I GRANDI DISASTRI IN ITALIA

Anno 63 e 79 d.C.
Terremoti ed eruzioni vulcaniche in Campania
( Pompei – Ercolano – Stabia)


1 - I cataclismi nell'Epoca Romana

Anche Roma ed il suo impero non furono esenti da molteplici cataclismi di varia entità, tra questi, quelli più conosciuti e portati all’onore delle cronache, dagli antichi scritti e successivamente dalla quantità e qualità dei reperti archeologici ritrovati, è certamente il terremoto del 63 d.C. e l’eruzione del Vesuvio che diciassette anni dopo e cioè nel 79 d.C. colpì tutta la Campania distruggendo molti centri abitati del napoletano tra cui Pompei ed Ercolano.


2 – Roma e gli imperatori dell’epoca

Nel periodo imperiale le legioni romane avanzando presero possesso di vaste regioni assicurandole al governo di Roma e dei suoi imperatori. Per assicurare i collegamenti e migliorare le condizioni di vita delle regioni conquistate, in tutti i territori delle province, dalle isole britanniche all'Asia Minore, furono costruiti acquedotti, strade, teatri e complesse opere urbanistiche, segni della civilizzazione Romana. Con il consolidarsi del sistema di governo imperiale, la storia di Roma si identificò in gran parte con quella dei singoli imperatori. Al nome di Nerone è legato l’incendio che nel luglio del 64 devastò Roma nonché la ricostruzione, nell’attuale Campania, delle località danneggiate dal sisma del 63 d.C. . Al nome dei suoi successori ed in particolare a quello di Vespasiano e di Tito la conquista di altre province e la dura repressione delle ribellioni che si verificarono in alcuni territori europei e di oltremare. Tra queste quella della Giudea la cui campagna si concluse crudelmente nel 70 d.C. portando alla integrale distruzione di Gerusalemme.

Alla morte del padre nel 79, Tito diventò imperatore. Il suo principato fu funestato dalla violenta eruzione del Vesuvio che, preceduta da una serie di terremoti in varie regioni, seppellì sotto una spessa coltre di lapilli, cenere e fango splendidi centri come Pompei, Ercolano, Stabia seminando terrore e morte; da una terribile epidemia che provocò oltre 30.000 vittime ed infine da un grave incendio a Roma. In due anni e prima della sua morte avvenuta nell’81 d.C. gli accadde di tutto. Qualcuno ne trasse occasione per ipotizzare che le disgrazie che ne caratterizzarono il regno furono conseguenza degli anatemi e delle maledizioni lanciate contro di lui dalle popolazioni ebraiche.


3 - I Luoghi

In tempi remoti fiorirono nell’Italia centrale e soprattutto nella zona circostante il Golfo di Napoli, fra la costa della Campania ed il Vesuvio diversi nuclei abitati. Assunto da parte romana, a conclusione del proprio ciclo di conquista, il controllo dell’area, le città esistenti, ampliate e migliorate, conobbero un periodo di prosperità che consentì la loro crescita economica e civile. Le ricchezze naturali dei luoghi, la presenza di porti importanti e la possibilità di sfruttamento economico delle ampie risorse esistenti, consentirono lo sviluppo di attività artigianali, industriali, dei conseguenti commerci e quindi la nascita di nuovi villaggi ed unità abitative. Il litorale, naturalmente splendido, si popolò invece di ville lussuose appartenenti all'aristocrazia.


Una delle tante famose ville a Pompei (con il peristilio) quella dei "Vettii" con le altrettanto famose pitture interne con l'inconfondibile rosso pompeiano

Ai danni provocati da sovvolgimenti e guerre, che pur si verificarono, seguirono fasi di ricostruzione, di abbellimento e di riassetto urbano.

Napoli fu ampliata e migliorata. Dappertutto sorsero i segni della civiltà romana, case, ville, acquedotti, mercati, teatri, terme e luoghi dedicati al culto delle più disparate deità. Anche lo sviluppo dei centri minori risentì delle importanti risorse assegnate. Il porto di Miseno divenne il più importante del Tirreno, altre località del Golfo assunsero una nuova veste e tra queste Nocera, Stabia, Oplontis, Ercolano e Pompei. L’antica “Nuceria” fu situata dai suoi fondatori nella piana a oriente del Vesuvio, Stabia nell'insenatura sud orientale del golfo di Napoli, all'inizio della penisola sorrentina, Oplontis sempre nel Golfo di Napoli dove oggi sorge Torre Annunziata. Ercolano, in posizione privilegiata per le bellezze naturali, su un pianoro vulcanico a strapiombo sul mare con buoni approdi.

Pompei posta in collina, alla foce del Sarno a pochi chilometri a sud del Vesuvio tra Ercolano e Stabia, prosperò nel periodo dell’imperatore Augusto. In quel periodo furono costruiti i portici del foro, una sala per il mercato del pesce e delle carni, un palazzo per ospitare i mercanti di lana, ampliato il teatro e predisposta una area per gli esercizi fisici. Realizzato inoltre l’acquedotto e le conseguenti condutture di approvvigionamento, migliorò sensibilmente lo stile di vita. Le case e le ville esistenti furono abbellite e si innalzarono anche nuove abitazioni. Aumentò anche la densità abitativa a scopi residenziali e …turistici, lo storico Strabone descrisse le coste di Napoli come un insieme talmente fitto di costruzioni da apparire come una sola grande ed unica città.


4 - ANNO 63 d.C.
Terremoto

Il 5 febbraio 63 un terremoto di notevole magnitudo colpì tutta la fascia costiera di Napoli danneggiando gravemente la città stessa ed i centri vicini. Crolli e danneggiamenti si ebbero in tutta l’area dell’arco partenopeo Napoli, Nocera, Pompei, Ercolano ed altre zone ne subirono le negative conseguenze. Vittime dei crolli…probabilmente tanti, ma le cronache che ne registrarono l’entità non sono giunte fino a noi. Nerone, all’epoca imperatore, dispose una ricognizione delle aree danneggiate per provvedere successivamente alla loro ricostruzione, soprattutto a “Neapolis” costituendo essa stessa uno dei soggiorni favoriti dell’imperatore stesso e dei patrizi romani. Allo scopo furono inviati alcuni procuratori per programmare gli interventi da attuare anche al fine di evitare sperperi e abusi nella ricostruzione degli edifici pubblici, tra questi Tito Suedio Clemente.

Si mossero le legioni, che all’epoca, oltre che costituire nerbo della forza imperiale in tempo di guerra, furono utilizzate anche in periodo di pace come corpo di polizia, struttura di protezione civile ed anche, se del caso, come manodopera per la costruzione delle grandi opere imperiali. Prese il mare anche qualche nave, si mossero i proprietari di ville e residenze che provvidero secondo le loro possibilità finanziarie mettendo a disposizione i loro mezzi ed i loro schiavi. Si associarono alle iniziative poste in essere commercianti e liberti. Ad Ercolano si provvide a riparare il teatro, la palestra, le terme suburbane, la piazza porticata ed il tempio di Cibele, divinità della natura e della fertilità, venerata come grande madre degli dei.

