HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 740 d.C.

(Vedi QUI i singoli periodi in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")

*** LEONE III SCONFIGGE IN ANATOLIA GLI ARABI
*** LA SOCIETÀ ARABA IN SPAGNA
*** LO SVILUPPO CULTURALE
*** MA LE DONNE ERANO SOLO CONCUBINE?
*** UNA DONNA ECCEZIONALE: “AURORA”
*** LA DIFFUSIONE DELLA CARTA, LA CULTURA, LE BIBLIOTECHE

Per l'imperatore Leone il problema principale che deve assolutamente risolvere in questo periodo, prima di intraprendere iniziative in Italia (in preda all'anarchia) è quello dell' assedio degli Arabi nel suo territorio. Organizzata una spedizione sull'Anatolia presso il lago di Egridir e ottiene una vittoria risolutiva nei confronti degli islamici, che gli permette di allontanare per qualche tempo il pericolo Musulmano dall'impero di Bisanzio. Ma in effetti erano gli arabi che erano diventati deboli e disorganizzati.

Infatti, questa vittoria sugli arabi è anche dovuta a lotte intestine che si stanno svolgendo all'interno delle fazioni islamiche; una di queste è una setta scita comandata dal loro capo ZAID – una setta che prenderà poi il suo nome: ZAIDITI, Questi si rivoltano contro il califfo di Damasco, che però oppone loro un potente esercito che sventa il pericolo e mette fuori combattimento il loro capo; Zaid vi rimase ucciso.

LA SOCIETÀ ARABA IN SPAGNA

Le lotte intestine erano solo all’inizio. Progressivamente tutti questi contrasti, e molti insanabili modificano in questi anni profondamente la società araba cresciuta troppo in fretta. La grande varietà di razze sia nel paese originario come in quelli conquistati impedirono un immediato equilibrato sviluppo della civiltà mussulmana – impostasi quasi fulmineamente con le conquiste- e nonostante gli sforzi che ogni califfo faceva per realizzare l'unità, persisteva il conflitto fra le popolazioni che erano alcune volte straniere ma anche popolazioni e tribù arabe locali, molto diverse e per nulla legate a quelle che inizialmente avevano preso parte a tutte quelle iniziative guerriere che in poco tempo avevano allargato i domini con i territori conquistati.


Dall'Aristocrazia iniziale, anch’essa moltiplicatasi in fretta, via via è emersa in questi anni la classe media, quella borghese, una dilatazione dovuta proprio a quelle conquiste.

Iniziano lotte che porterà all’annientamento dell'aristocrazia araba, e subentra sempre di più la borghesia che in breve tempo ha accumulato enorme ricchezze grazie allo sviluppo del commercio e dell'industria. Non meno invadente e piena di pretese è la classe militare che si sente ed è cosciente di aver fatto e di essere la vera protagonista di questa rivoluzione economica, politica e sociale del paese, ed è innanzitutto questa, quella che domina e condiziona i pretendenti al califfato, e ovviamente cerca di imporsi con la forza delle armi per assumere il potere; cacciando perfino i discendenti-eredi delle stesse vecchie dinastie arabe, formatisi a Medina ai tempi di Maometto. Come vedremo fra pochi anni, si sposta anche il baricentro del potere centrale, non più a Damasco ma al centro di quel territorio dove si sono formate nuove caste della classe dirigente, di origine iraniana, e che sposteranno la sede del califfato nella nuova capitale: Baghdad

Ma esiste un'altra categoria (che pure questa poi vedremo divisa in due) che nella sua condizione di inferiorità sono da entrambe le due potenti classi strumentalizzate, quando una di queste si oppone all'altra.
È la categoria dei lavoratori, di quelli che di tutte le conquiste fatte dall’Islam, ottennero dal lauto pasto solo le briciole; e che continuarono ad essere asserviti o alla classe aristocratica o alla nascente borghesia. Questa loro inferiorità li rese preda dell'odio sociale nei confronti delle due categorie che però potevano prosperare proprio grazie a loro. Ma il male era che non solo prosperavano ma in breve si trasformavano in arroganti aguzzini.
Quando i califfi e gli emiri concedevano terre ai signori della guerra, questi si permisero in breve tempo di formare dei domini indipendenti con lo sfruttamento dei lavoratori, schiavi e coloni. Stessa cosa succedeva ai signori mercanti che le terre le acquistavano con i proventi dei lucrosi commerci, che permise pure loro di crearsi dei domini indipendenti o quasi indipendenti (come abbiamo visto in Africa e in Spagna).

