HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 313-299 a. C.

GUERRA ROMANO-ETRUSCA - UMBRA, DEL SANNIO - LE BATTAGLIE

I SANNITI PRENDONO FREGELLE - I ROMANI RIENTRANO IN FREGELLE E CONQUISTANO ATINA E CALAZIA - RESA DEI ROMANI A CLUVIANO - BATTAGLIA DI SUTRI - QUINTO FABIO IN ETRURIA - LA SELVA CIMINIA - PERUGIA, CORTONA ED AREZZO SI DISTACCANO DALLA LEGA ETRUSCA - LA GUERRA NEL SANNIO: PRESA DI ALIFE - SCONFITTA DI CAJO MARCIO - PAPIRIO CURSORE DITTATORE - BATTAGLIA DI LONGULA - BATTAGLIA DEL LAGO VADIMONE - SCONFITTA DEI PERUGINI - PUBLIO DECIO IN ETRURIA - GUERRA CON GLI UMBRI: BATTAGLIA DI MEVANIA - QUINTO FABIO, CORNELIO ARVINA E MARCIO TREMOLO NEL SANNIO - BATTAGLIA DI TIFERNO - PACE CON IL SANNIO - NUOVE COLONIE ROMANE - ALTRE GUERRE CONTRO GLI EQUI, GLI ETRUSCHI E GLI UMBRI
-----------------------------------------------------------------------------------------------------

Prima che il loro consolato finisse, CAJO SULPICIO e MARCO PETILIO riportarono sui Sanniti una grande vittoria.
Dall'Apulia il nemico, alle notizie delle congiure di Capua, si era concentrato a Caudio poi, sceso verso la pianura campana, aveva incontrato l'esercito consolare, con il quale, dopo alcuni giorni impiegati in logoranti scaramucce, era entrato in battaglia.
Il combattimento oltre che aspro fu anche lungo, e alla fine lo scontro terminò con la disfatta dei Sanniti. Secondo LIVIO, tra morti e prigionieri, perdettero circa trentamila uomini. I Sanniti non avevano più un esercito.

Questa vittoria apriva ai Romani la via del Sannio e la guerra si trasferiva nel cuore della regione nemica, intorno a Boviano, capitale dei Sanniti Pentri, i quali cercarono di allontanare l'esercito consolare dal loro territorio assaltando ed espugnando Fregelle.
La riconquistò poco tempo dopo, senza colpo ferire per la fuga dei Sanniti, il dittatore CAJO PETILIO, che, lasciatovi un buon contingente di milizie si trasferì in Campania dove riprese Nola al nemico. Più tardi anche Atina e Calazia caddero in potere dei Romani.

Mentre la guerra sannitica, dopo questi avvenimenti, languiva e i Romani mandavano colonie nel sud e costruivano strade per rendere più facili le comunicazioni con la Campania (nel 442 (312 a.C.) il console Appio Claudio fece lastricare la famosa via che porta il suo nome), notizie minacciose giungevano dal nord.

Era terminata la tregua di quarant'anni concessa nel 403 (351 a.C.) agli Etruschi. Questo popolo ora, forse credendo indebolita Roma dalle guerre, forse credendo, che era giunto il momento di riprendere ai Romani i territori perduti, sperando di ribellare con il suo intervento la Campania e di indebolire con il concorso delle sue armi la potenza di Roma, torna nuovamente a brandirle. Solo gli Aretini rimangono spettatori.

Erano consoli CAJO GIUNIO BUBULCO e QUINTO EMILIO BARBULA. Il primo con un esercito passò nel Sannio, dove i Romani, assediati a Cluviano, si erano arresi per fame, e, appena giunto, assalì la città, la costrinse alla resa, e passò per le armi tutti gli uomini dai quattordici anni in su, poi, attirato in un agguato riuscì abilmente a disimpegnarsi e infliggere al nemico numerose perdite che LIVIO fa giungere alla cifra di ventimila uomini.

Quinto Emilio Barbula fu invece inviato contro gli Etruschi, i quali con un potente esercito si erano presentati davanti a Sutri.
Qui si combatté una grande battaglia con la quale fu inaugurata la guerra romano-etrusca. Superanti di numero erano gli Etruschi, ma più agguerriti e superiori nell'arte militare i Romani. Fu la consumata perizia di questi ultimi che trionfò sul numero.

