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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNI 1600 

 LETTERATURA  e ARTE
del SECOLO XVII  (del Seicento) - - - (1 parte)

IN QUESTI CAPITOLI 

QUI LA PRIMA PARTE
CARATTERE DEL SEICENTO - LA LIRICA: I POETI CLASSICHEGGIANTI; IL REDI; GIAMBATTISTA MARINI E IL MARINISMO; LA NASCITA DELL'ARCADIA - LA POESIA EROICA - IL POEMA EROICOMICO E BURLESCO; IL TASSONI - LA SATIRA; SALVATOR ROSA

LA SECONDA PARTE
IL TEATRO: LA COMMEDIA DELL'ARTE; LA COMMEDIA LETTERARIA; LA TRAGEDIA; IL DRAMMA PASTORALE; IL MELODRAMMA - LA PROSA: L'ELOQUENZA SACRA; IL ROMANZO E LA NOVELLA; I LIBRI DI VIAGGI; LA STORIA; GLI UOMINI NUOVI: IL SARPI, IL CAMPANELLA, IL GALILEI; L'ERUDIZIONE E LA CRITICA
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CARATTERE DEL SEICENTO


Il Seicento fu il secolo dei contrasti: contrasto fra la vita esteriore e la vita interna, fra la realt� e il pensiero, fra la natura e il sentimento, fra lo spirito e il senso, fra il concetto etico e il costume; contrasti vari ora palesi ora mascherati, dei quali alcuni gettarono i germi del rinnovamento lontano, altri prepararono ed affrettarono la decadenza.
Il Seicento � posto tra due periodi di transizione: il primo inauguratosi con la reazione cattolica, il secondo col graduale infiacchirsi di essa e il malcontento del popolo, cui doveva seguire l'abolizione dei Gesuiti e quel risveglio della coscienza, antesignano della rivoluzione.

I contrasti iniziano al termine del periodo rinascimentale, e interessano un vasto campo di fenomeni artistici, letterari e culturali come il precedente, e sono tutti accomunati dalla tendenza a trascurare o sovvertire le regole definite "classiche", affermatesi nel rinascimento.
Storicamente viene attribuito all'azione della controriforma; la Chiesa per combattere l'eresia protestante, chiese agli artisti di esaltare il sentimento religioso e di prediligere gli effetti spettacolari. Gusto del sorprendente, enfasi, immaginosit�, amore per la scenografia per delineare i connotati storici di un certa societ� europea legata al potere del papato; per sostenere i fasti delle monarchie cattoliche di area occidentale (Spagna e Francia) quella tedesca (Baviera e Austria); per  imporre il predominio sociale delle aristocrazie fondiarie in una societ� rigidamente gerarchizzata.
Si vuole ridimensionare i principii che erano alla base delle certezze rinascimentali. E nasce proprio dalle inquietudini che erano derivate da quei principii. Cio� l' "�lite" e la Chiesa, si stavano preoccupando, e non solo in Italia, ma con i fermenti iniziati a met� cinquecento, anche nei vari paesi del centro e nord Europa.
Le nuove forme sociali ed economiche presentano le stesse tendenze anti-individualista, derivata dall'assolutismo. Si vuole che l'arte, la cultura, abbia un carattere unitario come lo Stato, esse devono apparire perfette, devono essere chiare e corrette come un decreto e sottostare a regole assolute, come la vita di ogni suddito dello stato.
Segna anche il passaggio ad una nuova fase che non ha pi� il suo centro in Italia, ma si sposta in Francia, dove maturano le direttive della "grande arte e cultura" di cerimonia, che conferisce alla realt� un aspetto ideale, splendido, solenne, magniloquente che diventa esemplare per tutta Europa.
Quest'opera "mediatica" che "magnificenza significa potenza", ottiene il suo risultato anche nel popolare, perch� perfino il miserabile plebeo francese ne va orgoglioso.
Le Accademie ad esempio che sorgono a Parigi a partire dal 1655, cominciano a trasformarsi, per divenire istituti statali con ordinamenti burocratici e direzioni severamente autoritarie. Cultura, arte, letteratura (e perfino il linguaggio), scienza e filosofia, sono strumenti dello Stato con la funzione particolare di accrescere il prestigio del monarca. D'ora in poi -fino alla Rivoluzione- gli artisti, sono creature dello stato, non possono pi� sfuggire all'influsso dell' autonomo accademismo che caratterizz� il Rinascimento. Quando l'Italia - non ricordo chi lo disse- era gi� alle superiori, in Francia iniziarono ad andare all'asilo.


Quando il Seicento nasce, gi� l' Italia della Rinascita � morta e nel cielo sereno della sua arte si disegnano, con le loro tinte maravigliose, le ultime imagini del Veronese e del Tintoretto, e cominciano a profilarsi, netti, impressionanti, superbamente orrendi, i paesaggi di Salvator Rosa. Al David al Mos� di Michelangiolo succedono il Davide, l'Apollo, la S. Teresa del Bernini; don Chisciotte, saldo su Ronzinante, cavalca in cerca del suo ideale e tende inconsciamente la mano a Persiles, che indica a Robinson l'isola selvaggia sperduta nell'Oceano. Quando il Seicento muore, sui campi dell'avventura galoppa Ricciardetto, emulo sfiancato di don Chisciotte, e si spegne la memoria di Colloandro nipote fedele di Persiles e Sigismunda: dileguatisi per sempre i sospiri di Aminta, l'aria si riempie dei lamenti dolci di Didone nel melodramma metastasiano.

