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CRONOLOGIA

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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1300  

LA CIVILTA' COMUNALE - IL LAVORO e IL COMMERCIO

LA STORIA NON DI UNA GRANDE CITTA', MA QUELLA PICCOLA (emblematica) DI LUCCA

Questo capitolo su Lucca (esempio e quindi simbolo della disinvoltura italica-toscana) trova una storica ragione nel laborioso e diffuso commercio delle lane e delle sete, che i lucchesi fin dal 1200 audacemente estesero per le vie d'Italia e d'Europa, gareggiando con i fiorentini non solo nell'arte lucrosa della spola e del telaio, ma da mercanti divenuti banchieri, prestarono (come vedremo più avanti) anch'essi, con fortuna prima e con danno poi, denari a pontefici ed a re, costituendo nelle città commerciali forti e nutrite Compagnie, primi nuclei di quelle nazioni Lucchesi, che all'ombra della Cappella del Volto Santo, dio tutelare della patria, sopravvissero, come a Venezia ed a Roma, fino ai nostri giorni.

Ma la più forte e tangibile prova della loro potenza economica i mercanti di Lucca l'affermarono nella loro città,
ultima repubblica d'Italia, conservatasi libera col denaro e con la destrezza fino al termine del Settecento; Lucca superba di monumenti insigni, levati appunto con le ricchezze accumulate nel traffico e nel cambio durante il secolo d'oro della sua floridezza politica, il DUECENTO. Quando emancipata dalla tutela imperiale e dalla signoria dei Duchi e Marchesi di Toscana, si rafforza dentro la seconda cerchia delle sue mura, elegge a libero governo i consoli, secondo la mai spenta tradizione romana, estende il proprio territorio dal monte al piano, stringe patti di alleanza con Pisa e con Genova, e suggella i diplomi con l'arma superba del suo Comune, effiggiante un guerriero a cavallo, con l'asta in resta e lo scudo imbracciato, dentro il monito altero: "Luca potens sternit sibi que contraria cernit".

Le più note e ricche Compagnie mercantili lucchesi del periodo aureo furono quelle dei Ricciardi, Guinigi, Guidiccioni, Orlandini, Moriconi e Battosi, che avevano fondaco in patria nelle case e nelle logge, tutt'ora in parte superstiti, stazioni nei principali centri e scali marittimi, fattori alle più rinomate fiere del Brabante, della Sciampagna e della Borgogna. Il Bond e il Whitwell, che per primi studiarono le relazioni commerciali dei Lucchesi con l'Inghilterra, interrogando i ruoli dei pagamenti dei prestiti fatti alla Corona inglese, trovarono una ricca messe di documenti, comprovante la loro attività a Londra fin dal secolo XIII.
Per il passaggio in Terra Santa la società Luca da Lucca (
mercator domini regis) prestò ad Enrico III (1216-1272) circa diecimila marche di buoni sterlini, mentre Uguccione e Bandino della stessa compagnia erano nel 1273 i depositari della decima raccolta dai Domenicani di Irlanda.
Carte ancora inedite dei doviziosi archivi lucchesi fanno testimonianza più tardi di altri prestiti ingenti a sovrani, come quelle di 140.000 fiorini d'oro fatto nel Bramante da Nicolao Bartolomei, amico e corrispondente del Petrarca, a Edoardo III re d'Inghilterra, l'anno 1339.
Contemporaneamente i Guinigi prestavano ducati 5750 a Carlo di Durazzo, re di Gerusalemme e d'Italia, i Brancaleoni e Busdraghi ai Valòis di Francia, i Cenami e i Sandei agli Estensi, e un Bettino di Bandino Buiamonti lasciava per testamento due fiorini d'oro per ciascuno ai re di Francia e Inghilterra!

Nessuna di quelle società di mercanti lucchesi, eguagliò tuttavia la potenza economica dei Ricciardi, che ebbero il loro fondaco nel cuore della città fra le casi e torri dei Gentili, Guidiccioni e Botriochi, ove oggi s'apre la piazza detta appunto dei Mercanti, già coperta da una loggia distrutta dai Napoleonidi.
Questa Compagnia mercantile, illustrata dottamente da Emilio Re coi documenti conservati nel Record Office di Londra, comprendeva le più ricche casate lucchesi, come gli stessi Guidiccioni, i Di Poggio, i Roscimpeli, i Simonetti, i Tadolini, i Volpelli.

