 dicembre Leone, che fu l'ottavo Pontefice con questo nome, fu consacrato nella basilica di S. Pietro e ricevette dal clero e dal popolo giuramento di fedeltà.

Nello steso mese di dicembre, trovandosi ancora a Roma, OTTONE I seppe che la fortezza del Garda e il castello di S. Leo si erano arresi. Berengario e Villa con le loro figlie caduti prigionieri, furono relegati in Germania, a Bamberga, dove finirono nell'oscurità la loro vita; Berengario sappiamo che morì il 6 gennaio del 966, le altre più tardi in un monastero.

Restavano però i due figli Guido e Adalberto. Questi, separatosi dal Pontefice, avevano fatto ritorno in Corsica; Giovanni XII, che dal padre aveva ereditato la tenacia, messosi segretamente in comunicazione con quanti in Roma erano contrari alla signoria tedesca, preparò una congiura per disfarsi dell'imperatore e del nuovo Pontefice.
OTTONE I aveva fatto uscire da Roma il suo esercito perché non gravasse - come dice Liudprando - sulla cittadinanza, tenendo con sé solo una piccola ma agguerrita scorta di cavalieri. Questo scarso numero degli imperiali dava ai congiurati la sicurezza della buona riuscita dell'impresa.
La ribellione scoppiò il 3 gennaio del 964. Brandite le arme, i ribelli mossero contro l'imperatore che abitava in Vaticano, ma lo trovarono pronto a riceverli con le sue milizie.
Uno scontro sanguinoso avvenne sul ponte di S. Angelo che i Romani avevano ostruito con una barricata di carri. "Gli imperiali - riferiamo la vivace descrizione che dell'episodio ci dà il "vescovo di Cremona" - abituati alla guerra, intrepidi e ben armati, si avventano su di loro e, come falchi tra una moltitudine di uccelli, li atterriscono senza incontrare chi resiste. Né nascondigli, né corti, né barche, né cloache furono di scampo ai fuggitivi. Li uccidono e, come suole accadere ai valorosi, li feriscono alle spalle. E chi mai sarebbe dei Romani rimasto salvo se il santo imperatore, incline ad una misericordia che non era certo dovuta, non avesse chiamati e fatto ritirare i suoi assetati di sangue?".

Il giorno dopo i Romani supplicarono il perdono dell'imperatore e davanti la tomba dell'Apostolo gli rinnovarono il giuramento di fedeltà; inoltre gli consegnarono cento ostaggi che però Ottone, dietro preghiera di Leone VIII, rimise in libertà. Alcuni giorni dopo, l'imperatore, essendo corsa voce che Adalberto era ritornato in Italia e si trovava nei pressi di Spoleto, credendo assicurata la tranquillità in città, lasciò come suo rappresentante in Roma OTCHERIO, vescovo di Spira, e partì con le truppe alla volta di Spoleto.
Era assente dalla città solo da pochi giorni quando una nuova ribellione scoppiò. I sostenitori di Giovanni e il popolo, che volevano vendicare la strage del 3 gennaio a Ponte Sant'Angelo, brandirono nuovamente le armi e, levatisi a tumulto, si mossero contro Leone, il quale, riuscito a stento a fuggire, riparò presso l'imperatore. Rimase invece prigioniero il vescovo di Spira.
La città aprì le porte a Giovanni XII, che fu accolto come un liberatore.

Ottone che aveva licenziato gran parte delle sue truppe, non era in grado di marciare su Roma, di modo che il Pontefice riuscì liberamente a fare le sue vendette: di cui furono vittime il cardinale GIOVANNI cui fece mozzare il naso, la lingua e due dita della destra, il prete AZZO cui fece tagliare una mano.
Considerando illegale l'elezione di Leone, convocò in S. Pietro un concilio (26-28 febbraio del 964) in cui fece annullare l'elezione dell'altro Papa e i suoi atti, e privò delle cariche coloro che lo avevano coadiuvato nel brevissimo pontificato.
Però non scomunicò Ottone, come aveva minacciato di fare, sperando di accordarsi con lui.
Infatti, mandò all'imperatore il vescovo di Spira perché negoziasse la pace; ma non giunse a conoscere il risultato delle trattative perché il 14 maggio, sorpreso in flagrante adulterio, fu ucciso.