Strano secolo il Seicento, pieno, come si � detto, di contrasti interiori ed esteriori ! Il Papato per rinsaldare la sua autorit� inaugura una politica poliziesca di persecuzioni; l'Inquisizione chiama davanti al suo tribunale -lo abbiamo visto nelle altre pagine di storia- chi crede reo d'eresia e lascia intanto che i malfattori siano ricoverati nei conventi e sfuggano alla giustizia civile. 
Apre la luce il Seicento dopo che il TELESIO (1509-1588) ha dettato il metodo dello studio della natura (De Rerum natura iuxta propria principia - 1686) -affermando che fonte d'ogni sapere � il senso (la natura va studiata fuori dei concetti tradizionali)e li chiude con le disquisizioni metafisiche dei neoplatonici fiorentini; e durante il corso della sua vita, il secolo nato alla luce del rogo che in Campo di Fiori arde il corpo di Giordano Bruno, � spettatore dei pi� strani contrasti: e nella citt� medesima dove DUCCI scrive, GALILEI insegna, in Roma, dove SIGISMONDI � ospite di un cardinale, CAMPANELLA � ricoverato dall'ambasciatore di Francia, per Bologna dove PELLEGRINI serve, passa PAOLO SARPI verso Roma, e in mezzo ai pi� umili precetti d'ossequio simulanti la politica erompe l'utopia pi� larga ed audace che rester� codice a qualunque cervello impaziente (Bovio)". 

Il Ducci, il Sigismondi, il Pellegrini rappresentano il pensiero asservito al potere ecclesiastico, il Galilei, il Campanella, il Sarpi il pensiero libero che prepara, fra gli ostacoli, l'era nuova. Eppure intorno a costoro, una enorme fioritura di pregiudizi; mentre il Campanella scrive la sua Filosofa razionale, MARTINO del RIO detta le Disquisizioni magiche e insieme col filosofo innovatore vengono torturati l'untore e la strega. Il cappuccino che ieri ricover� nella sua cella il bravo, oggi dal pergamo si scaglia contro gli assassini; il patitolo assume l'aspetto di una scena carnevalesca con gli aiutanti del carnefice mascherati da pulcinella; il cardinal BARBERINI si serve dell'opera di due famosi banditi per fini politici, i facironosi e i delitti crescono con il crescere delle grida; perfino i nomi stessi contrastano con le cose che essi designano, e le accademie, istituite a scopo di cultura, prendono le stranissime denominazioni di Oziosi, Addormentati, Insensati, Ombrosi, ecc..

Se dalla vita si passa nel campo dell'arte, vi si trova il medesimo contrasto: palazzi grandiosi che fiancheggiano vie anguste; fontane gigantesche imprigionate in piccole piazze; quadretti microscopici chiusi in cornici grandissime; statue enormi posate su piedistalli nani; povert� quasi assoluta di pensiero e pompa soverchia di forma. L'affettazione e l'esagerazione sono la caratteristica della vita del Seicento e la caratteristica dell'arte di questo secolo. 
Come alla vita del Seicento manc� la coscienza e il sentimento, cos� l'arte rimase priva di quella sostanza che � formata dagli affetti ideali, e al barocchismo dei costumi corrispose perfettamente l'arte che si compiacque di tutte le esagerazioni e le goffaggini. Come, infine, nella vita l'eleganza trasmoda in posa, la seriet� in sussiego, l'abbigliamento in trucco, la religione in pregiudizio, cos� nell'arte la naturalezza si muta in artificio, la grazia in smorfia, il sentimento in delirio. 
Il Seicento, bisogna convenire con l'Alfieri, delira in questa misera patria nostra ridotta a fantasma grottesco del suo passato glorioso. Soltanto la musica, con il FRESCOBALDI, con il MONTEVERDE, con lo SCARLATTI, con G. B. LULLI, precursori del PERGOLESI e del CIMAROSA, e la scienza, con Galilei, tenevano alto, in tanta decadenza, il prestigio dell'Italia e preparavano a una rinascita superbamente vigorosa.

LA LIRICA: I POETI CLASSICHEGGIANTI; IL REDI; 
GIAMBATTISTA MARINI E IL MARINISMO; LA NASCITA DELL'ARCADIA

Il Seicento eredita dal Cinquecento tutti i germi della decadenza. Gi� fin dal secolo XVI noi troviamo gli elementi vari che concorsero alla formazione di quel fenomeno importantissime che si chiama Seicentismo: la schiavit� della nazione che non tenta di affrancarsi dal giogo anzi pare che se ne compiaccia; la reazione cattolica che, nata in un secolo di scetticismo, imbavaglia gli ingegni e favorisce lo sviluppo della forma; la tranquillit� della penisola e l'assoluta mancanza di coscienza nazionale e civile che agevolano il germogliare del genere idillico e del pastorale e danno incremento all' imitazione dei Latini e dei Greci; il gran numero di retori e di grammatici che educano allo studio della forma; la vita italiana corrotta, frivola e cortigianesca. 
Sono scomparsi i sublimi ideali; la vita interiore � soffocata, inaridita dall'esteriore; la fantasia ha ceduto il posto al cervello, il sentimento al senso. L'arte � tutta nell'esteriorit�: sfoggio di tinte e di suoni; quelle tinte e quei suoni che il Petrarca aveva messo nel breve giro dei suoi sonetti e nell'ampia voluta delle sue canzoni e il Boccaccio nelle verbose stanze dei suoi poemi e nella sua prosa feconda, che si accentuano nelle ottave del Poliziano, fan capolino nei versi del Boiardo, rifulgono e si snodano nel poema ariostesco, abbondano soverchiamente nella Gerusalemme e fanno dell' Aminta e del Pastor Fido i due poemi del colore e della musicalit�. Dal Pastor Fido all' Adone non c' � che un passo.

La vita e l'arte italiana del Seicento mostrano tutta la decrepitezza del loro organismo che si sforzano di fare apparir giovane e florido con un esagerato sfoggio di artifizi. Gli scrittori vanno affannosamente in cerca della novit�, ma finiscono, nella maggior parte dei casi, col ricorrere ai vecchi modelli, specie ai classici e al Petrarca. La mania del classicheggiare � una malattia cronica della vita letteraria e spesso fu dannosa all'arte, falsandone il carattere, disseccandone l' ispirazione e corrompendone l'originalit�.