A Pompei le devastazioni furono egualmente gravi, molti i lavori iniziati ma non ultimati come quelli interessanti il tempio di Venere e il Capitolium. Il tempio di Iside, dea egiziana della maternità e della fertilità, sembra fosse stato invece restaurato a spese di un ricco privato. Chissà…forse per grazia ricevuta! Tutta l'area del Foro, gravemente sinistrata, fu interessata a vasti interventi di ristrutturazione nonché alla posa in opera di nuovi importanti complessi. Oltre alla costruzione del tempio dei Lari Pubblici e quello del Genio di Vespasiano si diede avvio alla realizzazione del grandioso complesso delle Terme Centrali. Questo intervento, sebbene non ultimato, interessò una vasta superficie a nord-est della città testimoniando un evidente interesse a fornire anche nelle zone urbane considerate periferiche, strutture normalmente riservate alle città di maggior prestigio.

La prosperità e la ricchezza delle città colpite dal sisma consentì di registrare un’alta capacità di ripresa ed un più o meno adeguato sviluppo dei lavori di ricostruzione. In alcune località il progresso di queste attività non andò avanti troppo speditamente, mentre in altre alle costruzioni già esistenti se ne aggiunsero di nuove.

Qualcuno nel corso dei lavori si macchiò di peculato o in alternativa…si arricchì indebitamente, e ciò a spese di altri meno fortunati ed impossibilitati ad intervenire nella gestione della cosa pubblica. Infatti, dopo la morte di Nerone e con il caos che subentrò, alcuni funzionari furono liberi di approfittare della gestione degli appalti e dei sussidi resi disponibili. Con la distruzione del catasto poi certuni colsero l’occasione per avvantaggiarsene e per intestare a se stessi o a persone di comodo case e terreni municipali aggiungendo alle stesse .. visto che c’erano, anche alcune proprietà di presumibile appartenenza privata. Probabilmente furono solo voci.. o forse ….veleni sparsi ad arte per colpire, secondo l’uso, qualche funzionario inviso o poco compiacente. Anni dopo l’imperatore Tito punì severamente questa prassi come ci narra Svetonio: “Era la città ripiena, per sì fatta avversità, d’accusatori di maligni, che per mal fare mettevano altri al punto, per aver durato assai il male, n’erano divenuti gli uomini licenziosi. Egli adunque, per rimediare a tali inconvenienti, comandò che qué tali fossero con flagelli e con pezzi di legno battuti in piazza, ed ultimamente, per vituperio, li fé passare per mezzo l’anfiteatro, ed una parte ne fé vendere per ischiavi, e parte ne fé condurre e confinare in isole asprissime e deserte….”.

A Pompei moltissimi furono i danni, ed altrettante le famiglie agiate che emigrarono per dislocarsi con le loro attività, a Napoli, a Salerno e nei distretti considerati più tranquilli; affittarono quindi le proprie case a una popolazione meno abbiente che mutò parzialmente l'assetto socio-economico della città. Solo negli anni tra il 76 ed il 79 d.C., ritrovata la fiducia, la vita riprese il suo corso normale. Secondo molti autori, a seguito di questo evento tellurico, a Pompei nacque una nuova classe emergente formata da liberti e da un nuovo ceto imprenditoriale che, operò notevoli trasformazioni nel tessuto abitativo e nei costumi cittadini. Del cambiamento intervenuto costituirebbe tra l’altro testimonianza la gestione amministrativa della città: prima affidata ad importanti nomi della aristocrazia e poi al nuovo ceto sociale, abbastanza ricco, ma di minor spessore culturale.


5 – Eventi tellurici antecedenti l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Come già accennato in precedenza pare che le opere di riedificazione e ricostruzione di quanto distrutto dal sisma del 63 d.C. non andarono avanti dappertutto con la stessa speditezza, in particolare a Pompei, forse anche a causa di altri eventi che caratterizzarono gli anni successivi e che certamente assorbirono risorse umane e finanziarie. Secondo alcuni archeologi la riedificazione della città nel 79 d.C., dopo ben diciassette anni dal sisma, non era stata ancora ultimata. Cessarono gli aiuti da parte delle strutture centrali dell’impero? Sembrerebbe di sì.

Più probabile comunque che completati gli interventi di maggior importanza per la sistemazione dei molti centri danneggiati altri, ritenuti di minore rilievo, fossero lasciati alla cura delle popolazioni ivi residenti. Le priorità peraltro si spostarono anche verso altre esigenze, nel 64 d.C. andò a fuoco Roma, volutamente o non volutamente incendiata da Nerone, e fu necessario ricostruirla sostanzialmente ex-novo edificando nell’occasione anche la Domus Aurea. Poi le legioni mossero verso i confini e verso i territori oltremare per contrastare le ribellioni o per assicurare all’impero nuovi territori.

Nel periodo tra il 64 ed il 70 d.C. infatti molteplici furono le campagne belliche in cui Roma si trovò impegnata, tra cui quella in Giudea per domarne la ribellione. Con la deposizione e la morte di Nerone, Roma, con le casse quasi vuote, si trovò anche ad affrontare la lotta per la successione al trono che si protrasse a lungo provocando gravi danni economici e materiali fino all’avvento di Vespasiano, proclamato imperatore dalle legioni orientali nel 69 d.C..

Domata nel 70 la rivolta di alcune tribù germaniche e conclusa la guerra in Giudea una delle preoccupazioni di Vespasiano fu proprio quella di arricchire le casse dello stato, dissanguate dalla folle politica di spesa di Nerone e dalle conseguenze della guerra civile, accentuando tramite provvedimenti fiscali la pressione tributaria sull’aristocrazia e sulle province.

Certo è che gli altri centri disastrati dal terremoto del 63, tra cui Napoli, Ercolano, Nocera etc., tutti gravemente danneggiati, furono riedificati nel periodo ricompreso tra il 63 ed il 79 d.C. senza risentire di particolari problemi eritornando sostanzialmente ai livelli di vita e di prosperità precedenti. A Pompei, come in altre località vicine, l’emigrazione dei ceti più abbienti certamente influì nell’opera di riassetto urbanistico come certamente, le minori disponibilità finanziarie dell’impero influenzarono negativamente il completamento di alcune opere pubbliche anche di rilevante interesse sociale. Però secondo alcuni studi recenti, riferiti a nuovi ritrovamenti ed alle conseguenti indagini archeologiche, le notevoli quantità di materiali edili destinati a lavori ritrovate nell’area di Pompei sono da riportarsi non al completamento di attività riconducibili al sisma del 63 d.C. ma ad un altro fenomeno sismico, di portata più o meno considerevole, che interessò il territorio prima dell'eruzione vesuviana.

Questa ipotesi sarebbe confermata da alcune iscrizioni del tempo ritrovate a Napoli ed in altre città dove si accenna a “terremoti”, nonché dal racconto di Plinio il Giovane che nella sua seconda lettera narrando dei fatti avvenuti nel 79 d.C. racconta: “alcuni giorni prima v’erano state, come preliminari, delle insistenti scosse di terremoto senza però che si desse loro molta importanza dal momento che in Campania esse sono frequenti” . Un altro evento sismico registrato dalle cronache del 64 d.C. è quello riportato da Svetonio in occasione del debutto a Napoli, in qualità di cantante di Nerone: “…Si presentò adunque primieramente a Napoli sopra la scena, né con tutto il teatro per un tremuoto che venne in un subito, tutto quanto si scotesse, restò mai di cantare, fino a tanto che egli non ebbe compiuto la canzone incominciata….”

Di queste scosse telluriche, probabilmente di mediocre intensità. antecedenti alla eruzione del Vesuvio, gli storici non danno particolari notizie anche se la mancanza, che influenza solo teorie socio-economiche più o meno attuali sulla pigrizia degli abitanti di Pompei nel riparare i danni precedenti, è probabilmente da ricondursi alla scarsa risonanza di detti avvenimenti codificati come comuni rispetto alla ben più rilevante gravità di quelli successivi.