Mentre questi fatti accadevano a Roma, OTTONE I era impegnato a far venire dalla Lombardia e dalla Germania il suo esercito, per riaffermare con le convincenti armi la sua autorità sulla città ribelle, e a guidarle era lui stesso. Era arrivato a Rieti quando fu raggiunto da una legazione romana, la quale gli comunicò la morte di Giovanni e l'elezione (già avvenuta quattro giorni dopo, il 22 maggio 964) del nuovo pontefice BENEDETTO V.

La notizia di quest'elezione rese ancora più aspro l'imperatore, il quale non poteva, senza provocare un gravissimo colpo al suo prestigio, abbandonare l'uomo che lui aveva fatto eleggere, LEONE VIII. Rifiutatosi di trattare con gli ambasciatori, marciò contro Roma e, prima incominciò a devastarne i dintorni, poi chiuse strade, ponti, fiumi e strinse d'assedio la città.

Risoluti a difendere la loro libertà e il Pontefice che avevano eletto, i Romani speravano di potere resistere alle truppe imperiali. Però più che dalle armi nemiche furono, dopo poche settimane, costretti a cedere dalla fame; il 23 giugno 964 si arresero. Ottone I entrò in Roma alla testa del suo esercito.
Poteva abusare della vittoria: ma non volle, forse per cattivarsi le simpatie della cittadinanza cui perdonò la ribellione, esigendo però che gli prestasse un nuovo giuramento di fedeltà e riconoscesse papa Leone VIII.
Un concilio, cui parteciparono le rappresentanze del clero e del popolo romano e molti vescovi italiani e tedeschi, fu convocato nella basilica di S. Pietro, alla presenza dell'imperatore e di Leone. Coloro che avevano eletto BENEDETTO V lo condussero nell'assemblea, dove gli fu domandato perché avesse osato accettare la dignità del Papa pur essendo vivo Leone VIII. L'infelice Papa non trovò nella risposta, altre parole che queste:
"Se ho mancato, abbiate misericordia di me".
BENEDETTO V allora fu spogliato degli indumenti pontificali e, per intercessione dell'altro Pontefice, ebbe in grazia la vita, ma, con il grado di diacono, fu condannato all'esilio ad Amburgo, dove qualche anno dopo morì.

Dopo aver celebrato la festa dei Santi Pietro e Paolo, l'imperatore partì da Roma.
Il 6 luglio 964 lo troviamo ad Acquapendente, il 29 dello stesso mese a Lucca, dove rimase fino all'8 agosto. Durante la sua dimora a Lucca scoppiò una terribile epidemia che decimò il seguito imperiale senza aver riguardo su truppa, nobili e alto clero. Notiamo, fra le vittime, ENRICO arcivescovo di Treviri e GOFFREDO, duca dell'alta Lotaringia. Da Lucca Ottone passò in Liguria, dove la sua retroguardia fu attaccata da Adalberto che con una schiera di Corsi era tornato nella penisola.
Nella battaglia cadde prigioniero il cappellano imperiale ODDONE. L'imperatore proseguì il viaggio per Pavia e qui, verso la fine dell'anno, ebbe la grata notizia che l'isola Comacina si era arresa a VALDO vescovo di Como.

Nei primi giorni del gennaio del 965 OTTONE I lasciò Pavia e per la via di Milano e Como fece ritorno in Germania, credendo di aver lasciato alle sue spalle una Italia pacificata.
Invece, l'ostinato ADALBERTO si era messo d'impegno per ricuperare il regno paterno e riusciva a tirare dalla sua parte alcuni nobili e vescovi antitedeschi. Fra questi il conte di Pavia BERNARDO, marito di Rodelinda, figlia del re Ugo e cugina di Villa, il vescovo di Piacenza SIGOLDO, il vescovo Guido di Modena, che da Ottone aveva ricevuto la carica di arcicancelliere e l'abbazia di Nonantola, e il conte franco UGO.