Ci� accadde al savonese GABRIELLO CHIABRERA (1552-1638), che fu il rappresentante pi� cospicuo, negli ultimi trent'anni del secolo XVI e nei primi quaranta del XVII, della scuola classicheggiante. I suoi grandi e costanti modelli sono Pindaro, Orazio e Anacreonte, ma di essi egli non ha lo spirito e non trae che i modi soltanto. Tra Pindaro e il Chiabrera c' � un abisso, lo stesso abisso ch'� tra la vita greca dell'et� pindarica e quella italiana in cui fior� il poeta di Savona. Le vittorie dei giocatori greci non sono il fine del canto pindarico, ma un pretesto al vate di rievocare le gesta degli avi, di magnificare la potenza delle citt�, di far l'apoteosi degli eroi; la materia � degna dell'impeto e giustifica l'altezza dell'espressione poetica; nelle odi chiabreresche, invece, ove il giuoco e le vittorie sono fine della poesia, la materia � inadeguata all'estro e contrasta con l'enfasi. Il Chiabrera fa vivere Emanuele Filiberto, il Dandolo, il Trivulzio, il Barbarigo, il Gonzaga nel mondo di Gerone, di Arcesilao di Senofonte Corinzio, e i suoi eroi perdono la personalit�, il colorito, la caratteristica in questo artificioso lavoro di adattamento di un mondo ad un altro. Inoltre il savonese non sente i soggetti che canta; manca a lui - come osserva il De Sanctis - la fede del contenuto, canti egli la battaglia di Lepanto o le imprese delle galee veneziane nei mari di levante. Grande � l'abuso ch'egli fa del mito, che, se in Pindaro � elemento essenziale di poesia, in lui � vuota retorica. 

Sarebbero elemento di poesia le figurazioni cristiane, ma, il Chiabrera non � pieno di quel fervore religioso che rende poeti San Francesco e Santa Caterina; la religione per lui non � un bisogno dell'anima, non � fede potente; e quando s'allontana dall'Olimpo e siaccosta al cielo del Cristianesimo il suo cuore non ha un palpito e le sue poesie alla Madonna, alla Maddalena, a Santo Stefano, a San Sebastiano ecc. riescono vuote e fredde. N� calore di sdegno hanno le verbose invettive contro Lutero e Calvino. Il Chiabrera non ha neppure il merito di avere riprodotto per primo in Italia i metri pindarici, perch� il Lampridio e il Trissino, prima di lui, avevano diviso le loro odi in strofe, antistrofe ed epodo, el'Alemanni i suoi inni in ballate, controballate e stanze, e il Tiepolo e il Minturno le loro canzoni in volte, rivolte e stanze. Meglio riesce nell' imitazione di Anacreonte, fatta attraverso il Ronsard e i poeti francesi della plejade; ma anche in questo genere lirico, se togliamo la spigliatezza e la leggiadria della forma, egli sta lontano mille miglia dal poeta greco. Il Chiabrera non esprime con sincerit� e naturalezza le sue impressioni immediate: tra l'ispirazione e l'espressione sta la tradizione classica che intorbida quella e rende insincera questa; e cos� le immagini delle belle campagne liguri trovano nella fantasia che le accoglie per vivificarle tutto un mondo di vecchie immagini e tutto un bagaglio di concetti anacreontici che le snaturano e le falsano.

Quel che s' � detto del Chiabrera si pu� dire del MARCHETTI, del RINUCCINI e del CIAMPOLI, che pure gli sono di molto inferiori, e di quell'altro poeta classicheggiante che fu FULVIO TESTI , che non manc� di sincerit� e di calore. Emulo del Chiabrera e del Testi fu ALESSANDRO GUIDI di Pavia, che imit� Pindaro in poesie piene d' enfasi e di sfavillanti colori e godette al suo tempo di grandissima fama per una canzone alla Fortuna. Di lui diede un severissimo giudizio il Leopardi, visitandone la tomba in Roma: � Vicino al sepolcro del Tasso � quello del poeta Guidi, che volle giacere prope magnos Torquati cineres, come dice l'iscrizione. Fece molto male. Non mi rest� per lui nemmeno un sospiro. Appena soffrii di guardare il suo monumento, temendo di soffocare le sensazioni che avevo provate alla tomba del Tasso �. E il Leopardi doveva in certo qual modo, essere riconoscente al Guidi da cui aveva imparato a scioglier dalle pastoie la canzone. Il Guidi, infatti, fu il primo che usasse la canzone a strofe libere e solo per ci� vuole essere ricordato nella storia della nostra letteratura.

Noi non possiamo tener dietro a tutti coloro che nel Seicento classicheggiarono, ma non possiamo tacer di FRANCESCO BALDUCCI , di FEDERICO NOMI, di ANTONIO MUSCETTOLA, di BENEDETTO MANZINI e specialmente di VINCENZO da FILICAIA che di tutti � il pi� grande. Questo, se � manierato nel cantar gli affetti domestici e, come il MAGGI, l'ADIMARI, il DOTTORI, il BUONACCORSI, il TOCCI, il BAL�DOVINI, il NERI, retorico nelle canzoni eroiche, rivela molta sincerit� e non poca grazia nelle poesie religiose. La canzone Al Divino Amore, i sonetti Alla Vergine e Alla Provvidenza, le rime sulla Passione e le terzine intitolate Atto di contrizione sono veramente belli; in essi l' ispirazione � schietta e l'espressione corrisponde completamente al movimento dell'anima.

