I GRANDI DISASTRI IN ITALIA
Sezione a cura di Michele Squillaci e Francomputer
( e altri liberali contributi di scrittori e giornalisti )


Anni 1688-1696
ANNI FUNESTI
guerre, terremoti, eruzioni del Vesuvio, epidemie, alluvioni


1 – Premessa

 

Negli ultimi decenni del seicento le popolazioni dell’Italia settentrionale e meridionale continuarono a vivere in una situazione di estrema precarietà. Al nord le cittadinanze e segnatamente quelle del ducato di Savoia, videro i loro territori calpestati da milizie straniere, sia alleate sia avversarie, che combattendosi tra il 1688 ed il 1697, portarono con sé epidemie, lutti e devastazioni incidendo negativamente sulle condizioni di vita delle popolazioni locali.

Le altre province italiane, anche se lontane dai teatri principali della guerra, ne subirono le conseguenze. Infatti sia quelle del sud soggette al dominio spagnolo, sia quelle del nord sottoposte a condizioni di vassallaggio nei confronti dell’impero, furono costrette a rinunciare a notevoli risorse per rifornire e finanziare economicamente gli eserciti belligeranti.

Altri ragguardevoli mezzi in uomini, armi, materiali e denaro furono assorbiti dalla sanguinosa lotta combattuta per mare e per terra contro l’Impero ottomano comportando sacrifici alla Repubblica di Venezia ed alle popolazioni dell’impero asburgico. Nel conflitto contro la Turchia che si protrasse per molti anni, contribuì anche il Papa con uomini, armi, navi e supporti finanziari.

Al peso sostenuto dalle popolazioni, già di per sé stremate dalla povertà, dalla gravosità delle imposte e dalle depredazioni belliche, si aggiunse il danno provocato da fenomeni naturali quali incendi, alluvioni, terremoti nonché quello dovuto alle malattie più comuni quali malaria, tifo, tubercolosi, malformazioni ossee, ecc. Come avvenuto nella prima metà del secolo, alle patologie abituali si aggiunsero anche quelle epidemiche come peste e vaiolo che, per effetto delle pessime condizioni igieniche ed anche a causa del movimento degli eserciti, si diffusero con facilità provocando numerose vittime.

 

2 - Situazione In Europa ed in Italia

In Europa, con Venezia e l’Impero in lotta contro le armate turche ed il regno di Francia deciso ad ampliare la propria sfera di influenza, il ritorno a condizioni di vita normali risultò particolarmente difficile.

Risolti i conflitti tra i sovrani europei che incendiarono la prima metà del XVII secolo, altri ne sorsero subito dopo. Il re di Francia, Luigi XIV, uscito vittorioso dalla guerra di Devoluzione del 1667-1668, attaccò nel 1672 l’Olanda costringendo dopo lunghi anni di guerra la coalizione avversaria composta da olandesi, spagnoli ed austriaci alla pace di Nimega del 1678.

Gli appetiti del Re di Francia malgrado le vittorie ottenute non si placarono ed approfittando dell’impegno bellico dell’imperatore Leopoldo I di Asburgo contro gli eserciti ottomani nell’est europeo, varcò le proprie frontiere invadendo gli stati confinanti della Germania con la scusa di rivendicare antichi diritti e frantumare con la forza delle armi la Lega di Augusta costituita nel 1686 come patto difensivo antifrancese dall’Imperatore, dalla Spagna, dall’Inghilterra e da molti principi tedeschi. Le armate francesi mossero quindi in armi contro Leopoldo I di Asburgo occupando e saccheggiando molte città:

“Filisburgo fu preso; s’impadronirono le armi Franzesi di Magonza, Treveri, Bonna, Vormazia, Spira e d’altri luoghi. Penetrarono nel Palatinato, occupando Heidelbega, Mancheim, Franckendal, ed ogni altra piazza di quell’Elettorato. Avveggnacché la maggior parte di quegli abitanti fossero seguaci di Calvino, pur fecero orrore anche presso i Cattolici le crudeltà ivi usate, perché ogni cosa fu messa a sacco, a ferro e fuoco con desolazion tale che le più barbare Nazioni non avrebbero potuto far peggio”.(*)

Le province italiane in gran parte in posizione di vassallaggio e per lo più sottoposte alla dominazione spagnola che mantenne sotto la propria corona il Ducato di Milano, i Regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna, nonché il cosiddetto Stato dei Presidi comprendente alcune località del litorale toscano e dell'isola d'Elba, furono indirettamente coinvolte nella guerra che continuò a mietere vittime sul Reno. Il lavoro delle diplomazie per cercare nuove alleanze indusse però nel 1690 il Duca di Savoia ad intervenire a fianco dell’Impero e delle altre nazioni della Lega di Augusta dichiarando guerra alla Francia e portando la lotta armata anche sul suolo italiano.

 

3 – Gli avvenimenti

Il 1688 segnò quindi l’inizio della nuova guerra tra le potenze europee mentre in Italia il Regno di Napoli, vessato economicamente dalla esigenze finanziarie spagnole, fu colpito il 5 giugno 1688 da un sisma di elevata intensità i cui effetti risultarono gravi anche nell’enclave pontificia di Benevento.

3.1 – Terremoto nel Sannio

La scossa si verificò nella serata del 5 giugno 1688 con effetti disastrosi nei paesi a sud-ovest dei Monti del Matese, nel Beneventano e nell'Irpinia. Oltre a Cerreto Sannita, Civitella Licinio e Guardia Sanframondi furono gravemente danneggiate le città di Benevento, Avellino e Napoli. Altri tredici paesi delle varie province e circondari subirono effetti devastanti e tra questi Alife, Piedimonte ed Avignano dove si ebbero anche numerose vittime. In provincia di Caserta, nei circondari di Nola e di Sora, molti edifici subirono lesioni mentre nell’area di Campobasso i danni maggiori si ebbero nei paesi di Boiano, Guardaregia e Teano. Città e paesi si spopolarono. Infatti gran parte degli abitanti abbandonarono le case trasferendosi in alloggi di fortuna nelle zone rurali o nei pressi della costa.

Nella città di Avellino andarono parzialmente in rovina il convento e chiesa di San Francesco, la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, il palazzo vescovile e la Cattedrale mentre nell’ambito della provincia della stessa città i comuni disastrati furono una trentina.

A Benevento dove crollarono quasi tutti gli edifici pubblici ed i luoghi di culto, la situazione si presentò subito drammatica sia per gli abitanti della cittadina sia per quelli delle campagne. Seppellito dalle rovine rimase ferito e poi fortunosamente estratto incolume dalle macerie l’arcivescovo di Benevento, così come ci narra il Muratori:
“Fu considerato per miracolosa protezion del cielo che il piissimo cardinale Vincenzo Maria Orsino Arcivescovo di Benevento, seppellito tra le rovine, salvasse la vita, avendolo destinato Dio a governar la Chiesa Universale sulla Sedia di S. Pietro”.
Il cardinale infatti che contribuì poi alla ricostruzione della città, divenne Papa col nome di Benedetto XIII nel 1724 mantenendo il titolo di Arcivescovo metropolita di Benevento.

Nella provincia della stessa Benevento, Apice, Castelpoto, Fragneto Monforte, Pontelandolfo, San Lorenzo Maggiore, San Lorenzello, San Lupo, Sassinoro, Guardia Sanfromondi risultarono particolarmente disastrate come altri piccoli centri della zona; moltissimi i morti, i feriti ed i dispersi segnalati alle autorità.