In ogni caso quando l'eruzione del 79 d.C. segnò la sua definitiva fine, Pompei era ancora un cantiere. I danni che la città si predisponeva a riparare vecchi o nuovi che fossero ed i materiali ad essi destinati, come case, gioielli, denaro, esseri umani, animali, templi dedicati al culto e quant’altro rimasero anch’essi sotto il manto di ceneri e materiali vulcanici che seppellirono e preservarono per decine di secoli la città e parte delle sue ricchezze.


6 - ANNO 79 d.C. -
Terremoto, eruzione del Vesuvio ed altri eventi

6.1 – Morte di Vespasiano

Il 23 giugno del 79 Vespasiano all'età di 70 anni, dopo essere caduto ammalato, sentendo arrivare la morte, volle alzarsi dal letto e come si conviene a un imperatore, disse che voleva morire "in piedi". Morto Vespasiano, nella stessa giornata del 23, gli successe il figlio, Tito. Pochi mesi dopo il regno del nuovo imperatore fu funestato da una grande calamità naturale il cui ricordo ci è stato tramandato sia dalle già ricordate lettere indirizzate a Tacito da Plinio il Giovane sia dalla risonanza che hanno avuto e che hanno tutt’ora in tutto il mondo gli scavi archeologici effettuati nell’area di Pompei e di Ercolano. Questi ultimi, attraverso il reperimento di importantissimi reperti, avvenuto in centinaia di anni di esplorazioni, analisi e scavi, ha avvicinato a quell’avvenimento ed al mondo dell’epoca milioni e milioni di persone che, oltre ad apprezzare le bellezze naturali della zona e la ricchezza dei siti archeologici, sono venuti a conoscenza delle abitudini e dei costumi di una piccola città di provincia nonché di uno dei tanti eventi naturali che sconvolsero l’Italia.

Purtroppo….non fu né il primo né l’ultimo! Ma certamente il più celebrato e ricordato tra quelli noti all’opinione pubblica internazionale.

6.2 – Il cataclisma

Nell’agosto del 79 d.C. le popolazioni dell’area vesuviana furono soggette ad una serie di avvenimenti catastrofici di rilevante entità. Dapprima una serie di scosse telluriche, anche se di modesta potenza, come d’altronde evidenziato dalla lettera di Plinio il Giovane “alcuni giorni prima v’erano state, come preliminari, delle insistenti scosse di terremoto” colpirono alcune località tra cui Miseno, porto naturale composto da due bacini: uno esterno, l’attuale porto di Miseno, e uno interno, oggi lago di Miseno, utilizzato per l’allestimento e l’armamento delle navi. Il porto fu utilizzato dai romani ed in precedenza dai greci, come base navale. A Miseno oltre a Plinio il Giovane si trovò anche Plinio il Vecchio nella sua qualità di comandante della flotta romana di stanza in Occidente.

Il terremoto avvertito a Miseno colpì sicuramente in maniera più sostanziale le cittadine poste alle falde del Vesuvio e quelle ubicate nel Golfo di Napoli tra queste certamente Pompei, Ercolano, Oplontis, Napoli, Stabia, l’area di Nocera e quella salernitana. Dal 20 agosto 79 per quattro giorni gli abitanti delle città subirono nuove scosse sismiche. Se si verificarono danni ed in quale entità non se ne trova particolare traccia. Dove lo sciame sismico si manifestò con maggiore intensità e con maggiore durata come a Pompei, provocando tra l’altro il prosciugamento delle sorgenti, la popolazione spaventata abbandonò in parte le proprie abitazioni e fuggì in luoghi considerati più sicuri. Dove lo stesso fu soltanto avvertito senza particolari conseguenze pratiche gli abitanti non fecero particolarmente caso al movimento tellurico come peraltro specificatamente citato nella corrispondenza di Plinio il Giovane: “senza però che si desse loro molta importanza dal momento che in Campania esse sono frequenti”.

Ben più gravi avvenimenti riguardarono l’area interessata nei giorni successivi. Gli stessi, sinteticamente, possono essere riepilogati nelle quattro fasi che li caratterizzarono: terremoto, eruzione vulcanica, nubi ardenti e tossiche, maremoto e sciami sismici. Alcuni di questi fenomeni si sovrapposero gli uni agli altri provocando danni ai beni materiali del circondario oltre che generare grave disorientamento, vittime e terrore agli abitanti che ne subirono le nefaste conseguenze.

6.3 – Eruzione vulcanica

Il 25 Agosto alle 9 del mattino circa, il vulcano che gli antichi erano oramai avvezzi a considerare luogo amato e frequentato da Bacco per l’ottimo vino prodotto e fonte di vita e di benessere per le consistenti risorse agricole, si risvegliò improvvisamente. Dalla vetta squarciata dal fuoco delle esplosioni e dalla lava, una nuvola immane di lapilli, di cenere e di scorie, oscurò il sole e si riversò tutt'intorno con la furia demolitrice dei grandi cataclismi primordiali della terra. Intorno alle tredici una colonna di lapilli fu scagliata dal vulcano fino ad un'altezza di circa 20.000-30.000 metri e trasportata dai venti di alta quota, si propagò in direzione sud, sud-est.

Ceneri vulcaniche e lapilli caddero dappertutto coprendo tutta la zona del Vesuvio e le regioni vicine. Tra le città più danneggiate ovviamente quelle dell’area vesuviana tra cui Pompei, Ercolano, Stabia, Oplontis, Napoli, quelle dislocate nei pressi dell’attuale Caserta, nella vallata del Sarno, nella zona della costiera salernitana, e tutto il settore dell’agro nocerino. Verso quell’ora l’enorme nube di fumo proveniente dal vulcano fu osservata a Miseno da Plinio il Vecchio e descritta poi dal nipote come segue:

“…Il nono giorno innanzi le calende di Settembre (24 Agosto 79), verso la settima ora (circa l’una dopo pranzo) mia madre l'avvertì che si vedeva una nuvola di dimensioni e di aspetto straordinari. Lo zio, che aveva fatto il suo bagno di sole prima e poi d'acqua fredda, e, dopo aver pranzato, si era messo al lavoro, chiese allora i suoi sandali e salì in un luogo dal quale poter meglio osservare questo fenomeno prodigioso. La nuvola s'innalzava da una montagna, che si seppe poi essere il Vesuvio, avendo quasi la forma di un pino marittimo; che proiettata nell'aria come un tronco immenso, si spandeva poi in alto in rami. Io credo che, sollevata da un violento soffio, che poi s'indeboliva e l'abbandonava, ovvero vinta dal suo stesso peso, essa si disperdeva in larghezza: ora bianca, ora scura a macchie, a seconda. che era costituita di terra o cenere.

Poiché si trattava di uno spettacolo grandioso, degno, per uno scienziato, di essere esaminato da vicino, lo zio fece preparare una delle sue navi leggere e mi offerse di accompagnarlo, qualora lo desiderassi. Io risposi che preferivo lavorare, avendo appunto a sbrigare una cosa da lui affidatami. Mentre egli usciva di casa ricevette un biglietto di Rectina, moglie di Cesio Basso, la quale, spaventata per l'imminenza del pericolo (che la sua villa era situata ai piedi della montagna, cosicché non era possibile abbandonarla se non per mare), lo supplicava di strapparla al flagello che la minacciava.