Gli Etruschi lanciarono nella mischia fin dall'inizio tutte le loro forze, i Romani invece lasciarono da parte per il momento decisivo alcune schiere e con altre sostennero l'urto nemico.
La battaglia, cominciata dopo il mezzodì, si protrasse con esito incerto e sanguinosa fino al tardo pomeriggio; i combattenti erano affaticati e stanchi quando il console ordinò alla riserva di entrare in azione. Queste truppe fresche decisero le sorti della giornata e pochissimi nemici sarebbero scampati alla strage se la sera non fosse sopravvenuta ad interrompere la battaglia.

Questo fu l'unico combattimento dell'anno. Entrambi i due eserciti rimasero nei loro campi ad attendere rinforzi che compensassero le perdite rilevanti che avevano subite. Altre truppe calarono dall' Etruria e giunse a Sutri da Roma con un altro esercito il nuovo console QUINTO FABIO.
Mentre questi marciava lungo le falde dei monti in soccorso della città, gli si fece incontro un numeroso esercito nemico. Il console, non credendo prudente affrontarlo al piano, si rifugiò sulla costa, nelle alture. Fidando nella loro superiorità numerica gli Etruschi, gettati per terra giavellotti e frecce e snudate le spade, si slanciarono verso il nemico con grande impeto.
Ma questo assalto non fu di lunga durata. I Romani, dall'alto, cominciarono a tempestare gli assalitori con un abbondante e ininterrotto lancio di dardi e di sassi che fermò prima la fuga dei nemici, poi scompigliò le prime linee. A quel punto Fabio ordinò ai suoi di contrattaccare e i Romani scesero impetuosamente dalle alture addosso agli Etruschi, i quali, non riuscirono a sostenere l'urto e, voltate le spalle si diedero alla fuga verso gli alloggiamenti, che non riuscirono a raggiungerli; la cavalleria romana, lanciata all'inseguimento, tagliò a loro la via della ritirata e gli Etruschi sbandati, alcuni cercarono scampo su per i monti e la maggior parte dentro la foresta "selva Ciminia"
Molte migliaia di nemici rimasero uccise sul campo, trentotto bandiere, gli alloggiamenti ed un enorme bottino caddero in potere dei Romani.

Desideroso di sfruttare la vittoria, QUINTO FABIO decise d'inseguire il nemico e fu una grande impresa la sua, perché la selva Ciminia era fitta, impenetrabile, paurosa, e temuta per le terribili leggendo che correvano sul suo conto; ma anche perché poteva prestarsi ad una sorpresa ancora più drammatica di quella che la valle di Caudio aveva riservato alle legioni romane.

Tuttavia l'impresa fu tentata. Secondo alcuni i Romani superarono l'immensa foresta e portarono oltre i monti boscosi la guerra e il saccheggio; secondo altri, fecero delle ardite e lontane scorrerie nei territori circostanti.
La verità è che l'effetto fu opposto a quello che il console si era ripromesso di ottenere. Anziché fiaccare il nemico i Romani allargarono il campo della guerra e si tirarono addosso altri popoli, fra i quali i montanari dell' Umbria, di modo che, qualche tempo dopo, al campo sotto Sutri nel quale, carico di preda, si era ritirato l'esercito di Fabio, giunse un'impressionante moltitudine di nemici.
Il console non si sbigottì più di tanto, ed ordinò ai suoi di non uscire dai trinceramenti, ma durante la notte e prima dell'alba, ordinate le schiere, impartì precisi ordini, ad ogni squadra il suo compito, poi s'avvicinò furtivamente all'accampamento dei nemici; questi erano svegli ma ancora in quel gran disordine che precede l'inquadramento dell'esercito; in quell'istante QUINTO FABIO impartì l'ordine d'attacco; con una serie d'operazioni delle legioni, circondarono il campo e con poca fatica costrinsero alla resa gli sbigottiti nemici.

Nei settori che vollero resistere, non ci fu scampo, ci fu una strage d'Etruschi e d'Umbri. Poi si razziò il ricchissimo il bottino che completò la disfatta; ma molto più grandi furono le conseguenze di questa vittoria.
Infatti, Perugia, Cortona ed Arezzo, tutti grossi centri, si distaccarono dalla lega etrusca e, chiesta a Roma la pace, la ottennero con l'impegno di una tregua di trent'anni.

LA GUERRA NEL SANNIO

Mentre successi così clamorosi riportavano nell'Etruria le armi romane, l'altro console CAJO MARCIO, nel Sannio costringeva alla resa Alife e subito dopo con la forza conquistava molti altri paesi.
Ma ecco giungere la notizia che l'esercito di FABIO, dopo la sua brillante conclusione al campo Etrusco-Umbro, inoltratosi nella selva Ciminia era stato circondato dagli Etruschi e dagli Umbri e si trovava in una situazione critica
La notizia era del tutto falsa, anzi la verità era completamente opposta; ma i Sanniti prestando fede alle chiacchiere, forse pensando ad un'altra "forca caudina", infiammati dalla presunta disfatta dei Romani e rammaricandosi solo che era stato per merito degli Etruschi, decisero di fare un grande sforzo e di sconfiggere le legioni di MARCIO stimolandolo ad iniziare la battaglia. Ma rifiutandosi il console di iniziarla, invece di attaccare, stavano decidendo di passare in Etruria attraverso la regione dei Marsi e dei Sabini.

