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CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 849 d.C.

(Vedi QUI il periodo in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")

* * * I NAPOLETANI, CHE EROI !!!!!
* * * LA BATTAGLIA DI OSTIA

Mentre a Benevento si metteva pace e mentre a Roma papa LEONE IV, accelerava i lavori per cingere di mura le basiliche e sbarrava il Tevere con catene di ferro, giunse la notizia che sulle coste della Sardegna si concentravano numerose forze di Saraceni d'Africa con il proposito di fare dell'isola una base per poi più agevolmente compiere della scorrerie sulle coste italiane. A Roma cominciarono a temere uno sbarco a Ostia.

La notizia era giunta anche a Napoli, a Gaeta e ad Amalfi, e queste città, non tollerando che i Saraceni spadroneggiassero sul Tirreno e infestassero e saccheggiassero le coste della penisola, con un "nuovo spirito" che non era ancora mai riapparso in Italia dal tempo dei Romani (alcuni affermano che fu il primo tentativo patriottico d'Italia) armarono i loro navigli, affidarono il comando all'ormai prode CESARIO e li mandarono davanti ad Ostia.
LEONE IV, che sapeva dei rapporti d'amicizia intercorsi nel passato tra Musulmani e Napoletani, perfino a lui non sembrava vero quel disinteressato aiuto, e quel "nuovo spirito"; sospettando un'insidia, volle che Cesario giurasse di essere venuto come amico ed alleato e, quando fu convinto che le navi della lega campana erano accorse veramente per difendere Roma dai saraceni, volle lui stesso condurre le sue milizie romane e quelle del ducato, al campo franco per unirle a quelle amalfitane-napoletane già pronte per sferrare l'offensiva per terra e per mare ai nemici che già erano al largo.

I soldati, i marinai, alla vista del Pontefice, gli s'inginocchiarono davanti, e lo pregarono che li benedicesse e li comunicasse per poi avere maggior forza nel momento dello scontro. Il Pontefice esaudì le preghiere dei campioni di fede e in questa occasione anche "di patria" che palpitava nel cuore di quei rudi naviganti, poi celebrò la messa, comunicò i combattenti, diede l'apostolica benedizione, pregò Iddio che volgesse ai Cristiani la vittoria sugli infedeli, e infine se ne tornò a Roma.

Il giorno dopo comparvero all'orizzonte numerosissime navi dei Musulmani, schierate in ordine di battaglia e subito i guerrieri romani e ducali montarono sui loro navigli, pronti per aggredire il nemico, mentre la flotta napoletana-amalfitana, guidata da Cesario, iniziò i suoi movimenti per affrontare coraggiosamente e frontalmente l'armata musulmana.

Il cozzo fu tremendo; ma per alcune ore, le sorti della battaglia furono molto incerte, quando, ad un tratto, si oscurò il cielo, un vento impetuoso si levò, s'ingrossarono le onde, fu sconvolto tutto il mare, le navi senza governo e le vele lacerate galleggiavano come fuscelli, altre il vento di libeccio le spingeva sulla spiaggia, poi le risucchiava, poi tornava a ributtarle sfasciate sul lido.

Nella violenza della tempesta rimasero salde le navi italiane, costruite non solo più solide ma erano anche abilmente manovrate dagli esperti navigatori di Napoli e di Amalfi che conoscevano bene la violenza di quel libeccio, e prevedendo il peggio, erano arretrati, pronti ad entrare nel porto; mentre quelle dei Saraceni invece, piccole, meno resistenti, montate da ciurme poco esperte, senza abile governo furono prima sballottate dai venti e dalla tempesta poi quasi tutte andarono a picco nella furia dei marosi, o arenate al lido o sfasciate sulla scogliera.

Un'apocalittica strage di Musulmani, morti, quasi tutti annegati; quelli finiti in mare, tenendosi a galla imploravano di essere salvati dagli stessi cristiani; furono fatti prigionieri, portati poi a Roma e adibiti ai lavori di quelle nuove mura "leonine" per cingere la città della cristianità.