Questo clima di insoddisfazione può anche spiegare perché i berberi in Marocco si ribellarono preferendo la misera campagna alla città, i cui abitanti come a Toledo, Siviglia, Granada e altre che via via conquistarono, erano in maggioranza MOZARABI (un termine che useremo spesso e che significa quella popolazione locale che conservava la propria religione: cristiana, ebrea, ariana e si arabizzava, e che gli arabi però quasi disprezzavano considerandoli solo degli ipocriti opportunisti-trasformisti).

 

Proprio in Spagna si crearono due categorie di insoddisfatti, i liberti e gli schiavi di quelle due categorie ricche, che ognuna poi sfruttava per le proprie guerre personali, che però poi si trasformavano, aizzati ora dagli uni ora dagli altri, in guerre civile di poveri, al solo fine di salvaguardare i privilegi dei ricchi. (Del resto in ogni guerra la storia è la stessa, in guerra combattono sempre i poveracci, chi la decide o fabbrica i cannoni certamente non va sul fronte a combattere, ma costringe ad andare pure quelli che la guerra la ripudiano, altrimenti sono dalle leggi (dei ricchi) bollati traditori. E spesso i guerrafondai decidono a metà strada contro chi combattere, alle volte cambiando alleato nel corso della stessa guerra. Se i combattenti non si aggiornano all’ultima ora, si ritrovano inconsapevoli “traditori” della Patria (vedi il nostro 8 settembre 1943).

In Spagna saranno queste battaglie di classe che in alternanza daranno ai ricchi ora agli uni ora agli altri il potere. C'erano anche i capopopolo che molte volte erano dei furbi, da “sindacalisti” del popolo, da un giorno all’altro diventavano “aguzzini” del popolo, dopo aver cambiato bandiera.
Erano i muwallad, i muladies, discendenti di servi visigoti che si erano però assicurati la libertà facendo opportunisticamente professione di Islam; e anche se erano visti con sospetto dai musulmani di antica tradizione, non impedì loro con questo trasformismo di salire le scali sociali, fino ad arrivare ai posti migliori delle amministrazioni. Bastava loro poco, essere dei valtagabbana, intraprendenti e avere conoscenza del proprio paese e dei propri connazionali; e proprio in virtù di questo venivano utilizzati dai nuovi conquistatori - di gente locale ne avevano del resto bisogno- per mantenere i rapporti, economici, legislativi, religiosi, culturali e logistici soprattutto.

Perfino gli ebrei, che come sappiamo erano stati dai visigoti giuridicamente distrutti e ghettizzati, conobbero uno stupefacente miglioramento della loro condizione, che non fu solo dovuta alla grande libertà religiosa dei musulmani che erano piuttosto tolleranti, ma adottarono opportunisticamente (come gli ebrei di Cordova) l'abbigliamento, la lingua, i costumi degli arabi e furono -per le loro abilità commerciali e finanziarie- costantemente protetti dai califfi; uno, l'ebreo Hasdai divenne perfino il tesoriere e ministro di ABD al RAHMAN III, (il fondatore della prima dinastia omayyade araba in Spagna nel 756-788) acquistandosi una notevole reputazione come diplomatico. Sotto la sua influenza non solo fece ottenere molti privilegi agli ebrei che erano in Spagna, ma riunì molti dei suoi compatrioti da tutta Europa, che fondarono in seguito una importante scuola talmudica destinata perfino ad eclissare alcune scuole arabe.

