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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI dal 882 al 887 

L'ULTIMO IMPERATORE CAROLINGIO - N. FOCA NEL SUD

I NORMANNI E L'IMPERO CAROLINGIO - ACCORDO DI ESLOO TRA CARLO III E GOTTIFREDO - ELEZIONE DI PAPA MARINO I - CARLO III RITORNA IN ITALIA - RIBELLIONE DI GUIDO II DI SPOLETO, SUA RICONCILIAZIONE CON L'IMPERATORE - L' IMPERO CAROLINGIO RIUNITO SOTTO CARLO III - ELEZIONE DI STEFANO Y - ULTIMA DISCESA DI CARLO IN ITALIA - PROGRESSI DEI BIZANTINI NELL'ITALIA MERIDIONALE: NICEFORO FOCA - STEFANO V E GUIDO DI SPOLETO - I NORMANNI ASSEDIANO PARIGI - DEPOSIZIONE E MORTE DI CARLO III
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L'IMPERO CAROLINGIO NEGLI ULTIMI ANNI


Alla morte del fratello Ludovico III, CARLO il GROSSO, ereditati i suoi domini, si trovò sovrano di un regno vastissimo. Mancavano però ad un così vasto organismo, dopo tanti anni di lotte civili e così frequente succedersi di sovrani, la forza, la coesione, l'ordine e la disciplina, come mancava all'imperatore la forza necessaria per governarlo e respingere le invasioni dei Normanni, i quali, pur sconfitti a Hohlenwald e a Cambray, si erano rifatti vivi sul Reno conquistando Colonia, Bonn, Treviri ed Aquisgrana.

Dalla regione della Mosa in cui i Normanni avevano costruito un forte campo trincerato, spargevano il terrore nella Francia e nella Germania, quando, preoccupato dai troppi progressi dei barbari del nord CARLO il GROSSO lasciò Ravenna e, passate, verso la fine d'aprile (882), le Alpi, si recò a Worms, dove convocò una dieta per provvedere alla difesa dell'impero.

Essendo stato deliberato di fare un energico sforzo contro gl'invasori, Carlo raccolse un numeroso esercito in Francia, in Germania e in Italia e mosse contro i Normanni trincerati ad Esloo.
La battaglia, se fosse stata ingaggiata, avrebbe - date le forze di cui disponeva l'imperatore - abbattuto senza dubbio la nascente potenza normanna; ma ad Esloo la battaglia venne a mancare.
Consapevole della propria inferiorità, GOTTIFREDO, duce dei Normanni, propose a CARLO un accordo, impegnandosi di abbracciare il Cristianesimo e di prestare ubbidienza all'imperatore. Questi accettò le proposte, assegnò a Gottifredo parte della Frisia e come per suggellare l'accordo gli diede in moglie GISELA, figlia di Lotario II e di Valdrada (luglio dell'882).

CARLO rimase in Germania tutto il resto dell'anno e i primi mesi del successivo.
Si trovava, nell'aprile dell'883, a Ratisbona, quando gli giunse la notizia che papa GIOVANNI VIII era morto e gli era successo MARINO I. La consacrazione del nuovo pontefice avvenuta senza il consenso del messo imperiale, e i primi atti di lui contrari alla politica seguita dal predecessore (Marino aveva rinnovato l'anatema, contro il patriarca Fozio e richiamati dall'esilio gli amici di Formoso) consigliarono Carlo a ritornare in Italia.

Accompagnato da LIUTUARDO, che nell'880 aveva innalzato all'episcopato di Vercelli e copriva la carica di arcicapellano imperiale, nello stesso mese d'aprile Carlo ripassò le Alpi. A Verona tenne un'assemblea, poi si recò a Mantova, dove ricevette un'ambasciata del doge di Venezia, e infine al monastero di Nonantola.

Qui si incontrò con il Pontefice, venuto ad ossequiare l'imperatore e a lagnarsi con lui del contegno di GUIDO II, duca di Spoleto e Camerino, che non voleva restituire i beni usurpati alla Santa Sede, molestava il monastero di Farfa ed era accusato di intrighi con la corte bizantina a danno del monarca franco.