Solo a quel punto CAJO MARCIO decise di accettare il combattimento e l'esercito romano si batté con tale fervore che si sarebbe meritata sorte migliore di quella che invece gli fu riservata.

Scrive TITO LIVIO che furono uguali le perdite dei Sanniti e dei Romani; ma forse la verità, è che questi ultimi ebbero la peggio. Molti cavalieri, infatti, e parecchi tribuni militari caddero durante questa battaglia e lo stesso console fu ferito.
Che la sconfitta ci fosse e di una certa gravità lo dimostra chiaramente il fatto che il Senato, appresa la notizia, decretò di creare un dittatore.

Non c'era miglior capitano a Roma in quel tempo di LUCIO PAPIRIO CURSORE e su di lui cadde la scelta, ma dovendo approvare il console Fabio la proposta del Senato ed essendo Fabio nemico di Papirio dal quale, per disubbidienza, come i lettori ricorderanno, era stato condannato a morte, si temeva che la proposta non fosse approvata.
QUINTO FABIO invece, facendo tacere la voce del personale rancore e solamente ascoltando quella della patria, si mostrò degno della sua fama di valoroso guerriero e diede l'approvazione.
Nominato GIUNIO BUBULCO maestro dei cavalieri, Papirio Cursore, alla testa di un nuovo esercito, marciò alla volta del Sannio e raggiunse CAJO MARCIO a Longula. Qui, unito il suo esercito a quello del console, insieme affrontarono il nemico e in breve tempo fu sbaragliato

BATTAGLIA DEL LAGO VADIMONE ( 444 A. di R. - 310 a.C.)

Nel frattempo non meno fortunati, anzi più decisivi i successi delle truppe romane in Etruria. Sutri fu liberata e QUINTO FABIO, superata (senza ostacoli - perché la notizia abbiamo detto era falsa) la selva Ciminia, si preparava a portare la guerra all'interno della regione nemica.

Gli Etruschi, non scoraggiati dalle passate disfatte, radunano un grandissimo esercito; e contro di questo va incontro il console romano. La battaglia avvenne sulle rive del lago Vadimone (Bolsena) e fu molto particolare per l'irruenza di entrambi gli eserciti, che fin dall'inizio combattono corpo a corpo con le spade, gareggiano nell'impeto e nell'ostinazione e quando cedono le prime schiere, quelle più fresche si buttano nella mischia con lo stesso accanimento delle precedenti.
I Romani non riconoscono più nei loro avversari quegli stessi Etruschi che tante volte hanno sconfitto. Sembra a loro di avere di fronte un altro popolo tanto è il valore che dimostrano. .
Il combattimento si prolunga per molto tempo; le riserve sono state lanciate nella mischia e sono impiegate anche le retroguardie. Tutte le forze di cui l'una e l'altra parte dispongono sono impegnate ed incerta è la sorte dello scontro in fin di giornata.
I cavalieri romani tentano un ultimo sforzo; smontano da cavallo per trasformarsi in fanti e, passando a stento tra le armi e i cadaveri, si portano nelle prime linee, con la loro presenza e il loro valore rinfrancano gli stanchi pedoni e fanno sentire il proprio peso sul nemico che anch'esso stanco e affranto, si batte ancora, ma con la disperazione.
L'intervento della cavalleria appiedata, decide le sorti della battaglia; qualche bandiera nemica inizia a cedere, poi l'intera prima fila si assottiglia e cede pure questa, e invece di essere aiutata e sostituita dai rincalzi, questi hanno girato le spalle e si sono dati alla fuga, abbandonandoli al loro destino.
I cavalieri raddoppiano gli sforzi assecondati dai fanti, poi visto il nemico in fuga, rimontano a cavallo e li incalzano. Su quello che poco prima era un campo di battaglia frastornante, cade il silenzio di un campo cimitero.
Questa battaglia per gli Etruschi fu l'ultima grande battaglia.
(anche se la critica storica moderna ha posto in dubbio questa "tradizione")
(parleremo ancora di questa battaglia non nel prossimo capitolo ma nel successivo)

Il combattimento (noi seguiamo la tradizione) del lago Vadimone fu, infatti, l'ultimo grande sforzo militare del popolo Etrusco. Si opporrà ancora alle armi romane e tenterà di rialzare le sue sorti; ma ogni suo tentativo riuscirà vano davanti alla potenza sempre più crescente dei Romani. E il suo destino è ormai segnato.