Col Filicaia si chiude il ciclo dei poeti classicheggianti che s'inizia col Chiabrera; ne rimane fuori uno, che, pur pigliando le mosse dalla poesia greca, riesce del tutto originale, FRANCESCO REDI, notissimo pel suo Bacco in Toscana. Bacco, venuto dall' Ellade, si ferma nella verde campagna di Toscana, ne assaggia i vari e squisiti vini, il Claretto, l'Artimino, il Moscatello, il Chianti, il Carmignano, e, tra un sorso e l'altro, ne tesse le lodi. Egli perde il suo aspetto divino, � un semplice bevitore, che si ubriaca e divaga, esprimendo giocosamente opinioni su uomini e cose. Il ditirambo del Redi � un capolavoro del genere: in questo lungo monologo che il dio della vigna fa con il bicchiere in mano, � una mirabile rappresentazione ritmica del linguaggio dell'uomo che assapora il dolce succo dell'uva, del trapasso dalla gioia composta all'allegria smodata, dall'ebriet� contenuta al delirio, dal favellar sciolto al balbettare. Il verso accompagna con insuperabile magistero d'arte il graduale succedersi dei vari atteggiamenti e della varia espressione di Bacco; il linguaggio del dio or si riposa nei gravi endecasillabi piani, or si culla negli sdruccioli, or saltella briosamente nei quinari e nei quaternari, ora zampilla con armonia imitativa negli svelti settenari, or si ammorbidisce nei melodiosi ottonari, or si spezza e balbetta nei ternari tronchi. Il Bacco in Toscana del Redi � forse l'unica poesia, che, fiorita nel Seicento, dell'arte secentesca non presenti alcun carattere e che, pur avendo qualche movenza anacreontica che lo accosta alle canzonette del Chiabrera e del Menzini, pur accogliendo in s� qualche immagine abusata, qualche metafora, contrastante con la generale semplicit�, riesce originale e vive fuori del secolo che la vide nascere.

Ma non �, ripetiamo, che un'eccezione. I poeti del Seicento, compresi i marinisti, par che non possano liberarsi dall' imitazione dei classici e del Petrarca e classico � in gran parte il contenuto della poesia della scuola marinistica, la quale nei miti e nelle divinit� che si prestavano alla personificazione e all'allegoria, trovava preziosi elementi per la sua maniera poetica.
""...Quale il vizio fondamentale di questa maniera -secondo il Cesareo-  esso consiste  nel suo processo di formazione. Perch� nasca l'opera d'arte, bisogna che il senso percepisca una realt� e la fantasia la rinnovi trasfigurata e animata della sua luce �. Nell'arte dei marinisti invece l'espressione, anzich� essere accolta e vivificata dalla fantasia, � riflessa dal cervello, che vi medita sopra e ne deduce conseguenze strane, le quali esorbitano dall'ordine naturale delle cose e si risolvono in un paradosso retorico. I suoi caratteri principali sono: abuso del parlar figurato, soverchio amore per le antitesi, strano accoppiamento di termini disparati e spesso tra loro ripugnanti, confusione tra il significato proprio delle parole e il metaforico e falsa deduzione da queste di conseguenze che solo con quello potrebbero avere un rapporto, deficienza del pensiero e del sentimento mal dissimulato e affettata abbondanza degli epiteti e degli elementi esornativi, insistente spessore dei concettini, dei giuochi di parola, delle vivezze e delle acutezze, grottesca esagerazione delle immagini e dei colori, assiduo sforzo, insomma, di mascherare con l'enfasi, con l'artificio, la povert� dell' ispirazione e di simulare il movimento e il calor della passione, ove manca assolutamente l'alito della vita (Belloni) �.

 Il vangelo estetico dei marinisti � compendiato nel verso del loro caposcuola E del poeta il fin la maraviglia; meraviglia che deriva tutta dalle stranezze e dalle inusitate audacie della forma e che gener� non l'eccellente, ma il goffo.
Chi diede il nome a questa scuola fu GIAMBATTISTI MARINI , napoletano (1569-1625), che fu detto divino, che con la sua fama offusc� tutti i suoi contemporanei e fu l' idolo di mezza Europa. La sua vita fu agitatissima, piena di trionfi e di dolori. Scacciato dal padre, trova protezione nel principe di Conca; per il ratto d'una fanciulla patisce il carcere; liberato, vi ritorna per aver falsificato alcune carte a favore di un amico; riuscito a fuggire si reca a Roma dove diviene gentiluomo del cardinale Aldobrandini; visita Ravenna; si reca a Torino nel 1608, � nominato da Carlo Emanuele I segretario di corte e cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro; assalito da GASPARE MURTOLA, ingaggia con lui una fierissima polemica che produce la Murtoleide e la Marineide e finisce con un colpo di pistola; accusato dal duca come autore di una satira contro di lui intitolata la Cuccagna, viene imprigionato; principi, re e regine intercedono per lui; posto in libert� � chiamato alla corte di Francia, vi si reca nel 1615; il soggiorno in Francia gli frutta allori ed una pensione di duemila scudi. Nel 1622 lo troviamo a Roma, presso il cardinale Ludovisi e due anni dopo egli ritorna a Napoli in trionfo.

L'opera sua � vasta e varia: scrisse in prosa tre Dicerie sacre e lettere gravi, argute, facete e piacevoli; compose poemetti quali il Tebro festante per l'elezione di Leone XI, il Ritratto di Carlo Emanuele I, il Tempio dedicato a Maria di Francia; due poemi La strage degli Innocenti e l'Adone; la Galleria e un' infinit� di rime amorose, marittime, boscherecce, erotiche, lugubri, morali, sacre, che formano la Lyra.