Questa la situazione che via via si andrà a sviluppare in terra di Spagna, e che porterà in seguito a far diventare nel periodo del califfato (che leggeremo più avanti, in altri anni) la Spagna, uno dei paesi più ricchi, colti e più densamente popolati d'Europa.
Alcune città diventarono le capitali della cultura oltre che della ricchezza. Una di queste sarà CORDOVA che in quattro generazioni arrivò ad avere quasi un milione di abitanti e circa duecentomila case e importanti palazzi; ancora oggi si possono visitare i meravigliosi edifici che si costruirono, come il palazzo Zahira, la Moschea, l' Alcazar e tanti altri edifici che fecero di questa città il punto di incontro dei viaggiatori provenienti da tutte le parti del mondo, per ammirare lo splendore della città dove vivevano gli illuminati califfi. Alla vitalità degli arabi era avvenuta la preziosa fusione di tre elementi; il genio urbanistico romano; l'organizzazione civile cristiana e il fermento di una comunità ebraica spiritualmente viva e agiata, che non era più costretta a vivere nel ghetto, ma riuscì a espandersi nella intera città, e a costituire l’ossatura economica della stessa.
A questi tre elementi si aggiunsero gli influssi bizantini, e indirettamente quelli dell’area asiatica, Cina e India comprese, in un multicolore quadro che andò a trasformare quel luogo come il centro della cultura esuberante e splendido.

I primi viaggiatori che provenivano dell'Europa centrale, dalla Roma del Papa o dai mediocri centri italiani longobardi, alla vista di quel pluralismo d'opinione e di dottrine rimasero sbigottiti. Si afferma che nell’Europa medioevale di quel tempo (che però non va vista come un oscuro convento di monaci con l’angusto orizzonte) da Cordova si irradiò la luce di molte libertà, per lo meno su coloro che spiritualmente erano meno inquieti e piuttosto pragmatici.

Questa magnificenza araba in Spagna era possibile grazie al fiorire dell'industria, del commercio, dell'agricoltura. E che gli arabi fossero ormai dediti solo a queste tre attività, dimenticandosi quasi della madre patria e in alcuni casi anche in parte della religione maomettana ci viene da alcuni significativi atteggiamenti: nella agricoltura diedero un impulso notevolissimo alla vite nonostante l'opposizione del Corano all'uso del vino e degli alcolici; nel commercio inventarono e adottarono tutte quelle operazioni di carattere finanziario (soprattutto ebree) che lo stesso Corano proibiva; nelle miniere di Jaen, Bulche, Aroche, Argrave, estrassero oro e argento, sfruttamenti altamente venali che non erano per nulla contemplati nei versetti; e un'altra contraddizione fu quella che in Spagna non fu adottato il calendario arabo come in tutti gli altri paesi conquistati, ma si fece uso del calendario romano che le popolazioni locali usavano da secoli, come pure i visigoti che si erano successivamente insediati.

Di fronte al benessere del paese, non ci fu solo la tolleranza delle altre religioni, ma si diventò anche tolleranti nei divieti della propria. (Qualcosa del genere accadde anche nel periodo della Serenissima Venezia, la religione era una bella cosa, le Crociate impregnate di principi etici-religiosi come affermavano i Papi pure; ma Dandolo fece partire le sue navi se gli davano le monete d'oro in contanti, e quando i crociati vennero meno ai patti (di pagare), il Doge fece dirottare su Costantinopoli per recuperare le spese, facendo fallire in un modo inglorioso lo scopo altamente religioso di quella missione. Alla venalità dei crociati non ci fu limite, e della religione non seppero cosa farsene, di fronte all'oro e alle ricchezze di Bisanzio, il Santo Sepolcro poteva anche aspettare.

I musulmani introdussero la coltivazione del riso, del melograno, della canna da zucchero (vedremo poi quante altre cose introdussero in Sicilia); diedero inizio a un sistema di canali di irrigazione spettacolari, e non solo per fertilizzare pianure aride, ma anche per irrigare i giardini delle case, dei grandi parchi delle residenze dei califfi; si dedicarono con zelo all'allevamento del bestiame; alla tessitura della lana e della seta; a Cordova sembra che ci fossero tredicimila tessitori; a Valencia si produceva VETRO soffiato come a Coo; a Jativa gli arabi introdussero la manifattura della CARTA PER SCRIVERE ricavata dalla fibra tessile (questo quattro secoli prima della prima cartiera in Italia a Fabriano); a Toledo nello stesso periodo si produceva un ACCIAIO speciale per le spade che erano famose in tutta Europa (“lame di Toledo”); a Cordova c'erano le maggiori industrie della nuova lavorazione della PELLE, la concia; secondo Al Maqqari, lo scienziato arabo Ibn Firnas di Cordova, un tipo alla Leonardo da Vinci dell’epoca, ci ha lasciato nelle sue carte metodi per fabbricare SPECCHI, vari tipi di CRONOMETRI e perfino una specie di MACCHINA VOLANTE.