Anche a Napoli dove si verificarono episodi di sciacallaggio e problemi di ordine pubblico chiese, abitazioni, edifici pubblici e religiosi subirono notevoli danni e tra gli altri il palazzo reale, alcune porte della città e Castel Capuano. Le scosse furono avvertite anche in provincia di Salerno, di Potenza, di Foggia ed a Chieti dove precipitarono i merli del Duomo.

Oltre alla perdita totale o parziale di chiese ed edifici di grande interesse storico ed architettonico, si contarono circa 10.000 vittime, concentrate soprattutto a Cerreto Sannita, dove perirono circa 4.000 persone, Guardia Sanfromondi nella cui località persero la vita 1.100 abitanti mentre a Benevento ne morirono circa 2.000.

Sia le strutture dello Stato Pontificio sia quelle del Regno di Napoli, si mossero per organizzare i soccorsi operando in alcuni casi in piena sintonia e collaborazione. Gli aiuti finanziari furono concessi da entrambi i governi secondo i costumi dell’epoca, e cioè per lo più tramite di sgravi tributari. La fase ricostruttiva, i cui costi gravarono principalmente sulle popolazioni locali, durò a lungo assorbendo notevoli capitali e risorse lavorative.

3.2 – Inizio della guerra nel nord Italia

Le bandiere di guerra innalzate sui vari campi di battaglia europei dalle milizie contrapposte si diressero sventolando minacciosamente verso l’Italia quando il Piemonte, sotto le insegne di Vittorio Amedeo II, aderì alla Lega di Augusta con l’intento di liberare dal dominio francese le fortezze di Barraux, di Pinerolo e di Casale Monferrato situate nel cuore dei suoi stati, affrancarsi dal vassallaggio nei confronti della Francia e soddisfare inoltre le proprie ambizioni regali. L’ottenimento delle prerogative reali, promesse dall’Imperatore, avrebbe consentito a Vittorio Amedeo II di ottenere la parità con altri monarchi, ampliare la propria influenza in campo internazionale e fare della sua persona un punto di riferimento della politica italiana.

Attivati i contatti diplomatici per giungere ad una alleanza con Germania, Spagna, Inghilterra e Olanda, iniziò a potenziare il proprio esercito con la scusa di dover reprimere con la forza delle armi il movimento dei valdesi, considerati eretici e conosciuti in Piemonte col nome di Barbetti. Il governo di Luigi XIV però insospettito dal contemporaneo potenziamento delle milizie del governatore di Milano, Conte di Fuensalida, fece sorvegliare attentamente le mosse del Duca di Savoia.

I francesi, informati sui maneggi di Vittorio Amedeo II che gli consentirono di ottenere dall’imperatore la nomina a Re di Cipro e la cessione a titolo oneroso di quattro feudi nelle Langhe, ottennero anche notizie riservate sui rapporti epistolari e diplomatici avviati dal Duca stesso con l’elettore di Baviera, con il re della Gran Bretagna Guglielmo d'Orange e con altri principi. L’intelligence…. funzionò egregiamente dando a Luigi XIV un quadro molto preciso sui potenziali orientamenti di campo del Duca.

La Corte di Parigi, preoccupata decise di inviare in Piemonte un esercito di diciottomila uomini sotto il comando di Nicolas Catinat (nell'immagina sotto) - governatore di Casale – che espresse la volontà di insediare presidi francesi nelle cittadelle di Torino e di Verrua al fine di costituire in Piemonte un pegno…..a garanzia di amicizia e fedeltà. L’accettazione delle pretese francesi avrebbe però significato la rinuncia alla stessa indipendenza del ducato. Amedeo II riuscì a guadagnare tempo e, consolidate le proprie alleanze, ottenne da parte inglese, olandese spagnola e tedesca l’invio di consistenti aiuti in uomini e mezzi finanziari.

3.3 - La battaglia di Staffarda

Dichiarata la guerra, il Duca aggregò alle sue forze l’esercito inviato dagli alleati e posto al comando di Eugenio di Savoia mentre i francesi mossero verso Saluzzo con una armata composta da 12.000 fanti, 5.000 cavalieri e 16 cannoni. Avanzando, Catinat passò con le sue avanguardie il Po nei pressi dell'abbazia di Santa Maria di Staffarda, dove Vittorio Amedeo II decise di attaccarlo il 18 agosto 1690 con tutte le sue forze, costituite da 15.000 fanti, 4.500 cavalieri e 12 cannoni.

Iniziata la battaglia la giornata, favorevole ai francesi, si rivelò disastrosa per gli alleati che con circa 4.000 caduti, 1.500 feriti e 1.200 prigionieri persero più di un terzo delle forze a loro disposizione. Le truppe del Duca, gravemente sconfitte, ritirandosi verso Carignano, lasciarono mano libera ai francesi, che dopo aver saccheggiato Saluzzo ed i borghi vicini, si diressero verso le montagne. Conquistata Chambery e quasi tutta la Savoia posero poi l’assedio alla fortezza di Montmélian.

Il Duca di Savoia, da parte sua, cercò di ricostituire le proprie forze. Non aderì quindi all’ipotesi di avviare trattative di pace così come consigliato dal Papa Alessandro VIII ma, si pose invece all’opera per riprendere le ostilità. Giunti rinforzi inviati dalla Germania e dal Governatore di Milano, sulla base delle decisioni assunte nella Conferenza dell’Aia del 1691, si trovò in breve tempo ad avere sotto di sé una forza di circa 20.000 combattenti.

3.4. – Tributi finanziari per gli eserciti in lotta ed epidemia di peste in Puglia


Il proseguimento della guerra comportò pesanti ripercussioni sulle province italiane che furono obbligate a finanziare gli eserciti imperiali in lotta. il Conte Antonio Caraffa Commissario Generale dell'Imperatore, impose infatti gravosi tributi, in uomini, armi, materiali e denaro. “..Intimò egli dunque non solamente i quartieri , ma anche sì esorbitanti contribuzioni al Gran Duca di Toscana , ai Genovesi , ai Lucchesi , ai Duchi di Mantova, Modena, e agli altri minori Vassalli dell’Imperio, che neppur oso io di specificarne la somma, per non denigrare a cagion di sì barbarica risoluzione la fama del piissimo Imperador Leopoldo, benché sia da credere, ch'egli non sapesse tutto, o non consentisse in tutto a sì fiera ed insolita estorsione, per cui si sviscerarono le sostanze degl'infelici Popoli. Neppure andò esente da questo flagello Ranuccio Il Farnese Duca di Parma, tuttoché i suoi Stati fossero Feudi della Chiesa, e dovette dar quartiere a quattro mila cavalli, avendo il Caraffa fatto valere il pretesto, che quel Principe riconoscesse lo Stato Pallavicino , Bardi, Compiano, ed altri piccioli Luoghi dell’Imperio".