Tutta l'arte del Marini consiste nella forma, nella pura espressione; la sua poesia � scarsa di pensiero e di sentimento e quel poco che  vi si trova � - come osserva il De Sanctis - privo di seriet�. Quel ripetere, quel girare e rigirare la medesima idea presentandocela sotto aspetti diversi � una prova della povert� di pensiero cui il poeta supplisce con un calore veramente straordinario d' immaginazione. Ancor pi� palese � il difetto del sentimento: egli non sente quel che canta; non ha fede in quel mondo da cui prende i fantasmi dell'arte sua. Vuol esser poeta religioso, patriottico, morale e riesce falso e freddo perch� in lui non vi  � il sentimento della religione, della patria e della morale. Solo nel genere erotico eccelle il Marini, ma non sarebbe esatto dire ch'egli abbia il vero sentimento dell'amore. Il suo piuttosto � senso erotico. Non � la donna che suscita i suoi sospiri, ma la femmina; non � Beatrice, non � Laura, che suscitano nell'anima del poeta il fuoco soave di una passione divina, ma � la procace Lilla che con la sua carne odorosa eccita il senso del Marini e gl' ispira i versi degli Amori notturni e dei Trastulli estivi, ove il naturalismo pi� crudo � espresso in una forma spirante l'estrema volutt� dei sensi. Le liriche erotiche del nostro autore sono tutto un poema in cui si fa l'apoteosi del piacere sensuale. Il Marini non analizza i suoi sentimenti e non mostra i vari atteggiamenti del suo spirito sotto l'azione d'amore, ma s'indugia nel rappresentarci la bellezza plastica delle sue amanti. I suoi madrigali e i suoi sonetti sono tanti brevissimi inni al pallore, al neo, alle chiome erranti, alla treccia ricamata di perle, ai pendenti, allo specchio, all'ago, alla bocca, al seno, al velo, al guanto, al ventaglio della sua donna; sono tanti quadretti in cui l'amante � sorpresa durante il bagno, dinanzi allo specchio, mentre si pettina, in carrozza, al giunco dei dadi; le sue canzoni sono superbe sinfonie dedicate al bacio e all'amplesso in cui culmina, per un istante, la passione carnale del poeta. La carne e il senso regnano sovrani nell'Adone e fremono di volutt� sotto il velo tenue e mal messo dell'allegoria e sotto l'ipocrisia del fine morale. 

Esso � il poema della volutt� e dell'amore. Base della vita � l'amore; esso � il suo centro, in cui superbo e splendido si erge il Palagio d'amore, al quale tende l'umanit� per volere del caso. A questo palagio, guidato dalla Fortuna, va Adone, che � l'uomo. Base dell'amore non � l'anima, ma il senso, da cui parte e a cui ritorna, per cui nasce, si esplica e vive l'amore. E questo senso, nel poema, � rappresentato dal meraviglioso giardino in cui Venere conduce l'innamorato giovinetto; giardino splendido, diviso in cinque parti quanti sono i sensi: nella prima, dedicata alla vista, si ergono portici maestosi entro cui sono dipinti gli amori di Giove, di Apollo, di Diana, di Saturno nella seconda, dedicata all'odorato, � un'orgia di fiori e di profumi, fra cui dorme Amore; nella terza, sacra all'udito, cantano soavemente tutti gli uccelli; la quarta � consacrata al gusto e le viti che vi verdeggiano di foglie sono ninfe bellissime e un fiume di dolce vino la irriga; la quinta circonda col suo verde la Torre del Tatto. Il Palagio dell'Amore; e i cinque giardini rappresentano la vita terrena, della carne; la vita dello spirito � raffigurata in tre pianeti: la Luna, che � il regno della Natura, la madre universale, circondata dal Fato, dal Tempo e dalla Verit�; Mercurio, ove si erge la casa dell'Arte, emula della Natura; e Venere, il regno incantato dell'amore e della bellezza. Tra il mondo terreno e il mondo celeste � il luogo dove soggiornano i poeti. Dalla disposizione dei luoghi e dalla loro attribuzione si rivela la grande importanza data dal Marini al senso. Il mondo stesso che dovrebbe raffigurare lo spirito non si contrappone ma tiene dietro al mondo che raffigura la carne: il mondo dell'Arte sta tra quelli della Natura e dell'Amore, e l'Arte � impregnata di natura e di amore, cio� - secondo il concetto del Marini - di senso. Ma l'amore � mortale, mentre la bellezza � eterna, e cos� Venere rimane ed illumina il mondo della sua luce, e Adone, dopo aver provato tutte le volutt�, muore fra il compianto degli d�i. Questo � il concetto fondamentale dell' Adone; tutti gli altri elementi, come l'eroico e il didascalico, che vi si trovano, sono accessori. L'Adone � una pura astrazione; il contenuto ha scarsissimo valore, � tutto un repertorio vecchio rimesso a nuovo che la fantasia del poeta, rielaborando, non ha saputo vivificare. Manca al Marini la potenza di trasformare la materia che la tradizione gli porge e d'infonderle vita; egli non sa che rivestire di splendidi panni un corpo in cui gli occhi non brillano e le carni non fremono. L'opera dovrebbe essere il poema della vita e non riesce che il poema d'una vita astratta, allegorizzata, in cui ci� che doveva esser pensiero e sentimento diventa persona e ci� che doveva esser persona viva diventa simbolo freddo e banale. Nel poema manca il dramma perch� vi sono assenti la vita e la passione, l'azione principale si perde, si spezzetta negli episodi; il dramma � sostituito dall' idillio, da un lirismo prettamente formale. E cos� l'Adone che doveva superare la Gerusalemme non riusc� che una larva di poema epico-lirico, vuoto e freddo come la vita del Seicento e, come essa, pretenzioso, pomposo e raffinato.

La poesia del Marini � tutta una melodia che, sovente, ha il potere di farci dimenticare i concettini, le immagini, i giochetti di parole e le antitesi cos� cari a lui. Nei suoi seguaci invece questi artifizi hanno il sopravvento sulla musicalit� del verso e superano per audacia e goffaggine quelli del maestro. Infinita � la catena dei marinisti dei quali ci limitiamo a menzionare il Muscettola, l'Adimari, il Rossi, il Mamiani, il Bruni, il Giovannetti, l'ACHILLINI e il PRETI. Di questi due ultimi il primo, autore del famoso sonetto Sudate, o fuochi, a preparar metalli, supera il Marini nel modo di usare e congegnar le metafore, ma, sebbene si sforzi di render sonoro il suo verso, non riesce a dare alla sua espressione quella dolcezza di suono che tanti difetti fa perdonare al maestro; il secondo emula il Marini nell'arditezza dei traslati e nella stranezza delle antitesi, ma se ne distacca per il contenuto tutto informato ad un idealismo che ci fa pensare ai poeti del dolce stil nuovo. Ma oramai la parabola della poesia marinistica � al suo termine; il goffo e il manierato continueranno a persistere nella prosa; la poesia si avvia verso altri lidi, tende sempre pi� a raffinare la forma, a render musicale la sua espressione. In tutti gli atteggiamenti della poesia si nota questa tendenza; la sonorit� dei pindareggianti, la dolcezza degli imitatori di Anacreonte, la delicatezza dei petrarchisti sono prove della musicalit� della poesia, che ora casca nelle mollezze e nei languori dell'Arcadia. 

