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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 217-205 a. C.

ROMA - 2a GUERRA PUNICA: SCIPIONE IN SPAGNA -ASDRUBALE IN ITALIA

IMPRESE DEI FRATELLI SCIPIONI IN ISPAGNA - LORO MORTE - PUBLIO CORNELIO SCIPIONE - PRESA DI CARTAGENA - ASDRUBALE IN ITALIA - BATTAGLIA DEL METAURO - GESTA DI SCIPIONE IN SPAGNA - BATTAGLIA DI BECULA - MAGONE IN ITALIA - SCIPIONE CONSOLE
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IMPRESE DEI FRATELLI SCIPIONI IN ISPAGNA

Prima di proseguire con gli ultimi avvenimenti della seconda guerra punica in Italia - dove ora sta scendendo dalle Alpi, ASDRUBALE, fratello di ANNIBALE- è necessario raccontare brevemente quelli che si svolsero nello stesso periodo (218-217 a.C.) in Spagna.
Qui GNEO SCIPIONE con il suo esercito inviato per contrastare i Cartaginesi sulla penisola iberica, ma anche per impedirgli di portare soccorso ad Annibale, vinto ANNONE, aveva riconquistato con la forza delle armi e con una saggia politica tutto il territorio tra l'Ebro e i Pirenei; ma il Senato romano, prima della sconfitta di Canne - consapevole dell'enorme importanza della Spagna, dalla quale Cartagine traeva uomini e denaro vi mandò con il titolo di proconsole il fratello PUBLIO SICIPIONE al comando di ottomila legionari.

Giunto in Spagna, Publio congiunse le sue truppe con quelle del fratello e insieme i due capitani passarono l'Ebro e marciarono su Sagunto, nella cui rocca sapevano essere custoditi dai Cartaginesi gli ostaggi che alcune popolazioni iberiche avevano consegnato.

Scopo dei due fratelli era d'impadronirsi non tanto della rocca quanto degli ostaggi, conoscendo che solamente questi preziosi pegni mantenevano fedeli al nemico gli Spagnoli. A raggiungere questo scopo li aiutò un nobile spagnolo, di nome ABELUCE. Questi, vedendo che le cose volgevano non bene per i Cartaginesi e volendo propiziarsi i Romani, consigliò astutamente BOSTARE, che comandava il presidio di Sagunto, di rimandare alle proprie famiglie gli ostaggi per ingraziarsi con quest'atto di generosità gli Spagnoli; ed egli stesso si offerse di accompagnarli alle loro case.
Bostare abboccò all'amo ed Abeluce, ricevuti gli ostaggi, fingendo di cadere in un'imboscata di truppe romane, li consegnò a queste. Impadronitosi in tal modo degli ostaggi, i due Scipioni li rimandarono liberi guadagnandosi di colpo la riconoscenza e la simpatia delle popolazioni iberiche.

L'anno che seguì alla battaglia di Canne, ASDRUBALE, ricevuto da Cartagine un esercito di dodicimila fanti e cinquecento cavalli, condotto da MAGONE, riprese l'offensiva, deciso a ridurre sotto il dominio della sua patria le popolazioni ribellatesi e a passare poi nella penisola in soccorso di Annibale; ma presso l'Ebro, scontratosi con gli Scipioni, subì una sanguinosa sconfitta che non solo gli tolse la speranza di andare in Italia ma gli rese anche difficile reggersi in Spagna.

A questa vittoria romana altre, importantissime, seguirono: a Illiturgo, a Incibile, a Castulone, a Munda, ad Auringen e infine a Sagunto che cadde in potere degli Scipioni. I quali, per creare problemi a Cartagine, riuscirono ad attirare dalla loro parte SIFACE, re della Numidia occidentale.
Minacciata dai Numidi, Cartagine si alleò a sua volta con GAIA, re della Numidia orientale, e richiamò in Africa ASDRUBALE, che sconfisse Siface, poi con GAIA e il giovane figlio di costui, MASSINISSA, tornò in Spagna a continuare la guerra contro i fratelli Scipione.

Questi intanto avevano assoldato trentamila Celtiberi, ma vedendo che per l'aiuto di Gala la guerra iberica si prolungava, cercarono di finirla una buona volta.
I cartaginesi erano accampati in due punti diversi del bacino del Beti: (a Guadalquivir, ASDRUBALE BARCA, fratello di Annibale, ad Antorgi, ASDRUBALE GISGONE, ad Ursona MAGONE.
I due capitani romani stabilirono di assalire contemporaneamente i due eserciti nemici: GNEO con un terzo delle legioni e i trentamila Celtiberi marciò su Antorgi, PUBLIO con il rimanente delle truppe romane si mosse verso Ursona. Però i Celtiberi, quando si trovarono di fronte il nemico, corrotti dal denaro dei Cartaginesi, abbandonarono i Romani, e Gneo, stimando che era una follia scontrarsi con ASDRUBALE, con le poche fedeli truppe rimaste, cercò di salvare il suo esercito operando una precipitosa ritirata.