"Sovvenne il buon Duca di Modena Francesco II d'Este con grande sforzo, del suo erario i propri Popoli, e contuttociò convenne impegnar tutte le argenterie delle Chiese, e far degli enormi debiti, perchè dalle minaccie di saccheggi andavano accompagnate le domande del barbaro Ministro. Certo è, che il Caraffa non altre leggi consultò in quella congiuntura, che quelle della forza, le quali portate all'eccesso, se riescano di gloria ai Monarchi, niuno ha bisogno d'impararlo da me”. “…..E però il buon Pontefice Innocenzo XII commiserando l'afflizione di tanti Popoli, più che mai si accese di premura , per condurre alla pace le guerreggianti Potenze , e spedì calde lettere , e propose un Congresso ma senza che si trovasse per ora spediente alcuno alle correnti miserie”. (*)

Tutti quindi furono chiamati a contribuire e tra questi anche le regioni italiane poste sotto il dominio della corona di Spagna. Il Regno di Napoli, già peraltro soggetto alle conseguenze del terremoto del 1688 nel Sannio, a quello del 1689 a Bari, nonché agli effetti di alcune eruzioni del Vesuvio, si trovò ad affrontare oltre alle pesanti contingenze economiche del momento altre calamità naturali. Tra la fine del 1690 e gli inizi del 1691 infatti una epidemia di peste colpì in particolare le Puglie provocando numerose vittime. La pandemia si diffuse nei paesi e nelle città, ma risultò meno virulenta di quella del 1656 durante la quale solo a Bari si contarono circa 12.000 vittime.

“entrò in quest’anno e prese piede la peste in Conversano, e né luoghi circonvicini; il che sparse gran terrore in tutta l’Italia, e ognuno si diede a precauzionarsi contra di questo formidabile nemico”. (*)

Come citato, la pestilenza colpì in modo particolare Conversano dove la popolazione ne risultò in gran parte vittima, si estese poi a Monopoli, Polignano, Mola, Fasano, raggiungendo anche Castellana. Non mancarono gli ammalati illustri: fu infatti colpito dal morbo anche il Conte di Conversano unitamente a tutta la sua famiglia. Per circoscrivere la malattia furono organizzati rigorosi cordoni sanitari, mentre in alcune zone tra cui quella di Fasano furono momentaneamente sospesi anche i riti religiosi.

Le misure sanitarie, igieniche e profilattiche poste in essere localmente e negli stati confinanti consentirono di circoscrivere la malattia che dopo aver colpito in maniera marginale anche altre zone territoriali si estinse del tutto. Nella normalità delle credenze, degli usi e della cultura del tempo i ceti popolari intensificarono le pratiche religiose e, all’attenuarsi dei nefasti effetti della malattia, cominciarono come in altre occasioni a gridare al miracolo.

A Castellana si diffusero voci sulla visione avuta da due sacerdoti. Secondo le raccomandazioni fornite dalla Madonna della Vetrana ai due prelati la peste avrebbe abbandonato l’abitato se si fosse sparso per il paese l’olio benedetto di una lampada votiva accesa sotto l’immagine della Vergine. La popolazione seguì le indicazioni fornite ungendo con l’olio della lampada persone e cose, fu dato inoltre fuoco a quanto venuto a contatto con gli appestati. Il cessare dell’epidemia originò poi una festa popolare che nella notte delle cosiddette “fanove”, si celebra ancora oggi nella giornata dell’11 gennaio.

Anche in altre città e paesi i superstiti si considerarono miracolati. Ad Acquaviva, rimasta immune, fu rinnovato il voto alla Madonna di Costantinopoli fatto in occasione dell’analoga epidemia del 1656. Per questo motivo sulla porta principale della città, quale simbolo di protezione, fu dipinta la sacra immagine della Madonna con le chiavi in mano. A Locorotondo in segno di ringraziamento verso San Rocco fu eretta in suo onore una chiesa.

3.5 – Occupazione francese della Savoia e della Piazza di Montmélian

Se fede, preghiere, processioni e cordoni sanitari, riuscirono a debellare rapidamente il flagello della peste, ….. i pochi pacifisti dell’epoca non ebbero particolare successo.

Il Papa, preoccupato per il terremoto verificatosi ad Ancona nel dicembre 1690 che causò la distruzione di buona parte delle abitazioni della città e di alcuni paesi del circondario tra cui Osimo e Fano, non riuscì ad indirizzare le parti contrapposte verso trattative di pace.

Non andata a buon fine la mediazione del Papa - unico strumento utile per salvaguardare l’Italia e parte dell’Europa occidentale dagli effetti disastrosi del conflitto - le truppe francesi continuarono ad avanzare incendiando, saccheggiando e distruggendo quanto incontrato sul loro cammino come peraltro avvenuto nella piccola cittadina piemontese di Cavour sottoposta a crudeli razzie. Nel 1691 furono molte le città invase dalle truppe di Luigi XIV e tra queste Nizza e Villafranca: “Le prodezze de' Franzesi contro il Duca di Savoja nell'anno presente consisterono in ridurre alla loro ubbidienza la Città di Nizza col suo Castello e Contado, e il Forte di Montalbano, e Villafranca, Luoghi posti sulla riva del Mediterraneo. Ciò avvenne nel mese di Marzo, e sul principio d'Aprile. In oltre verso il fine di Maggio il Catinat s'impadronì d'Avigliana, distante da Torino non più di dieci miglia, e ne restò prigioniera la Guernigione: Prese anche Rivoli, e passato di là all'assedio di Carmagnola , nel di nove di Giugno quel Presidio forte di due mila persone gli rilasciò la Piazza con ritirarsi a Torino.” (*)

Anche Cuneo fu posta in stato di assedio ma giunse in soccorso il principe Eugenio di Savoia che con il suo intervento riuscì a liberare la piazza facendo molti prigionieri e largo bottino in armi e materiali. Subito dopo giunsero dalla Germania altri numerosi rinforzi tanto da consentire nel settembre di attaccare e successivamente riconquistare Carmagnola, Avigliana e Rivoli.

“Intanto il Catinat abbandonò Saluzzo, Savigliano , e Fossano; e perciocché restava tuttavia contumace nella Savoja la Fortezza di Monmegliano, e volevano i Franzesi levarsi quella spina dal piede, nella notte precedente al di 18 di Novembre aprirono la trincea sotto quella Piazza, che fu bravamente difesa, per quanto mai si poté, da quel Governatore Marchese di Bagnasco. Le artiglierie, le bombe, e le mine con tal frequenza e vigore tempestarono quelle mura, case, e bastioni, che nel dì 20 di Dicembre con molto onorevoli condizioni convenne capitolarne la resa”.

Un tentativo di portare soccorso a Montmélian fu comunque posto in atto da Vittorio Amedeo II che, in disaccordo con i comandanti alleati sul da farsi, decise di agire con le proprie forze. Da Asti partirono 8 reggimenti di fanteria e 2 di dragoni che il 15 dicembre raggiunsero Aosta per poi risalire il Piccolo San Bernardo. Pervenuta però la notizia della resa ormai avvenuta della fortezza, il contingente rientrò in Piemonte senza combattere per poi raggiungere i quartieri invernali.

3.6 - Incursione alleata nella regione francese del Delfinato

Nel 1692 con l’inizio del nuovo anno, le truppe francesi si concentrarono in Europa portando avanti le loro strategie belliche contro le Fiandre e contro la Spagna. In entrambi i paesi, debellando gli avversari, conquistarono ampie fasce territoriali muovendo poi minacciosamente verso la città di Barcellona. In Italia gli alleati del Duca di Savoia, approfittando dell’impegno bellico delle truppe francesi sugli altri scacchieri europei, decisero di organizzare una grande incursione in territorio nemico attaccando con una forza di 10.000 cavalieri e sedicimila fanti il Delfinato, regione storica e naturale della Francia sud orientale, situata tra le Alpi francesi e il Rodano.