L'ARCADIA sorse a Roma nell'ottobre del 1690 e suo scopo principale fu quello di opporsi al mal gusto del Seicento, per �procurare - come confess� il CRESCIMBENI, ideatore e fondatore della famosa accademia - che pi� non avesse a risorgere, perseguitandolo continuamente ovunque si annidasse o nascondesse, e perfino nei castelli e nelle ville pi� ignote e impensate �; il Gravina scrisse in latino le leggi della nuova accademia letteraria e il cadavere di Cristina di Svezia, in memoria dei favori accordati alle lettere, venne creato accademico ! Ma se ufficialmente l'Arcadia sorse nel 1690, come fenomeno letterario ha origini pi� antiche; la poesia pastorale � la sua diretta progenitrice. Per non andare pi� in l� del Seicento, diremo che nella poesia di tutta la prima met� del secolo XVII si trovano gli elementi, che poi, riuniti e indirizzati ad un medesimo fine, dovranno formare la poesia arcadica. L'Aminta, il Pastor Fido e tutte le favole pastorali del Cinquecento non erano state dimenticate, avevano anzi fatto sentire il loro influsso sulla poesia del Seicento; le ecloghe, i madrigaletti campestri e, in una parola, tutti i componimenti di genere bucolico sono la delizia dei poeti del secolo XVII; i poemi sono zeppi d'idilli pastorali; l' imitazione di Anacreonte, di Teocrito, di Virgilio � una mania contagiosa; gli stessi poeti che cantano con versi altisonanti le imprese guerresche dei principi, il Chiabrera, il Testi, il Filicaia, si compiacciono di descrivere scene agresti, di camuffarsi da pastori e suonar la zampogna; i marinisti medesimi non disdegnano questo genere di poesia e il Marini, or sotto il nome di Fileno or sotto quello di Lidio, canta i suoi amori con Lilla, con Filli e con Cinzia e popola il suo mondo di Ergasti, di Mopsi, di Dafni, di Clori, di Lidie, Flore e Filaure. Il Seicento � un amalgama di scuole e tendenze non nettamente distinte: i classicisti petrarcheggiano, i petrarchisti imitano i classici, i marinisti sono a un tempo classicheggianti e petrarcheggianti e tutti infine, dopo di aver suonata la tromba epica e l'organo, prendono la zampogna e fanno sentire la loro melopea fra il belato dei greggi e il muggito degli armenti, quella melopea che hanno gi� fatto sentire il CIAMPOLI e il GUIDI e che risuona, nel tramonto del secolo, per opera di Francesco di LEMENE, di Giambattista ZAPPI e di Faustina MARATTI. Con gli arcadi terminano le smanie, le contorsioni, i deliri dei marinisti e nasce e si affaccia una poesia anemica, piena di languori, di mollezze esagerate, di melodia che annunzia il METASTASIO. Gi� il Lemene intitola i suoi madrigali ariette per musica e, in verit�, la via percorsa dal Poliziano al Tasso, al Guarini, al Marini � al suo termine: il melodramma � vicinissimo.

LA POESIA EROICA - IL POEMA EROICOMICO E BURLESCO
IL TASSONI - LA SATIRA SALVATOR ROSA

Ai poeti del Seicento non manc� certo la materia eroica. Quantunque i tempi non fossero eroici, pure la lotta tra la Croce e la Mezzaluna aveva illuminato di vivi bagliori il cielo d' Europa e d' Oriente e sulle acque di Lepanto e sotto le mura di Vienna era passato come un vento folle di sublime epopea. La battaglia di Lepanto e l'Assedio di Vienna diedero ampia materia ai poeti epici. Il BOLOGNOTTI cant� la Cristiana vittoria marittima, il COSTO la Vittoria della Lega, il CARAFFA l'Austria, Francesco da TERRANOVA, il Tronsarello e il BEBANATI la Vittoria navale, il CARIGNANO la Felice vittoria, il METELLO il Marte, il CASSOLA la Vienna difesa; altre imprese minori ispirarono al PIAZZA la Bona espugnata, al ROGNONI la Vercelli espugnata, al MALMIGNATI L' Enrico, al BRACCIOLINI la Roccella espugnata. Ma so la materia non manca, manca lo spirito eroico nella poesia del Seicento. Il secolo � privo di idealit� e si pasce di imitazione: � la mitologia che offre materia ad astruse allegorie; sono le stagioni dell'anno che ispirano il BOTERO, il D'AGLIE' e il CORBELLINI; � la storia greco-romana che fa scrivere al TESTI gli Amori di Pantea, al TORTOLETTI l' Artaserse, al CEBA il Furio Camillo, al JOELE la Cartagine soggiogata, al BERTI lo Scipione, al GRAZIANI la Cleopatra.

� ...Novissimo e popolarissimo argomento era la scoperta dell'America, che ispir� al TASSO la pi� geniale delle sue creazioni, il viaggio alle Isole Fortunato. Ma fu trattato con il solito bagaglio classico, e il mondo nuovo apparve - dice il De Sanctis - stanca e vieta reminiscenza di un mondo poetico gi�  decrepito �. Dietro le orme del Tasso, a magnificare la grande scoperta sorsero Giovanni Giorgini e Tommaso Stigliani, ciascuno con un Mondo nuovo, e Girolamo Bartolomei con l'America.