Ad Ursona PUBLIO SCIPIONE non ebbe migliore fortuna. Costretto dalla cavalleria di MASSINISSA a trincerarsi nel proprio campo e appreso che lo spagnolo INDIBILE sopraggiungeva con settemila uomini in soccorso dei Cartaginesi, Publio fece una scelta disperatamente audace.
Lasciò nell'accampamento parte delle truppe sotto il comando del luogotenente TITO FONTEIO e con il resto uscì di notte incontro a INDIBILE, deciso a sbaragliarlo prima che potesse congiungersi con Asdrubale e Magone. Il suo ardito disegno sarebbe riuscito se i Cartaginesi, accortisi della sua partenza, non lo avessero poco dopo seguito.
Volgeva favorevole ai Romani la lotta ingaggiata contro Indibile quando sopraggiunsero prima la cavalleria di Massinissa poi le fanterie di Magone e Asdrubale che capovolsero le sorti della battaglia. SCIPIONE, trapassato da una lancia, cadde morto; dei legionari molti rimasero uccisi sul campo, molti nella fuga, pochissimi riuscirono a salvarsi.

Sconfitto l'esercito di Publio, Asdrubale Gisgone e Magone, senza perdere tempo, riunirono le loro forze con quelle di ASDRUBALE BARCA e si misero sulle tracce di GNEO. Difficilissima divenne pertanto la ritirata di questo. Molestato prima senza tregua dalla cavalleria numida, poi raggiunto dal grosso, fu costretto a fermarsi sopra un colle e, non avendo tempo di costruire steccati e scavare fossati, vi si trincerò con i bagagli. Ma questa difesa era molto debole rispetto al numero enorme di nemici, e dopo un'accanita resistenza i legionari furono sconfitti, massacrati, e pure Gneo Scipione rimase ucciso.
Solo una parte dei Romani, guidati da L. MARCIO, riuscirono a salvarsi e a congiungersi ai compagni rimasti con TITO FONTEJO.

PUBLIO CORNELIO SCIPIONE

Con la morte dei due valorosi fratelli Scipioni e la sconfitta dei loro eserciti la Spagna fino all'Ebro cadde sotto il dominio dei Cartaginesi e sarebbe stata perduta per Roma anche la parte che dall'Ebro va ai Pirenei, se con i rimasugli delle legioni non l'avesse eroicamente difesa LUCIO MARCIO, il quale non solo seppe resistere agli assalti del nemico, ma, passato audacemente all'offensiva, in un giorno e una notte conquistò due accampamenti cartaginesi e uccise parecchie migliaia di nemici.

Nel mentre, in Italia, riconquistata Capua, relegato Annibale a fare solo scaramucce con il resto dei suoi uomini e piuttosto in difficoltà, Roma inviò in Spagna un esercito di quindicimila uomini comandato dal proconsole CAJO CLAUDIO NERONE e questi in breve tempo riuscì a riconquistare il territorio perduto e si spinse fino alla valle del Beti, dove poco mancò che ASDRUBALE con il suo esercito non cadesse prigioniero dei Romani; e molti eventi successivi sarebbero stati diversi.

Nonostante il suo indiscusso valore però NERONE non era l'uomo che ci voleva in una guerra contro l'astuto Asdrubale. Il suo carattere inoltre non gli aveva accattivate le simpatie dei legionari ed aveva pure allontanate dal governo di Roma quelle delle popolazioni iberiche, e per questo motivo il Senato giunse a deliberare di inviare in Spagna un capitano che con il valore accoppiasse saggezza e accorgimento politico

La scelta cadde su PUBLIO CORNELIO SCIPIONE, figlio del proconsole caduto ad Antorgi. Aveva appena ventiquattro anni, ma era notissimo a Roma per la sua generosità, per la sua religiosità, per le leggende che correvano sulla sua nascita - si affermava che la madre sua fosse stata per volere degli dei fecondata da un serpente - per l'animo risoluto e per il valore che aveva fornito in innumerevoli occasioni. Appena diciottenne, nella famosa battaglia del Ticino -come abbiamo già narrato- aveva messo a repentaglio la sua vita per salvare quella del padre; l'anno seguente, dopo la rotta memorabile di Canne nella quale si era trovato con il grado di tribuno militare, aveva a Canusio impedito ad alcuni patrizi di mandare a conclusione la trama di fuggire dall'Italia e li aveva costretti a giurare sulla sua spada che avrebbero continuato a combattere per la difesa di Roma.