Dopo avere iniziata la sua fortuna con l'importazione della seta e l'esportazione dei panni di Stanford, aveva come i Bardi, i Peruzzi e i Bonsignori, fondato il banco, assumendo per conto della Curia di Roma l'incasso e la trasmissione delle decime fin dal 1277. Ed erano banchieri non solamente in Inghilterra, ma anche nella Scozia, in Fiandra, nella Magna e in Francia fino a Baiona. A tanto splendore non fu però lontano il tramonto.
La guerra scoppiata tra Francia e Inghilterra nel 1294, provocò nei due regni il sequestro dei capitali della Compagnia col legale pretesto che non dovevano servire di aiuto al nemico, determinando così il rapido e inevitabile fallimento. Ad affrettare il quale concorse la recisa volontà di Papa Bonifazio VIII, avido di ricuperare i 300.000 fiorini, che i Ricciardi avevano in deposito delle decime. "Questo Papa - scriveva un mercante lucchese - este sì fatto che non è persona li possa parlare se non a sua voluntade».

Labro Volpelli, uno degli anziani della Compagnia, cui la canizie dava venerando aspetto, si gettò ai piedi del fiero Pontefice - come viene riferito in una altra lettera del 10 ottobre 1295 -pietosamente supplicando una dilazione al pagamento. Sul momento strappata, non fu protratta oltre un anno, avendo il Papa fatto carcerare in Roma gli agenti della banca insolvente, sequestrando loro beni e case.

Al principio del Trecento la celebre Compagnia dei Ricciardi entrò nella fase ultima della liquidazione e la sua stessa sede in Lucca fu venduta alla Corte dei Mercanti, magistratura civile e giudiziaria ch'ebbe parte
notevolissima nelle vicende politiche ed economiche della Repubblica, e a cui successe, sempre nella stessa sede, la Camera di Commercio che ha ricondotto a dignità d'arte la vetusta fabbrica.

La storia della mercatura lucchese, che doveva scrivere prima il Frediani, poi il Mazzarosa, sembra che non è stata ancora raccolta, appunto per la vastità dell'argomento, che porterebbe necessariamente lo studioso su tutte le vie percorse dagli audaci ed esperti mercanti, obbligandolo a sostare nei luoghi dei loro traffici e guadagni, per esumare dagli archivi i documenti della loro attività. Tuttavia queste pazienti ricerche fatte in patria da Telesforo Bini e da Salvatore Bongi, che sapientemente corresse ed allargò le indagini del primo, dettero due saggi pregevoli, che, consultati sempre con profitto, possono servire di guida e di norma per futuri studi.
Grazie a questi dotti ricercatori sappiamo quali erano le fiere più accreditate, cui concorrevano i mercanti lucchesi: le principali quelle di Bar-sur-Aube nella Sciampagna, che aveva privilegio di gran mercato quattro volte l'anno; le due fiere di S. Remigio e di S. Giovanni di Troyes in gennaio e in giugno; le altre due in maggio e in settembre di Provins. Quest'ultima, la più famosa, era chiamata
fera agne per corruzione della parola des anges, perchè il colmo della fiera, cominciata il 14 settembre - giorno di gran festa per i Lucchesi, ricorrendo l'esaltazione della Croce - era il 2 di ottobre, dedicato agli angeli custodi. Col grido o meglio avviso d'allarme ara! ara! dato a suon di tromba o di corno dai Sergents des foires, e derivato dall'antico tedesco hara (hier), la sera del 3 ottobre si passava ad un'altra fase della fiera, cessando la mostra e la vendita della drapperia, e cominciando d'allora il cambio e il prestito, nonché il computo dei giorni per la data dei pagamenti, fissata nei contratti.

I mercanti riprendevano poi la via del ritorno verso la sede lontana, invocando nei pericoli del lungo cammino e nella inclemenza delle stagioni quel santo patrono dei viandanti, venerato a Lucca con culto speciale, il gigantesco S. Cristoforo, battezzato dallo stesso infante Gesù dopo averlo trasportato col peso di tutti i peccati del mondo al di là del fiume simbolico della vita.
Christophorum videas et postea tutus eas!