Carlo citò il duca a comparire davanti al suo tribunale, ma Guido, che era certo di venire condannato, si ribellò e, ingrossate le sue schiere con mercenari saraceni, si preparò a difendere con le armi i suoi feudi, confiscatigli dall'imperatore, il quale aveva mandato contro di lui il fido BERENGARIO, marchese del Friuli.

BERENGARIO, sceso contro il duca ribelle, con una serie non breve di fortunate operazioni lo mise a mal partito ed avrebbe avuto ragione di lui se la peste, scoppiata fra le sue truppe, non lo avesse costretto a sospendere le ostilità e a ritirarsi.
Anche l'imperatore, colpito dal morbo, si ritirò nell'Italia superiore, da dove, nel novembre, fece ritorno in Germania, deciso a riprendere la guerra contro il ribelle con forze maggiori.
Ma l'esecuzione del suo disegno fu ritardata dai Normanni, che, rotti i patti, avevano ricominciato le loro incursioni nel territorio dell'impero e dagli Slavi della Moravia che, guidati da SWATOPLUK, devastavano la Pannonia.

Desideroso di aver le mani libere al nord, Carlo stipulò un accordo con il principe
slavo, poi nell'autunno dell'884, alla testa di un numeroso esercito, per la via della Carinzia
scese in Italia. Questa volta però non ebbe bisogno di fare uso delle armi: il 6 gennaio
dell'885 GUIDO da SPOLETO e i suoi partigiani si presentarono a Pavia, e giurarono fedeltà all'imperatore, il quale, riconciliatosi volentieri con loro, restituì i beni confiscati.

Si trovava in Lombardia, quando gli giunse la notizia che, nel dicembre dell'884, era morto l'ultimo dei bastardi di Ludovico il Balbo, CARLOMANNO, di soli diciotto anni, lasciando un figlio di appena 5 anni di età, che doveva più tardi essere re di Francia col nome di CARLO il SEMPLICE.
Essendo la Francia minacciata, dalle invasioni normanne, i Grandi di quel paese non stimarono prudente affidare il regno ad un consiglio di reggenza e decisero di dar la corona a CARLO il GROSSO. Così per la prima volta dopo Ludovico il Pio, tranne la Provenza, che apparteneva a Bosone e la Bretagna, i domini franchi tornavano a raccogliersi sotto lo scettro di un solo sovrano.

Ritornato ad unità l'impero di Carlomagno, parve che l'antica potenza e l'antico splendore dovessero rinascere. Ma non invano era passato mezzo secolo di guerre civili ed esterne. Il vasto impero ora era un informe aggregato di Stati, diversi per fisionomia e per bisogni, non uniti tra loro da saldi vincoli, in cui era cresciuta la potenza dei grandi, ed era, con la disciplina e con l'ordine, diminuito il prestigio dell'autorità imperiale che non certamente la scialba personalità di Carlo il Grosso avrebbe potuto restaurare.

Se Carlo non era quell'inetto e quel vile che certi storici hanno voluto sostenere che fosse, non era, in verità neppure un sovrano dotato di tale energia da imporre rispetto ai Grandi dell'impero e sgombrare i suoi territori dagli invasori normanni.

Questi, come s' è detto, non avevano avuto fede ai patti di Esloo. Gottifredo alleatosi con il cognato Ugo; fratello di Gisela, era ritornato a minacciare l'impero con il proposito di impadronirsi della Lotaringia ed avrebbe realizzato il suo disegno se contro di lui e del cognato non fosse sorto un audace feudatario tedesco, il conte ENRICO, il quale era riuscito ad uccidere il duce normanno e, avuto nelle mani Ugo, lo aveva fatto accecare.

Morto GOTTIFREDO, il suo successore SIGIFREDO, ricevuti rinforzi, si era spinto fino ad Amiens. Allontanato di là con un donativo di dodicimila libbre d'argento, si era gettato nella Lotaringia e si era impadronito di Lovania.
A scacciare dai domini franchi i Normanni ci voleva ben altra tempra d'uomo che non fosse Carlo. Questi, recatosi in Francia nel maggio dell'885 a prender possesso
del regno, tentò di ritogliere al nemico Lovania, ma la resistenza dei Normanni rese
vani i suoi tentativi.