Sollecitando lui stesso, per vendicare la morte del padre e dello zio, l'onore di recarsi in Ispana, fu creato proconsole e nell'autunno del 210 a.C., con un esercito di diecimila fanti e mille cavalli e una flotta di trenta quinqueremi comandata da CAJO LELIO, parti da Ostia. Era con lui il propretore MARCO GIUNIO SILVANO. Sbarcato ad Ampurias, pose i suoi quartieri d'inverno a Tarracona, dove richiamò le truppe di CLAUDIO NERONE, e preparò i suoi piani per la primavera del 209 a. C. (lo stesso anno che i Romani sconfiggono Annibale e riconquistano Taranto).

PRESA DI CARTAGENA

Si trovavano in quel momento in Spagna quattro capitani cartaginesi; ma nate fra loro delle discordie, divisi gli eserciti, avevano posto i loro campi in quattro punti diversi: ASDRUBALE BARCA nella regione dei Carpentani, MAGONE alla foce del Tago, ASDRUBALE di Gisgone nelle terre di Conii, nel mezzogiorno della Lusitania. Comandava la cavalleria Numida il valoroso MASSINISSA.
La dislocazione delle forze nemiche suggerì a Scipione il piano della futura azione: affrontare uno alla volta gli eserciti avversari, portare la guerra più lontano che fosse possibile dall'Ebro, togliere al nemico la più importante base, Cartagena, la città fondata nel 228 dal cognato di Annibale.
PUBLIO CORNELIO SCIPIONE cominciò a mettere in attuazione il suo disegno assalendo Cartagena, che non era difficile espugnare perché difesa da una guarnigione di soli mille uomini comandati da un certo Magone ed anche perché gli eserciti cartaginesi, distando da questa base molte giornate di cammino, non potevano recarle soccorso.

Messo a parte del suo piano l'amico CAJO LELIO, lo mandò con la flotta verso la città che aveva intenzione di conquistare, poi lui marciò su Cartagena alla testa dell'esercito e, seguendo la costa, vi giunse in sette giorni dopo aver percorso più di trecento miglia. Magone all'arrivo improvviso della flotta e delle legioni di Roma non si perdette d'animo; chiamati alle armi i cittadini osò anzi uscire dalle mura ed assalire le truppe di Scipione ma, respinto, fu costretto a rientrare nella città.
Allora il proconsole diede l'assalto alla piazzaforte. Sorgeva questa sopra un promontorio unito al continente da un istmo difeso da solide mura.
Non era il caso di assediare la città; urgeva prenderla presto per non dar tempo agli eserciti di accorrere in sua difesa. Scipione inviò un corpo di legionari nel lato occidentale di Cartagena che, dando sul mare, era munito di mura più basse; con il resto delle sue truppe assalì dagli altri lati la città per distrarre i difensori dal punto più vulnerabile. Il piano del giovane capitano riuscì a meraviglia. Essendo, per la bassa marea, rimasto asciutto parte del porto, il corpo dei legionari riuscì facilmente a scalare le mura ed occupare Cartagena. Magone, quando vide i nemici nella città, si barricò con la guarnigione nella rocca, ma poco dopo si arrese.
Seicento talenti furono trovati nella casa del presidio e nelle mani dei vincitori caddero armi, navi e vettovaglie e numerosi ostaggi.