Poco tempo dopo, riuscì agli Etruschi di far rompere a Perugia la tregua (dei trentanni) e con l'aiuto di questa tentò di muovere alla riscossa. Ma il loro esercito era ormai sfiduciato,
e quando le legioni di Fabio si mossero per affrontarlo, la resistenza fu molto scarsa; la vittoria delle truppe romane fu facile; poi, dopo averlo annientato, marciarono su Perugia per castigarla severamente per aver dato -rompendo la tregua- aiuto ai suoi ex alleati.

Ma il castigo fu evitato all'ultimo momento. Lungo la strada incontro a Fabio andarono gli ambasciatori per chiedere accoratamente la pace e per trattare la resa della città. Perugia evita così di essere punita e saccheggiata, ma da quel giorno la sua indipendenza è finita. Fabio si è fermato, ma mentre gli ambasciatori sono inviati a Roma a discutere le condizioni della resa con il Senato, un forte contingente di soldati romani penetra, occupa e si stabilisce in città. Non andranno più via! Perugia d'ora in avanti è territorio Romano.
QUINTO FABIO assolto il suo compito, torna in patria a ricevere il suo meritato trionfo.

Nello stesso anno le legioni romane colgono altri allori nel Sannio, dove il residuo esercito
nemico soccombe ancora sotto i colpi del dittatore, del maestro della cavalleria di MARCO VALERIO e PUBLIO DECIO e lasciano nelle mani dei vincitori le splendide armature dei cavalieri sanniti e i magnifici scudi ornati d'oro e d'argento che più tardi una parte servirà come addobbo del Foro romano nelle sacre cerimonie; e un'altra parte saranno armati dai Capuani i Gladiatori.

GUERRE CONTRO GLI UMBRI

Nonostante queste vittorie riportate sugli Etruschi e sui Sanniti, la guerra non era del tutto finita. Rieletto nell'anno 445 (309 a.C.) console, QUINTO FABIO marcia con il suo esercito nel Sannio, sottomette Allife, poi scontratosi con un esercito di Sanniti -questa volta rinforzato da aiuti forniti dai Marsi e dai Peligni- lo attacca e lo sconfigge.

Al suo collega PUBLIO DECIO, sono invece affidate le operazioni in Etruria. Costringe Tarquinia a vettovagliare il suo esercito e a chiedere una tregua di quarant'anni; penetrato nel territorio di Volsinio, s'impadronisce a viva forza di alcuni castelli ed altri ne rade al suolo, poi esegue scorrerie, bruciando, devastando e saccheggiando. Mette tanto spavento negli Etruschi che questi chiedono pace; ma è solamente accordata una tregua di un anno con l'obbligo di corrispondere ad ogni soldato romano la paga per l'anno medesimo e due vesti.
Dopo questi avvenimenti vi sarebbe stata pace in Etruria se non avessero brandito le armi i vicini Umbri, trascinando questa volta loro gran parte degli Etruschi.
Voci preoccupanti correvano sulle intenzioni dei nuovi nemici; si sosteneva che avevano allestito un esercito possente e che, lasciandosi alle spalle l'esercito consolare volevano marciare su Roma.
Furono queste voci che, da una parte consigliarono PUBLIO DECIO MURE a spostarsi verso il sud per contrastare il passo verso Roma di eventuali appoggi ai nemici; e dall'altra il Senato informò della situazione l'altro console invitandolo, se le condizioni del Sannio lo permettevano, a trasferirsi prontamente nell'Umbria.
QUINTO FABIO MASSIMO ubbidì senza indugiare e a marce forzate trasferì il suo esercito nei pressi di Mevania (446 308 a.C.).

L' improvviso arrivo di Fabio, che gli Umbri radunati proprio a Mevania credevano invece impegnato nel Sannio, atterrì il nemico e ne raffreddò l'audacia; che era quella di marciare su Roma. A marciare erano stati invece i Romani, e ora li avevano in casa, quindi bisognava difendersi, altro che attaccare!
Alcuni volevano ritirarsi nelle città murate, altri affermavano che bisognava abbandonare una buona volta la guerra, e altri ancora - e questi erano gli illusi oltre che ingenui promotori - volevano la battaglia, lo scontro, la guerra a Roma.