Lo zio allora decise di fare per amicizia ciò che aveva dapprima vagheggiato per curiosità scientifica. Fatte venire delle quadriremi, vi salì per andare in soccorso di Rectina e di molti altri, essendo quella costa incantevole molto popolata. Egli si affretta verso i luoghi donde gli altri fuggivano, orientando il timone così da dirigere la corsa direttamente verso il luogo del pericolo, talmente libero da timore che tutte le fasi del flagello, tutti gli aspetti mutevoli da lui osservati, le detta o le annota egli stesso. Già le ceneri cadevano sulla nave, più calde e più dense man mano che essa si avvicinava, e con quelle delle pietre pomici, dei sassi neri, infuocati, scoppianti per effetto del calore. Il mare che si ritirava non aveva più sufficiente profondità; rocce staccatesi dalla montagna rendevano la costa inaccessibile. Mio zio pensò un momento di retrocedere ed il suo pilota lo incoraggiava; ma poi mutò parere. ''La fortuna, disse, aiuta gli audaci: dirigi verso la casa di Pomponiano".

Tra le prime ore della fase eruttiva e quella della fase esplosiva successiva la popolazione dislocata nei centri abitati alle falde del vulcano e quella residente in quelle mediamente più lontane cercò di mettersi in fuga con tutti i mezzi a disposizione. In mare le barche tentarono di allontanarsi dalla costa, mentre Plinio il Vecchio solcando i flutti a bordo delle sue navi ci si avvicinò “..Egli si affretta verso i luoghi donde gli altri fuggivano..”. Sulle strade file interminabili di uomini e donne con le poche cose radunate volsero in fuga chi più fortunato con cavalli e carriaggi; i meno abbienti, non avendo mezzi di trasporto si mossero a piedi.

A Pompei la gente terrorizzata assunse diversi atteggiamenti: molti corsero via portando con sé o nascondendo dove possibile le loro ricchezze, altri in attesa che terminasse la pioggia dei lapilli si rifugiarono all’interno delle loro abitazioni, nelle cantine e nei criptoportici seminterrati. Ad Ercolano la popolazione composta da circa 4.000 abitanti si mosse ed in partenza precipitosa si allontanò dai luoghi abitati. Lo stesso successe a Stabia, a Miseno, ad Oplontis e certamente in altre località.

La caduta delle ceneri e dei lapilli, in enorme quantità, si riversò sulle case appesantendo oltre misura i tetti. Il conseguente crollo delle abitazioni sommerse, sotto tonnellate di materiali, uomini donne e bambini in cerca di riparo. In ogni caso anche nelle ore successive e fino a tarda sera la gente si trovò in condizione di poter fuggire. La pioggia dei lapilli fine a sé stessa non risultò tale da uccidere e sul manto dei detriti vulcanici depositati fu peraltro possibile muoversi. Anche su questi momenti, proseguendo nel viaggio di Plinio il Vecchio, attraverso le lettere del nipote è possibile reperire interessanti testimonianze:

“Questo Pomponiano abitava a Stabia, dove il pericolo non era ancora imminente, pur tuttavia formidabile e prossimo, poiché avanzava ad ogni momento. Pomponiano aveva caricati tutti i suoi mobili su navi, deciso a fuggire non appena fosse stato possibile. Mio zio lo trovò tutto tremante; l'abbracciò, lo consolò, l'incoraggiò e, per convincerlo della propria tranquillità, si fece portare al bagno. Poi si mise a tavola e mangiò allegramente e, ciò che non è meno grande, dando a credere di essere allegro. Frattanto su parecchi punti del monte Vesuvio si vedevano brillare larghe fiamme e vaste chiazze infuocate, di cui la notte aumentava lo splendore e la luminosità. Mio zio, per calmare i timori dei suoi compagni, ripeteva loro che si doveva trattare di case di campagna, già abbandonate dagli abitanti, che bruciavano nella solitudine. Poi si mise a letto e si addormentò di un vero sonno, poiché coloro che stavano presso la porta della sua camera sentivano la sua respirazione forte e sonora, propria di persona corpulenta qual egli era.

Frattanto il peristilio su cui si apriva la sua camera si colmava di ceneri e di pomici, le quali s'innalzavano, così che di lì a poco l'uscita sarebbe stata impossibile. Pertanto egli fu svegliato ed uscì a raggiungere Pomponiano e gli altri che non erano andati a letto. Fu tenuto consiglio: era meglio restare nella casa o errare per la campagna? Le case, agitate da frequenti e lunghe scosse, e come strappate dalle loro fondamenta, s'inclinavano a destra ed a sinistra, minacciando di cadere; fuori c'era da temere la caduta di pietre pomici. Fra i due pericoli si sceglie il secondo, mio zio attenendosi al partito giudicato migliore, gli altri lasciando un timore per un altro; e così escono tutti, formandosi con dei panni un cuscino sulla testa, per proteggersi dalla pioggia di pietre.”

La terribile pioggia di lapilli che si abbatté su tutta l’area interessata, a seguito delle ripetute esplosioni del Vesuvio sommerse Pompei sotto una coltre di detriti vulcanici mediamente spessa due metri e mezzo raggiungendo secondo la conformazione del suolo anche dimensioni superiori. Ai crolli di case, templi ed edifici pubblici contribuirono, oltre il peso esuberante accumulatosi sui tetti, anche le numerose scosse di terremoto che si verificarono in terribile ed ininterrotta successione. Ciò che successe nei dintorni del vulcano e indicazioni sul comportamento degli abitanti del circondario in fuga ce lo riferisce con abbondanza di particolari ancora Plinio il Giovane nella sua seconda corrispondenza:

"…A causa delle violente e continuate scosse di terremoto mia madre ed io ci eravamo decisi ad abbandonare Miseno. La folla spaventata ci segue, obbedendo a quell'istinto di paura che fa riguardare come prudenza il sottomettersi alle decisioni degli altri: a onde lunghe e serrate essa ci preme e ci sospinge. Una volta fuori delle case noi ci fermiamo. Tutt'attorno a noi nuovi prodigi e terrori: i carri che avevamo fatto venire con noi, quantunque si fosse in piano, erano sballottati in tutti i sensi, di modo che nemmeno con delle pietre non era possibile tenerli diritti….”. “… Gli uni chiamavano i loro genitori, altri i loro bambini, altri la moglie, non potendosi riconoscere che dalla voce. Questi piangevano sulla propria sorte, quelli su i loro cari. Alcuni, per timore della morte, chiamavano la morte: molti innalzavano le braccia verso gli dèi; mentre molti altri credevano che non ci fossero più dèi, e che questa notte fosse pel mondo l'ultima, eterna notte. E non mancava chi aggravasse il pericolo reale con terrori falsi e menzogneri; a Miseno, dicevano, è crollato il tale edificio, il tal altro è in fiamme; ciò non era vero, ma lo si credeva. Poi si fece un po' di luce, che a noi sembrò essere non il giorno, bensì indizio che il fuoco si avvicinava. Poi di nuovo le tenebre, mentre le ceneri cadevano abbondanti e pesanti, tanto che occorreva spesso alzarci e scuoterle, per non esser sepolti sotto di esse o schiacciati sotto un tale peso. Io pensavo che io con tutto il mondo e tutto il mondo con me stavamo per perire: miserevole, ma grande consolazione della mia morte.”

La scena descritta, evidenziando il disagio, la disperazione ed il panico della popolazione impossibilitata ad ottenere aiuti, fatto che peraltro non si verificò solo a Miseno, è da considerarsi…..semplicemente spaventosa! Il vivido ricordo di chi fu partecipe della cruda realtà trasmette attraverso la cronaca dei fatti, l’immagine di ciò che persone comuni e razionali nascondono nel proprio intimo raffigurando quindi in tragica sequenza il dolore, l’ansia, la depressione, la prostrazione, l’isterismo e la paura collettiva dell’ignoto; in una forma così intensa e manifesta, da far intravedere nella morte incombente l’unica dolce ancora di salvezza.