Mostrandosi dotato di grande saggezza politica, il giovane SCIPIONE mandò liberi alle proprie famiglie gli ostaggi, non ridusse in schiavitù i cittadini e lasciò il possesso dei loro beni, infine impiegò gli operai come rematori, promettendogli la libertà alla fine della guerra.
I frutti dell'accorta politica del proconsole non tardarono a manifestarsi; le popolazioni spagnole capirono che Roma non era Cartagine, che i Romani non erano venuti a fare la guerra agli indigeni per sottometterli, ma ai Cartaginesi, e molte tribù si ribellarono alla repubblica africana. Due capi molto influenti INDIBILE e MARDONIO si unirono con i loro armati a Scipione e questi, per nulla preoccupato dagli eserciti nemici impegnati a domare la rivolta, riuscì indisturbato a riordinare le cose di Cartagena, quindi passò a Tarracona dove pose i suoi quartieri d'inverno.
Di SCIPIONE si disse che conquistò la Spagna non con le armi, ma con la bontà, e della sua bontà si raccontano molti esempi fra i quali ci piace riportare il seguente:
Presa Cartagena, fu al proconsole dai suoi legionari condotta come prigioniera una bellissima fanciulla di nobile famiglia ispanica, fidanzata ad ALLUCIO, giovane capo di una importante tribù celtibera. Scipione, per diritto di guerra, avrebbe potuto tenere presso di sé la donna, ma, saputa la sua condizione, fece venire i parenti e il fidanzato della giovane e consegnò loro la fanciulla. Ammirati dalla generosità del capitano romano, gli amici e parenti volevano pagare il riscatto e insistendo, poiché lui lo rifiutava, che accettasse la somma come regalo, Scipione prese il denaro e l'offrì ad Allucio come dono di nozze.
Allucio, riconoscente, passò con mille e quattrocento cavalieri al campo romano. Tutto questo avveniva nell'anno 209 a.C. In Italia contemporaneamente Annibale era stato costretto da Claudio Marcello a lasciare Capua, dopo aver occupato Taranto lo stesso Marcello la poneva sotto assedio riconquistando la città.

Nella primavera del 208, SCIPIONE entrò nella Betica, dove era accampato il più forte degli eserciti cartaginesi, comandato da ASDRUBALE BARCA. Sul fiume Beti a Becula o, come scrive POLIBIO, presso Castula, si scontrarono i due eserciti e quello cartaginese subì una sconfitta.
Con l'esercito ridotto alla metà ma con la speranza d'ingrossarlo lungo la via, ASDRUBALE BARCA, insistentemente chiamato da Annibale e consigliato anche da Cartagine, si mosse verso i Pirenei occidentali per recar soccorso al fratello in Italia. In Spagna rimasero Asdrubale di GISGONE, MAGONE e MASSINISSA. Ma nessuno dei tre osò scontrarsi con Scipione; anzi il primo si ritirò nella Lusitania, il secondo andò nelle isole Baleari per procurarsi nuovi mercenari e solo il terzo ebbe l'incarico di infastidire con delle schermaglie l'esercito romano.
La guerra così ebbe un po' di tregua nella penisola iberica e si riaccese in Italia. Ma erano gli ultimi bagliori di un incendio che durava da oltre un decennio.

ASDRUBALE IN ITALIA - BATTAGLIA DEL METAURO

Nella primavera del 207 Asdrubale, dopo avere arruolati numerosi Galli nella Transalpina, valicò le Alpi e scese in Italia dove riuscì ad aggiungere alle sue truppe ottomila mercenari Liguri. A circa sessantamila uomini assommava il suo esercito, il quale, assalita inutilmente Piacenza, puntò, per le vie Emilia e Flaminia, verso l'Adriatico. Il nuovo nemico, che giungeva a portare nuove e poderose forze ad Annibale, non lasciò Roma indifferente. Furono fatti sacrifici alle divinità, si reclutarono milizie con le quali si formarono ventitre legioni, e si nominarono nuovi consoli.
Riuscirono eletti CAJO CLAUDIO NERONE e MARCO LIVIO SALINATORE. Il primo era un veterano delle guerre d'Italia e di Spagna e se non era fornito di tutte quelle virtù che abbisognano ad un capo di eserciti, era però uomo valoroso, risoluto ed audace. Il secondo, detto "Salinatore" per avere messo l'imposta sul sale al tempo della sua censura, al contrario di Nerone, era di famiglia plebea; valoroso ed accorto capitano, si era di-
stinto con Lucio Emilio Paolo nell'anno nella guerra illirica; accusato di peculato nella ripartizione del bottino e ingiustamente condannato, si era ritirato a vita privata.
Assunti al consolato, i due generali si divisero il compito delle operazioni: LIVIO, non volendo dare battaglia ad Asdrubale nell'Italia settentrionale per non trovarsi in una regione i cui abitanti parteggiavano apertamente per i Cartaginesi, decise di andare ad incontrarlo nel centro della penisola e impedirgli di congiungersi con il fratello; NERONE invece, fu inviato nel mezzogiorno della penisola a fronteggiare Annibale.