A Siviglia che era uno dei più grandi porti fluviali della Spagna e dell’intero Mediterraneo, c'erano centinaia di navi cariche di stoffe egiziane, zucchero, vino, marmo, droghe, sete, tappeti, schiavi di ogni colore; navi che provenivano e avevano regolari rotte di andata e ritorno a Costantinopoli, o proseguivano per l' India, l' Asia centrale, la Cina. Nacque per l'occasione come abbiamo già ricordato, l'unità monetaria d'oro che era il dinar che dilagò in tutto il mondo mediterraneo nelle tasche dei grossi mercanti; e questi ultimi non era raro trovarli capaci di parlare quattro cinque lingue dalle radici più diverse.


A Cordova o a Siviglia, alla corte si parlava, lingua Romanza, Arabo, Greco, Egiziano, Latino, Persiano e Cinese. E per chi non poteva andare in Oriente, HAKAM II, (o Kakam ) invitò nelle scuole dove si insegnava letteratura e discipline commerciali, studiosi fatti giungere dall'oriente perché vi tenessero dei corsi e delle conferenze. E sempre questo califfo che ha lasciato un segno di saggezza illuminata, sotto il suo califfato, sviluppò la cultura in un modo straordinario; rese obbligatoria a tutti i cittadini la frequenza alle scuole; obbligatorio era imparare a leggere e scrivere. In breve tempo questa semplice istruzione divenne così diffusa nella popolazione che il resto dell'Europa fu per secoli ben lontana da un simile progresso nell'alfabetizzazione dei propri cittadini.


Nell’istruzione superiore, non si fece risparmio di mezzi. Medicina, politica, diritto, astronomia, musica, geografia, agraria e filosofia dilagarono. I professori che arrivavano dall'oriente, soprattutto dalla Grecia, dalla Persia, e dalla pianura mesopotamica introdussero i testi antichi; a Cordova e a Siviglia nacque una fiorente attività, quella dei traduttori, dei commentatori, dei copisti. Nacquero così due esigenze molto importanti che permisero di servire così tutti i canali d' Europa e che lentamente lentamente (anche se si sbarrarono le porte ai Pirenei a quella cultura che era rivoluzionaria, considerata…. eretica) andò ad influenzare tutta Europa in pochi decenni, anche se tutta queste conoscenze rimasero segregate nei grandi monasteri; ed infatti solo oggi conosciamo le opere che possedevano i monaci.

Basti dire che la biblioteca reale di Cordova all'epoca del grande già citato Hakam II riunì una vasta raccolta di testi che contava 600.000 volumi; il direttore principale aveva il compito di redigere un catalogo di autori e contenuti, oltre che assumere i migliori legatori, disegnatori e miniatori. Di copisti la biblioteca di Cordova ne contava 200 tutti stipendiati dallo Stato. E non era la sola biblioteca, a Cordova e Siviglia ne esistevano anche private, e cosa curiosa e unica in tutto il medioevo e in tutto il mondo occidentale, la bibliomania era di moda anche nelle donne; si conosce il nome di una di esse, Àisha che possedeva una sua raccolta privata di 20.000 volumi. La moda di avere una biblioteca prese un po’ tutti, cosicché trascinati dalla corrente, gli ebrei, i cristiani e i morabiti allestirono pure loro le biblioteche di settore o di cultura autoctona.