Più che degli invasori ora CARLO il GROSSO si occupò della sua successione. Non tenendo conto dei diritti che potevano vantare CARLO (il Semplice) e ARNOLFO di Carinzia, bastardo del fratello Carlomanno, egli intendeva assicurare la successione ad un suo bastardo di nome BERNARDO. Poiché non pochi vescovi erano contrari al suo progetto, Carlo cercò di superare l'opposizione per mezzo del Pontefice e mandò in Italia un'ambasciata per invitare il Papa a recarsi in Germania.

Sedeva allora sul soglio di S. Pietro ADRIANO III, successo a Marino I il 17 maggio dell'884. Ricevuto l'invito, il Pontefice lasciò il governo di Roma a Giovanni vescovo di Pavia e si mise in viaggio; ma a S. Cesario sul Panaro, nel settembre dell'885, colpito da improvvisa malattia, cessò di vivere.
Il suo successore fu STEFANO V. Poco tempo dopo l'elezione del nuovo Papa, Roma ricevette una visita di LIUTUARDO, il potente cancelliere dell'imperatore.
Lo aveva inviato Carlo per deporre il Pontefice, non sappiamo bene da quale motivo spinto, forse perché aveva creduto che l'elezione era stata fatta irregolarmente. Ma Liutuardo costatò che l'elezione era avvenuta regolarmente alla presenza del messo imperiale.
Dal canto suo STEFANO V si affrettò ad inviare legati a Ratisbona per invitare Carlo a scendere in Italia.

L'imperatore scese nel febbraio dell'886. Si ignorano la cause che spinsero Carlo a passare le Alpi. Se pensiamo che per i progressi delle armi normanne la sua presenza era necessaria in Francia non possiamo credere che la sua discesa in Italia sia avvenuta solo per aderire all'invito del Pontefice (e più avanti lo chiariremo)
Dobbiamo pertanto pensare che le condizioni della penisola e non altro motivo consigliarono l'imperatore al suo viaggio, e delle quali condizioni ora dobbiamo accennare, dopo aver già visto nelle pagine precedenti i vari fatti d'armi, e che brevemente ricordiamo.

I BIZANTINI IN ITALIA
GUIDO DI SPOLETO E BERENGARIO DEL FRIULI
FINE DELL'IMPERO CAROLINGIO


Nell'Italia meridionale, dopo la morte di LUDOVICO II, i Bizantini avevano a poco a poco cominciato a riacquistare il terreno e l'influenza che i duchi beneventani prima, i Saraceni poi, avevano loro fatto perdere.

ADELCHI - lo abbiamo visto - pur di non ritornare vassallo dell'imperatore franco, nell'873 si era reso tributario di Costantinopoli. Nell'876 lo stratega bizantino GREGORIO comparve con una flotta nelle acque di Otranto e, chiamato dagli abitanti di Bari, minacciati dal saraceno OTHMAN, occupò in nome del suo imperatore questa città.

Questa occupazione fu il principio della riscossa bizantina del mezzogiorno d'Italia, dove le armi dell'imperatore BASILIO erano favorite dal desiderio delle popolazioni di sottrarsi all'odiato giogo musulmano.
Nell'880 lo stratega NASAR, reduce dalla Sicilia, passò in Calabria ed operando con le forze capitanate dal protovestiario PROCOPIO e da LEONE APOSTIPPI riprese gran parte della provincia ai Saraceni, una cui flotta, venuta dall'Africa, fu da lui sconfitta al Capo Stilo.

Tornato NASAR a Costantinopoli, la gelosia tra Procopio e Leone arrestò i progressi bizantini; pur tuttavia Leone riuscì a impadronirsi di Taranto. Richiamato costui da Basilio, fu sostituito da STEFANO MASSENZIO, ma non avendo dato nemmeno lui una buona prova, fu mandato al suo posto nell'885 un abilissimo generale, NICEFORO FOCA, avo dell'omonimo che più tardi poi sali al trono di Costantinopoli.
NICEFORO rialzò le sorti delle armi bizantine; vincitore in numerosi scontri con i Musulmani, costrinse alla resa Amantea, Santa Severina e Tropea, teste di ponte dei Saraceni, e riportò il resto della Calabria e una buona parte della Puglia sotto il dominio dell'impero d'Oriente.