Vittorio Amedeo II ed Eugenio di Savoia, in assenza di una efficace resistenza, penetrarono in Francia attraverso le Alpi mettendo a ferro e fuoco il Delfinato. Presero Guillestre in luglio, Embrun e Gap in agosto e fecero temere un’ulteriore attacco a Grenoble ed a Lione. Depredando, incendiando e distruggendo i territori invasi durante la scorreria, si vendicarono delle atrocità commesse dai francesi in Palatinato ed in Piemonte. A Gap, barbaramente saccheggiata, il vaiolo si diffuse tra le truppe dell'esercito alleato contagiando tra gli altri anche il Duca di Savoia.

Nell’impossibilità di raggiungere ulteriori obiettivi anche in considerazione del sopraggiungere di consistenti forze francesi, della stanchezza delle truppe e dei vuoti cagionati dall’epidemia di vaiolo, i comandanti alleati decisero di ritirarsi in Piemonte per trascorrere l'inverno e prepararsi alla campagna del 1693. “Per varie strade ripassò quell’armata. L’infermo Duca portato come in un letto entro agiata seggetta, giunse a Cuneo, seco avendo la Duchessa Consorte, che al primo avviso del suo male co i Medici avea valicato quelle aspre montagne”.(*)

Al rientro in Italia delle forze alleate ed all’approssimarsi dell’inverno, il Conte Prainer nominato Commissario Generale dell'Imperatore al posto del predecessore Antonio Caraffa, impose nuovi pesanti balzelli ai principi italiani per approvvigionare, finanziare ed alloggiare gli eserciti nel periodo invernale. La eccessiva gravosità delle richieste ed i comportamenti del delegato imperiale originarono la protesta dello stesso Duca di Savoia che portò le sue lamentele sino alla Corte di Vienna. Anche il Papa, preoccupato delle difficili condizioni economiche degli stati italiani e delle violenze perpetrate, si mosse diplomaticamente presso tutte le corti europee al fine di promuovere iniziative di pace.

3.7 – Prosecuzione della guerra – Calamità naturali in Sicilia

Ignorato dai contendenti l’appello di Innocenzo XII ed in assenza di un’ipotesi di pace concordata, le esigenze della guerra richiesero mezzi finanziari sempre più consistenti. Tributi ordinari e straordinari, da destinare per lo più alle esigenze delle milizie in guerra assillarono ed impoverirono quasi tutte le regioni italiane. Per i proventi della corona spagnola però il gettito proveniente dalle province del meridione fu particolarmente scarso. Infatti nel 1693 un terribile terremoto devastò tutta la Sicilia già peraltro spossata dai nefasti effetti dell’eruzione dell’Etna del 1669, dalle ripercussioni dell’insurrezione di Messina del 1674, da ondate di malattie epidemiche ed ulteriormente impoverita dalla più generale fase di depressione economica.

“Per questi flagelli funestissimo, fu l’anno presente, ed anche per un altro sommamente lacrimevole, cioè per un tremuoto nella Sicilia, le cui scosse non son già forestiere in quella per altro fortunata Isola, ma senza che vi fosse memoria fra la gente d’allora d’averne mai provato un sì terribile e micidiale. Cominciò nel dì 9 di Gennaio a traballar la terra in Messina, e né susseguenti giorni andò crescendo la violenza delle scosse, talmente che atterrò in quella Città gran copia delle più cospicue fabbriche, e parte ancora delle mura d’essa Città, ma con poca mortalità, perché il Popolo avvertito dal primo scotimento si ritirò alla campagna, e a dormir nelle Piazze. Le Relazioni, che corsero allora, alterate probabilmente dallo spavento e dalla fama, portano, che in altre parti della Sicilia incredibile fu il danno. Che la città di Catania, abitata da diciotto mila persone andò tutta per terra colla morte di sedici mila abitanti seppellite sotto le rovine delle case. Che Siracusa ed Augusta, città riguardevoli, restarono diroccate, colla morte nella prima di quindici mila persone, e di otto mila nell’altra, in cui anche la Fortezza, per un fulmine caduto nel magazzino della polve, saltò in aria. Che le città di Noto, Modica, Taormina e molte Terre e Castella al numero di settantadue furono desolate, ed alcuna abissata in maniera che non ne rimane vegistio alcuno.

"Che più di cento mila persone vi perirono, oltre a venti mila ferite e storpie. Che in Palermo fu rovesciato il Palazzo del Viceré. Che la Calabria e Malta risentirono anch’esse non lieve danno. Che il Monte Etna, o sia Mongibello slargò la sua apertura fino a tre miglia in giro.

"Io non mi do mallevadore di tutte quelle particolarità. Certo è solamente, che miserie e rovine immense toccarono alla Sicilia per sì straordinario tremuoto, e che non si possono invidiare a i Siciliani le ricche lor campagne e delizie, sottoposte di tanto in tanto al pericolo di una sì dura pensione”.(*)

In realtà le cronache confermano in massima parte quanto descritto con qualche…dubbio dal Muratori. Infatti il terremoto del gennaio 1693 colpì in due riprese un territorio vastissimo; una prima scossa si ebbe il 9 gennaio 1693 provocando crolli e vittime ad Augusta, Avola, Floridia, Lentini e Melilli. Crolli totali e vittime si ebbero anche a Catania, Vizzini, Sortino, Siracusa e Militello. Una seconda scossa si verificò l’11 gennaio sconvolgendo con i suoi effetti catastrofici quasi tutte le città più importanti della Sicilia sud orientale.

Catania già duramente colpita dall’eruzione dell’Etna del 1669 fu quasi interamente distrutta, moltissimi i morti tra cui in gran numero quelli sepolti sotto le rovine della cattedrale. Ad Acireale si ebbero circa 800 decessi unitamente al crollo di gran parte del patrimonio abitativo così come peraltro avvenne in quasi tutti gli insediamenti sparsi sul versante orientale dell'Etna e della Val di Noto e tra questi: Vizzini, Sortino, Scicli, Ragusa, Palazzolo Acreide, Modica, Melilli, Lentini, Ispica, Occhiolà, Carlentini, Avola, Augusta, Noto. Danni molto estesi subirono Siracusa, Caltagirone, Vittoria, Comiso. Crolli e danneggiamenti gravi si verificarono anche Messina ed in alcuni centri della costa nord-orientale, fra cui Patti e Naso. Lesioni e cedimenti parziali si ebbero a Palermo, Agrigento e Reggio Calabria. Le scosse telluriche portatrici di morte e distruzione furono avvertite anche a Lipari ed a Vulcano e soprattutto nell’isola di Malta dove andarono in rovina case ed edifici.

In concomitanza con la scossa dell'11 gennaio, al terremoto si aggiunse un’intensa attività vulcanica dell’Etna ed un maremoto che colpì le coste di Catania, Augusta, Siracusa, Messina ed altre zone costiere inondando alcuni quartieri e distruggendo molte imbarcazioni. Alcuni battelli alla fonda nel porto di Augusta furono costretti a prendere il largo a causa del ritrarsi delle acque del mare ma furono riportate a riva dal ritorno violento delle onde. All’indietreggiamento iniziale del mare seguirono infatti gli effetti del riflusso. A Taormina ed a Mascali ondate gigantesche si inoltrarono per un buon tratto dell’entroterra, a Catania il mare giunse fino alla Piazza San Filippo inondando i poderi e le fattorie circostanti la città. Fenomeni simili si osservarono anche a Lentini ed a Siracusa portando desolazione e morte.