Non tutti gli Umbri parteciparono al combattimento e quelli che vi presero parte lo iniziarono così disordinatamente da comprometterlo irreparabilmente.
I Romani invece - infiammati dagli incitamenti del console - si lanciarono al suono delle trombe addosso al nemico e lo atterrirono così tanto che gli Umbri -così narra LIVIO- si lasciarono portar via le bandiere, e farsi catturare come prigionieri senza opporre seria resistenza.

SANNITI ED ERNICI SCONFITTI

Vinti gli Umbri, QUINTO FABIO se ne tornò nel Sannio e nel 447 (307 a.C.) rimasto per la seconda volta proconsole, affrontò presso Allife, sul Volturno, i Sanniti combatté l'intera giornata, infine li respinse fin dentro i loro alloggiamenti. La sera era venuta ad interrompere la battaglia, temendo che il nemico durante la notte abbandonasse il campo, lo fece circondare e, spuntato il giorno, accordò al nemico la resa alla condizione che (memore delle umilianti "forche caudine") passassero sotto il giogo.
Quelli tra i nemici però che non erano di nazionalità sannitica furono fatti prigionieri e venduti come schiavi. Il numero di questi ultimi fu di circa settemila e fra loro si trovarono moltissimi Ernici, che subirono la sorte degli altri.
Il trattamento fatto da Roma ai soldati della loro stirpe indignò gli Ernici, che, ad eccezione di Alatri, Verula e Ferentino - le quali si mantennero fedeli ai Romani e in premio ottennero la cittadinanza completa - presero le armi.

Per questi nuovi ed insperati aiuti, riprese animo il Sannio e, riunite insieme le truppe, formando un esercito piuttosto rilevante, assalì alcune fortezze romane. Sora e Calazia furono costrette alla resa e i presidi romani che le difendevano fatte a pezzi.

Correva l'anno 448 (306 a. C.) quando avvenivano questi fatti e consoli erano PUBLIO CORNELIO GRAVINA e QUINTO MARCIO TREMOLO. Il primo fu mandato contro i Sanniti, il secondo contro Anagni e le altre popolazioni erniche. Non fu difficile a Marcio avere ragione del nemico, benché nei primi giorni della campagna le comunicazioni tra il suo esercito e quello del collega fossero state interrotte dagli Ernici, con molta preoccupazione del Senato romano, il quale aveva in gran fretta già allestito due nuovi fortissimi eserciti, chiamando alle armi tutti gli uomini validi dai diciassette ai quarantacinque anni.
CORNELIO GRAVINA invece si trovò a mal partito per la tattica usata dai Sanniti. Questi, essendo inferiori di forze e non osando assalire l'esercito consolare in aperta campagna, avevano occupato tutti i passi e, favoriti dalla posizione dei luoghi che potevano essere tenuti con pochi armati, impedivano al console di comunicare con le sue basi e di ricevere rifornimenti.
MARCIO TREMOLO, vinti ed assoggettati gli Ernici, volle passare nel Sannio in aiuto del collega rimasto -come detto sopra- isolato.
I Sanniti, sicuri di non potere misurarsi con il nemico se avessero lasciato che i due eserciti romani si riunissero, decisero di assalire Tremolo mentre marciava in soccorso di Cornelio.

Scoperto in tempo che stava per essere attaccato durante la marcia di trasferimento (era quasi arrivato e stava già per congiungersi all'esercito del suo collega) MARCIO fece prontamente mettere in mezzo i carriaggi e ordinate come meglio poté le schiere, fece fronte al nemico. Il quale non conseguì i risultati che si aspettava sia per la sveltezza con la quale il console seppe disporre la difesa sia perché qualche segnale di cosa stava accadendo poco lontano giunse a CORNELIO ARVINA, il quale, senza perder tempo, uscito dal suo accampamento, si diresse e attaccò il campo nemico, quasi vuoto perché impegnati con Marcio, e quindi mal difeso; lo espugnò lo incendiò, poi assalì i Sanniti alle spalle.

Questi attaccati sia davanti sia dietro, non resistettero a lungo e cercarono di salvarsi, fuggendo, ma da ogni parte si trovarono circondati dai Romani; in quella sacca infernale subirono delle enorme perdite. A trentamila TITO LIVIO fa ascendere il numero dei morti che i Sanniti lasciarono su quel terreno.