Ma i Lucchesi dovevano più sentirsi stringere il cuore di sospirosa nostalgia al frequente apparire sulle vie d'Europa dell'effigie più cara del Volto Santo, l'altra gigante figura che, come i devoti penati, aveva viaggiato con i primi avventurosi pionieri del commercio serico, avvolta anch'essa nella misteriosa trama d'una misteriosa leggenda. L'icone famosa di Lucca, ricordata da Dante nell'episodio dei barattieri, è ormai dimostrato dagli studi più recenti di Pietro Guidi, archivista illustre della Vaticana, che realmente appare - dopo il suo fortunoso viaggio dalla Palestina a Lucca - nella città, che tutt'ora la conserva, durante il secolo VIII; confermando così in parte la pia tradizione. Comunque il Santo Volto può essere appunto un indice dell'espansione commerciale dei Lucchesi, trovandosi il suo culto diffuso ovunque essi passavano, o ebbero soggiorno.

Dipinto nei tabernacoli delle umili cappelle della grande strada che dalla Valle d'Aosta, attraverso il Gran S. Bernardo, conduceva nella Magna; raffigurato nelle piccole edicole a metà o a piè dei ponti, e sotto gli stessi archi trionfali, come in quello di Aosta, al Volto Santo intitolato; impresso nelle monete e nei labari, ritroviamo quella sacra effigie, oltre che nelle principali città d'Italia, in Inghilterra, in Fiandra, in Francia, nella Spagna, e in tutti i paesi tedeschi, ove la leggenda eroica del Crocifisso di Lucca, per una curiosa alterazione dette luogo a quella dolcissima di Santa Vilgefort
(virgo fortis) la fanciulla crocefissa per non aver tradito il suo innamorato Gesù, originando così quelle strane immagini chiamate die kum-mernisbilder. Le quali appunto nella loro curiosa rappresentazione d'una giovane donna... con tanto di fluente barba, rivelano che in origine altre figure non erano che del Volto Santo lucchese, di cui, attribuendo i miracoli alla vergine martire, si perse il culto e la memoria quando si ruppero durante la Riforma i vìncoli religiosi e le relazioni commerciali.

Ma per tornare agli antichi, avventurosi mercanti di Lucca, seguendo sempre la guida sicura del palladio della loro Repubblica, sappiamo che essi, riallacciati i rapporti con l'Inghilterra, dopo il fallimento dei Ricciardi, avevano a Londra la loro
nazione presso la chiesa di S. Tommaso, in cui elessero il loro sepolcro alcuni mercanti; mentre altri, come i Guinigi, possedevano tombe gentilizie in S. Agostino.
A Bruges, che per la sua posizione geografica fu il centro del commercio lucchese, si accenna ancora la loro sede consolare adorna di loggia, posta nell'odierna via
des aiguilles au coin de la rue des tonnelliers, sezione E, n. 21. Anche in questa città avevano innalzato la cappella in onore del Volto Santo nella chiesa dei Canonici regolari di S. Agostino, più tardi trasformata in una fabbrica di birra.

Ad Anversa, ove passarono da Bruges nel secolo XVI, ebbero egualmente la sede e la cappella, di cui si è perduta la traccia, mentre sono superstiti gli statuti, allora rinnovati, che regolavano quella florida nazione lucchese. Senza ricordare i paesi germanici, cui già accennammo, sappiamo che ad Avignone, a Lione, a Marsiglia e in altre città della Francia costituirono parimenti la propria comunità, sempre sotto gli auspici della sacra effigie tutelare, chiamata là volgarmente Vaudelu (Voult de Lucques). Al Volto Santo appunto eressero anche in Parigi nella prima metà del sec. XIV una sontuosa cappella nel tempio del S. Sepolcro, atterrato dalla Rivoluzione per aprirvi quella grande arteria, che oggi si chiama il
boulevard Sebastopoli.
Nella Spagna s'incontrano mercanti lucchesi fin dal sec. XIII, adunati in Valenza nella chiesa dei Minori, ed a Madrid più tardi presso il famoso santuario di Nostra Donna d'Atocha, ove tutt'oggi si venera la testa del Simulacro di Lucca, superstite reliquia della statua spezzata durante le guerre napoleoniche.