Quest'ultimo era in cammino verso l'Apulia quando a Grumento fu fermato dall'esercito di Claudio Nerone che si scontrò battaglia. Il cartaginese ebbe la peggio e, poiché, non voleva impegnarsi a fondo contro i Romani, si ritirò e, fatta una diversione, andò prima a Venusio poi a Canusio dove pose l'accampamento e rimase ad aspettare notizie del fratello.
Il console Claudio Nerone seguì Annibale fino a Canusio e pose il campo a poca distanza dal nemico. Asdrubale intanto aveva spedito al fratello messaggeri con lettere nelle quali avvisava Annibale del suo arrivo e lo sollecitava di venirgli incontro nell'Umbria.

Fortuna volle che le lettere cadessero in mano di NERONE, il quale, senza perdere tempo, scrisse al Senato di inviare immediatamente a Narnia, nell'Umbria, le due legioni che si trovavano di riserva a Roma richiamando a sostituirle quella che era di presidio a Capua; poi, sicuro che Annibale sarebbe rimasto a Canusio in attesa di notizie del fratello, scelse nel suo esercito settemila uomini e, lasciato il grosso presso il campo cartaginese, alla testa di quelle poche migliaia di armati si diresse a marce forzate verso il Piceno e raggiunse il console LIVIO che si trovava accampato a Sena (Senigaglia).
ASDRUBALE, varcato il Metauro, si era accampato presso la foce di questo fiume, quando gli giunse la notizia dell'arrivo a Sena di CLAUDIO NERONE. E, poiché sapeva che l'esercito di questo console aveva avuto il compito di fronteggiare le truppe del fratello nell'Italia meridionale, credeva che Annibale fosse stato assalito e sconfitto. Veniva a crollare così il suo disegno di congiungersi al fratello e dare l'assalto a Roma. Il Cartaginese ritenne opportuno di non proseguire il suo cammino e, non volendo compromettere le sorti della campagna affrontando i due consoli romani, pensò di ritirarsi nella Gallia Cisalpina e, levato il campo, verso questa si diresse
La ritiratá gli riuscì fatale. Le guide lo abbandonarono ed Asdrubale, smarrito il cammino ed avendo i Romani alle calcagna, si vide costretto ad accettar quella battaglia che avrebbe voluto evitare.

Il Cartaginese fece occupare un'altura dalle truppe galliche, le quali costituirono l'ala sinistra dello schieramento ed ebbero il compito di resistere ad ogni costo e tenere fortemente impegnata l'ala destra romana, comandata dal console Nerone. Al centro pose le milizie africane, alla destra gl'Ispani e gli elefanti. Tutto lo sforzo della battaglia doveva esser fatto dall'ala destra, alla quale era affidato il compito di attaccare risolutamente la sinistra romana capitanata da MARCO LIVIO SALINATORE e, sbaragliatala, cincondare il centro e la destra dell'esercito nemico.
Alla sapienza Al piano del sapiente Asdrubale non arrise però la fortuna. Da ambo le parti la battaglia fu iniziata con inaudito accanimento e per molto tempo l'esito rimase sempre incerto; poi sotto la furia degli assalti delle schiere ispaniche le truppe di LIVIO cominciarono a cedere, ma CLAUDIO NERONE con la sua audacia salvò l'esercito romano e decise le sorti della battaglia.

Avendo visto a mal partito le truppe del collega, aggirò non visto con parte delle sue milizie la collina su cui stavano i Galli e piombò improvvisamente alle spalle della destra cartaginese portandovi la babele.
Circondato e premuto da tutte le parti, il nemico tentò un'inutile resistenza, ma le sorti erano oramai decise e se n'accorse bene ASDRUBALE, il quale, visto
che la disfatta era irreparabile, si slanciò con il suo cavallo nella mischia della battaglia e vi trovò una gloriosa fine.
Non un solo soldato dell'esercito nemico - dicono - riuscì a ripassare le Alpi e a portare in Spagna la notizia della sconfitta.

Secondo POLIBIO diecimila furono i morti nel campo di Asdrubale; secondo APPIANO, il Cartaginese condusse alla battaglia quattromila ed ottocento fanti, ottomila cavalli e quattordici elefanti; secondo TITO LIVIO, che forse esagera un po', perirono dei nemici cinquantaseimila uomini e ne furono catturati cinquemila e quattrocento.
La strage di Canne era stata vendicata e a Roma, all'annuncio della strepitosa vittoria, che, a ragione, fu considerata come decisiva per le sorti della guerra. annibalica, gli spiriti si rinfrancarono e furono rese grazie agli dèi con una festa durata tre giorni.