Al valore militare Niceforo Foca accoppiò una rara abilità politica: volendo ridare sollievo agli abitanti della Puglia e della Calabria dei danni patiti sotto i Musulmani e guadagnare ai Bizantini, con un governo mite le simpatie delle altre popolazioni del mezzogiorno, Foca trattò con molta umanità i sudditi e diminuì il più possibile i tributi; ma nello stesso tempo, per assicurare la conquista e legare maggiormente i territori all'impero, lasciò nelle varie città piccoli presidi, fondò vescovadi bizantini in diverse località e ripopolò alcune terre con tremila schiavi affrancati da Basilio.

Un esempio dell'umanità di Niceforo si ebbe quando, morto l'imperatore nell'886, e richiamato in Oriente per assumere la difesa dell'Asia Minore, lasciò l'Italia.
I suoi soldati che si preparavano con lui al rientro, avevano condotto a Brindisi, dove dovevano imbarcarsi, una moltitudine di prigionieri italiani che speravano vendere come schiavi in Oriente. Niceforo, per liberarli, non volendo alienarsi le simpatie dei suoi soldati, ricorse ad uno stratagemma: fece prima salire sulle navi le truppe, poi con chissà quale pretesto fece improvvisamente sciogliere le vele per prendere il mare; e ai prigionieri che erano ammassati sulla riva, in pratica concesse loro la libertà.

Fu tale la gratitudine degli Italiani che su quella spiaggia fu poi in onore di Foca innalzato un tempio a San Foca, di cui il generale bizantino portava il nome.

"Uno dei principali motivi delle affermazioni dei Bizantini nell'Italia meridionale fu - sono parole del Romano- il graduale assoggettamento all'influsso bizantino dei principati longobardi e delle città della costa campana, i quali, lacerati da continue gare e in guerra quasi perpetua fra loro, non solo furono costretti a subire l'intervento dei Bizantini, ma alcune volte ad invocarlo, accogliendo guarnigioni di ausiliari o sollecitando titoli onorifici che erano espressione ora di un semplice protettorato, ora di un vero e proprio vassallaggio.

II primo ad entrare in questa ottica fu il principe GUAIMARO di Salerno, successo a GUAIFERIO nell'880, che chiese ed ottenne dai Bizantini aiuti di denari e soldati e recatosi personalmente a Costantinopoli fu dall'imperatore insignito del titolo di patrizio. L'esempio -positivo- fu presto seguito da altri: ATANASIO duca di Napoli ebbe una guarnigione di
Ausiliari anche lui. GAIDERICO principe di Benevento, successo a ADELCHI nell'878 e rovesciato nell'881 dal nipote RADELCHI, fuggi a Costantinopoli e tornò a casa con il titolo di protospatario per governare la città di Oria. AIONE, fratello di Radelchi e suo successore nell'884, combatté all'inizio contro i Bizantini giungendo fino a togliere loro la città di Bari, ma poi la restituì e si accordò, accettando tacitamente la preponderanza bizantina nella Puglia. ATENOLFO conte di Capua cercò anche lui l'alleanza e la protezione bizantina. Lo stesso GUIDO, marchese di Spoleto, entrò in relazione con il basileus, e probabilmente queste relazioni non cessarono neppure dopo la sua sottomissione all'imperatore Carlo III.

Insomma, da qualunque lato si guardi, vediamo l'Italia meridionale interamente soggetta all'influenza greca; e dove i Bizantini non comandano direttamente, comandano indirettamente per mezzo di clienti e di vassalli.