Dalla Spagna il Volto Santo riprende la via del mare, verso le Indie, la Cina, il Giappone.... e il nuovo mondo; ma troppo lungo sarebbe seguirne l'erranti peregrinazioni, di cui restano i documenti nell'immagini dovunque diffuse, perfino con scritte in caratteri cinesi, e in una curiosa invocazione messicana, di cui s'ignora dai più il vero significato:
Santo rostro!

Le ricchezze adunate dai mercanti lucchesi all'estero favorirono largamente il loro sagace mecenatismo, ingentilito dal buon gusto italiano della Rinascita. Matteo e Lorenzo Trenta in Parigi fanno incetta, come si diceva, d'oro e d'argento, di gemme e vasellame, di merletti e biancherie finissime per Paolo Guinigi, magnifico Signore di Lucca dal 1400 al 1430.
Dalle Fiandre un Balduccio Parghia Antelminelli porta a Lucca nello stesso secolo un prezioso cofanetto di cuoio sbalzato e dipinto, atto a contenere reliquie, tutt'oggi meraviglioso tesoro d'arte, unico più che raro della chiesa maggiore di Lucca, dedicata a S. Martino di Tours.
Altri meravigliosi capolavori d'arte fiamminghe, commessi da lucchesi residenti a Bruges, restarono purtroppo all'estero, quale il famoso quadro di Jean Van Eyck, rappresentante Giovanni Arnolfini e sua moglie, cimelio inestimabile custodito dalla National Gallery di Londra. Ma fortunatamente quei bravi mercanti - dei quali fu poi erede in Europa una pleiade di più o meno onesti avventurieri lucchesi della politiche, della finanza e dell'armi - riuscirono a decorare i loro palazzi sontuosi, dalle fresche ed eleganti logge terrene, e dalle ampie sale rutilanti di specchiere, vetrerie ed oro fino, di ricche e numerose tele dipinte da pittori oltramontani. Sebbene molte siano già esulate da Lucca per la sete dei subiti guadagni, nonchè la fine delle più cospicue famiglie, non poche sono ancora appese sul fondo delle pareti damascate in quei grandi e solenni palazzi dei Bernardini, dei Cenarvi, dei Mansi e degli Orsetti, testimoni della floridezza economica e dell'intelletto di chi volle fossero edificati col magistero dei primi architetti d'Italia, Bartolomeo Ammannati e Vincenzo Civitali.
Sorprendente fra tutte, dopo la quadreria Sardini, che vanta tre autentici Meytens, la collezione fiamminga Mansi nella quale si ritrovano quadri di caposcuola, che ritrassero l'intima dolcezza d'interni casalinghi, la vera e pingue abbondanza delle belle mostre di natura morta, la soave mestizia di paesaggi nordici, e tutta una lieta floridezza di Madonne, di putti e di santi. Caratteristica la
Maddalena di Luca d'Olanda, ritratto di una placida fanciulla nel suo costume di festa, col tradizionale copricapo di velluto a fregi d'oro, il cui richiamo alla dolorosa Penitente è dato dal solo attributo del vasello di spinacardo, scoperto in atteggiamento di stupore, e dal fondo roccioso del paese.
La calma letizia di quel popolo di audaci naviganti è offerta dall'aperta scena invernale, dipinta dal Breughel nella cosiddetta
Festa sul ghiaccio, mentre il vascello riposa stanco nella rada, e sul mare infinito, confuso col cielo, s'attarda la caligine bianca, che svanisce vaporosa con effetti di luce meravigliosi. Gli abitanti del villaggio peschereccio danzano in un'armonia indistinta di musica e di colori; la sottile guglia della chiesa svetta come agile scolta, patrona di tanta onesta gioia, e gli uccelli raminghi e sbattuti dalle lontane raffiche trovano rifugio sui rami scheletriti e sul tetto, ove fuma tepida dal camino la promessa d'un succolento convito.
Poi il Terburg presenta vistosi personaggi della famiglia Wandiemen; Nalven una venditrice di ciliege al mercato; Rubens una scena pastorale, e Velasquez un forte e colorito ritratto di Carlo Maria Altogradi. E poichè anzi una Velasquez de Silva andò sposa a Giuseppe Mansi é confortata la tradizione che molti di questi quadri fossero da essa portati a Lucca, fra i quali la tela soavissima nel gruppo centrale delle Mistiche Nozze di S. Caterina che, già attribuita al Van Dyck, figura oggi agli Uffizi col nome minore di G. B. Crespi, il Cerano.