Subito dopo la battaglia del Metauro, il console CLAUDIO NERONE tornò al campo presso Canusio dove aveva lasciato il suo esercito a fronteggiare Annibale. Portava con sé un macabro oggetto preso al campo di battaglia: la testa del valoroso ed infelice Asdrubale, che, lanciata nel campo nemico, dicesi che facesse esclamare ad Annibale: "Riconosco ora la fortuna della mia patria!".

Tuttavia il grande generale cartaginese, in cui la tenacia era pari al valore, non volle abbandonare il suolo d'Italia e, benché comprendesse che nulla poteva più fare per abbattere la potenza di Roma, rimase ancora per quattro anni nella penisola, sui boscosi monti del Bruzio resistendo ai colpi inesorabili degli eserciti romani.

FINE DELLA GUERRA IN ISPAGNA

Dopo Metauro, la fortuna di Cartagine tramonta non solo in Italia, ma anche in Spagna. Qui, dopo la partenza di Asdrubale, SCIPIONE riconduce sotto il dominio di Roma tutta la parte orientale della penisola. Davanti ai successi del nemico, Magone ed Asdrubale di Gisgone restano inattivi, aspettando aiuti da Cartagine. Questi giungono nella primavera del 206 e li conduce ANNONE, cui si unisce, con le truppe reclutate nelle Baleari, Magone. Scipione, per impedire che tutte le forze nemiche si congiungano, manda contro Annone il pretore MARCO SILANO, e lui rimane a fronteggiare Asdrubale. Silano, appreso che l'esercito di Annone è diviso in due campi, muove con tutta la celerità possibile contro uno di loro, per non dar tempo all'altro corpo di giungere in soccorso, e, dopo averlo assalito con impeto, lo sbaraglia catturando Annone. Magone, giunto alla fine della battaglia, riesce con parte dei suoi a porsi in salvo con la fuga e a congiungersi con Asdrubale di Gisgone.

Nonostante le sconfitte patite, il nemico è ancora temibile. Asdrubale dispone di settantamila fanti e quattromila cavalli, mentre SCIPIONE ha solo quarantacinquemila uomini, tra fanti e cavalieri. Ma questi confida nel suo valore e nella fortuna che sempre gli è stata benigna e marcia contro il nemico con il quale prende contatto a Becula. Qui hanno luogo alcune azioni di cavalleria favorevoli ai Romani, poi avviene la grande battaglia che deve rendere Roma padrona di tutta la Spagna.
Da alcuni giorni i due eserciti escono dal campo la mattina e si schierano a battaglia e la sera rientrano senza, aver combattuto. Scipione ha potuto osservare che ogni giorno nello schieramento di Asdrubale gli Africani sono al centro e i mercenari iberici, la maggior parte reclute, alle ali. Concepito il suo piano, il generale romano ordina una sera che l'esercito, dopo aver mangiato abbondantemente, inizi a prepararsi per le prime ore del giorno seguente, e prima ancora che spunti l'alba, invia la cavalleria ad assalire il campo nemico, poi avanza con le fanterie spagnole al centro e le romane alle ali. Scopo di Scipione è di attaccare con le sue truppe migliori le reclute di Asdrubale, sbaragliarle e avere poi più opportunità di sopraffare le milizie cartaginesi.

Il suo disegno è coronato dal più grande successo. Il nemico, sorpreso a quell'ora, non ha nemmeno tempo di mangiare (questa era la prassi prima della battaglie) e precipitosamente esce dal campo schierandosi seguendo l'ordine dei giorni precedenti. L'esercito romano è disposto a ferro di cavallo e le sue ali sono le prime ad ingaggiar battaglia. Questa si svolge con gli Africani del centro, che pur vedendo in difficoltà le ali, non osano correre in loro aiuto e aspettano l'urto del centro romano il quale però tarda ad attaccare per far logorare nell'attesa il nemico e dar tempo alla sinistra e alla destra di sconfiggerne le ali.
Quando il centro dell'esercito di Scipione attacca, i Cartaginesi sono già spossati dal lungo digiuno e i mercenari iberici cominciano a cedere. L'esercito di Asdrubale, premuto alle ali, non può mantenere le posizioni e indietreggia, ma il ripiegamento, all'inizio ordinato, ben presto si muta in fuga e la fuga segna l'inizio della strage e della sconfitta. La quale sarebbe stata di proporzioni maggiori se una pioggia violenta di un temporale non avesse fatto cessare il combattimento.