A render più salda l'egemonia bizantina nell'Italia meridionale contribuivano senza dubbio i buoni rapporti esistenti tra la corte di Costantinopoli e il Papato. La politica di GIOVANNI VIII (l'abbiamo vista com'era così oscillante) resa necessaria dal pericolo musulmano, era stata poi seguita anche da MARINO I, il quale, pur dichiarandosi contrario a Fozio, aveva mantenuto i vincoli di amicizia politica, stretti dal suo predecessore con l'impero d'Oriente.
La stessa via fu battuta da STEFANO V, né la mutò quando, morto Basilio, gli successe al trono imperiale LEONE il saggio.
Politica diversa da quella seguita da Marino e Giovanni VIII fu quella dello stesso STEFANO nei riguardi del marchese di Spoleto. GUIDO, uomo ambizioso, infido e senza scrupoli, era in quel periodo il più potente signore dell'Italia centrale; disponeva di forze ragguardevoli, aveva potenti parentele ed amicizie tra la nobiltà franca ed era quindi un vicino troppo pericoloso per la S. Sede. Tenere verso di lui il medesimo atteggiamento che con i signori di Spoleto avevano tenuto Giovanni VIII e Marino I sarebbe stata una politica non esente di pericoli data la debolezza di Carlo il Grosso, le condizioni dell'impero carolingio e l'ambizione e irrequietezza di Guido.

STEFANO V comprese che la via migliore da seguire era quella di ingraziarsi il marchese di Spoleto, il quale avrebbe potuto non solo difendere lo stato pontificio dalle incursioni dei Musulmani di Sicilia e del Garigliano, ma anche frenare dal nord la crescente e preoccupante potenza dei Bizantini in Italia. Pertanto il Pontefice si avvicinò a Guido e per guadagnarlo maggiormente alla sua causa lo adottò come figlio.

La potenza bizantina nel mezzogiorno d'Italia e la nuova politica di Stefano V nei riguardi del marchese di Spoleto non potevano che preoccupare CARLO il GROSSO, sospettoso per natura e anche mal disposto verso il Pontefice. Lo preoccuparono così tanto che, invece di provvedere con energia a difendere la Francia dai Normanni, scese, come abbiamo già detto sopra, nel febbraio dell'886 in Italia, a seguito di un vago invito del papa.

Ma a Roma non si recò e si limitò a mandarvi LIUTUARDO.
A che cosa si affaccendasse nel suo ultimo soggiorno in Italia non sappiamo quasi nulla con precisione, né risulta che cercasse di leggere a fondo i mutati rapporti tra la S. Sede e Guido da Spoleto.
Forse da LIUTUARDO fu tranquillizzato dal contegno del Papa. Quanto al marchese Guido non è impossibile che l'imperatore contasse molto sulla rivalità esistente tra il marchese di Spoleto e BERENGARIO del Friuli che era il principe più potente dell'Italia superiore, parente di Carlo per parte della madre Gisela, figlia di Ludovico il Pio e, tra i signori italiani, il più ardente sostenitore della dinastia carolingia.

Si trovava CARLO il GROSSO in Lombardia quando gli giunsero notizie allarmanti dalla Francia. I Normanni, guidati da SIGIFRIDO, erano giunti, fin dal novembre dell'885 quasi fino a Parigi, difesa dal vescovo GAUZLIA e dal conte ODONE, avevano superato, dopo non pochi sforzi, una trincea costruita fuori le mura ed avevano posto l'assedio alla città. Il 16 aprile dell'886 era morto il vescovo, che era un po' l'anima della difesa parigina e, dato lo sgomento che aveva invaso gli animi dei difensori, si temeva che presto Parigi cadesse in mano ai Normanni.

Chi portava all'imperatore in Lombardia queste notizie era il conte Odone, il quale era riuscito a lasciar la città e correre in Italia a chiedere aiuto al sovrano. Questi non rimase insensibile all'appello dei Parigini: lasciata Pavia, corse in Francia; a luglio si fermò e convocò a Metz una grand'assemblea e si preparò a riunire un poderoso esercito da tutte le parti dell'impero con il proposito di affrontare e schiacciare gli invasori.
Appena allestite le truppe, mandò una parte di loro al comando del conte ENRICO, l'uccisore di Gottifredo, in soccorso della città assediata, ma la fortuna non arrise al nobile tedesco, che ingaggiata battaglia con il nemico vi trovò la sconfitta e la morte.