Un rapido sguardo ora alle arti della lana e della seta, che fecero rinomati i Lucchesi su tutti i mercati d'Italia e d'Europa. Tappeti e drappi ricorrono fin dal sec. IX fra le decime rese ai Vescovi di Lucca dai paesi della loro jura; come balle di lana, acquistate nei porti d'Asia e Africa, per essere lavorate in riva al Serchio, s'incontrano per tutto il sec. XIII. Frequenti e lucrose per ciò le relazioni con Firenze, che tenne poi il primato in Toscana di quell'arte, quando cioè i guelfi fuorusciti di Lucca vi recarono, come a Bologna e a Venezia, il contributo operoso del loro magistero.
Per esempio, il procuratore della Compagnia fiorentina dei Macci, Giovanni Bonaccorsi, viene a Lucca il 1308 per convenire con quella del Moriconi di ricevere dai loro agenti nella futura fiera di S. Ayoul a Provins lire 600 di piccoli tornesi di Francia per cambio di lire 762 e soldi 10 di buoni denari lucchesi. Documento questo ritrovato dall'illustre dantista F. P. Luiso, e che ha molto maggiore interesse storico che commerciale, perché fra i nonni dei testimoni all'atto ricorre quello di Giovanni, figlio di Dante Alighieri di Firenze; nome sul quale tanto fu discusso, essendo sempre incerto se sia Giovanni, fino ad oggi ignoto, prole del Poeta, o di un omonimo contemporaneo, anch'esso sconosciuto.

Più tardi, nel 1345, per citare un'altra carta mercantile, i Guinigi richiedono a Giacomo di Gherardo fiorentino ventiquattro balIoni di lana d'agnello e tredici altri di lana lunga d'Inghilterra, consegnatigli dal loro agente Lando Diversi nel porto di Bristol, del valore di fiorini d'oro 2700.
Erano queste le lane inglesi con le quali si fabbricavano a Lucca panni fini e ordinari, chiamati quest'ultimi anche oggi
lucchesini, ed i primi di garbo, dall'Algarve, altro luogo di provenienza delle lane; donde venne la curiosa distinzione di persona di garbo, cioè in origine vestita elegantemente di stoffa fina, in contrapposizione all'altro modo di dire: gli è tutto di S. Martino! a indicare chi era vestito rozzamente del panno fatto a Firenze presso la chiesa di quel nome.

Anche in Lucca facevano parte all'arte della lana le corporazioni dei
testori, cioè tessitori; dei follatori, gli artefici, i quali fissavano il panno bagnandolo e passandolo al luogo detto il folle, da cui la frase: ti follerò io! per dire t'aggiusterò per le feste ! Infine quelle dei tintori, dal tiratoio, per distendere e spianare le stoffe; e dei cimatori che tagliavano il pelo al panno, cimandolo.
Più nobile e proficua l'arte della seta dava lavoro e ricchezza a maestranze numerose e distinte, dalla filatura alla tessitura del prezioso prodotto, portato a Lucca greggio o crudo, come si diceva, per lo più dai paesi del Gange, del Cataio e della Georgia, onde i nomi di
gangia, cataia e georgiana alla seta dei sec. XIII e XIV. Ne proveniva anche dall'Asia Minore, come la soriana; dalla Grecia detta chiarentana, dalla distrutta Chiarenza; e più tardi dalla Spagna, dalla Sicilia e dalla Calabria, essendo relativamente tarda e sempre limitata la coltivazione del gelso in Lucchesia.

La piccola balla della seta arrotolata e legata a fardello, o torsello, formò l'insegna dell'antica mercanzia lucchese, levata anche a bandiera caricandola su un campo turchino, e ad arme associandola ai colori bianco e rosso del Comune.