A vincere definitivamente il figlio di Berengario, dalla Germania l'imperatore Ottone fece scendere in Italia il duca BURCARDO con un esercito svevo. ADALBERTO gli andò incontro sul Po, ma non ebbe fortuna: le sue milizie furono sbaragliate, il fratello GUIDO perì sul campo, l'altro fratello, CONONE, già caduto nella mani del nemico con una rocambolesca fuga riuscì a salvarsi.
Dei sostenitori di Adalberto il conte UGO fu messo al bando del regno, il vescovo GUIDO fu esiliato fra gli Slavi e sostituito nella carica di arcicancelliere dal vescovo Uberto di Parma che ricevette anche l'abbazia dì Nonantola.

Con la spedizione di Burcardo, ora l'Italia settentrionale poteva dirsi pacificata; ma non era per nulla messa in pace. A Roma, il 1° marzo del 965 era morto il tanto discusso LEONE VIII e tutto ricominciò da capo.
I Romani mandarono ambasciatori in Germania ad Ottone I per chiedergli di nominare un nuovo Pontefice e - se è vera la notizia fornitaci dallo "storico Adamo di Brema" - lo fecero pregare di rimettere sul soglio papale BENEDETTO V che era ancora vivo nel suo esilio di Amburgo; ma fu nemmeno presa in considerazione questo appello..

OTTONE invece inviò a Roma, come suoi messi, il vescovo OTCHERIO di Spira e LIUDPRANDO e alla loro presenza il popolo elesse papa il vescovo di Narni che si chiamò GIOVANNI XIII. Era una persona degnissima, secondo alcuni storici, il nuovo Pontefice, ma era se non proprio filo-tedesco tuttavia troppo ligio all'imperatore e questo non poteva piacere ai Romani, al popolo e alla nobiltà, per i quali non invano era passato il ventennio di politica indipendente e veramente nazionale di ALBERICO (il famoso potente "princeps" di Roma).
"Non erano le qualità personali di un Papa - "scrive il Bertolini" - che potessero oramai fissare la situazione di Roma e del papato. La questione non era personale, ma di principi; si trattava di sapere se Roma e il papato sarebbero stati indipendenti, o soggetti all'impero germanico". (come temeva a suo tempo, Alberico).

GIOVANNI XIII mostrò subito di essere un Pontefice legato alla volontà imperiale ed ebbe contro di sé gran parte della cittadinanza con la quale non poteva (davanti a un esercito come quello tedesco, pronto ad intervenire) di certo competere il debole partito anti-imperiale capitanato da un certo GIOVANNI, figlio di CRESCENZIO.

Una congiura fu ordita contro il Pontefice, della quale facevano parte PIETRO, prefetto della città; ROFFREDO, conte della Campagna, e il vestiario STEFANO, che avevano dalla loro parte i capitani del popolo, cioè, i capi dei dodici quartieri detti "decarconi".

Il 1° dicembre del 965 prima fu deposto, poi il 16 dicembre GIOVANNI XIII fu catturato, insultato, maltrattato e chiuso in Castel Sant'Angelo dai nobili ribelli, poi relegato in uno dei castelli del conte Roffredo, da dove poi, con l'aiuto di Pandolfo di Capua, riuscì a fuggire e ad implorare il soccorso dell'imperatore.

Nell'agosto del 966 OTTONE I convocò una dieta per deliberare sui provvedimenti da prendere intorno alla questione romana, e la dieta all'unanimità stabilì una nuova spedizione in Italia.
Lasciato il regno sotto la custodia di ERMANNO di Sassonia e il figlio alle cure dell'arcivescovo GUGLIELMO di Magonza, nell'autunno dello stesso anno l'imperatore scese in Italia. In Lombardia badò a debellare i residui della fazione di Adalberto: SIGOLDA di Piacenza fu relegato in Germania, a BERNARDO di Pavia furono confiscati i beni dati poi al conte GISELBERTO di Bergamo; GUIDO di Modena invece fu restituito al suo vescovado. L'anno successivo, anche a SIGOLFO sarà condonata la pena e ridato il seggio episcopale piacentino.