Il numero complessivo delle vittime, secondo le indicazioni redatte nel 1693, fu di circa 54.000 morti. I numerosi centri abitati, ubicati sia nelle zone costiere sia sulle falde dell’Etna, lamentarono quasi tutte la perdita di molte vite umane anche se in alcune città come Messina, per quanto gravemente danneggiata, rimasero uccise solo 29 persone. Catania quasi annientata lamentò ben 12.000 morti. Se ne contarono altri 5.000 a Ragusa, oltre 1.800 ad Augusta, 3.000 a Noto, 3.500 a Siracusa, 3.400 a Modica e circa 2.000 a Scicli dove crollati tutti i conventi rimasero in piedi solo poche abitazioni quasi tutte considerate comunque inagibili.

Per vari mesi alle scosse iniziali ne seguirono altre di intensità minore che avvertite dalla popolazione di numerose città arrecarono nuovi danni agli abitati di Catania, Siracusa, Augusta e Lentini. Si cercò di provvedere con le risorse a disposizione : il viceré organizzò i soccorsi per le popolazioni ed impostò i provvedimenti finanziari necessari tra cui, come d’uso, quelli riguardanti l’esenzione temporanea delle imposte.

L’opera di ricostruzione fu abbastanza veloce con riguardo al ripristino delle fortificazioni facenti parte del dispositivo difensivo della Sicilia orientale dislocate a Siracusa, Augusta, Catania ed Acireale. I lavori per la riedificazione delle strutture abitative subì invece ritardi anche a causa dei tempi necessari per riprogettare gli schemi urbanistici di alcune città ed individuare nuovi siti ove trasferirne alcune altre. A Catania, fu elaborata una nuova pianta urbana mentre per la maggior parte delle altre città furono seguiti, salvo piccole varianti, gli schemi urbanistici preesistenti.

Noto, Avola, Grammichele, Giarratana, Sortino, Acate, Monterosso, Fenicia Moncada furono ricostruite in luoghi diversi da quelli precedentemente occupati. Quest’ultima località fu riedificata tre volte. Denominata inizialmente Malpasso e distrutta nel 1669 dall’eruzione dell’Etna fu ricostruita con la realizzazione di un nuovo borgo che assunse il nome di Fenicia Moncada. Con il sisma del 1693 il paese, nuovamente raso al suolo, fu riedificato dando vita ad un terzo centro che fu chiamato per buon auspicio Belpasso.

3.8 – Assedio di Pinerolo e sconfitta delle truppe alleate ai Piani di Marsaglia

Malgrado la gravità dell’accaduto la guerra non conobbe particolari soste. In Italia il Duca di Savoia superati i postumi del vaiolo, ancorché colpito successivamente da un’altra grave malattia che fece temere per la sua vita, si riprese mettendosi nuovamente a capo degli eserciti alleati.

Le operazioni belliche ebbero inizio con una serie di azioni dimostrative che indussero il Maresciallo Catinat a spostarsi verso Susa scoprendo Pinerolo. Proseguendo negli attacchi le truppe del Duca di Savoia organizzarono il blocco di Casale e posero in stato d’assedio Pinerolo. Quest’ultima fortezza, difesa da una consistente guarnigione e rinforzata da nuove fortificazioni tra cui il complesso detto di Santa Brigida, si preparò ad affrontare l’urto dei 25.000 uomini posti al comando di Vittorio Amedeo II. Questi giunto nei pressi di Pinerolo nel luglio organizzò l’attacco al forte di Santa Brigida posto in posizione dominante sulla cittadella. Gli assalti più volte reiterati dagli attaccanti ed accompagnati dal bombardamento delle postazioni francesi non consentirono, malgrado il notevole prezzo pagato in vite umane, di ottenere il successo. Nell’agosto la difesa, anch’essa duramente provata dai combattimenti sostenuti, fu costretta a ritirarsi all'interno della cittadella.

Giunti rinforzi da Milano verso la fine del mese di settembre, gli attacchi alleati furono rinnovati ma ancora una volta con gravi perdite - oltre 3.000 uomini – ed ancora senza risultato. Giunta notizia dell’approssimarsi del Maresciallo Catinat con 40.000 armati, il Duca ordinò di togliere l'assedio, demolì totalmente il forte di Santa Brigida e marciò con i suoi 25.000 soldati contro il nemico.

Lo scontro tra i due eserciti contrapposti si verificò Il 4 ottobre 1693 ai Piani della Marsaglia, sulla sinistra del Chisola, nei pressi di Orbassano dove circa alle nove del mattino i 40.000 francesi attaccarono premendo contro le ali avversarie. Il cedimento di alcuni reparti spagnoli assegnò la vittoria ai francesi. Le perdite risultarono consistenti da entrambe le parti.

Secondo alcune fonti le forze del Duca di Savoia lasciarono sul campo circa 8.000 combattenti mentre i francesi ne persero 2.000, secondo altri le perdite, stimate in 6.000 uomini per parte, si equivalsero. Catinat, apertasi la via di Casale, costrinse gli avversari a togliere il blocco ma la consistenza delle forze avversarie non gli consentì di riconquistare né Saluzzo né altre città della zona.

Le sorti delle armi piemontesi sembrarono segnate ma le alterne vicende della guerra sul Reno e nei Paesi Bassi, la superiorità navale dell’Inghilterra, la situazione economico-finanziaria francese ed i pesanti oneri del mantenimento delle truppe impiegate nel nord Italia, indussero Luigi XIV a riflettere seriamente su una ipotesi di pace con il Piemonte.

3.9 – Stasi nelle operazioni belliche e calamità naturali nel Regno di Napoli

Conclusa l’attività bellica gli eserciti rientrarono nei quartieri invernali dove le truppe tedesche arrecarono ulteriori molestie taglieggiando, come già avvenuto negli anni passati, le popolazioni. Sul fronte della guerra il 1694 vide il rafforzarsi dell’esercito del Duca di Savoia che, imposto un blocco più stretto alla fortezza di Casale, restò sulla difensiva seguendo nel proprio comportamento quello dei francesi più interessati ad ottenere la vittoria battendo le forze alleate sugli scacchieri della Spagna e delle Fiandre.

Per la Corona di Spagna impegnata a difendere il proprio territorio ed in particolare per il viceré del Regno di Napoli, la primavera ed il successivo autunno del 1694 non furono particolarmente….allegri poiché buona parte dei territori del Sud Italia furono colpiti da nuove calamità naturali. Un’eruzione del Vesuvio danneggiò alcuni paesi posti sulle falde del vulcano e, nel settembre, un evento sismico di elevata magnitudo annientò molte cittadine dell’Irpinia.

 

3.9.1 - Eruzione del Vesuvio

il Vesuvio rimasto pressoché inerte per alcuni secoli si era per la prima volta già risvegliato il 16 dicembre 1631 provocando più di 4.000 vittime e la distruzione di quasi tutti i paesi ubicati lungo le sue falde. Negli anni successivi il vulcano mantenendosi sempre in attività entrò in fasi eruttive più o meno violente negli anni 1660, 1682, 1685 ed ancora una volta in questo periodo, nel 1689.

Cinque anni dopo, nell’ aprile 1694 il Vesuvio si scosse nuovamente; una bocca lavica si aprì verso Torre del Greco, il magma uscì a fiumi formando in pochissimo tempo numerose lingue di fuoco che, scendendo in direzioni diverse lungo le falde del vulcano, investirono e distrussero quanto incontrato lungo il loro percorso. Pietre e lapilli poi, lanciati verso l’alto, nel ricadere raggiunsero, come avvenuto più volte, sia le zone abitate dell’area vesuviana sia le province del circondario. Fumo e fiamme oscurarono il cielo, ceneri e lapilli si sparsero dappertutto raggiungendo anche Benevento mentre rivoli di lava scesero verso il mare incendiando le falde della montagna.