6.4 – Maremoto

A causa delle onde sismiche che si propagarono sui fondali marini il mare cominciò a ritrarsi per poi generare gigantesche ondate che si abbatterono sul litorale rendendo impossibile la navigazione ed il sopraggiungere di soccorsi. Di questo fenomeno, identificabile come sicura manifestazione del maremoto, troviamo vari riferimenti nelle descrizioni fornite da Plinio. Nella prima lettera con riguardo al viaggio dello zio partito con le pesanti navi al proprio comando per portare assistenza agli amici, alla gente minacciata dall’eruzione ed anche per ampliare le sue personali cognizioni scientifiche, si nota un primo verificarsi dell’evento “Il mare che si ritirava non aveva più sufficiente profondità; rocce staccatesi dalla montagna rendevano la costa inaccessibile” altri riferimenti si ritrovano nella seconda lettera che descrive la propria avventurosa fuga da Miseno: “Il mare sembrava rientrare in sé stesso, come respinto dalle scosse della terra, cosicché molti animali marini restavano a secco sulla sabbia”.

Ancora, altri riferimenti sono individuabili nella prima lettera, nel passo antecedente la morte di Plinio il Vecchio, dove si legge: “Si ritorna verso la riva, per vedere se il mare permettesse qualche tentativo di fuga; ma esso era ancora agitato.”. Cosa successe alla numerose imbarcazioni sovraccariche di profughi e di beni che lasciarono la costa dirigendosi al largo in cerca di salvezza? Probabilmente quelle che non riuscirono a raggiungere più che in fretta approdi sicuri furono travolte abbandonando alla furia degli elementi gli occupanti che, con ragionevole certezza, non avendo alcuna speranza di ottenere soccorso, affogarono miseramente. Quelli che invece raggiunsero successivamente, come Plinio il Vecchio, le spiagge nella loro folle corsa verso una via d’uscita, se non furono travolti dalle onde abbandonarono immediatamente l’idea di mettere in mare qualche imbarcazione.

6.5 – Nubi ardenti e gas tossici

La notte tra il 25 ed il 26 passò tra una scossa di terremoto e l’altra ma con una sostanziale diradazione della pioggia dei lapilli. Qualcuno…guardò il cielo con speranza e quasi ci rimise un occhio, ma il peggio si verificò nelle prime ore del mattino.

Nella giornata del 26 agosto infatti, circa alle sei del mattino, la camera magmatica del vulcano collassò. Si aprì un’ampia fenditura nel fianco della montagna e da questa i materiali eruttati creando una massa calda e turbinosa di roccia e ceneri formarono le cosiddette nubi ardenti - miscugli incandescenti di gas e piroclasti - che rotolando precipitosamente lungo i fianchi del vulcano distrussero inesorabilmente tutto ciò che incontrarono lungo il loro percorso.

Il flusso piroclastico – surge - portando con sé frammenti di roccia e pomice liquefatti, ad alta temperatura, raggiunse la città di Ercolano ad una velocità di oltre 100 km/h, sommergendola. Chi fu raggiunto dalla fiumana incandescente sparì senza lasciare traccia alcuna. Chi si attardò ancora nella città nel tentativo di portare con sé le proprie cose fu sepolto senza speranza; infatti il materiale fluido si depositò poi lentamente delle case avvolgendo nel suo terribile abbraccio tutto ciò che trovò all’interno. Molta gente in un ultimo tentativo di fuga cercò di raggiungere il litorale nella speranza di poter prendere il mare, ma ne fu impedita; e ciò a causa dell’impossibilità di mettere in acqua le imbarcazioni a cagione del maremoto. A loro restò quindi esclusa ogni possibilità di ulteriore fuga; chi tentò, ormai disperato e malgrado le probabilità contrarie, di distaccarsi dalla riva non ne uscì vivo. Nelle ore successive, accompagnati da movimenti tellurici, furono prodotti dal vulcano altri numerosi surges le cui scorie fluide, depositandosi, seppellirono poi la città fino a raggiungere lo spessore di oltre dieci metri. Il materiale vulcanico raffreddandosi assunse quindi un aspetto fangoso chiudendo le rovine della città in una morsa che risultò irraggiungibile per secoli.

Le nubi ardenti, nella loro maggiore o minore intensità, non risparmiarono Pompei distruggendo ogni cosa si fosse salvata in precedenza e trascinando lungo il loro percorso, detriti, materiali e quant’altro incontrato. Anche in questo caso, le varie sostanze componenti depositandosi, seppellirono con strati successivi di varia altezza, le macerie delle case, dei negozi, degli edifici pubblici e dei luoghi di culto. Inoltre i gas venefici trasportati dai surges e liberati nell’aria fecero le loro vittime superando ogni eventuale possibile difesa di quanti rimasti ancora vivi.

In alcune località ed in particolare a Pompei, essi stramazzando al suolo, furono prima ricoperti dalla pioggia di cenere finissima e impalpabile che aderì perfettamente al corpo e alle vesti e poi dai fluidi vulcanici. Con la consunzione del corpo se ne conservò all’interno la forma.

Proprio i gas tossici composti per lo più da vapori solforosi uccisero Plinio il Vecchio che raggiunto il mare rimase in tranquilla attesa di essere soccorso come ancora deducibile dalla lettera del nipote ormai più volte citata:

“Si ritorna verso la riva, per vedere se il mare permettesse qualche tentativo di fuga; ma esso era ancora agitato. Ivi mio zio si coricò su un lenzuolo steso in terra, poi due volte domandò dell'acqua fresca e ne bevve. Ben presto delle fiamme e l'odore di zolfo, che le preannunzia misero tutti in fuga, costringendo anche lo zio ad alzarsi. Sorretto da due giovani schiavi, si rizzò in piedi e poi subito cadde morto. Io suppongo che il fitto fumo gli togliesse il respiro, chiudendo le sue vie respiratorie, che erano in lui naturalmente deboli e strette, cosicché spesso soffriva d'asma. Quando tre giorni dopo la luce riapparve, il suo corpo fu ritrovato intatto, senza ferite, senza che nulla avesse nemmeno scomposte le sue vesti; così che sembrava addormentato piuttosto che morto".

Così morì a Stabia Plinio il Vecchio all’età di 56 anni, dopo aver cercato coraggiosamente di soccorrere gli amici e le persone in fuga nonché di soddisfare il proprio amore per la scienza. Con lui perirono probabilmente molti altri cittadini romani che asfissiati dai gas caddero inerti sulle spiagge e nelle località dove cercarono disperatamente rifugio. Alcuni di questi corpi, oltre 40 scheletri, sono stati ritrovati recentemente ad Ercolano, quasi in superficie e nei pressi del mare, a seguito delle nuove campagne di scavo sviluppate in quel sito archeologico. Napoli ed il suo più immediato circondario sebbene gravemente danneggiato, si salvò dalla nuvola tossica per effetto dei venti che, spirando a favore, ne trasportarono il carico letale verso il litorale di Stabia.

