ANNO 1970 - (provvisorio)
( Anno 1970 - Seconda Parte )

Rumor al processo di Catanzaro
.."non so, non sapevo, non mi ricordo....."

Auto, moto, dischi, moda, prodotti e attivita' legate al consumismo edonistico creavano una massa mai stata cosi' conformista, dove dominava un unico stile di vita: lo stesso maglione, lo stesso cantante, gli stessi jeans. E il neocapitalismo, la pubblicita', il piccolo imprenditore, l'artigiano, non aspettavano altro! E ringraziarono! E i "nuovi" politici emergenti in quelle province che una volta non contavano nulla, gongolarono!

Nelle piazze intanto folcloristicamente "drogati di delirio di potenza" gruppuscoli stravedevano e mitizzavano immagini, ideologie e rivoluzioni terzomondiste. Volevano fare una rivoluzione culturale prendendola in prestito dagli ex mandarini, negando la propria storia e ubriacandosi della loro, e come simboli utilizzavano quei personaggi,  ma di loro non sapevano nulla, e della storia dei loro popoli ancora meno (del popolo vietnamita sappiamo nulla nemmeno oggi, anni 2000. Del popolo cubano altrettanto, e la Cina rimane sempre un pianeta del tutto sconosciuto).

Mancava in Italia ancora una coscienza nazionale, era ancora presente il quadro delle numerose sue diversita' di razze regionali, eppure si guardava fuori! Perfino all'Albania come modello!!!

Una identita', un concetto nazione non si crea in una o due generazioni, ne' in un mattino, eppure si voleva guardare ad altre nazioni sconosciute, diverse come razza, lingua, interessi, affinita' religiose, storia e soprattutto come "modello"(!) di societa', che proprio in Vietnam (o in Cina) era ancora dominata da una antiquata casta di Mandarini in lotta fra di loro come nel nostro piu' profondo medioevo. Giravano in Italia opuscoli su questi Paesi ma erano dei clamorosi falsi storici. Altro che Paesi "modello" (!)

Renan affermava "Una nazione e' un principio spirituale, risultato delle profonde complicazioni della storia. Una nazione e' una grande solidarieta' costituita dal sentimento dei sacrifici che si sono fatti e di quelli che si e' disposti a fare ancora". (A fare ancora!!)

E' nel proprio territorio che una razza fonda la sua nazionalita', perche' la nazione e' societa' fisica, etnica, storica, spirituale, politica. Ma i cortei dei "nuovi" "miglioratori del mondo" volevano costruire una nuova nazione Italia guardando agli ex mandarini, e ai proprietari terrieri diventati condottieri di una rivoluzione feudale. Tale era quella Cinese, Vietnamita e anche la Cubana.

In Italia con W Mao, W Ho Chi Minh, W Cuba, W Che, non si poteva andare da nessuna parte. Era cioe' impossibile la pur minima vittoria di coloro che dimostravano fra l'altro di non sapere cosa volevano. Impossibile! Primo: perche' come dei teppisti inizieranno a sparare sul gruppo alla cieca e per rancori personali piu' che politici. Secondo: perche' non avevano uomini all'altezza di gestire una delicata e molto singolare situazione storica (Italia unita solo nei consumi, rifiuto di tutto un passato, acculturazione "nuova" quindi difficile da capire, ecc ecc). Terzo perche' paradossalmente ora c'era uno popolo conformista perfino "codardo" (riflusso e individualismo) nella sua recentissima conquistata liberta' democratica, che non aveva nessuna voglia di imitare i Vietcong nelle risaia padane, i cubani sulle spiagge di Rimini, o i cinesi in Piazza San Pietro con il libro dei nuovi "profeti" in mano. (tanto amati da  Curcio, Sofri, Negri)
Paesi in rivolta o in guerra, dove la democrazia quei capi non sapevano nemmeno dove stava di casa, e non lottavano certo contro gli americani per darla a una popolazione da sempre considerata e utilizzata come servi.

Mao, Ho Chi-Minh, il generale Giap, Van Thieu, Cao Ky , i potenti del Nord e del Sud Vietnam non erano tutti della stessa casta dei Patrizi Nguy�n? Che lottavano solo per la supremazia feudataria su un territorio conteso da secoli e secoli dalle loro rispettive famiglie patrizie?