Anche le leggende medievali offrirono materia, ma non produssero che freddi e noiosi poemi quali il Foresto, la Firenze e la Gotiade del Chiabrera, la Fiesole distrutta del Pieri, la Venezia edificata dello Strozzi, l'Aquileia del Cagnoli, il Belisario dello Scaramuccia e la Fiorenza difesa del Villani.
L'epica del Seicento si collega in gran parte all'Ariosto e al Tasso. Dietro le tracce del primo si mettono il Gabrielli con Lo Stato della Chiesa liberato, il D'Andrea con la Italia liberata, il Garopoli col Carlo Magno, e il Boldoni con la Caduta dei Longobardi; dietro quelle del secondo vanno il Murtola con la Creazione del Mondo, il Passero con l' Essamerone, il Semenzi col Mondo creato diviso nelle sette giornate, il Menzini col Terrestre Paradiso, il Camilli che continua nei suoi Cinquecanti gli episodi di Tancredi ed Erminia e di Rinaldo ed Armida, il Chiabrera con l' Erminia, il Grandi col Tancredi, il Verdizzotti, lo Zampa e il Semproni che cantano le imprese di Boemondo, il Potenzano con la Distruzione di Gerusalemme, il Bertanni con la Gerusalemme assicurata, il Lalli con la Gerusalemme desolata, il Bracciolini con la Croce riacquistata.

Ma nessuno dei poeti epici del Seicento lasci� opere durature. L'epica moriva senza aver mai prodotto in Italia un sol grande poema e cedeva il posto alla poesia eroicomica. Il creatore del poema eroicomico fu il modenese Alessandro Tassoni (1565-1635). Di carattere strano e bizzarro, il Tassoni fu ad un tempo superstizioso e spregiudicato, spirito libero ed uomo di corte; stanco di servire i Colonna e caduto in disgrazia di Carlo Emanuele I, si ritira a vita privata per tornare poi a fare il cortigiano presso il cardinale Ludovisi e Francesco I di Modena; dispregiatore dei poeti eroici inizia  un poema sulla scoperta dell'America, l'Oceano; accademico della Crusca, si oppone ai principi linguistici dell'accademia e ne postilla severamente il vocabolario; patriota ardente, scrive due focose filippiche contro gli spagnoli; per opporsi all'ammirazione di Aristotile e dire delle cose nuove scrive i Pensieri diversi in cui tratta questioni scientifiche e letterarie; censura Omero e il Tasso e d� addosso al Petrarca e ai petrarchisti nelle sue Considerazioni sopra le rime del Petrarca.

L'opera principale del Tassoni � la Secchia rapita, in cui sono narrate le lotte tra Bolognesi e Modenesi, causate da una vile secchia di legno che questi hanno rapita a quelli. La struttura � quella che si richiede per un poema epico perfetto. Il comico dovrebbe nascere non dal narrare in modo burlesco avvenimenti seri perch�, come dice il Tassoni stesso, � il trattar burlescamente le cose eroiche � piuttosto uno stile buffonesco che eroicomico �, ma dal vivo contrasto che deriva dal �mescolare il piccante e il ridicolo con il grave e il serio �. In questo il Tassoni riesce nuovo, distaccandosi da altri poeti che avevano cantato �una materia tutta burlesca con versi gravi o una materia tutta grave con versi burleschi �. Non oseremmo per� dire che dal continuo alternarsi di scene gravi e personaggi seri con scene burlesche e personaggi buffi risulti una perfetta comicit�. Il comico e l'eroico, nella Secchia, rimangono elementi staccati e il loro avvicendarsi o contrapporsi non produce che scarso effetto artistico La bellezza del poemetto tassoniano � da ricercarsi non nell'insieme, ma negli episodi considerati singolarmente e nella figura del Conte di Culagna, l'unica che sia riuscita completa e viva fra le tante scialbe e fredde della Secchia.


Nel Conte di Culagna, il poeta di Modena fu convinto di dare un compagno, anzi un discendente, a don Chisciotte, ma i due eroi non hanno nessuna parentela come nessuna somiglianza � tra il Tassoni e il Cervantes. Il poeta spagnolo ha nobilt� d'animo e purezza di coscienza; sorretto da una fede profonda, vagabonda per il mondo in cerca d'un ideale; eroe a Lepanto sempre in lotta con l'avversa fortuna non si spoglia mai di quell'altera dignit� che lo rende nobile anche quando le vesti che lo ricoprono sono lacere. Messo a dura prova dalle sofferenze, dopo aver visto svanire tutte le sue speranze e crollare le sue pi� care illusioni, rimane sereno, non impreca alla sorte; esce dalle bufere della vita con l'animo puro, col sangue non avvelenato, e sotto il suo sorriso non si nasconde il ghigno beffardo, ma spunta un'ironia serena e malinconica che sa di bont�, di compassione e di perdono. 
Il Tassoni invece � uomo che nelle vesti di cortigiano e di ecclesiastico, si lagna sempre del suo stato; il suo cuore � chiuso agli affetti pi� dolci, l'animo � tutto serrato nell'egoismo; innanzi al suo sguardo scettico non danzano le dolci chimere dei sogni e non passano le sublimi immagini di un ideale; il suo labbro non sa la verit� del sorriso, ma conosce l' atroce crudezza del sarcasmo. Don Chisciotte, ritto sul magro Ronzinante, ha tutta la nostra simpatia, � uomo di fede tutto immerso nel suo sogno contrastante con la realt�, un allucinato, ma un eroe; � l'eterno dolore, l'eterna illusione umana; � l' umanit� che soffre e pur combatte contro le ostilit� della vita; � la fine di un mondo fantastico che la realt� sfronda di tutte le chimere. Il Conte di Culagna � una creatura che non ci ispira nessun affetto, come nessun affetto ispir� all'autore, il quale anzi si compiace di sfogar tutta la sua bile sopra di essa e di farcela apparire indegna di qualunque sentimento dolce, una creatura volgare che ha le corna sul cimiero e in petto un cuore vile e un'anima ignobile.