Ritiratosi nell'accampamento, Asdrubale pensò di riorganizzarsi, ma essendo alcune schiere di mercenari tudertani passate dalla parte dei Romani e temendo altre diserzioni, nel cuor della notte abbandonò il campo. Fu una ritirata disastrosa. Inseguito dalla cavalleria romana prima e raggiunto poi dalle fanterie, l'esercito nemico fu quasi completamente distrutto; soltanto settemila uomini con Asdrubale riuscirono a salvarsi sulla sommità di un monte, ma da dove i due capitani, uno dopo l'altro, se ne fuggirono a Gades (Cadice) e delle truppe gli Ispani se ne tornarono alle loro case, mentre i Cartaginesi parte raggiunsero i loro capi, parte si rifugiarono a Castula.

La Spagna era oramai quasi tutta in potere di Roma; soltanto Gades rimaneva ai Cartaginesi e Castula e Illiturgo ai ribelli Spagnoli. Ma prima o dopo queste città sarebbero cadute in mano ai Romani.
Scipione ora vagheggia un'impresa più ardita, vasta e più difficile; egli sa che il possesso della Spagna non sarà sicuro, se prima non sarà fiaccata la potenza di Cartagine in Africa.
In Africa è necessario che Roma porti la guerra: è questo il sogno di SCIPIONE.
Grande uomo politico oltre che geniale guerriero, Scipione pensa che occorre, prima di fare una spedizione militare sulle coste africane, ingraziarsi le popolazioni della Numidia e cercare l'alleanza di qualcuno dei sovrani di quella regione.
Inviato pertanto a Roma il fratello LUCIO con i più nobili prigionieri, in compagnia del suo luogotenente CAJO LELIO su due quinqueremi PUBLIO CORNELIO SCIPIONE parte da Cartagena e si reca nella città di Siface, incontrandosi con il re numida che otto anni prima aveva concluso un trattato d'alleanza con i due fratelli Scipioni. Rinnovata l'alleanza, il proconsole torna a Cartagena dove marcia prima su Illiturgo che gli oppone una fiera resistenza, ma, presa d'assalto, è saccheggiata ed arsa, poi su Castula, i cui abitanti si arrendono consegnando Imilcone e il presidio cartaginese.

In quei giorni (fine 206 a.C.) è fondata sulle rive del Beti (a Cadice) una colonia romana cui è posto il nome di Italica. Poco dopo a Sucrone il presidio romano si ammutina per non avere ricevuto le paghe ed una malattia coglie Scipione. Questi fatti, insieme con la ribellione di MANDONIO e INDIBILE, potentissimi capi spagnoli, rianimano un po' i Cartaginesi che sperano di potere riconquistare la Spagna; ma Publio Cornelio Scipione ben presto guarisce, smorza accortamente la sedizione dei legionari facendo decapitare solo i promotori, e con la generosità si guadagna l'amicizia e l'obbedienza di Mandonio e Indibile e con la fama delle sue gloriose gesta l'ammirazione di MASSINISSA, il quale, abboccatosi segretamente con il proconsole, gli promette di servire fedelissimamente la grande repubblica romana.

Poiché ogni speranza di riconquistare la penisola iberica è tramontata, Cartagine ordina a MAGONE di passare in Italia, reclutare il maggior numero di mercenari nella Gallia Cisalpina e prestare aiuto ad Annibale.
Magone lascia Gades; comparso improvvisamente davanti a Cartagena, tenta d'impadronirsi della piazzaforte, ma, respinto duramente dai legionari, va prima a Cimbo, poi all'isola Pitiusa e infine cerca di sbarcare a Majorca. Respinto dagli isolani, approda a Minorca e di qui con una flotta di trenta navi e un esercito di dodicimila fanti e duemila cavalli nell'autunno del 548 parte per l'Italia e, approdato in Liguria, prende d'assalto Genova.

PUBLIO CORNELIO SCIPIONE CONSOLE

Siamo nell'anno 205 a.C. - Partito Magone, Gades apre le porte ai Romani. Con la presa di questa città, dopo quattro anni dall'arrivo in Spagna del giovane Scipione, la Spagna è tutta sotto il dominio di Roma.
Compiuta felicemente la grande impresa, Scipione consegna la nuova provincia a LUCIO MANLIO ACIDINO e ritorna a Roma portando con sé quattordicimila e trecentoquarantatre libbre d'argento. Il grande generale non ottiene il trionfo, ma è tanto l'entusiasmo suscitato nel popolo dalle sue vittorie che è nominato console con PUBLIO LICINIO CRASSO.
Lo stesso anno è nominato dittatore Q. CECILIO METELLO.