Per ridurre i danni e preservare case e proprietà terriere alla colata lavica, furono fatte pressioni sul vicerè chiedendogli di inviare immediatamente uomini e materiali con lo scopo di arginare la colata. Squadre di soccorso si misero quindi al lavoro creando sbarramenti di contenimento per canalizzare il magma tentando così di dirottarne il flusso verso il mare. L’esperimento effettuato con l’intima speranza di conseguire il risultato, sull’esempio di quello ottenuto in Sicilia qualche anno prima, non ebbe però particolare successo. L’eruzione proseguì quindi nel suo corso mentre il progredire del fronte lavico, oltre che dai fedeli in processione, fu osservato anche da molti curiosi che avvicinandosi per quanto possibile alle zone coinvolte intasarono strade e sentieri. Nel maggio, le colate non più alimentate si arrestarono mentre gli incendi provocati dalla massa lavica incandescente continuarono ad ardere per qualche settimana. Il Vesuvio tornò tranquillo, ma solo per poco tempo. Infatti nel 1698, un’altra eruzione che durò oltre venti giorni arrecò nuovi danni a persone e cose.

3.9.2 - Terremoto in Irpinia e Basilicata

La terribile sequenza di eventi calamitosi che nel giro di pochi anni devastò i territori del Sud Italia continuò a produrre lutti e dolore anche verso la fine del 1694.

“Funestissimo riuscì quest’anno al Regno di Napoli per un furioso terremoto, non inferiore a quel di Sicilia dell’anno precedente. Seguì nel dì 8 di settembre lo scotimento suo. Nella città di Napoli incredibil fu lo spavento, e il danno si ridusse solamente alla scompaginatura di molti palazzi, chiese, Monisteri e Case. Ma in Terra di Lavoro alcune Castella e Villaggi andarono per terra. In Ariano & Avellino assaissime persone perirono, e quasi tutte le case caddero. Nelle città di Capua, Vico, Cava, e massimamente in Canosa, Conza ed altre Parti, si patì gran rovina di edifizi, accompagnata dalla perdita di molte Anime. Anche a quegl’infelici paesi si stese la mano misericordiosa e limosiniera del Romano Pontefice. Questo infortunio cagion fu, che il Viceré di Napoli non potesse poi inviare quel rinforzo di genti e di denari, per cui tante premure gli venivano fatte dall’armata collegata in Piemonte”. (*)

Le località più colpite dal sisma furono quelle di Salerno, Avellino e Potenza facenti capo alle province di Principato Citra, Principato Ultra e Basilicata, poste sotto il dominio della corona spagnola rappresentata a Napoli dal viceré Francisco Benavides conte di Santisteban.

La scossa distruttiva avvenne l'8 settembre nel pomeriggio colpendo le province di Avellino, Potenza, Salerno, Napoli, Caserta, Foggia, Bari e Lecce. In alcuni circondari il movimento sismico che giunse inaspettato in oltre 130 centri abitati ebbe in alcuni casi effetti particolarmente distruttivi mentre in altri i danni risultarono limitati al crollo parziale di abitazioni ed a lesioni di scarsa importanza alle strutture di alcuni edifici. In molti paesi la popolazione superstite nel fuggire terrorizzata cercò riparo nelle campagne trasferendosi, per lo più senza viveri, in alloggi di fortuna. Il territorio subì peraltro alcuni danni per il verificarsi di movimenti franosi, di spaccature nel suolo, di variazioni nel regime normale delle acque e fuoriuscita di gas.

La rovina di chiese, palazzi, ed abitazioni in genere, assunse particolare rilievo sia sotto il profilo sociale sia sotto quello economico. In provincia di Avellino furono quasi completamente distrutti molti paesi e tra questi: Cairano, Calitri, Carife, Guardia Lombarda, Sant'Andrea di Conza, Sant'Angelo dei Lombardi, Teora. La città di Avellino subì danni alle chiese ed alle case ma le vittime non furono particolarmente numerose. In tutti gli altri circondari della provincia si lamentarono crolli e molti morti.

In provincia di Potenza nel circondario di Melfi, i danni subiti dal patrimonio ecclesiastico, nobiliare ed abitativo della città di Melfi furono gravi mentre ad Atella, che andò completamente distrutta. si ebbero 100 morti ed un pari numero di feriti. Più gravi i danni a Bella ed a Castelgrande dove i crolli furono estesi provocando la morte od il ferimento di numerosissime persone. A Potenza dove fu lesionata la chiesa della Trinità e parte del Castello crollarono anche 300 abitazioni. A Rapone si ebbero oltre 50 morti, a Pietragalla crollarono molte abitazioni con lesioni al palazzo baronale ed alla chiesa madre, a Tito le vittime tra morti e feriti furono oltre 500.

In provincia di Salerno, nei circondari di Salerno, di Castellammare di Stabia e di Sala Consilina, si ebbero alcune vittime nonché crolli sporadici e lesioni diffuse alle strutture di case e palazzi; nel circondario di Campagna oltre a danni estesi a tutti i centri, persero la vita molti abitanti dei paesi di Ripigliano, Santo Menna e Valvano.

A Napoli molte chiese e palazzi risultarono lesionati non vi furono però crolli né si ebbero a lamentare vittime. Anche in provincia di Caserta, di Foggia, e di Bari furono rilevati alcuni cedimenti e danni leggeri. A Lecce dove tremarono le mura della case, la scossa non provocò danni di particolare rilievo mentre a Brindisi il mare entrò bruscamente in agitazione.

La cifra complessiva delle vittime dichiarate, considerata sovrastimata sulla base di più attente valutazioni di alcuni documenti dell’epoca, fu calcolata in oltre 4.800 morti, di cui: 700 a Calitri, 700 a Sant'Angelo dei Lombardi, 600 a Muro Lucano, 400 a Ruvo del Monte, 300 a Teora, 280 a Guardia Lombardi, 250 a Bella, 230 a Pescopagano, 190 a Cairano, 160 ad Atella, 120 a Sant'Andrea di Conza, 100 a Tito.

Il viceré intervenne portando aiuti alle popolazioni colpite nei paesi più vicini a Napoli e non inviando le contribuzioni in denaro richieste dalla Spagna per finanziare l'armata impegnata in Piemonte contro le truppe francesi. Al fine di poter disporre di un esatto rendiconto dei danni subiti da uomini e cose furono predisposte dalle varie autorità relazioni dettagliate che giunte a Napoli consentirono di valutare nel complesso i danni e programmare conseguentemente gli interventi da realizzare.

Interventi finanziari da parte statale - diretti nella ricostruzione degli edifici pubblici ed altri erogati indirettamente per il tramite di esenzioni fiscali - consentirono di avviare i lavori di riedificazione e di restauro che richiesero come al solito tempi molto lunghi ed in molti casi superiori ai 10 anni.

