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CRONOLOGIA

20 MILIARDI
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ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
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PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 145 d.C.

QUI  riassunto del PERIODO  ANTONINO -  M. AURELIO ( dal 138 al 180 d.C. )


*** LA VITA ROMANA NELLE PROVINCE
*** LE AUTONOMIE  E LE LEGGI CONSUETUDINARIE

IN GRECIA, ERODE ATTICO inviato come governatore di questa provincia da ANTONINO, prosegue la costruzione di molti monumenti progettati ancora dal defunto Adriano. Costruisce l'ODEON, il teatro greco che ancora oggi vediamo efficiente a Sud dell'Acropoli, lo Stadio, l'ESEDRA ad Olimpia, la FONTE PIRENE a Corinto e tanti altri minori.

LA VITA LATINA E IL LATINO NELLE PROVINCE - Le conquiste di Roma avevano portato una certa uniformit� nello stile di vita d'impronta tipicamente latina in tutte le province, dalla Spagna all'Asia, dalla Britannia all'Africa. Nella lingua parlata e scritta invece, con alcuni atti liberali, ADRIANO, proseguendo l'idea federalista (pi� teorica che pratica) di Traiano, volle che ogni individuo indigeno sul proprio territorio conservasse prima di tutto il suo "patriottismo" locale e insieme anche le sue tradizioni culturali e linguistiche. Questo alla fine si rivel� come uno dei pi� grandi errori teorizzati da Traiano e fatti da Adriano, che portarono prima alla completa frattura fra Oriente e Occidente e poi contribu� all'incrinatura all'interno delle stesse grandi province sul territorio europeo e africano.

Iniziative federaliste che se crearono una certa tranquillit� iniziale nelle popolazioni locali, che difesero egregiamente il proprio territorio dalle continue razzie da varie altre trib� allo sbando. Precedentemente non organizzate e appena sfiorate dalla civilt� romana, dopo, quest'impegno profuso e assolto in modo abbastanza opportunistico, questi privilegi di conservare le proprie tradizioni  incoraggiarono lo spirito nazionale, l'amore per la propria terra e cementarono in un'unit� quell'etnia appena uscita dalle arcaiche lotte intestine che esistevano da tempi immemorabili fra piccoli gruppi sociali (clan, trib�, ecc) il cui stile e le condizioni di vita all'interno erano il nomadismo e la caccia, ma soprattutto l'economia viveva del saccheggio a spese di altri gruppi sparsi nei territori, dove la civilt�, lo stanziamento, l'allevamento e la coltivazione era poco praticata e in molti casi addirittura sconosciuta.
Tacito nella sua opera "Germania" dimostra chiaramente come i Germani fossero animati da un ideale ben diverso: odiavano la pace e amavano la "guerra". Non una guerra del tipo imperialista, ma una guerra "naturalistica" animalesca spesso brutale e
selvaggia,  che veniva dalla notte dei tempi; vi erano spinti quando la necessit� lo imponeva (carestia, spopolamento d'animali, clima) ed era per loro "naturale" invadere il territorio di un'altra trib� per contendersi lo "spazio vitale".
Erano nomadi perpetui e la propriet� era sempre considerata provvisoria, mai perenne. Le loro istituzioni civili, sul matrimonio, sulla famiglia, sugli eredi, ai romani perfino ripugnavano. (Non cos� a Tacito che nel suo Germania manifesta tanta ammirazione a questi popoli per non essere ancora stati corrotti, perch� non usavano ancora il male per certe ribalderie e appetiti, non facevano rapine per sfoggiare ricchezze e opulenza, ma agivano solo per la lotta dell'esistenza, ed era difficile far capire a loro che le loro invasioni erano fuori del "diritto" della propriet�, e dalle "leggi". Le loro giustificazioni a certi atti erano perfino disarmanti. Erano ancora puri, primitivi, "popoli fanciulli". Capiremo meglio questa natura quando tratteremo le invasioni di due memorabili "capibranco" Attila e Genserico negli anni 430-470, che non sapevano cosa farsene personalmente degli ori e dei denari dei vinti: volevano solo primeggiare come fa appunto un capobranco;  brevemente ne capiremo motivazioni e il carattere quando li incontreremo, anche se occorrerebbe un trattato d'antropologia umana per illustrarle e comprenderle.