Quarantotto ore dopo dall’inizio dell’eruzione, Pompei, Ercolano, Stabia, Leucopetra, Oplontis, Boscoreale nonché altri centri ubicati nell’Agro Nocerino Sarnese, di varia importanza abitativa cessarono di esistere. Di Pompei, restarono in vista solo alcune parti degli edifici più alti e resistenti. In un raggio di diciotto chilometri la campagna risultò distrutta, il suolo ricoperto dai materiali vulcanici. Particelle di cenere si depositarono dappertutto raggiungendo anche località lontane e tra queste, l’Africa, la Siria, l’Egitto.

6.6– Aiuti ed interventi successivi

Per alcuni giorni i vapori e le nubi di cenere oscurarono il cielo “…Quando tre giorni dopo la luce riapparve…” poi i venti dissolsero la nube ed il sole tornò a fare mostra di sé. Cominciarono quindi a giungere soccorsi. L’imperatore Tito informato dei fatti nominò una commissione i “Curatores Restituendae Campaniae” che si recarono sul posto per analizzare la situazione e provvedere agli aiuti del caso. Di questo interesse dell’imperatore per le località danneggiate e delle procedure seguite da Tito per la nomina dei membri della “commissione di inchiesta” si trovano alcune tracce nella “De vita Caesarum” di Svetonio:

“A’ suoi tempi accaddero alcune disgrazie ed infelicità, come in Campagna l'eruzione del monte Vesuvio, l’incendio ancora di Roma che durò tre dì e tre notti, una pestilenza grandissima e maggiore, ch'ella fosse stata per l’addietro giammai. In cotali avversità non pure come principe usò ogni diligenza e sollecitudine, ma ancora come padre si dimostrò affettuoso e compassionevole, ora per via del trombetto pubblicamente confortando ciascuno, ora aiutandoli insino a quanto le sue facoltà si stendevano. Trasse per sorte del numero dé cittadini consolari i procuratori, per dare ordine agl’inconvenienti, ch’erano seguiti in Campagna, per l’eruzione del monte Vesuvio. Ed i beni di quelli, ch'erano stati oppressi dal detto incendio, di cui non si ritrovavano gli eredi, volle che fossero assegnati per rifacimento delle città guaste ed afflitte.”

Si mossero le milizie, si mossero navi e procuratori, furono messe a disposizione risorse finanziarie. Le popolazioni sopravissute cominciarono lentamente a ritornare nei centri abitati per verificare i danni, soccorrere i feriti, recuperare i morti, celebrare funzioni funebri e religiose e tentare dove possibile di rientrare in possesso degli averi abbandonati. Ai soccorritori ed ai superstiti della catastrofe lo spettacolo che si presentò fu certamente impressionante, dappertutto cenere in parte trasformata in fango a causa delle piogge che seguirono, case crollate, templi distrutti, imbarcazioni inutilizzabili, le grandi ville, anch’esse segno del benessere della regione, cancellate ed in gran parte sommerse dai materiali vulcanici.

Di alcune città tra cui Stabia, Ercolano e Pompei si trovarono solo poche tracce, scomparsi uomini, campi ed animali pressati sotto la coltre ormai consolidata e trasformata quasi in roccia. Ciò nonostante, a Pompei qualcuno cercò di raggiungere gli edifici sepolti passando attraverso le zone rimaste ancora in vista ma l’azione non ebbe particolare successo. Ad Ercolano, gli strumenti ed i macchinari a disposizione non consentirono neppure di tentare. In queste città gli sforzi dell'imperatore Tito non ebbero perciò alcun esito. I “Curatores” lasciata ogni speranza di intervento abbandonarono conseguentemente ogni progetto di recupero delle località ormai irrimediabilmente perdute. Della sventura che colpì luoghi e popolazioni si interessarono anche storici, letterati e poeti tra questi Marco Valerio Marziale, poeta latino considerato uno dei maggiori epigrammisti del mondo antico, che a ricordo della salubrità del clima, della bellezza del paesaggio, della fertilità dei campi e della bontà dei vini delle località distrutte dedicò un proprio epigramma:

"Ecco il Vesuvio, che ieri ancora era verde delle ombre di pampini:qui celebre uva spremuta dal torchio aveva colmato i tini. Questa giogaia Bacco amò più dei colli di Nisa: su questo monte ieri ancora i Satiri eseguirono il girotondo. Qui c'era la città di Venere, a lei più gradita di Sparta; qui c'era la città che ripeteva nel nome la gloria di Ercole. Tutto giace sommerso dalle fiamme e dall'oscura cenere: gli dei avrebbero voluto che un tale scempio non fosse stato loro permesso".

L’efficienza dell’organizzazione militare e civile romana, malgrado altre sciagure che si verificarono quasi contemporaneamente (*) e riportate nel brano di Svetonio più sopra citato, consentì però di ripristinare in gran parte le zone del golfo sinistrate. Grazie al loro intervento i profughi furono messi in condizione di trasferirsi in altri territori meno danneggiati e resi nuovamente abitabili. Malgrado gli sforzi di Tito per ripristinare i luoghi sinistrati, tra cui anche le vie di comunicazione, tutta la regione fu soggetta ad un processo generale di degrado e di conseguente decadenza. La presenza umana nelle principali aree devastate dall'eruzione del Vesuvio rimase per lungo tempo marginale. Passarono decenni e solo ai tempi dell'imperatore Adriano nel 120-121 d.C., fu possibile ripristinare integralmente l'assetto viario della regione.
(*)L'anno dopo (80) un terribile incendio scoppiò a Roma distruggendo i teatri di  Pompeo e di Balbo, la Biblioteca di Augusto, le Terme di Agrippa, e sei templi, fra cui il Pantheon e quello di Giove Capitolino di recente costruzione. Dopo l'incendio, una peste, che aveva fatta la sua comparsa già sotto Vespasiano,  tornò ad infuriare in tutta l'Italia e Tito si prodigò per venire in aiuto dei colpiti, mettendo a disposizione dell'infelice penisola la cassa dello stato e i suoi beni privati.


7 - Alcuni …secoli dopo


Pompei - Vicolo Storto, l'interno del panificio di Modesto, con in primo piano le macine del grano ancora integre

Passarono i decenni, ed i secoli, la penisola italiana fu percorsa in lungo ed in largo da eserciti di varia natura e nazionalità. Anche la Campania fu soggetta alle distruzioni ed agli sconvolgimenti che accompagnarono le guerre, le interminabili lotte di potere, le epidemie, nonché gli altri malanni e vicissitudini che ne caratterizzarono la storia successiva. Imperatori, Re, principi, duchi, conti e baroni si alternarono nel governo delle varie popolazioni.

Tracce dell’antica catastrofe rimasero solo nelle letture classiche dei più eruditi e nei resti, per quanto visibili, di alcune residenze ancorché spogliate dei loro materiali più ricchi considerati utili per abbellire le dimore dei più abbienti o come materiali di recupero per la costruzione di fortificazioni, nuovi edifici e case di campagna. Alle rovine delle città romane del Golfo di Napoli, già di fatto scomparse all’epoca della grande eruzione del Vesuvio, si sostituirono le edificazioni di nuovi centri abitati che ne cancellarono in gran parte ricordi e vestigia. Di altre scomparvero i nomi latini sostituiti da quelli derivanti da un lessico più moderno. Le grandi ville caddero in disfacimento ed i loro ruderi rimasero…soli e vuoti ad ammirare le bellezze della rigogliosa natura circostante.


La via dell'Abbondanza a Pompei quand'era in stato di abbandono

Di Pompei ed Ercolano non se ne seppe quasi più nulla, alcuni “tombaroli” cercarono di penetrare nella profondità della terra; scavando cunicoli riuscirono a carpire qualche moneta e qualche piccolo tesoro ritrovato ai livelli più vicini alla superficie. Poi anche loro….si stancarono, numerosa la concorrenza, troppo alto il rischio, eccessiva la fatica e soprattutto scarso il profitto!