3. 10 – Conclusione della campagna 1694 e Terremoto in Veneto

Al nord il sopraggiungere della stagione fredda riportò gli eserciti negli alloggiamenti invernali situati negli stati italiani che ancora una volta furono chiamati a contribuire al loro mantenimento.
“Venuto l’Autunno tutte le Truppe Tedesche si scaricarono di nuovo fra i paesi de’ Principi Italiani, con avere intimato il Conte Prainer, Commissario Generale di Cesare, secondo il solito, insoffribili contribuzioni. A colui da lì a poco la morte anch’essa intimò di sloggiare il Mondo e di dar fine alle sue estorsioni. Tante nondimeno furono le doglianze portate alla Corte di Vienna, che mosso a pietà l’Augusto Leopoldo ordinò, che si sminuisse il rigore di tanti aggravi; ma non già per Ferdinando Carlo Duca di Mantova, di cui si dichiaravano mal soddisfatti i Tedeschi, perché creduto di Genio Franzese.” (*)

Nel frattempo la guerra contro Turchi, nella quale si trovò impegnata la Repubblica di Venezia proseguì nelle sue alterne vicende. Le sconfitte subite nel corso del 1695 comportarono la prigione per il Capitano Generale Antonio Zeno. La riconquista da parte ottomana di alcune città e la perdita di parte della flotta non furono le sole disgrazie in cui incorse Venezia, infatti nei primi mesi del 1695 anche la Repubblica fu colpita nei suoi territori da un evento sismico di portata considerevole.

“Non fu men funesto un altro simile tremuoto, che si sentì nella Marca Trivigiana nel dì 25 di Febbraio. Nella sola Terra d'Asolo rimasero da' fondamenti, distrutte mille e cinquecento case; più d'altre mille e ducento inabitabili; i Templi colle lor Torri diroccati; molti uomini colle lor famiglie seppelliti sotto le rovine”. (*)

Nella notte del 24 febbraio 1695 furono avvertite due scosse non molto forti ma a queste nella mattinata del giorno seguente, ne seguì un fortissima sussultoria che fu percepita anche in Lombardia, nella Bassa Padana, nella regione del Garda ed in alcune zone montuose del Veneto. L'evento causò gravi danni le località più colpite furono la città di Asolo e i villaggi circostanti; oltre 30 centri abitati subirono gravi danni mentre in altri 24 si ebbero crolli parziali e dissesti.

Ad Asolo crollarono 1.477 case e 1.284 furono gravemente danneggiate. A Bassano cadde qualche casa ed i campanili di alcune chiese, a Vicenza oltre a creare molto panico si ebbero notevoli danni agli edifici, a Treviso come a Rovigo, Venezia, Verona, Padova, Bologna, Parma, Lodi, Milano e Mantova, si registrarono leggere lesioni nei muri delle case e piccoli crolli. A Ferrara invece i conventi dei Padri Agostiniani e dei Domenicani subirono alcuni danni. Le vittime furono complessivamente alcune centinaia.

Come in occasioni analoghe, il terremoto provocò il panico e la fuga degli abitanti che, in parte, non rientrarono nelle loro sedi provocando il successivo spopolamento di alcuni centri dell’asolano. La Repubblica Veneta, già assillata da notevoli problemi finanziari a causa della lunga guerra contro i Turchi non si trovò in condizione di intervenire celermente con gli aiuti necessari provocando, con il parziale disinteresse del governo e con l’esodo delle popolazioni, gravosi ritardi nel processo di riedificazione.

3. 11 – Strategia per la campagna 1695 - Terremoti e inondazioni nel Lazio

Con l’inizio della primavera gli eserciti del Duca di Savoia e dei suoi alleati cominciarono ad organizzarsi per riprendere le ostilità mentre i condottieri dell’armata definirono le loro strategie individuando come obiettivo della campagna 1695 la conquista di Casale Monferrato. Vittorio Amedeo II, quindi con 54 cannoni, 70 mortai e 25.000 uomini, nella sua qualità di comandante dell'esercito collegato, mosse per attaccare Casale difesa da una guarnigione di 2.700 soldati e 160 ufficiali.

Mentre al nord le milizie mossero per raggiungere le loro destinazioni, nel 1695 una nuova calamità naturale si scatenò sul centro Italia e questa volta a farne le spese furono i tranquilli territori dello Stato della Chiesa:
“….nel di 10 di Giugno un orribil tremuoto riempiè di terrore e danno il Patrimonio, e i Paesi circonvicini. Bagnarea andò tutta per terra con perdita di molte persone. Quasi interamente restò smantellato Celano, Orvieto, Toscanello, Acquapendente, ed altre Terre e Ville di que' Contorni risentirono gran danno. Il Lago di Bolzena, alzatosi due picche, inondò per tre miglia all' intorno il Paese.”(*)

Dopo una prima scossa avvenuta a Bagnoregio il 2 giugno, se ne verificò un’altra l’8 ed infine, quella più disastrosa, nel corso della notte del 10 e le cui repliche proseguirono sino al mattino del giorno 11. In città nessun edificio rimase intatto la cattedrale, il palazzo vescovile, il seminario, le altre chiese, molti palazzi e case subirono danni gravissimi. Fu danneggiato anche il monastero delle monache per cui il vescovo fece trasferire le religiose a Viterbo. Si ebbero 39 vittime e 61 persone ferite alcune delle quali in modo grave. I danni alle persone furono abbastanza limitati in quanto le prime scosse indussero gran parte della popolazione a trascorrere la notte tra il 10 e l'11 giugno all'aperto.

Oltre Bagnoregio il sisma causò la distruzione parziale di altri paesi tra cui Lubriano, Ponzano, Vetriolo e Celleno. A Castel di Piero si registrarono 3 morti e 20 feriti, rimase inoltre lesionato il palazzo baronale e molte case. Il lago di Bolsena si alzò di circa 4 metri e allagò i terreni circostanti per una estensione di oltre 4 chilometri. Danni più o meno rilevanti ad edifici pubblici, chiese ed abitazioni si verificarono anche ad Orvieto, Latera, Gradoli, Civita Castellana, Viterbo, Castiglione e Civitella.

Il movimento tellurico fu peraltro avvertito in una vasta area tra l'Umbria ed il Lazio settentrionale, da Perugia e Assisi fino a Civita Castellana. A Roma, a Frascati ed a Tivoli il fenomeno, percepito dalla popolazione, non arrecò particolari danni.

Il bilancio dei deceduti in tutta l’area colpita dal sisma fu quantificato in circa 200 persone mentre i danni materiali furono considerati ragguardevoli. Per far fronte alle esigenze delle località più colpite, Innocenzo XII destinò mezzi finanziari per agevolare almeno in parte la ricostruzione di Bagnoregio, Lubriano e Celleno nonché altro denaro da distribuire alle popolazioni danneggiate. Il Papa inoltre, secondo gli usi dell’epoca, dispose anche l'esenzione dai dazi camerali per tre anni.

Le preghiere del Papa per ottenere tranquillità e benessere nei propri stati, la pace in Italia e possibilmente la vittoria delle armi cristiane nell’Est Europeo, non trovarono per il momento particolare ascolto. Nell’attesa….di tempi migliori, il 1695 si rivelò negativo anche per la città di Roma danneggiata da una inondazione del Tevere. “Patì quella città nel verno del presente anno una inondazione del Tevere, che si stese per le campagne col danno di non poche fabbriche, e di molto bestiame, e con servire di veicolo ad una epidemia, che di poi sopraggiunse. Diede quella disgrazia al Santo Padre motivo di maggiormente esercitare la sua carità verso la povera gente , che si rifugiò per soccorso in Roma”(*).