Ma la battaglia non era finita. I Romani, dopo la strage, avevano appena terminato di suonare le trombe per chiamare a raccolta i reduci della battaglia, quando comparve un secondo esercito nemico, che era quello di rincalzo ma che giungeva in auto del primo troppo tardi.
Le truppe romane non aspettarono nemmeno l'ordine dei loro consoli e, entusiasmati dalla precedente vittoria, si lanciarono sui Sanniti come una furia, prima che questi si rendessero conto che cosa era accaduto poco prima ai loro colleghi.
Lo scontro fu breve e nemmeno fu ingaggiata una vera e propria battaglia: il nemico sgomento e subito sbaragliato, arretrando cercò riparo sui monti, ma i Romani lo inseguirono cercando non di farlo fuggire ma di annientarlo.
Non era più una battaglia, era una caccia spietata, senza tregua. Stanchi, feriti, demoralizzati, i Sanniti implorarono la pace obbligandosi di provvedere le truppe romane di grano per tre mesi, di corrispondere loro la paga per un anno e dare una veste ad ogni soldato.

Lasciato il collega nel Sannio, MARCIO TREMOLO fece ritorno a Roma preceduto dalle strabilianti notizie della duplice vittoria; tributatogli il trionfo, per decreto del Senato, gli fu innalzata una statua equestre nel foro davanti al tempio di Castore.

LA BATTAGLIA DI TIFERNO

L'anno seguente (449 - 305 a. C.), avendo i Sanniti ex capuani, fatte alcune scorrerie nel territorio di Capua, furono inviati contro di loro due eserciti, comandati l'uno dal console TITO MINUCIO AUGURINO, l'altro dal collega LUCIO POSTUMIO MEGELLO.
Boviano, la città più importante del Sannio, fu la meta del primo, su Tiferno puntò invece il secondo, che, preso contatto con il nemico, lo costrinse a battaglia.

Discordanti sono le notizie tramandateci dagli storici sulla giornata di Tiferno. Alcuni riferiscono che il combattimento, accanito, terminò con una sanguinosa disfatta del nemico che perse, fra morti e prigionieri, trentamila uomini; altri invece raccontano le cose in un altro modo. Narrano che si combatté tutto il giorno senza vantaggio di alcuna delle due parti. Giunta la notte, POSTUMIO, fingendo di aver paura e di volere fortificarsi in una località sicura, condusse il suo esercito sulle vicine montagne e quivi pose il campo e lo munì di salde difese. I Sanniti lo seguirono nelle nuove posizioni e a loro volta misero gli accampamenti, poco lontano, a due miglia dai Romani.
POSTUMIO aveva fatto quella manovra perché aveva appreso che il collega, nei pressi di Boviano, era minacciato da un forte esercito nemico. Prima che spuntasse l'alba, Postumio fece sapere a Minucio che sarebbe corso in suo aiuto e lo consigliò di attaccare subito i Sanniti; poi, lasciato sotto buona guardia il campo, di nascosto con il resto dell'esercito partì alla volta di Boviano.
Quando vi giunse, da molte ore tra Minucio e i Sanniti era stata ingaggiata la battaglia e fino a quel momento era molto incerto l'esito, inoltre entrambi i due eserciti erano spossati dal lungo combattere. Ma giunto all'improvviso Postumio con l'esercito fresco fu lui a decidere la sorte della battaglia.
I Sanniti, non potendo resistere alle milizie sopraggiunte, tentarono di fuggire, ma, stanchi com'erano, ben presto furono raggiunti e fatti a pezzi lasciando in mano ai vincitori venti bandiere.
I due consoli anche dopo la vittoriosa battaglia, nonostante fosse già quasi sera, non riposarono. Riunite le truppe, si avviarono al campo di Postumio, già preceduti dalle notizie della grande vittoria riportata e, non appena giunti, benché stanchi dal viaggio e dalla precedente lotta, assalirono pure il secondo esercito nemico, lo sbaragliarono, lo misero in fuga, s'impadronirono di ventisei bandiere e fecero moltissimi prigionieri fra cui il più importante: STAZIO GELLIO, il comandante e duce dei Sanniti.

Dopo queste strepitose vittorie, la capitale del Sannio, rimasta esposta alle offese di due potenti eserciti Romani, non aveva alcuna speranza di salvezza, ben presto fu investita dalle truppe consolari e cadeva in loro potere.
Subito dopo, anche Sora ed Arpinio furono costrette alla resa dai Romani.

LA PACE CON IL SANNIO

Orribilmente provati da una lunga e disastrosa guerra, con gli eserciti distrutti e il paese saccheggiato, ai Sanniti bellicosi o no, non rimaneva altro da fare che chiedere la pace. La chiesero e la ottennero dopo aver fornito tutto lo Stato verso i Romani prove di buona volontà alle condizioni da Roma proposte.