"…Gloriosa battaglia, - scrive il Romano - delle più belle combattute in Italia per una causa nazionale! Eppure di questa splendida impresa non rimase che l'oscuro ricordo lasciato dai cronisti, poi nelle genti anche il ricordo venne a mancare, quando, attraverso le mutazioni civili che avvennero nell'Italia meridionale, la monarchia normanna questi ricordi li soffocò, insieme con l'indipendenza; e perfino le limpide memorie delle repubbliche marittime di Napoli, di Amalfi e di Gaeta furono offuscate, infine dimenticate"
La storia deve riconoscere ad esse e a CESARIO il merito di quella che, secondo alcuni, fu la più insigne vittoria navale dei cristiani italici sui musulmani, prima di Lepanto.

"Coscienza nazionale", "indipendenza", "patria", "Italia Unita", erano, e rimasero per altri dieci secoli parole abominevoli, ogni tanto furono qui e là nella penisola invocate dalla "plebe", che invece di imporsi come "popolo", non era altro –dissero gli “unti dal signore” - un'accozzaglia, erano -dissero- i "cospiratori" dell'ordine "già" costituito dalla divina provvidenza, esercitato da sovrani messi a guidare la plebaglia dalla "volontà divina".

La storia civile italiana, che non trascurò i più insignificanti episodi della nostra vita comunale, dimenticò o quasi gli sforzi e l'ardire generoso con cui i prodi e abili marinai di Amalfi e di Napoli fecero le prime leghe e combatterono le prime battaglie che furono -dal tempo dei Romani- le prime vittorie riportate da Italiani "italiani" contro gli stranieri. Cancellata dai fasti civili, la memoria di quei trofei, rimase solo nella liturgia e nelle tradizioni ecclesiastiche che ne attribuirono il merito alla Chiesa, ai "miracoli", cioè che che il vento di Dio "aveva combattuto per i cristiani", e ancora oggi la vittoria di Ostia, immortalata da Raffaello in un affresco del Vaticano, vive nel mondo dell'arte solo come un trionfo del Pontificato romano.
(Ma non non dimenticò Raffaello di far campeggiare di fronte al Papa la figura del napoletano Cesario con i suoi prodi guerrieri).
Roma espresse poco la sua gratitudine ad Amalfi e a Napoli. E gli "unti del signore" che vennero molti secoli dopo, nell'ambita unità, ancora meno; anzi quegli eroi non li chiamarono nemmeno più "plebei", li chiamarono "briganti".

Scrisse in proposito il Gleijeses : "Noi non riteniamo che sia esagerazione municipalistica, come dice il Cassandro, l'affermazione dello Schipa che questa vittoria di Ostia sia stata la più insigne vittoria navale dei Cristiani sui Musulmani prima di Lepanto. Questa battaglia è un vanto dei napoletani e poiché tutti ci rinfacciano tanti difetti e tanti torti, non vediamo perché, potendo vantare qualcosa, dobbiamo astenercene"

(Vedi QUI lo stesso periodo in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")

*** FRANCIA - Se in Italia, i due longobardi per annientarsi a vicenda -come abbiamo visto- ricorrevano entrambi all'aiuto di saraceni, e Ludovico era sceso nel Beneventano per mettere termine ai loro contrasti e a far giurare di non servirsi più di arabi; nel suo stesso impero franco, gli altri due sovrani Carlo il Calvo e Pipino d'Acquitania, nelle lotte che avevano ingaggiate per non aver accettato la spartizione decisa a Verdum, il secondo oltre che allearsi con Guglielmo di Tolosa, apre le porte e chiede aiuto all'emiro di Cordova Abd ar-Rahman.
Fino a questo punto erano giunti i nipoti di Carlomagno!

 

LETTERATURA - Muore il poeta WALFRIDIO STRABONE (n.808) precettore di Carlo il Calvo. Poeta latino-germanico, suo opere importanti sono “Visione di Vettino” e “La coltivazione dei giardini”.

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