Allora l'imperatore si mosse personalmente con il grosso dell'esercito e andò ad accamparsi a Montmartre, a poca distanza dal nemico. Un combattimento decisivo pareva imminente; ma Carlo era l'uomo delle soluzioni pacifiche. La battaglia che avrebbe potuto salvare l'impero e fiaccare l'audacia dei Normanni non avvenne; CARLO il GROSSO preferì trattare con il nemico (ottobre dell'886) e persuaderlo ad allontanarsi promettendogli il pagamento di settecento libbre d'argento e concedendogli lo stanziamento nella Borgogna.

Fu ritenuto questo un gravissimo atto di codardia che doveva costargli il trono. Il malcontento suscitato nell'impero dai patti con i Normanni, raggiunse il massimo dell'intensità nella primavera dell'887. Prima vittima fu il cancelliere LIUTUARDO, il più fido consigliere dell'imperatore. Contro di lui furono rivolte gravissime accuse, e Carlo si trovò costretto ad allontanarlo dalla corte e a confiscargli i beni. Seconda vittima fu l'imperatrice Riccarda: accusata di rapporti intimi con Liutuardo, fu ripudiata e divorziata da Carlo e andò a chiudersi in un monastero di Andelau.

La sorte toccata alle due persone che a lui erano state tanto care e un attacco apoplettico che lo privò dell'uso degli arti inferiori ridussero l'imperatore in uno stato miserando. Carlo non era più che l'ombra di se stesso, un sovrano senza autorità rispetto a quello che era stato l'impero di Carlomagno.

Mentre CARLO il GROSSO in quelle condizioni vagava da una città all'altra, si addensava sulla Germania la tempesta che doveva abbatterlo. Si trovava a Treviri l'11 novembre dell'887, dove aveva convocato un'assemblea, quando gli giunse la notizia che il nipote ARNOLFO, ribellatosi, marciava contro di lui alla testa di numerose truppe raccolte in Carinzia e in Baviera.

Affranto dai dolori e dalla malattia, l'imperatore tentò tuttavia di resistere al nipote, ma ben presto si accorse dì non aver seguito fra i suoi sudditi, e dovette desistere dal suo proposito. A Francoforte in quello stesso mese ARNOLFO fu proclamato imperatore e contemporaneamente fu decretata la deposizione di CARLO il GROSSO.

Accompagnato da pochi fedeli, l'infelice Carlo si ritirò nella Svevia, dove Arnolfo aveva voluto che si ritirasse; lì cessava di vivere un mese dopo, il 13 gennaio dell'888 e fu sepolto nel chiostro di Reichenau.

Con la morte di Carlo il Grosso e il crollo dell'impero carolingio
ne sorgeva un altro dalle sue rovine.
Un nuovo periodo si inaugura nella storia dell'Europa:
il PERIODO FEUDALE.

Prima però di cominciare a narrarne le vicende sarà bene vedere le condizioni della penisola e delle isole d'Italia alla fine del periodo storico che abbiamo trattato fin qui.

Ed è appunto nella prossima puntata
che andiamo a vedere alla fine di questo secolo IX, le condizioni

IL REGNO ITALICO, LE MARCHE, LO STATO PONTIFICIO, LONGOBARDI E BIZANTINI, LA SICILIA SOTTO LA DOMINAZIONE MUSULMANA - LA POPOLAZIONE ITALIANA - AGRICOLTURA E COMMERCIO

nel periodo 887 - 888 > > >

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
RINALDO PANETTA - I Saraceni in Italia, Ed. Mursia
L.A. MURATORI - Annali d'Italia,
VITORIO GLEIJESIS - La storia di Napoli, Soc. Edit Napoletana
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988 
CHATEAUBRIAND -Discorsi sopra la caduta dell'Impero Romano Pirotta MI - 1836

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vedi anche TABELLONE SINGOLI ANNI E TEMATICO

ai RIASSUNTI - alla TABELLA TEMATICA - alla H.PAGE