TITO LIVIO scrive che le condizioni di pace furono vantaggiose per i Sanniti con i quali Roma rinnovò l'antica alleanza; DIONISIO invece afferma che Roma impose al Sannio come condizione la propria sovranità e che non intraprendesse, senza il permesso della repubblica, guerre e stringesse ogni tipo d'alleanze.

L'affermazione di DIONISIO ci sembra più rispondente alla verità. Non si può difatti ammettere che Roma pur con tanta generosità, abbia stipulato la pace e l'antica alleanza, sulla base della mutua uguaglianza con un popolo vinto; inoltre sapeva -e i precedenti non mancavano di certo- che il Sannio avrebbe prima o poi riprese le armi (e così fu - lo leggeremo nel prossimo capitolo-riassunto)

Pensiamo piuttosto che Roma avrebbe rifiutato senz'altro la pace e, approfittando delle sue vittorie, avrebbe continuata la guerra fino alla definitiva conquista del Sannio se si fosse trovata in migliori condizioni.
Ma anche Roma era stanca; gli sforzi fatti contro i Sanniti, gli Etruschi, gli Umbri e gli Ernici l'avevano esaurita, rilevanti erano state le perdite di uomini che aveva subito, altissimi i costi, ed aveva perciò bisogno di ristorarsi con un periodo, più o meno lungo, di quiete.
Tuttavia, sapendo che presto o tardi si sarebbe trovata ancora di fronte ai Sanniti, approfittò della pace per poter -con un periodo di quiete- consolidare la sua posizione.
Convinta della bontà del suo sistema coloniale, Roma nel 451 inviò ad Alba, sul lago Fucino, una colonia di 6.000 uomini, che doveva assicurare le comunicazioni con l'Apulia, e un'altra, di 4.000 uomini, a Sora Fucense al confine sannitico e nel 455 due altre colonie, a Marnia nell' Umbria ed a Carseoli nel paese degli Equi.

NUOVE GUERRE CONTRO GLI EQUI, GLI ETRUSCHI E GLI UMBRI

Sei anni, dal 450 al 455 (304-299 a.C.) durò la pace tra i Romani ed i Sanniti poi scoppiò nuovamente una lunga guerra (che narreremo nel prossimo capitolo) ma durante questo periodo di tempo le armi di Roma non riposarono proprio per nulla.
Due spedizioni fu costretta a fare contro gli Equi, e altrettante in Etruria e una nell'Umbria.
La prima spedizione contro gli Equi avvenne l'anno stesso che fu firmata la
pace con il Sannio. Gli Equi avevano radunato in un campo una grande moltitudine di armati di varie città, senza disciplina e priva di validi capi e soprattutto di un solo capo. Quando appresero che un esercito Romano si era fermato a quattro miglia dal loro campo, decisero di abbandonarlo, di sciogliere l'esercito e tornare alle proprie città a fare resistenza ognuno dentro le proprie mura.

Disciplinati, forti e organizzati com'erano, i Romani si diedero a percorrere la regione in lungo e in largo e in sessanta giorni -tanto durò la guerra- s'impadronirono a viva forza di oltre quaranta paesi, e la maggior dopo averli costretti alla resa furono distrutti o incendiati.

Questa guerra sistematica di pulizia, impressionò talmente i popoli vicini che i Marrucini, i Marsi, i Peligni ed i Ferentini si decisero di chiedere la definitiva amicizia a Roma e con essa strinsero alleanza.

La seconda spedizione fu fatta nel 452 (302 a.C.) che fu breve, durò solo una settimana. Causa della guerra fu la colonia romana creata a Sora l'anno prima, e che gli Equi assalirono. Pur essendo stati gli assalitori respinti dagli stessi abitanti della città, Roma, credendo che gli Equi fossero aiutati da altri popoli, piuttosto allarmata, creò dittatore CAJO GIUNIO BUBULCO BRUTO. Questi con un forte esercito marciò contro il nemico che ingenuamente accettò battaglia ma fu al primo assalto sgominato e disperso e nei giorni seguenti, più saggiamente, implorando la pace accettò di sottomettersi a Roma.
Questa breve guerra, oltre che la sottomissione degli Equi, fruttò anche l'alleanza con i Vestini.