3.12 - Conquista di Casale Monferrato

Nel frattempo al nord le milizie del Duca di Savoia giunte davanti a Casale Monferrato, iniziarono le ostilità dando corso ai lavori di triceramento. Il 25 giugno, posizionate truppe ed artiglierie, 74 cannoni e 70 mortai aprirono il fuoco. Le batterie dei difensori risposero provocando agli assedianti la perdita di circa 600 uomini ma poche settimane dopo, nel luglio, il presidio alla prima intimazione di resa decise inaspettatamente di darsi per vinto innalzando bandiera bianca. Nella stessa giornata, dopo breve trattativa fu firmata la capitolazione della piazza prevedendo la demolizione delle fortificazioni della città, del Castello e della Cittadella, l’abbandono della fortezza con l’onore delle armi da parte della guarnigione francese e la restituzione di Casale al Duca di Mantova.

La resa, avvenuta troppo rapidamente e con la guarnigione ancora perfettamente in grado di resistere, ingenerò sospetti di collusione e di accordi segreti che si accrebbero quando all’interno della roccaforte le truppe vincitrici trovarono considerevoli quantità di viveri, molti materiali e circa 200 cannoni. Il Duca di Savoia comunque nel timore che nella fortezza liberata si sistemassero gli spagnoli fece accelerare i lavori dei genieri e dei minatori che verso la fine di settembre consegnarono la città, con le fortificazioni totalmente smantellate al duca di Mantova. Malgrado le dicerie su accordi segreti intervenuti tra il Duca di Savoia ed il Re di Francia, la caduta della piazza ingenerò una grande soddisfazione tra le fila degli alleati che nella parte residua dell’anno non assunsero altre iniziative belliche facendo rientrare le truppe negli alloggiamenti invernali.

3.13 – Trattative di Pace e conclusione della guerra

Nei primi mesi del 1696 il Papa, inviò le sue navi in aiuto ai veneziani impegnati in Albania nella guerra contro l’impero ottomano e nel contempo cercò nuovamente di ottenere attraverso interventi diplomatici segreti, l’avvio di trattative di pace tra Amedeo II e Luigi XIV. Voci….maliziose su un possibile accordo circolarono quando nel marzo il Duca lasciati i suoi stati si diresse in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto per sciogliere un voto. Le stesse voci insinuarono che scopo del viaggio fosse invece quello di conferire di nascosto con I'ambasciatore francese, travestito da frate.

Ogni sospetto trovò la sua ragion d'essere quando, il 9 agosto 1696 il Conte di Tessè plenipotenziario per il re di Francia ed il Marchese di San Tommaso in nome del duca di Savoia conclusero un trattato, sottoscritto segretamente, nel quale fu stabilita: la restituzione al Duca di tutti gli stati occupati dai francesi in Savoia, di Nizza e di Villafranca; la cessione di Pinerolo con i forti di S. Brigida; il matrimonio fra Luigi Duca di Borgogna nipote di Luigi XIV e presunto futuro re di Francia e Maria Adelaide di Savoia figlia di Vittorio Amedeo. Inoltre la corte di Versailles avrebbe concesso a Vittorio Amedeo il trattamento regio di cui già godeva presso quelle di Madrid, Vienna e Londra.

Luigi XIV, per evitare ritorsioni alleate nei confronti del Duca, inviò ingenti rinforzi al Maresciallo Catinat il quale fece circolare notizie sull’avvio da parte francese di una nuova campagna bellica destinata a colpire il Piemonte e bombardare la città di Torino. Subito dopo però gli ambasciatori comunicarono al Duca le condizioni di pace offerte da Luigi XIV al Duca di Savoia che furono naturalmente …..quelle già pattuite nel trattato segreto.

Dopo una serie di trattative fittizie, il Duca stabilita con i francesi una tregua di 40 giorni, informò gli alleati di voler accettare l’accordo mantenendo però la propria neutralità fino alla cessazione delle ostilità da parte di tutte le nazioni belligeranti. I rappresentanti a Torino delle nazioni alleate protestarono vivacemente, consigliando anche il Duca di non accogliere le proposte francesi. Nei primi giorni di settembre, poco prima dello scadere della tregua, le truppe francesi si portarono a Casale Monferrato dove furono raggiunte dalle forze del Duca e del principe Eugenio di Savoia. L’Armata forte a questo punto di oltre 50.000 uomini, in assenza di una accettazione da parte tedesca e spagnola della posizione italiana, si diresse verso il Po per porre l’assedio alla città di Valenza.

Lo schieramento degli armati di Vittorio Amedeo II con l’esercito francese fece decidere gli ex alleati ad accettare la neutralità piemontese e di ritirarsi entro i loro confini. Gli spagnoli ottemperarono ma i tedeschi stabilirono di non muoversi. Si giunse finalmente ad un accordo secondo il quale promettendo il pagamento di “…ben più di trecentomila doble, compartendo questo aggravio sopra i Principi d’Italia, cioè settantacinque mila doble al Gran Duca di Toscana, al Duca di Mantova quaranta mila; altrettante al Duca di Modena, trentasei mila al Duca di Parma; quaranta mila ai Genovesi; al Monferrato venticinque mila; ai Lucchesi trenta mila, a Massa quindici mila; al Principe Doria sei mila; a Guastalla cinque mila ed il resto agli altri minori Vassalli dell’Imperio.”(*)

La convenzione di pagamento stabilì che una parte del denaro sarebbe stata versata immediatamente ed una parte rateizzata. Tutti si dimostrarono soddisfatti di svincolarsi dai tedeschi ed anche il Papa Innocenzo XII fu lieto di sborsare la sua rata, per accelerare l’abbandono dell’Italia da parte delle truppe imperiali.

“E così ebbe termine questa guerra che costò immenso sangue i cui frutti raccolse l'astuto Duca di Savoia, che allargò i confini del suo Stato, e strinse parentela col re francese facendo pagare le spese di guerra ai principi d'Italia, che vilmente erano rimasti inerti di fronte ad una lotta titanica combattuta da un principe italiano”. (**)

Anche gli altri contendenti ormai spossati finanziariamente e convinti di non poter vincere optarono per la pace. I plenipotenziari si riunirono l’anno successivo a Rijswijck in Olanda dove, il 20 settembre del 1697, fu firmato il trattato di pace.

Michele Squillaci

Bibliografia

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B.Cognetti – La storia d’Italia – Sacra Civile e letteraria – Napoli 1876 (**)
Epopea di Savoia – Libreria del Littorio – Roma 1930
M. Bonito – Terra Tremante – Napoli, 1691 - Ristampa Anastatica - Forni Editore, 1980
M. Baratta – I Terremoti d’Italia – Torino 1901 – Ristampa Anastatica - Forni Editore, 1979
L. Sforzosi – Compendio della Storia d’Italia – G. Barbera Editore, Firenze,1873
E. Melchiorri - Storia Universale - Curcio Editore - Roma, 1960
L. Cappelletti - Storia d'Italia - Vallardi editore, Milano 1932
Istituto Geografico De Agostini – Storia d’Italia – Novara, 1980
L. Salvatorelli – Storia d’Europa – UTET – Torino, 1951
C.Paoletti – Gli Italiani in Armi – Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico – Roma 2001
Ministero della Guerra – Italia Virtus – Almanacco R.E. 1939-1940 – Roma 1940
C. Rendina – I Papi storia e segreti – Newton & Compton Editori – Roma 1983
Banca di Roma – I Giubilei nella Storia – Viviani Editore – Roma, 2000
Microsoft® Encarta® 2006. Microsoft Corporation, 2005.
Documenti e pubblicazioni varie
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