E in quanto a Castro, il "rivoluzionario" il ricco Hidalgo Fidel Castro Ruz, era il piu' grosso proprietario terriero di Cuba, e ancora nel 1998 risultava essere uno dei cento uomini piu' ricchi del mondo. Cioe' uno Stato personale. Di tipo feudale. Il Guevara? fu solo utilizzato. Una volta Castro e fratelli al potere il Che non servi' piu', anzi ci furono forti contrasti (forse si accorse il "Che" che aveva lottato per un solo e unico padrone) e c'era il rischio che il Che avrebbe fatto per davvero la rivoluzione, e se questo accadeva a Castro e ai fratelli,  invece di prendersi tutta Cuba non rimaneva altro a loro che dirigere solo le grandi Haciende di famiglia.

Eppure in Italia operai e studenti si sgolavano nei cortei a invocare questi paladini della democrazia. Quelli di Lotta Continua o di Potere Operaio cadevano perfino in deliquio nel nominare Mao, Castro e Ho Chi Minh.
(si spera che diventati grandi si siano poi un po' documentati e abbiano visto e capito cos'era il "pianeta" Cina, Cuba, Vietnam, Russia, Cile, Bolivia ecc. ecc.)

Ma questi gruppuscoli prosperarono e durarono dieci anni perche' c'era uno Stato inefficiente. Ma per fortuna non provocarono nessuna rivoluzione sociale, perche' paradossalmente (contrariamente a quello che si pensava o scrivevano le piu' grandi firme del giornalismo) c'erano degli efficienti Servizi segreti italiani e americani che non si preoccuparono mai della situazione; anche nella fase piu' cruenta.

Ben diversa sarebbe stata la reazione se veramente gli estremisti fossero stati di una rappresentanza politica ben precisa.

Di matrice comunista? l'atteggiamento del governo statunitense nei confronti dei partiti comunisti dell'Europa occidentale era sempre stato molto chiaro e non era mai mutato (ne' mutera' mai): erano i comunisti sotto un accurato e continuo monitoraggio, e prevista la fermezza assoluta se andavano oltre certi limiti democratici a loro non graditi. Abbiamo detto occidentali, per quelli a est valevano gli accordi di Yalta. Dai russi rispettati per non creare complicazioni. Come del resto gli americani. Per la Cecoslovacchia o l'Ungheria nessuno mosse un dito.

Di matrice di destra?: altrettanta fermezza nel respingere ogni soluzione antidemocratica. Affrancare il neofascismo proprio in Italia voleva dire riaccendere la miccia su mezza Europa: in Francia, Austria, Spagna e cerchiamo di immaginare il rigurgito tedesco! Una assurdita' che nessuno analista politico prese in considerazione, ed era abbastanza ovvio, allora come oggi.

I bersagli che cadranno in Italia negli anni di piombo alla CIA neppure li conoscevano, e pur rispettando la memoria dei caduti, questi erano personaggi insignificanti. Erano entrati nel mirino solo per vendette personali di qualche frustrato "teppista". Il primo, Casalegno, il povero giornalista, firmo' la sua condanna a morte (articolo, prima pagina, su La Stampa del 30 ottobre 1969) proprio perche' ebbe "l'impudenza" di chiamare "teppisti" quelli che si sentivano "eroi della rivoluzione" , anche se poi questi eroi nell'assaltare i supermercati prendevano caviale, salmone e champagne, mentre in Cina, in Vietnam e a Cuba ben altra sorte era riservata ai ribelli.

A parte questi "vandali sociali" il vero malessere italiano, ma meglio chiamarlo disagio, non era di carattere politico o ideologico, ma era dovuto a un imborghesimento generale. L'Italiano era relativamente ancora povero; aveva un reddito dieci volte superiore a un cinese, quindici a quello vietnamita, venti volte a quello cubano, trenta volte a quello albanese. Nell'Italia 1970, abbonda l'offerta di lavoro sia pure umile, "un pezzo di pane si trova sempre" si diceva ed era vero. Ma ora voleva, dopo le tante "carote" consumistiche e edonistiche messe sotto il naso, qualcosa di piu', voleva  contare di piu'.