Pompei fu quasi totalmente dimenticata, e tale rimase fino al 1594 anno in cui, durante lavori di sterro per realizzare un canale per l’acqua, furono riportati alla luce ruderi ed oggetti antichi. Altri ritrovamenti si ebbero anche in altre località quindi non si diede particolare importanza alla specifica scoperta.
Nel 1708 nello scavare un pozzo nei pressi di Ercolano furono portati alla luce alcuni reperti di marmo. Le esplorazioni proseguite nel 1718 nello stesso punto consentirono il recupero di alcune statue ed oggetti vari.

Nel 1738 Re Carlo di Borbone diede avvio agli scavi ufficiali nella zona di Ercolano e qualche anno dopo, nel 1748 furono aperti i cantieri a Pompei. Una équipe portò alla luce i primi reperti provenienti da alcune case, tra cui mosaici, statue anche di origine ellenica, affreschi, argenti, monete, gioielli nonché molti resti umani. L'impatto che si ebbe nel mondo scientifico, culturale ed archeologico fu enorme destando uno straordinario interesse anche per l’immenso valore storico della scoperta. Nel 1786 anche J. W. Goethe, trasferitosi provvisoriamente in Italia, attirato dalle bellezze di Napoli si recò sul Vesuvio e su alcuni siti archeologici descrivendo le proprie impressioni di visitatore nel suo libro “Viaggio in Italia”.

Dall’avvio iniziale dei lavori e dalla prima metà del 1700 ad oggi, sono ormai passati circa…260 anni ed ancora nella zona vesuviana si continua a scavare. Il ritrovamento e l’apertura di altri siti archeologici e l’ampliamento delle ricerche in quelli preesistenti ha consentito di riportare alla luce città, ville, templi, documenti ed iscrizioni portando quindi ad una revisione se non ad una totale riscrittura di alcuni capitoli sulla storia di Roma e su quella dell’area interessata. Anche alcune teorie relativamente recenti, su cause ed eventi correlati all’eruzione del Vesuvio, sono state in parte modificate a causa di nuovi ritrovamenti e dell’utilizzo di tecniche sempre più progredite e precedentemente sconosciute.

Oggi, sofisticatissimi macchinari, sono in grado di consentire agli esperti l’analisi particolareggiata e stratigrafica del terreno, la più rapida individuazione delle zone su cui sviluppare l’opera di scavo e la datazione sicura dei reperti. L’insieme dei lavori e delle analisi specialistiche che in così lungo periodo di tempo ha interessato il settore vesuviano, ha peraltro consentito di mettere in luce e di illustrare in tutti i suoi aspetti la vita e gli usi delle antiche città di Ercolano e di Pompei mettendo a disposizione anche del grosso pubblico le più importanti risultanze. I reperti archeologici, edifici, monumenti pubblici, case private, oggetti, suppellettili ci hanno rivelato un "ambiente", invece le iscrizioni dipinte sui muri, tra cui alcune a sfondo elettorale (*), hanno dato un’immagine sulla voce stessa di coloro che in questo ambiente vissero. In virtù di queste testimonianze Pompei é stata giustamente chiamata "la più vivente delle città morte”.
(*) Numerose iscrizioni di vario genere, e veri e propri manifesti elettorali, sono riportate nell'interessante volume di R.A. Staccioli "Pompei vita pubblica di un'antica città", Newton Compton ed, 1979)

Di Pompei e di Ercolano, anche attraverso le tecniche di restauro esistenti, si ritiene di conoscere ormai quasi tutto, abitudini, stili, commerci, abbigliamento ed per alcuni dei suoi abitanti anche gli ultimi istanti che ne conclusero la vita; e ciò nell’immagine scomposta e spasmodica dell’agonia documentata dai calchi in gesso dei loro corpi.

Ma cosa scopriremo ancora nel futuro?

Le lettere di Plinio il Giovane sono state ampiamente citate ed utilizzate per comprendere meglio gli avvenimenti narrati e per portare all’interno degli stessi la testimonianza diretta di chi li ha vissuti. Riteniamo in ogni caso di riproporle nella loro versione integrale al fine di consentire la lettura anche di altri passi parimenti importanti ma stralciati dal contesto del presente lavoro.

La prima lettera di Plinio il Giovane inviata a Tacito

""...Tu mi domandi, per potertene trasmettere ai posteri una narrazione quanto mai fedele, che io ti parli della morte di mio zio; te ne ringrazio, sapendo che, divulgata da te, la sua morte farà la sua memoria immortale. Egli si trovava dunque a Misene, in qualità di comandante della. flotta. Il nono giorno innanzi le calende di Settembre [24 Agosto 79], verso la settima ora (circa luna dopo pranzo) mia madre l'avvertì che si vedeva una nuvola di dimensioni e di aspetto straordinari. Lo zio, che aveva fatto il suo bagno di sole prima e poi d'acqua fredda, e, dopo aver pranzato, si era messo al lavoro, chiese allora i suoi sandali e salì in un luogo dal quale poter meglio osservare questo fenomeno prodigioso. La nuvola s'innalzava da una montagna, che si seppe poi essere il Vesuvio, avendo quasi la forma di un pino marittimo; che proiettata nell'aria come un tronco immenso, si spandeva poi in alto in rami. Io credo che, sollevata da un violento soffio, che poi s'indeboliva e l'abbandonava, ovvero vinta dal suo stesso peso, essa si disperdeva in larghezza: ora bianca, ora scura a macchie, a seconda. che era costituita di terra o cenere.

Poiché si trattava di uno spettacolo grandioso, degno, per uno scienziato, di essere esaminato da vicino, lo zio fece preparare una delle sue navi leggere e mi offerse di accompagnarlo, qualora lo desiderassi. Io risposi che preferivo lavorare, avendo appunto a sbrigare una cosa da lui affidatami. Mentre egli usciva di casa ricevette un biglietto di Rectina, moglie di Cesio Basso, la quale, spaventata per l'imminenza del pericolo (che la sua villa era situata ai piedi della montagna, cosicché non era possibile abbandonarla se non per mare), lo supplicava di strapparla al flagello che la minacciava. Lo zio allora decise di fare per amicizia ciò che aveva dapprima vagheggiato per curiosità scientifica. Fatte venire delle quadriremi, vi salì per andare in soccorso di Rectina e di molti altri, essendo quella costa incantevole molto popolata. Egli si affretta verso i luoghi donde gli altri fuggivano, orientando il timone così da dirigere la corsa direttamente verso il luogo del pericolo, talmente libero da timore che tutte le fasi del flagello, tutti gli aspetti mutevoli da lui osservati, le detta o le annota egli stesso. Già le ceneri cadevano sulla nave, più calde e più dense man mano che essa si avvicinava, e con quelle delle pietre pomici, dei sassi neri, infuocati, scoppianti per effetto del calore. Il mare che si ritirava non aveva più sufficiente profondità; rocce staccatesi dalla montagna rendevano la costa inaccessibile. Mio zio pensò un momento di retrocedere ed il suo pilota lo incoraggiava; ma poi mutò parere. ''La fortuna, disse, aiuta gli audaci: dirigi verso la casa di Pomponiano".

