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CRONOLOGIA

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PERSONAGGI
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ANNI 715 - 673 a.C 

ROMA ORIGINI
(secondo gli scrittori antichi)

REGNO DI NUMA POMPILIO
( Latino - 38-71 Anno di Roma - 715-673 a.C. )
(da Tito Livio, Istorie)

Era a quei tempi famosa la giustizia e la religiosit� di Numa Pompilio. Abitava egli la citt� di Cure dei Sabini, uomo versatissimo, quanto si poteva esserlo in quell�et�, in tutte le divine leggi e in quelle umane. 
Udito il nome di Numa, i Padri di Roma, bench�, traendo il re dai Sabini vedessero calar la bilancia della potenza a pro di questi, pur, non osando alcuno preferire a tal uomo n�s�,  n� altri del suo partito, n� alcuno dei Padri o dei cittadini, tutti quanti si accordarono nel conferir il regno a Numa Pompilio. 

Egli, chiamato a Roma, ordin� che, siccome Romolo, dovendo fondare la citt�, prima prese gli auguri e poi il regno, cos� per s� pure si consultassero gli Dei. Quindi Numa, condotto sulla rocca da un augure (cui fu poi a titolo di onore, conceduto in perpetuo questo pubblico sacerdozio), sedette su di un sasso rivolto a mezzod�. L�augure prese posto alla sua sinistra, con il capo velato, tenendo nella sua destra un bastone senza nodi, ricurvo in cima, che chiamavano lituo. Poi, misurata con l�occhio la citt� e la campagna intorno, invocati gli Dei, determin� in cuor suo dinanzi a s�, fin dove l�occhio poteva mai portare la vista, un punto; segn� da oriente ad occidente le parti del cielo, e disse che al destro lato era il mezzod�, al sinistro la tramontana. Allora, passato il lituo nella sinistra, imposta la destra sul capo di Numa, così pregò: "O Giove padre, s'è tuo volere che questo Numa Pompilio, di cui tengo il capo, sia re di Roma, deh tu dichiaracelo con certi segni dentro i confini da me or or divisati ! „. Poi proferì quali segni bramava che fossero mandati; e mandati che furono, Numa dichiarato re, scese dal tempio.

Avuto il regno in questo modo, Numa Pompilio si accinse a rifare, col diritto, le leggi ed i costumi, la nuova città già fondata con la violenza delle armi. E, vedendo che male vi si potrebbe assuefare in mezzo alle guerre, e che anzi più s'inferocivano gli animi nella milizia, deliberato di ammassare la fierezza del popolo col divezzarlo dalle armi, stabilì che il tempio di Giano, in fondo all'Argileto, fosse indice di guerra e di pace, e che aperto significasse che lo Stato era in armi; chiuso, che tutti intorno i popoli erano con esso in pace. Fu chiuso dopo il regno di Numa quel tempio due volte: una sotto il consolato di Tito Manlio, dopo la fine della prima guerra punita; l'altra dopo la battaglia d'Azio (il che gli Dei concessero di vedere all'età nostra), quando da Cesare Augusto imperatore fu fatta pace per terra e per mare.