Di questa moda non ci dobbiamo meravigliare ne stupirci se pensiamo che al-Aziz, il califfo fatimida del Cairo, ne aveva raccolti oltre un milione di testi, di cui 7.000 solo di matematica. Ibd Abdad ne aveva 206.000. Ma anche a Baghdad esplose la bibliomania. Tante erano le biblioteche dei privati, tante e immense quelle pubbliche. Ibn Battuta ci informa che quando arrivarono i mongoli a Baghdad, distruggendo la città avevano buttato nel fiume Tigri un'infinità di volumi “…ma i libri galleggiando andarono a formare in una insenatura una specie di diga; temendo che il fiume potesse straripare i mongoli preferirono darli alle fiamme, bruciarono e fumarono e per giorni e giorni montagne di libri”.

Col fanatismo e la voglia di distruggere ogni cosa, polverizzarono e incendiarono preziose collezioni private, danneggiando in tal modo anche l'occidente, poiché gli arabi di Baghdad avevano diligentemente copiato e conservato testi antichi che provenivano da ogni luogo fino allora conosciuto.
Per fortuna i mongoli non arrivarono fino in Spagna e quindi l'alta cultura islamica ha potuto tramandarci le numerose testimonianze con le due rivoluzioni, una tecnologica e l'altra culturale che narreremo sotto, e che permisero all' Europa di attingere a quella cultura nata essenzialmente per due fattori stimolanti: uno dovuto agli illuminati califfi che fecero diventare la cultura molto popolare, l'altro per la tolleranza degli arabi che invece di perseguire idee contrarie alla loro cultura, mutuarono conoscenze da tutti quei paesi che la cultura avevano coltivato da secoli, sia essi cristiani, ebrei, greci, egiziani, persiani, cinesi
Nella storiografia il mondo arabo non possedeva nulla, e fu proprio su questa che alcuni califfi dedicarono molta attenzione come lo stesso al-Hakam II, che mise a disposizione dello storico Ahmad ibn Sàid, un grosso edificio vicino al palazzo che conteneva la sua biblioteca, e gli diede 50 persone che lo aiutassero nelle sue ricerche. Lo zelante funzionario per la fortuna di tutto l'occidente visse fino a 92 anni, raccolse e commentò e fece copiare centinaia di migliaia di volumi che ancora oggi sono nei principali musei e nelle biblioteche storiche del mondo intero, e a cui dobbiamo gratitudine immensa. Dei 600.000 volumi raccolti, 400.000 riportano "note" di al-Hakam II. – Paradossalmente ci sono giunti fino a noi alcuni testi greci e perfino in latino, solo perché furono tradotti in arabo e andarono ad arricchire la biblioteca di al-Hakam II in questo periodo. Gli "Elementi" di Euclide, bibliotecario ad Alessandria intorno al 300 a.C. è uno dei tanti codici rinvenuti a Cordova.

LE DONNE: MA ERANO VERAMENTE TUTTE CONCUBINE?

Si è sempre parlato nei testi occidentali delle concubine dei ricchi emiri e califfi in un modo sprezzante, fedeli certi storici all'assioma secondo cui dove c'è molta luce deve esserci anche parecchia ombra. Ci hanno raccontato che questi califfi avevano nelle loro stanze centinaia di concubine, dedite solo ai piaceri della carne; invece sappiamo che dentro quelle stanze c'era anche una fioritura culturale di notevole importanza che riguardava l'intero universo letterario e scientifico fino allora -dalla notte dei tempi- conosciuto.

Proprio al-Hakam II, volle che le sue bellissime donne si trasformassero in uno stuolo di segretarie e di poetesse, e molti nomi di queste eccezionali donne ci sono giunti proprio da quel palazzo, dove al-Hakam II visse per quarant’anni - i primi venti come principe ereditario e gli altri venti alla morte del padre come califfo- sfogliando montagne di libri che si procurava in ogni angolo della Terra.

L'amore per i libri di questo califfo era già nota, ma divenne in seguito una vera e propria bibliomania in un modo curioso: quando un suo generale dopo una razzia nei dintorni della Navarra o chissà dove, in un castello sperduto tra i monti, fece prigioniera una bella donna che viveva con suo padre quasi solitaria. Di intelligenza precoce, questa deliziosa fanviulla in cuor suo desiderava ardentemente di vivere in una grande città per saziarsi di cultura e costumi raffinati.