Questo Pomponiano abitava a Stabia, dove il pericolo non era ancora imminente, pur tuttavia formidabile e prossimo, poiché avanzava ad ogni momento. Pomponiano aveva caricati tutti i suoi mobili su navi, deciso a fuggire non appena fosse stato possibile. Mio zio lo trovò tutto tremante; l'abbracciò, lo consolò, l'incoraggiò e, per convincerlo della propria tranquillità, si fece portare al bagno. Poi si mise a tavola e mangiò allegramente e, ciò che non è meno grande, dando a credere di essere allegro. Frattanto su parecchi punti del monte Vesuvio si vedevano brillare larghe fiamme e vaste chiazze infuocate, di cui la notte aumentava lo splendore e la luminosità. Mio zio, per calmare i timori dei suoi compagni, ripeteva loro che si doveva trattare di case di campagna, già abbandonate dagli abitanti, che bruciavano nella solitudine. Poi si mise a letto e si addormentò di un vero sonno, poiché coloro che stavano presso la porta della sua camera sentivano la sua respirazione forte e sonora, propria di persona corpulenta qual egli era.

Frattanto il peristilio su cui si apriva la sua camera si colmava di ceneri e di pomici, le quali s'innalzavano, così che di lì a poco l'uscita sarebbe stata impossibile. Pertanto egli fu svegliato ed uscì a raggiungere Pomponiano e gli altri che non erano andati a letto. Fu tenuto consiglio: era meglio restare nella casa o errare per la campagna? Le case, agitate da frequenti e lunghe scosse, e come strappate dalle loro fondamenta, s'inclinavano a destra ed a sinistra, minacciando di cadere; fuori c'era da temere la caduta di pietre pomici.

Fra i due pericoli si sceglie il secondo, mio zio attenendosi al partito giudicato migliore, gli altri lasciando un timore per un altro; e così escono tutti, formandosi con dei panni un cuscino sulla testa, per proteggersi dalla pioggia di pietre. Altrove era spuntato il giorno, ma ivi era la notte più nera, più fitta, che si cercava vincere con numerose torce e lumi d'ogni genere. Si ritorna verso la riva, per vedere se il mare permettesse qualche tentativo di fuga; ma esso era ancora agitato. Ivi mio zio si coricò su un lenzuolo steso in terra, poi due volte domandò dell'acqua fresca e ne bevve. Ben presto delle fiamme e l'odore di zolfo, che le preannunzia misero tutti in fuga, costringendo anche lo zio ad alzarsi. Sorretto da due giovani schiavi, si rizzò in piedi e poi subito cadde morto. Io suppongo che il fitto fumo gli togliesse il respiro, chiudendo le sue vie respiratorie, che erano in lui naturalmente deboli e strette, cosicché spesso soffriva d'asma. Quando tre giorni dopo la luce riapparve, il suo corpo fu ritrovato intatto, senza ferite, senza che nulla avesse nemmeno scomposte le sue vesti; così che sembrava addormentato piuttosto che morto"

La seconda lettera di Plinio il Giovane.
In una seconda lettera Plinio racconta a Tacito le sue emozioni e quelle della popolazione di Miseno durante quelle ore sinistre.

"A causa delle violente e continuate scosse di terremoto mia madre ed io ci eravamo decisi ad abbandonare Miseno. La folla spaventata ci segue, obbedendo a quell'istinto di paura che fa riguardare come prudenza il sottomettersi alle decisioni degli altri: a onde lunghe e serrate essa ci preme e ci sospinge. Una volta fuori delle case noi ci fermiamo. Tutt'attorno a noi nuovi prodigi e terrori: i carri che avevamo fatto venire con noi, quantunque si fosse in piano, erano sballottati in tutti i sensi, di modo che nemmeno con delle pietre non era possibile tenerli diritti. Il mare sembrava rientrare in sé stesso, come respinto dalle scosse della terra, cosicché molti animali marini restavano a secco sulla sabbia. Dall'altra parte una nuvolaglia nera, orribile, squarciata da improvvisi fuochi, che si accendevano subitanei serpeggiando, si apriva ogni tanto, lasciando vedere lunghe fiamme simili a lampi, ma più grandi. Poi la nube scende a terra, copre il mare, circonda l'isola di Capri, togliendola al nostro sguardo e ci nasconde anche il capo Miseno.

Mia madre allora mi prega insistendo, mi ordina di fuggire, che io, giovane, posso farlo; quanto a lei, pesante di corpo, indebolita dagli anni, morirà felice se non sarà causa della mia morte; ma io le rispondo che, se debbo esser salvo, non posso esserlo che con lei, e, prendendola per la mano, la forzo ad affrettare il passo. Ella obbedisce a malincuore, rimproverandosi di farmi ritardare. Ecco le ceneri, rare ancora; ma, volgendomi, vedo dietro a noi, minaccioso, un fumo denso, sparso sulla terra come un torrente, che ci segue.

Entriamo nei campi, mentre ci si vede ancora, dico alla mamma, per non correre rischio, rimanendo sulla via, di essere, nelle tenebre, travolti dalla folla che ci accompagna. Appena fermatici noi siamo avvolti dalla notte: non una notte senza luna o resa fosca dalle nubi, ma l'oscurità di una camera chiusa, senza luce. Non si sentono che le grida acute delle donne, i pianti dei bimbi, i clamori degli uomini. Gli uni chiamavano i loro genitori, altri i loro bambini, altri la moglie, non potendosi riconoscere che dalla voce. Questi piangevano sulla propria sorte, quelli su i loro cari. Alcuni, per timore della morte, chiamavano la morte: molti innalzavano le braccia verso gli dèi; mentre molti altri credevano che non ci fossero più dèi, e che questa notte fosse pel mondo l'ultima, eterna notte. E non mancava chi aggravasse il pericolo reale con terrori falsi e menzogneri; a Miseno, dicevano, è crollato il tale edificio, il tal altro è in fiamme; ciò non era vero, ma lo si credeva.

Poi si fece un po' di luce, che a noi sembrò essere non il giorno, bensì indizio che il fuoco si avvicinava. Poi di nuovo le tenebre, mentre le ceneri cadevano abbondanti e pesanti, tanto che occorreva spesso alzarci e scuoterle, per non esser sepolti sotto di esse o schiacciati sotto un tale peso. Io pensavo che io con tutto il mondo e tutto il mondo con me stavamo per perire: miserevole, ma grande consolazione della mia morte. Ma finalmente la nuvola che ci avvolgeva si rischiarò; poi, come fumo, si dissipò ed il vero giorno ritornò si vedeva anche il sole, ma livido, come durante un eclissi. E allora ai nostri occhi, ancora pieni di spavento, tutto sembrò cambiato, come se fosse caduta un'abbondante nevicata, ricoperto di uno spesso strato di cenere…”

La cartina di Pompei

Bibliografia

Plinio Il Giovane, Epistolario - H. THADESAT, Pompei, Edit. Laureila.
W.C. Ceram - Civiltà sepolte.
Jurgen Malitz - Nerone – Il Mulino – Bologna 2003
Johann Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia.
Svetonio – Le vite dei dodici Cesari – nella traduzione di Paolo del Rosso – Perugia 1990
E. Melchiori – Storia Universale – Curcio Editore – Roma 1960
Il Grande libro dell’Archeologia – Vallardi Editore, Milano 1986
E. Scala – Storia delle Fanterie Italiane – Le Fanterie di Roma – S.M.E. Roma, 1950
Siti internet: Soprintendenza archeologica di Pompei – ERCOLANO
La Repubblica del 17 gennaio 2000
Guide Treves – Italia Milano 1911
Touring Club Italiano – Campania – Milano 1936

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