Rimessosi in viaggio, OTTONE giunse a Roma verso la metà di dicembre. Qui l'ordine era già stato ristabilito. Alla notizia che OTTONE era sceso in Italia, il partito anti-tedesco si era subito defilato, e quello filo-imperiale aveva ripreso forza; GIOVANNI di CRESCENZIO aveva occupato Castel Sant'Angelo, si era impadronito del governo ed aveva richiamato il profugo Pontefice GIOVANNI XIII, sbarazzandosi del conte GOFFREDO e del vestiario STEFANO che rimasero vittime della reazione.

Questa infuriò ancora di più all'arrivo dell'imperatore e di GIOVANNI XIII ritornato sul soglio. Le ceneri di Goffredo e Stefano furono levate dalla tomba e con scherno e infamia disperse, molti popolani furono uccisi, i dodici "decarconi" impiccati, parecchi nobili relegati in Sassonia, PIETRO fu prima sospeso per i capelli al "Caballus Costantini", cioè alla statua equestre di Marc'Aurelio che ornava allora la piazza del Laterano ed ora quella del Campidoglio, poi fu condotto per la città e deriso con la testa dentro un otre a cavalcioni di un asino e infine mandato in esilio in Germania.

Questi fatti produssero grande impressione non solo in Italia ma anche in Oriente. Più tardi il vescovo LIUDPRANDO, mandato da Ottone in missione a Costantinopoli, si sentirà, infatti, rispondere dall'imperatore NICEFORO FOCA:
"Noi volevamo accoglierti con bontà ed onore; ma l'empietà del tuo padrone ce l'ha proibito; egli occupò Roma come nemico e fece perire di spada moltissimi Romani, altri sotto la scure del carnefice, a non pochi fece cavare gli occhi e molti li mandò in esilio".

Così il papato cadeva sotto la dipendenza dell'impero, Roma fu ridotta a città vassalla, e al monaco Benedetto di monte Soratte nella solitudine del suo chiostro "urlava" nel suo "Galearum gentes usurpata" (che riportiamo nella sua traduzione di un barbaro latino):

"Guai a te, o Roma, da tante genti oppressa e concupita ! Anche dal re sassone sei stata presa e il tuo popolo è stato messo a fil di spada e la tua potenza ridotta a nulla ! Il tuo oro e il tuo argento se lo portano via nelle loro tasche. Madre fosti, ora sei figlia; quel che possedevi perdesti; fosti spogliata della tua grandezza antica. Quando eri al culmine della potenza trionfasti sui popoli, calpestasti il mondo, mettesti fieramente a morte i re della terra e avevi lo scettro e il massimo potere ! Ora dal re di Sassonia sei stata spogliata e desolata! Come dicono alcuni savi e come trovasi pure scritto nelle tue storie, una volta combattesti contro i popoli stranieri e sottomettesti il mondo da ogni parte, dal nord al sud. Ora sei caduta sotto il dominio delle genti d'oltr'Alpi. Fosti troppo bella! Vediamo ancora le tue mura con le torri e i merli: avevi trecentottantuno torri, quarantasei castelli turriti, seimila ottocento merli, quindici porte. Guai a te, o città Leonina! Una volta fosti presa, ora dal re sassone sei veramente desolata !".

Le parole del rozzo monaco, che non sa di latino sono le prime voci della patria che si fanno sentire dalle rovine d'Italia. Ci sono dentro (e sembrano quelle dei poeti del primo ottocento, Alfieri, Foscolo, Manzoni ecc. ) il rimpianto accorato della passata grandezza, la nostalgia infinita della libertà di una volta e una tristezza grande, provocata dalla miseria in cui l'eterna città e con essa l'Italia è caduta per opera degli stranieri.
La voce del solitario monaco è per noi testimonianza preziosa di uno stato d'animo che in questo periodo è di sconforto, ma più tardi sarà di sdegno; essa è la voce ancora lontana, debole, singhiozzante della nuova coscienza italiana che comincia a formarsi.
Ma occorreranno quasi 1000 anni per tornare tutta in superficie.
Nel bene (come affermano alcuni) o nel male (lo affermano altri) a scuoterli fu poi Napoleone.

Ma prima di questi altri mille, dobbiamo ritornare
alla politica di Ottone di questi anni
alla sua personalità storica e alle conseguenze di questa sua politica
ed è appunto il periodo che segue
dall'anno 967 al 973 > > >

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Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 


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