La prima spedizione in Etruria fu fatta nel 451 (303 a.C.) e fu causata dalle discordie intestine degli Aretini culminate con la prevalenza del partito democratico sull'aristocratico (che non erano una novità fra gli Etruschi)
E siccome contemporaneamente i Marsi intorno all'importante colonia Romana di Carseoli si erano ribellati, fu creato dittatore MARCO VALERIO MASSIMO e maestro della cavalleria MARCO EMILIO PAOLO.
Il dittatore, passato nel territorio dei Marsi, attaccò i ribelli costringendoli a rifugiarsi entro le mura delle città ed, avendo in pochi giorni costretto alla resa Milonia, Plistia e Fresilia, riuscì a pacificare la turbolenta regione. Di là Marco Valerio tornò a Roma per rinnovare gli auspici; l'esercito, rimasto sotto il comando di Marco Emilio, passò in Etruria, ma qui, uscito imprudentemente dal campo per predare, cadde in un'imboscata e, dopo avere lasciato sul terreno alcuni morti e qualche bandiera in mano al nemico (o perse per la strada), fu costretto a rifugiarsi nel suo più protettivo campo.
Poco fu il danno materiale subito dai Romani, ma la notizia dello scacco giunse subito a Roma e in un modo diverso e fece pensare ad una grande sconfitta. Per questo motivo, allarmistico furono messe guardie alle porte, ronde nelle vie e furono chiamati i cittadini alle armi.
MARCO VALERIO, partito precipitosamente, costatò che le cose in Etruria non presentavano alcuna gravità. Il campo era in un luogo sicuro e quei soldati che avevano perso le bandiere erano stati lasciati per punizione fuori degli alloggiamenti.
Altissimo infine era il morale dell'esercito sempre pronto a combattere.
Tuttavia levato il campo, il dittatore trasferì l'esercito nel territorio di Russelle dove il nemico lo seguì. Qui gli Etruschi cercarono di trarre in agguato una schiera romana comandata dal legato CAJO FULVIO, ma non essendovi riusciti, l'assalirono con numerose forze.
FULVIO, riuscì ad informare Valerio, e cercò di sostenere l'urto dei nemici fino a quando comparve il grosso dell'esercito.
Prima ad attaccare fu la cavalleria che seminò il panico nelle file nemiche; queste sì diedero alla fuga ma verso il loro campo e vi si trincerarono, e ai Romani non ci volle molto tempo per costringerli alla resa e a subire così una totale disfatta.
Gli Etruschi chiesero la pace, ma fu loro concessa solo una tregua di due anni.

Della seconda spedizione, la causa fu un'invasione di Galli in Etruria. Gli Etruschi prima subirono il danno delle razzie dei feroci e possenti barbari, poi con il denaro ingaggiarono i Galli versando loro una grossa somma. Ma, ricevuto l'oro, i Galli pretesero pure una parte del territorio, ma per il rifiuto degli Etruschi e per aver appreso che il dittatore MARCO VALERIO marciava con un forte esercito verso l'Etruria, abbandonarono la regione.
MARCO VALERIO quando vi giunse volle punire gli Etruschi e non avendo questi accettato battaglia rifugiandosi dentro le mura delle città, si diede ad incendiare e saccheggiare il paese e i dintorni.

Fra la prima e la seconda spedizione romana in Etruria, i Romani nel 455 (299 a.C.) dovettero brandire le armi contro l'Umbria. Non sono note le cause di questa guerra, solamente si sa che il teatro dove fu combattuta é Nequino sulla Nera (il famoso fiume che nasce sui Monti Sibillini, e alimenta la cascata delle Marmore).
La posizione arroccata dove sorgeva la città umbra era forte per natura; quindi gli abitanti erano decisi non solo a difendersi ma anche sicuri di non capitolare.
Infatti, un contingente romano inviato ad assediarla al comando del console APULEIO, non riuscì a fare proprio nulla per oltre un anno e soltanto nel secondo riuscì a conquistarla ma grazie al tradimento di due abitanti che indicarono ai legionari un passaggio segreto per introdursi nella città, che ovviamente non ebbe scampo.
Sulla Nera, per tenere a freno gli Umbri, in questo medesimo anno, fu inviata una colonia romana che prese il nome di Narnia (od. Narni).

Così Roma consolidava le sue conquiste, e, crescendo i cittadini di numero, furono aggiunte due nuove tribù alle vecchie (1'Aniense e la Terentina) le quali, con quelle istituite nel 332 (1'Ufentina e la Falerna.) diventarono ora trentatre.

Ma intanto nel Sannio, dopo cinque anni di tregua, tornavano a rumoreggiare le armi e una nuova guerra sannitica si annunciava, non meno accanita delle precedenti.

Questi avvenimenti e altri li leggeremo nel prossimo capitolo

il periodo che va dall'anno 299 al 290 a.C. > > >

Fonti, Bibliografia, Testi, Citazioni: 
TITO LIVIO - STORIE (ab Urbe condita)
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
DIONE CASSIO - STORIA ROMANA 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
+ altri, in Biblioteca dell'Autore 

 


ai RIASSUNTI - alla TABELLA TEMATICA - alla H.PAGE