Chi contese al Tassoni il vanto di essere stato il creatore del poema eroicomico fu Francesco Bracciolini, pistoiese, che pubblic� il suo Scherno degli Dei quando della, Secchia, ancora inedita, correvano a diecine le copie manoscritte: ma l'opera del Bracciolini, pi� che un poema eroicomico, � un poema gioioso, in cui si fa un'allegra parodia dei miti cos� abusati; e se essa non rimane al disotto della Secchia per l'eleganza della elocuzione, la scorrevolezza del verso, l'armonia dell'ottava e qualche spunto felice di satira letteraria, le rimane di gran lunga inferiore per vis comica, compattezza d'azione e rappresentazione di caratteri. E come lo Scherno cos� molti poemi eroicomici e burleschi che tennero dietro a quello del Tassoni stanno, per valore artistico, a molta distanza dalla Secchia: il Lambertuccio del Bocchini, la Troia rapita del Vittori, la Presa di San Miniato del Neri, l'Avino, Avolio, Ottone e Berlinghieri del Bardi, la Franceide, la Moscheide e l' Eneide travestita del Lalli, l'Asino del Dottori, il Catorcio d'Anghiari del Nomi, il Torrachione desolato del Corsini, il Malmantile riacquistato del Lippi e il Ricciardetto del Forteguerri.

Oltre che dei poemi, la satire e la burla furono anche oggetto della LIRICA. 
I modelli furono gli antichi e i moderni; di questi ultimi primo il Berni poi lo Scroffa e il Folengo, i quali nel secolo XVII ebbero moli seguaci, cultori del genere fidenzia-no e maccheronico, fra cui primeggiano il Coltellini, il Fioretti e l' Orsini. Al Berni fanno capo il Tassoni, il Ruspoli, il Murtola, il Marini, il Terenzi, il Lazzerelli, l' Allegri, il Gelsi, il Magagnati, il Panciatichi, l' Albati, il Melesio, il Leporeo e il Malatesti. I modelli classici furono Orazio, Giovenale e Persio. Il primo imitano Jacopo Soldani e Michelangelo Buonarroti il giovane, gli altri due sono imitati da Lodovico Adimari, da Benedetto Menzini e Lodovico Sergardi.

Il pi� grande dei poeti satirici del Seicento � il napoletano SALVATOR ROSA, che fu pittore, poeta e musicista. Come pittore fu insuperabile paesista. "".. Lodano gli intendenti - scrive il Carducci - che primo ritrovasse le tinte a rappresentare le varie apparenze di colore che piglia l'acqua, o allargandosi in mare, o corrente in fiume, o cadendo da alto, o stagnante in laghi e paludi, o percorsa dalla luce, o sbattuta da corpi frapposti, o tra dirupi e voragini incavernata. Lodano le tinte condotte con macchia tutta dolcezza, lodano le arie che con mirabile accordo e con certe velature pi� per lo stesso colorito che per gli sbattimenti che fanno i solidi, dimostrano le differenti ore del giorno, l'aurora, il mezzod�, la sera; lodano la imitazione dei piani e monti e scogli e tronchi e alberi e fratte, la esattezza dei navigli e degli arnesi nautici e degli altri che occorrono, l'accompagnamento delle azioni e gesta delle piccole figure accomodate a quello che il quadro dee rappresentare �. 
Ma ci� che pi� si deve ammirare nelle sue tele � l'originalit� e la verit�, la divina poesia della natura che si diffonde meravigliosamente dai suoi paesaggi. In lui il sentimento della natura � pi� forte, pi� vivo, pi� grande che non nel Poussin e nel Lorrain, suoi contemporanei, sentimento originale che ritrae le passioni del suo cuore. Non le quieti campestri, le monotone dolcezze della campagna romana, i panorami architettonici cos� cari al Poussin; non la magnifica luminosit� delle tele del Lorraine, piene di sole, di tramonti, di cielo; Salvator Rossa � il pittore delle foreste cupe e tenebrose, piene di mistero o rischiarate da bagliori d'incendio, dagli alberi tormentati dalla bufera, dai tronchi divelti e contorti come in uno spasimo atroce sotto i colpi del fulmine; � il pittore delle marine solitarie, delle buie caverne, delle solitudini selvagge, delle riviere deserte, battute da onde procellose, irte di mostruosi scogli, delle strane battaglie, dei boschi popolati di banditi; e dalle sue tele impressionanti, un po' barocche s� ma orrendamente belle, erompe tutta la potenza dell'ingegno del grande pittore. In lui il poeta � di gran lunga inferiore al pittore. Le sue satire non hanno la precisione di linee e di tinte delle sue tele; lo stile di esse � sovente prolisso, la lingua priva di propriet� e purezza; l'erudizione in eccesso, messa a proposito e a sproposito, nuoce all' ispirazione, raffredda lo sdegno e smorza lo spirito satirico. Ma la materia � sentita, la poesia � sincera, retorici non sono gli sdegni. Piace trovare in un secolo cosi corrotto un poeta che sferza a sangue la societ� spregiudicata, boriosa e falsa, che s� duole della prostrazione in cui sono cadute le arti, che si scaglia contro i mercenari e contro la tirannide, che desidera la libert� della Patria e per essa lotta non solo con la penna, ma con il braccio, a fianco di Masaniello, nel moto rivoluzionario di Napoli di cui il grande pescatore fu l' anima.

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Il teatro: la commedia dell'arte; la commedia letteraria; la tragedia; il dramma pastorale; il melodramma - La prosa: l'eloquenza sacra; il romanzo e la novella; i libri di viaggi; la storia; gli uomini nuovi: il Sarpi, il Campanella, il Galilei; l'erudizione e la critica

Fonti, citazioni, e testi
Prof.
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia -(5 vol. Nerbini)
Cecco-Sapegno - STORIA LETT. ITALIANA (i 10 vol. Garzanti)
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (33 vol.) Garzanti
Viscardi. Stori a Letteratura Italiana, Nuova Accademia
De Sanctis. Storia della Letteratura Italiana, Einaudi
Dizionario Letteratura Italiana, (3 vol) - Einaudi 
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA UNIVERSALE (20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (14 vol.) Einaudi
GUICCIARDINI, Storia d'Italia - Ed. Raggia, 1841
LOMAZZI - La Morale dei Principi -  ed.
Sifchovizz 1699

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