C'erano alla luce del sole evidenti e palesi segnali di questa mutazione nella societa' italiana, avvenuta da poco e in modo anomalo, eppure le rivolte e poi i primi atti di violenza, apparvero ai politici come una ricorrente diffusa malattia passeggera. Neppure lontanamente se ne sentirono responsabili pur avendo loro creato questo modello di sviluppo che portava proprio a imborghesire l'intera popolazione sia metropolitana che provinciale.

I politici avevano tutte le responsabilita', eppure nemmeno lontanamente pensavano di aver creato proprio loro le condizioni di certi diffusi sentimenti di "frustrazione" (non riuscire ad avere il voluttuario, stava diventando una mortificazione) in larghi strati sociali dell'intera nazione. C'era dunque la necessita' di mutare rotta nei rapporti non solo con le masse lavoratrici (che non era piu' una massa proletaria e plebea, ma semmai piu' o meno era una inconsapevole massa di lavoratori-consumatori), ma anche nei confronti di quella neoborghesia che stava nascendo. I primi volevano lavorare e consumare; i secondi volevano produrre e anche loro comandare qualcosa.

Era un paradosso: da una parte - in venti anni - tutta la classe politica al potere era stata spinta a un rinnovamento della societa' con un nuovo tipo di sviluppo, creando una nuova economia del Paese, spesso squilibrando e sradicando culture e paesi, citta' e campagne con le migrazioni selvagge, omologando un modello di italiano unico; ma nello stesso tempo non voleva mutare nulla, era cieca ai desideri e alle liberta' che essa stessa aveva scatenato nella psicologia collettiva.

Il modello di italiano che era stato creato dai media era stato omologato non solo per i territori dove c'erano i santuari della produzione delle grandi dinastie industriali, ma era stato esteso o si era autonomamente allargato a macchia d'olio anche nella provincia, fino all'ultimo paese. E ogni territorio voleva montare sul carro del "liberismo", del "consumismo" e dell'edonismo", e c'erano tutte le condizioni. E il potenziale mercato non aspettava altro, anzi lo stesso mercato era una sirena dove il canto ammaliatore raggiungeva ogni anfratto, landa, collina, valle, perche' la televisione era ormai arrivata ovunque.

Nel 1958 i televisori erano un 1.000.000, mentre in questo 1970 sono 10.000.000. E con quasi un televisore in ogni famiglia i vecchi ruoli prescritti (e anche quelli non scritti) saltavano tutti. Il pancino della Carra' che apparve quest'anno, buco' il video. Il messaggio divento' forte sul permissivismo, e fu  piu' chiaro di mille astrusi saggi di sociologi e di psicologi sul costume. Insomma i codici comportamentali si stavano riscrivendo tutti con la Tv e la pubblicita', invece la contestazione degli piccoli gruppi di estremisti era impegnata a teorizzare sulla pagliuzza e non vedeva la trave.

I prodotti di consumo, la scolarizzazione, non erano piu' all'interno della societa' degli opzional, ma si erano trasformati in una necessita' fisiologica. La fabbrica che creava questi "bisogni" era l'unica a non essere in crisi.
Si erano dunque creati con molti artifici una produzione opulenta e una scuola aperta a tutti, e nello stesso tempo si impediva a milioni di soggetti a non accedere a questa produzione e a milioni di studenti usciti dai "contenitori scuola" a non esercitare perche' ancora non in grado l'Italia (ancora a vocazione grande industria pesante o chimica) ad assorbire questi nuovi "apprendisti" della nuova Italia che stava nascendo, e che proprio nella promiscuita' della scuola erano stati "battezzati" e "iniziati" alla nuova "religione" consumistica , all'imborghesimento, al "credo" del nuovo conformismo anche spregiudicatamente (Non avrai altri Jeans all'infuori di me, oppure, Chi mi ama mi segua) quindi stessi jeans, stesso maglione, stessi riti d'evasione, stessi miti, e perfino lo stesso linguaggio verbale e gestuale.

Sembra impossibile che ci fosse questa cecita' nelle scelte politiche, eppure i Partiti, il governo, non capirono affatto che la massificazione che avevano essi stessi creata e prodotta stava alimentando una crisi esistenziale molto pericolosa, che non era solo dovuto a un ricambio generazionale, ma era dovuto a una vera e propria mutazione culturale.