Era AURORA! Già quando la rapirono i soldati forse intuirono che costei era un fiore dell'universo. Lei che aveva anche imparato un po’ d'arabo non oppose resistenza a quel sequestro, finalmente andava via da quella monotonia dei monti e della campagna; si fece avanti quasi da sola, con un cipiglio e una sicurezza nello sguardo che i soldati capirono subito che quella donna non era cosa comune e che portandola a Cordova al califfo, avrebbero ricevuto sicuramente un encomio, tanta era il fascino che ogni gesto, parola, sguardo emanava quella creatura.

Finalmente – disse fra se’ Aurora- sarebbe andata alla famosa Cordova, la città che tutti gli descrivevano come il centro del sapere del mondo; nel suo immaginario ne era affascinata, ecco perché si era messa da qualche tempo a studiare l’arabo per attingere a quei testi che gli dicevano a Cordova abbondavano in ogni angolo delle strade.

Quando assieme ad altre prigioniere Aurora fu presentata al califfo, costui restò soggiogato dalla sua intelligenza, dalla sua voce, dai suoi modi che erano raffinati ma nello stesso tempo avevano una forte espressione quasi mascolina, che lo fece impazzire di desiderio. Non aveva mai visto in vita sua una donna così. Anche la sua migliore favorita, mettendola a confronto gli appariva una rozza serva. Capì subito che non la poteva trattare come una qualsiasi schiava, prenderla e farla sua come una qualsiasi concubina, anche se ne aveva tutti i diritti. Quando iniziò a parlargli, lui si sentì piccolo e goffo, impacciato nel rispondergli. Ne era affascinato, ma cosa fare e cosa dire per avere le sue grazie.
Una donna così per assaporarla doveva conquistarla, prenderla invece con la violenza e la sottomissione era come mettere un suo cavallo purosangue a tirare un carretto. Da una donna così bisognava farsi amare, perché se ascoltarla era un piacere, ricevere un solo sguardo di simpatia era già gratificante; avere quella creatura nel suo talamo e svegliarsi e vederla al mattino anche con le nuvole grigie in cielo era come se in alto splendesse il sole; essa comunicava felicità, gioia di vivere, serenità, e avrebbe dato un senso alla sua vita se una creatura simile riusciva ad averla al suo fianco.

Dopo pochi giorni, anzi dopo alcune notti insonni dove ogni suo pensiero tormentandolo correva solo più a lei, senza chiedergli mai nulla, iniziò a trattarla da regina, la coprì di regali, le mise a disposizione uno stuolo di damigelle, la voleva al suo fianco ad ogni incontro importante, con i funzionari, con gli ambasciatori, con gli uomini di scienza dove poi lei con spavalda padronanza interveniva, chiedeva, domandava, e spesso precisava sfoggiando sapienza straordinaria, sicurezza, cultura e grande competenza.

L'arte della sua parola, lo stesso suono della sua voce, soggiogava tutti, sbalordiva ogni letterato, incantava ogni funzionario, oscurava perfino la figura dell'emiro, che a quegli incontri, spesso si metteva in un angolo e assisteva a quello spettacolo; ma bruciava dalla passione, e questa più la conteneva e più l’attizzava, il desiderio lo buttava in fondo all'anima, ma poi riemergeva struggendolo.

E più il desiderio saliva più si rendeva conto che se avesse fatto un solo arrogante gesto di potere avrebbe potuto distruggere tutto l'incantesimo; invece di farsi amare, quella creatura l’avrebbe odiato. Un attimo di piacere carpito da quella carne con la sottomissione, quello sguardo superbo piegato alla sua volontà lo avrebbe condannato per sempre alla più squallida solitudine. Si sarebbe sentito un verme per il resto della vita.
La chiamò Giàfar, nome maschile e la fece vestire da ragazzo come pare andasse di moda a Bagdad in quel tempo. Ma anche perché al-Hakam II non era insensibile al fascino dei giovinetti effeminati. Lei un po’ androgina lo era, e quindi il risultato fu che la valorizzò ancora di più, divenne per lui una creatura incomparabile ed eterea.