Ritornando nelle Province, si era instaurato in questi ultimi anni, un modo del vivere civile tutto mutuato dai romani, dove nonostante certe concessioni, seguiti da disimpegni (da Traiano in poi si cominci� perfino a pagare per avere la tranquillit� - ricordiamo, Domiziano con i Catti e Traiano con i Daci) i romani erano pur sempre presenti anche se in minima misura con funzionari, addestratori, tecnici di costruzioni, agronomi, artigiani di vari mestieri e molti coloni la cui la maggior parte proveniva dalle file dei militari delle singole province messi a riposo, che trovavano interessante e proficuo rimanere sul posto ad iniziare una delle tante attivit�, che sempre ripagavano, essendo queste del tutto nuove per quei territori.
Quindi dalla produzione, dagli scambi tecnologici e dal commercio venivano stimoli molto interessanti per la vita di gruppo in un societ� in lenta ma in continua trasformazione. Anche i pi� ostili al colonialismo romano dovevano ammettere che il contributo dei romani anche nella semplice vita pratica, lo sviluppo del territorio ci guadagnava. Alle volte anche reciprocamente, visto che molte tecniche in tanti settori, furono assorbite anche dal mondo romano.

Tutto questa spontanea colonizzazione cosmopolita port� ad una facile integrazione soprattutto di carattere pratico (si pensi alle costruzioni, ai metodi agricoli) perch� favor� e fece nascere, in questo dualismo culturale cos� diverso, le grandi comunit� senza tanti conflitti interni, che andarono a fondare e a popolare non solo le prime citt� a modello greco-romano, ma intere regioni, che presto, e proseguendo questa trasformazione evolutiva geografica e antropologica, diventeranno Stati. I Paesi, un tempo barbari, insomma, allargarono il loro orizzonte, nella loro vita sociale e in quella politica.

Razze e culture diverse nell'impero erano diventate numerose, ed alcune grandi e importanti, e dopo le autonomie concesse, pur favorendo i rapporti di carattere commerciali, dove stavano scomparendo le distinzioni giuridiche tra le citt� e tra gli uomini, non si ebbe l'accortezza di creare parallelamente una unit� nella lingua, nella religione e nell'aspetto culturale. L'errore di tutti i colonialisti.

Se � gi� un male imporre la propria cultura con la forza palese o sottile (si semina vento e si raccoglie tempesta) � un male forse peggiore quello di concedere la piena autonomia. Si rischia in un momento di debolezza o di vuoto di potere di essere travolti. Ed � quello che poi avvenne.
Si teorizzavano confederazioni ma poi si usava il tallone; si facevano progetti di unit� di popoli, ma l'egemonia era pesante, spesso brutale quanto quella dei selvaggi.

Roma a queste autonomie purtroppo vi era stata costretta, troppi erano i confini e insufficienti di conseguenza erano gli uomini che li dovevano difendere. Aumentarli non era possibile, troppe erano le spese ma anche pochi gli uomini disponibili. E in uno stato di guerra permanente occorrono le une e gli altri.

Quando arriver� poi Caracalla nel 212 con il suo famoso editto che proclamava a pieno titolo che tutti gli uomini liberi avrebbero avuto la cittadinanza, sanc� solo le aspirazioni di Roma, che era quella di raggiungere l'universalit�. E se pure l'editto era agli antipodi dell'imperialismo, nell'affermare che tutti i popoli diventavano romani, sanciva null'altro che uno stato di fatto sul piano pratico e politico, al termine di un'evoluzione che era durata cinquecento anni. Ma non lo sanciva sul piano culturale, quest'ultimo (leggi, tradizioni, costumi, lingua) era stato imposto, e sotto l'apparente uniformit� che si andava plasmando si nascondeva nelle popolazioni delle province un nuovo e pi� potente indirizzo spirituale, che accettava quest'uniformit� per esigenza pratica, ma nello stesso tempo andava manifestando delle nuove energie gravide di pericoli e che fecero sentire la propria spinta ancora di pi� quando oltre all'esigenza di divenire cittadini uguali ai Romani, si aggiunse la loro legittima pretesa di potere adorare i loro dei, di parlare nella propria lingua e di conservare tradizioni e perfino un corpus di leggi arcaiche, a cui non vollero mai rinunciare
Leggi che dopo un lungo connubio con quelle del diritto romano, saranno poi codificate e redatte nella Legge Salica che adottarono poi i Franchi di Clodoveo, poi mutuata nel 1000 anche dai Britanni. Quella che dopo dieci secoli ha resistito fino ai giorni nostri. La legge "consuetudinaria" che fa ancora oggi testo.
(comprese alcune leggi e usanze conservate perfino in Italia, come in A. Adige, come il Maso Chiuso, o le Magnifiche Comunit� della Val di Fiemme per il patrimonio comune boschivo, o come la mutualit� e solidariet� in caso di calamit�: quella che chiamiamo oggi protezione civile che appunto in certi paesi tirolesi e germanici (salici) � innata nel profondo da millenni, pi� che codificata da una legge) ecc. ecc.

Ma continueremo il prossimo anno alcune considerazioni.......................

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