Primo pensiero di SCIPIONE, appena entrato in carica, è di tradurre in realtà il suo sogno portando in Africa la guerra. Ma la sua proposta trova ostilità non lievi nel Senato specialmente per opera del vecchio QUINTO FABIO MASSIMO, il quale sostiene doversi prima di tutto pensare di cacciare Annibale dall'Italia. Scipione però non si lascia convincere e, sicuro che il popolo è dalla sua, minaccia di appellarsi alle tribù e ottiene di marciare in Sicilia e il permesso di passare, quando lo riterrà opportuno, in Africa. Gli vengono però rifiutati navi, armi e denari, né è possibile compiere un'impresa di tanta importanza con le sole due legioni della Sicilia e le trenta navi adibite alla custodia di quelle coste.
Nonostante menomazione Scipione non rinuncia ai suoi propositi e si rivolge alle popolazioni italiche affinché gli forniscano i mezzi per la spedizione. Il suo appello non è lanciato invano; gli abitanti di Cere offrono le ciurme per la flotta, quelli di Populonia il ferro, quelli di Tarquinia la tela per le vele, quelli di Volterra frumento e gli armamenti per le navi, gli Aretini trentamila scudi ed altrettante frecce e celate una gran quantità di falci, scuri, lance e centoventimila moggi di grano, i Chiusini, i Perugini, e i Russellani legname e frumento, gli Umbri, i Sabini, i Marsi, i Peligni e i Marrucini pure questi forniscono soldati.

In soli quarantacinque giorni, Scipione accresce la sua flotta di altre trenta navi, alle due legioni unisce settemila volontari italici, e nell'estate del 205 parte per la Sicilia, sperando di poter passare presto in Africa.
Invece per circa un anno è trattenuto nell'isola. Giunto in Sicilia, una legazione di Locresi lo invita a tentare un colpo di mano su Locri. Scipione acconsente e s'impadronisce della città, dove lascia il suo luogotenente QUINTO PLEMINIO. Questi però commette ogni sorta di violenze contro i Locresi, i quali chiedono giustizia a Scipione. Il console accorre, ma, credendo infondati i reclami dei cittadini, riconferma il potere a Pleminio. I Locresi allora si rivolgono al Senato e delle lagnanze approfittano i molti nemici che il console ha a Roma. L'aristocrazia, come abbiamo visto già in passato, fin dalla conquista della Sicilia, non vuole le guerre esterne; i loro monopolistici commerci ne risentirebbero enormemente; le molte terre conquistate fanno diluire anche qui enormemente quelle che possiedono; ed infine perché le guerre promuovono la democrazia nel popolo, fanno emergere dall'ambiente militare sempre nuove figure al senato, spesso di nascita plebea.

Questi oppositori accusano Scipione di complicità nel malgoverno di Pleminio, sostengono che l'esercito di Sicilia è caduto nell'anarchia e che il console, invece di prepararsi alla guerra contro Cartagine, vive nell'ozio e nelle mollezze in Siracusa. Lo stesso Fabio (e ci meravigliamo di lui! per non avere la stessa visione politica di Scipione, né riconoscerlo come valore suo pari) credendo vere queste accuse, domanda che Scipione sia richiamato in Roma.

Il Senato invece, guidato da lodevole prudenza, vuole esser sicuro della veridicità delle accuse prima di prendere severi provvedimenti e invia dieci commissari affinché compiano una rigorosa inchiesta. I commissari si recano prima a Locri, costatano che nelle malversazioni di Pleminio, Scipione non ha alcuna parte e fanno tradurre a Roma il luogotenente, risarcendo i Locresi dei danni subiti; poi vanno a Siracusa e trovano nell'esercito grande entusiasmo e la più grande disciplina e si accertano pure -con compiacimento- che i preparativi di Scipione per la spedizione africana sono fatti con molta saggezza, perfino nei minimi particolari e che non vi è nulla di avventato.

Ritornati a Roma, i Commissari elogiano l'opera di Scipione e affermano che "se con quel generale e con quell'esercito non si vince a Cartagine con nessun altro esercito lo si potrebbe fare".

La valutazione era esatta e le aspettative non delusero,
e "quel generale" ora lo seguiamo in Africa....

nel prossimo priodo dall'anno 204 al 201 > > >

 

Fonti, Bibliografia, Testi, Citazioni: 
TITO LIVIO - STORIE (ab Urbe condita)
POLIBIO - STORIE
APPIANO - BELL. CIV. STORIA ROMANA
DIONE CASSIO - STORIA ROMANA 
PAOLO GIUDICI - STORIA D'ITALIA 
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
I. CAZZANIGA , ST. LETT. LATINA, 
+ altri, in Biblioteca dell'Autore 

 


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