Quel fiore sbocciato nel regno monacale e cavalleresco delle Asturie, portò veramente l'"Aurora" nel palazzo. Questa donna influenzò a tal punto il califfo che ci chiediamo come sarebbe cambiato il mondo, e come sarebbero andate le cose in modo diverso, se la nostra Aurora non fosse stata rapita quel giorno tra i monti in un castello solitario della Spagna.
Divenne la sua favorita, la colmò di immensi tesori, la considerò la principessa della cultura, sua ispiratrice; alla fine la conquistò con l’intelligenza e ne ebbe anche in cambio l'erede al trono. Peccato che la sua biografia non sia stata mai tradotta in Italiano, e che l'ignoranza di un mondo occidentale l'abbia messa nel dimenticatoio, pur emergendo la sua figura nel mondo islamico in tutta la sua meritata grandezza. Un mito della storia umana, visto che dobbiamo a lei il grande amore del califfo per i libri, la cultura, e la diffusione della stessa in tutta la Spagna e in seguito nel resto d'Europa.
Dal giorno dell’incontro con Aurora, al-Hakam II, non pensò più alle guerre, a fare invasioni, ma si dedicò solo ai libri; le notti e i giorni li passava a sfogliare libri che Aurora si procacciava.
I 600.000 volumi cui lei dedicò parte della sua vita per procurarseli, e ne indicò la scelta tematica al suo sposo, hanno poi acculturato buona parte dell’Europa. Molti importanti testi della filosofia greca o di matematica provengono da Cordova. Ed avere dimenticata Aurora è una lacuna biografica e storiografica enorme.

Purtroppo siamo legati ancora ai pregiudizi medievali di quei tempi, quando si predicavano in quegli anni in Europa, le tesi di Filippo Da Novara che vedeva nella donna letterata il timore della loro audacia e sentenziava "Alle donne non bisogna insegnare né a leggere né a scrivere". Erano allora i secoli bui, ma non è che si migliorò in seguito. Nel "Trattato di Educazione" di San Carlo di Borromeo in uso ancora nelle scuole nel 1831 in Italia, si scriveva di peggio “non vedo a quale beneficio e utilità ne possa trarre la società, nel voler insegnare a leggere e scrivere alle donne”.
Ma lasciamo questi pregiudizi e continuiamo con le nostre arabe....

Dopo Aurora apparve anche un'altra prigioniera, frutto di un'altra razzia, figlia di un nobile decaduto, la già citata Àisha che possedeva una biblioteca di ventimila volumi; poi Fatima che possedeva pure lei una biblioteca personale di arte e scienza; Kadigia che componeva opere di poetica; Miryan che fondò addirittura all'interno del palazzo una scuola per insegnare alle donne quelle arti divenute indispensabili a una corte dominata da un monarca che era sensibile non solo alla carne ma alla cultura.
Poi Darhia che per le sue doti intellettuali fu messa in condizione di viaggiare a lungo in ogni paese dell’area mediterranea per documentarsi, e nei suoi viaggi oltre che procurarsi migliaia libri ad ogni tappa, raccontò una miriade di fatti, come una giornalista.


Che dire poi della bella Lobna, esperta come nessuno nella grammatica e nella metrica, ma anche in matematica, oltre a cognizioni in diverse altre scienze. Questa fu di Al-Hakam un'altra preferita, si innamorò di lei solo platonicamente e fu rapito dalla sua calligrafia e dalla attitudine di recitare i suoi versi con una soavissima voce. Rapito anche dalla sua onestà e discrezione; di lei il califfo si fidò anche per le sue più segrete missive, tanta era la sua ammirazione di questa donna intelligentissima, che ricoprì d'oro.
Quando regalò a lei un diadema che valeva una fortuna, i suoi funzionari ebbero da ridire, che in fin dei conti era una figlia di un servo ed essa stessa schiava, al che molto infastidito il califfo rispose che " nessun gioiello sulla sua testa poteva gareggiare con la testa stessa".

Questo ci dà la sensazione che anche Al-Hakam gareggiò, ma in illuminazione, e con lui tre o quattro altri sovrani di cui la Storia Umana poté vantarsi nell’arco di tre secoli per la diffusione della cultura. Uno di questi sovrani: Federico II di cui parleremo molto nei suoi anni. Come parleremo ancora di questo AL-HAKAM II.