Filare....

... incannare, torcere, cuocere, e tingere erano dunque le operazioni principali prima che le sete passassero al celere moto della spola nei famosi telai lucchesi....


... del cui fragore risuonava tutta Lucca, sapendo dai documenti, che, anche dopo l'esodo a Bologna e a Venezia, circa 3.000 telai battevano nel Trecento per l'Università dei Testori, posta sotto il patrocinio della Vergine Maria, della S. Croce, cioè il Volto Santo, e dell'evangelista S. Marco.

Disegnato il rabesco del drappo da veri artisti, chiamati appunto nelle carte notarili
disegnatores drapporum, o meglio operarum, uscivano dal setificio i panni damaschini, il drappo baldacchino e l'ormesino, tomi derivati dalle città orientali di Damasco, Baldacco ed Ormutz, donde i Lucchesi li importarono e forse appresero a fabbricarli fin dal tempo delle Crociate. Più sontuosi erano i celebri broccati d'oro e d'argento, alla cui tessitura si connetteva un'altra arte non meno accreditata in Lucca, quella dei battiloro e battilargento, che con propri statuti si adunavano nella chiesa di S. Salvatore in muro, detta poi S. Agostino. I colori preferiti delle stoffe erano i purpurei e gli scarlatti, ricavati quest'ultimi dalla grana di Romania o di Corinto; ma più d'ogni altro era ricercato il cremisi, che aveva un maggior prezzo, e di cui trafficavano a Lucca specialmente i Guitigi e i Di Poggio. Un altro colore di moda nel Trecento fu l'alessandrino, cioè il turchino, ricavato dall'indaco puro. Quali fossero poi le vesti e gli ornamenti, le fogge e le acconciature, cui dava occasione tanta doviziosa bellezza serica, rivelato le leggi suntuarie, bandite e sospese alternativamente negli ordinamenti lucchesi, da quando le più graziose e meglio adorne donne lucchesi spinsero il riluttante Azzo Visconti alla battaglia dell'Altopascio nel 1315, fino alle nozze fastose di Paolo Guinigi con la divina Ilaria del Carretto il 1404.

Ma già il Sercambi, lo speziale cronista e novelliere, auspice della fortuna del Signore di Lucca, nei noti ammonimenti dati ai Guinigi, considerando con rammarico
"il pogo fare della seta, la quale arte era quella che riempiva Lucca di denari" additava da bravo mercante nuove fonti di lucro nel fecondo lavoro dei campi, ancora oggi onore e vanto dei lucchesi.

L'industria serica, sebbene non si spegnesse che alla fine del Settecento, lentamente decadde per le cambiate condizioni dei tempi e della tecnica, che aprirono nuove vie ai commerci, favorirono la concorrenza straniera, e sollecitarono sempre più la dispersione dei tessitori lucchesi fuori patria. Non mancarono ad affrettare la continua decadenza torbidi interni, quale il tumulto degli Straccioni del 1531, che domato col bando e colla forca peggiorò le condizioni dell'arte serica; moti religiosi che fecero aprire seterie a Ginevra agli esuli mercanti, che abbracciarono la Riforma; infine clamorosi fallimenti delle ultime famiglie patrizie, come quello dei Buonvisi a Lione il 1629. Anche il terremoto di Lisbona del 1755 recò grave danno al commercio serico di Lucca, avendo in quella città depositi ingenti che andarono perduti; ma l'anno dopo rovina maggiore produsse l' editto del 1756 del Re di Prussia Federico II, bandito poi da tutti i Principi tedeschi, che vietava l'importazione dei drappi forestieri. L'ultima fabbrica gestita da una antica famiglia aristocratica, quella di G. B. Talenti, si chiuse nel 1785.

Sintesi di un saggio del Dott. EUGENIO LAZZARESCHI,
apparso nelle "Vie d'Italia", nel gennaio 1929

Lasciamo Lucca, e ritorniamo ai primi anni del 1300
I continui contrasti e le lotte tra le fazioni rivali che nel precedente capitolo abbiamo appena accennate, stanno portando alla formazione delle Signorie e Principati.

Ed è il prossimo capitolo dall'anno 1300 al 1308 > > >

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