Numa, dopo averlo chiuso, ed essersi con alleanze e con trattati uniti in amicizia tutti i confinanti intorno, aflinchè i suoi, già tenuti a freno dal timor dei nemici e della militare disciplina, cessati i pericoli esterni, nell'ozio non insolentissero, pensò anzi tutto d'infondere in essi il timor degli Dei, cosa efficacissima sulla gente semplice e ancor rozza di quei tempi. Ma, non potendo scendere questa tema nei loro cuori, se non fingeva qualche prodigio, simulò di avere abboccamenti notturni con la dea Egeria, e che ella gl'insegnasse ad istituire i sacrifizi ch'eran più grati agli Dei e ad assegnare a ciascun nume i suoi sacerdoti.
E prima di tutto prescrisse l'anno di dodici mesi secondo le lunazioni. Introdusse anche la distinzione dei giorni fasti e dei nefasti, perchè sarebbe stato utile talvolta non trattare col popolo. Indi si applicò a creare i sacerdoti, sebbene facesse da sè molte funzioni, quelle specialmente che ora toccano al Flamine diale. Ma, prevedendo che in città più bellicosi sarebbero stati i re simili a Romolo che simili a Numa, e che sarebbero andati alla guerra in persona, perchè non si avessero a trascurare le cerimonie di spettanza del re, creò il flamine, sacerdote di Giove, lo adornò di abito speciale e di regia sedia curale; al quale altri due ne aggiunse, uno a Marte, uno a Quirino. Scelse pure le vergini per il tempio di Vesta, sacerdozio questo originario di Alba, nè straniero alla famiglia del fondatore; assegnò loro stipendio del pubblico, perchè fossero preposte alla custodia del tempio; e col voto di verginità e con altre cerimonie le pose in venerazione di sante. Ed elesse dodici Salii a Marte Gradivo; diede loro una tunica ricamata per distintivo e sopra questa una corazza di bronzo sul petto; e li faceva andare per la città portando gli scudi detti ancili ch'eran caduti dal cielo, e cantando inni, con saltellamenti e danze rituali.
Indi scelse fra i Padri e fece Pontefice NUMA MARCIO, figlio di Marco, affidandogli l'ispezione di tutte le sacre funzioni minutamente descritte e dichiarate: con quali vittime, in quai giorni, in quali templi si dovesse sacrificare, e donde trarre il denaro per tali spese. Sottopose pure all'autorità del Pontefice ogni altra cerimonia sia publica che privata, sicchè avesse la plebe a chi ricorrere per consiglio, e affinchè, trascurando i patri riti o accogliendone di stranieri, non si turbasse minimamente il divin culto; nè solo i riti degli Dei celesti, ma volle anche che insegnasse l'esequie e il modo di placar le ombre dei morti e come i prodigi annunziati per via di fulmini o di altre apparizioni si riconoscessero ed espiassero. E per trarne il significato dalle menti celesti, dedicò un'ara sull'Aventino a Giove Elicio, e lo consultò con augùri, per sapere quali prodigi fossero da riconoscere per tali.

Dalla violenza dunque e dall'armi tutto si volse il popolo a consigliarsi di tali cose e ad espiarle con sacrifizi: così aveano gli spiriti di che occuparsi, e l'assiduo e fisso pensier degli Dei, per la persuasione che celeste nume vegliasse sui fatti umani, avea di tanta pietà gli animi tutti compresi, che, posponendo il timore delle leggi e dei castighi, la città si reggeva con la fede e il giuramento. E non solo informarono i cittadini i loro costumi a quelli del re, quasi ad unico modello; ma i popoli confinanti, che prima vedevano in Roma non una città, ma un campo di guerra piantato in mezzo ai loro per inquietar la pace di tutti, giunsero a tanto di rispetto, che avrebbero creduto sacrilegio violare una città tutta rivolta al culto degli Dei.

Vi era un bosco, bagnato per mezzo con rivo perenne da una fontana uscente da opaca spelonca; e, perchè Numa vi si recava spesso soletto, quasi a conferire con la dea, lo dedicò alle Muse, perchè (affermava) venivano qui a intrattenersi con Egeria sua sposa. Alla Fede istituì una festa particolare; ordinò che i sacerdoti fosser condotti al santuario di lei in una biga chiusa, e che facessero i sacrifizi con la mano velata sino alle dita, per significare che la fede vuol essere custodita e che le destre sono pur sede consacrata di lei.
Stabilì molti sacrifizi e luoghi da farveli, i quali dai pontefici furono detti Argei. Ma la più grande di tutte le opere sue fu la cura ch'ebbe, per tutto il corso del suo governo, della pace insieme e del regno. Così successivamente due re, l'uno per una via, l'altro per l'altra, quegli con la guerra, questi con la pace, migliorarono lo stato. Romolo regnò trentasett'anni, Numa quarantatrè, e il popolo, quanto era forte per l'esercizio della guerra, tanto divenne moderato per l'uso della pace.
(Da Tito Livio,  Istorie, I, Trad. L.Mabil-T.Gironi - Ed. Paravia)


Fonti:
ERODOTO, STORIE
STRABONE, STORIA ROMANA
TITO LIVIO, ISTORIE
CASSIO DIONE - STORIA ROMANA
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE

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