Le due rivoluzioni importanti che comportarono due esigenze non rimandabili fu, la prima, quella di rendere facile per renderla maggiormente comunicativa, la SCRITTURA ARABA, che pochi sanno ma nacque all’inizio da un'esigenza di pochi per scrivere in fretta delle note e non per fare letteratura, infatti se osserviamo è quasi una scrittura STENOGRAFICA corsiva che permette di scrivere a un arabo alla velocità di come parliamo, esattamente come noi facciamo con la stenografia, parente successiva molto tarda della scrittura araba che a sua volta era stata inventata dagli alcuni arabi che frequentavano le conferenze, e che era mutuata dalla scrittura fenicia (quasi simile) con influenze semitiche ma che sembra derivata essa stessa da quella fenicia. Dall’alfabeto arabo a rendere corsivo anche gli altri alfabeti il passo fu breve, e dobbiamo anche quindi agli arabi se oggi noi tutti scriviamo in tutte le lingue in CORSIVO e non più in stampatello come tutte le scritte anteriori a questa data (con segni completamente diversi dal maiuscolo, e che sono molto simili all’arabo – come la r, la f, la g. ecc. ecc.).

Seconda esigenza. Nuova scrittura, ma dove scrivere visto che il papiro egiziano ne era da tempo proibita l'esportazione? Un arabo nella Battriana ai confini della Cina aveva appreso da un prigioniero la preziosa arte, e aveva riportato in Spagna il metodo della fabbricazione della CARTA fatta con le fibre cellulose vegetali. Nacquero così in Spagna le prime cartiere, i primi fogli di grandezza standard industriale, che divisi in quattro crearono la diffusione dei quaderni (perché il foglio veniva piegato in quattro). E con la carta a disposizione era quindi assicurata anche la copiatura degli stessi quaderni. E per mettere insieme i quaderni nacquero i legatori inventando il LIBRO (un vocabolo egiziano, mutuato dal “libro” delle piante – quei cerchi che indicano la crescita annuale e quindi l’età della pianta) che ebbe una diffusione inarrestabile. L'espandersi della cultura si allargò a 360 gradi, uscì dalle 21 porte che Cordova possedeva, portando nelle corti e nei monasteri di tutta Europa montagne di libri e di codici con tutte le nozioni della storia dei popoli e tutto lo scibile che questi in tremila anni avevano in varie scritture riportato sui loro papiri, sulle loro tavolette d'argilla, sulle pergamene e sulle pietre.
(Una curiosità di cui abbiamo già fatto accenno. Al di là dei Pirenei questi fogli li seguitarono a chiamare papiro, e papiro i francesi, i tedeschi e gli inglesi seguitarono a chiamare la carta, infatti nelle rispettive lingue questa si chiama appunto papier, paper.

In Italiano la parola "carta" invece deriva sempre da quel "quaderno", infatti ancora in un testo latino del 1078 viene chiamato il foglio piccolo quarta, e in un testo del 1268 il viene ancora chiamato quartola che sta indicare un piccolo foglio da scrivere, che poi diventerà successivamente abbreviato quarta. Il foglio -folium- a sua volta derivava dall'egiziano "foglia di.. papiro" che aveva uno standard di grandezza nei fabbricanti egiziani, appunto grande 4 volte quello di un comune foglio piccolo per scrivere; rimase così il nome foglio essendo il primo fabbricato artificialmente nella stessa grandezza, all'incirca 35 x 50 cm, che appunto diviso in quattro dava la quartola di 17 x 25 cm circa, chiamata poi –come già detto- quarta, ed infine in italiano carta.

Un'altra curiosità è quelle dell' ARCHITETTURA ARABA in Spagna, che seppur fatta risalire in parte a quella sasanide persiana, come l'arco, e alla bizantina le ornamentazioni che gli arabi adottarono, vi inserirono una influenza visigota che gli stessi Visigoti avevano creato in Spagna su quella romana preesistente, cioè il famoso ARCO A FERRO DI CAVALLO, che impropriamente è diventato tipicamente musulmano e che invece è di antica origine visigota.

 

CONTINUA ANNO 741 > >