Ma quello che sfuggi' a tutti, fu la "voglia" della piccola borghesia, del ceto medio e dei piccoli politici di provincia che scalpitavano, che a un certo punto furono solidali con i lavoratori. Perfino le ACLI in Italia in questo momento - come vedremo - stanno creando un partito di "lavoratori" (non di proletari) a indirizzo "socialista" che il Papa criticher� severamente e l'Episcopato neghera' il consenso gerarchico della Chiesa (risultato: scissione dentro le ACLI)
(ci viene in mente Londra, quando i neo ricchi furono emarginati dal Parlamento perche' accusati dai nobili di essere dei rozzi bifolchi. Offesi i neo borghesi si unirono ai proletari che fino al giorno prima avevano sfruttato, e insieme buttarono fuori dai Comuni, una buona parte di aristocratici - era il 1670)

Ma il "proletariato" in Italia in questi anni Settanta, gia' non esisteva piu', salvo considerare ancora proletari quelli che viaggiavano in Fiat 600, vestivano Lebole, facevano le vacanze a Rimini e bevevano la Coca Cola con la cannuccia (hanno gi� iniziato proprio quest'anno a fare meno figli= prole - dalle 900 mile nascite-anno di questo  1970, alla fine del decennio saranno 600 mila nascite-anno). Del resto lo abbiamo gia' accennato, il proletariato si era imborghesito e la borghesia si era proletarizzata: negli atteggiamenti, nel linguaggio, nella vita di relazione, nel costume e nello stile di vita.

Pasolini l'aveva fotografata e aveva profetizzato "I giovani: sono presumibilmente l'ultima generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedra' intorno a se' che l'entropia borghese"

La rivolta - sempre secondo Pasolini - non aveva nulla della rivoluzione culturale marxista-leninista o maoista cui si ispiravano i piccoli gruppi, ma era una filtrata rivolta della piccola neo-borghesia, il ceto medio, che cercava l'appoggio dei lavoratori. Voleva insomma partecipare alla vita dello Stato e non prendere piu' ordini dalla grande aristocratica vecchia borghesia che aveva sempre agito indisturbata, o dai potenti politici subalterni sempre pronti a soddisfare ogni loro capriccio. Infatti incentivare auto, chimica, gomma ed elettrodomestici sembra che si sia rivelato solo un "capriccio" costoso per il resto del Paese, che fu stravolto geograficamente, demograficamente, culturalmente ed economicamente, accusando forti ritardi nello sviluppo del Paese.

Non dobbiamo del resto dimenticare (lo abbiamo gia' accennato) che sia la destra che la sinistra (ecco perche' si ritrovarono) avevano per tradizione storica un unico obiettivo: la lotta contro la grande borghesia. Mussolini, lui socialista, molto abile ci si appoggio' per fare la sua scalata, ma la grande borghesia cinicamente lo utilizzo' per estendere ancora di piu' il suo potere. Poi visto come si stavano mettendo le cose, gia' il 25 ottobre del 1938 (vedi) il "mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel Paese" lo avevano gia' abbandonato al suo destino. Poi liquidato lui e il fascismo, l'alta borghesia fu lesta nel 1945 (basterrebe vedere la continuit� Beneduce-Cuccia) a rimpossessarsi dei suoi centri di potere sul territorio e a dettare il modello di sviluppo alla nuova classe politica; che fu altrettanto pronta a soddisfarla per riceverne i benefici (da altre fonte poteva ottenere ben poco). Ma avevano dimenticato qualcosa: la piccola borghesia, il ceto medio (le stesse categorie su cui si appoggiava proprio il fascismo; da questa prendeva il consenso)

Dopo il discorso contro la borghesia nel 1938, chi aveva poi affossato il fascismo? Risposero in seguito due storici: Luigi Salvatorelli in una classica interpretazione affermo' che "il fascismo era stato l'espressione della piccola borghesia "umanistica" in crisi, che si ribellava contro il capitalismo". Renzo De Felice invece ( in una intervista nel 1975, che suscito' violenti polemiche e scandalo) corresse Salvatorelli e affermo' "non in crisi" ma che "il fascismo era stato sostenuto (come consenso popolare Ndr.) dai ceti medi in ascesa, emergenti, composti soprattutto di piccoli imprenditori, impiegati, funzionari, da persone che, se risaliamo attraverso l'anagrafe, al tempo dei loro padri erano socialmente zero e al momento di iscriversi al fascio sono gia' qualcosa di piu'". De Felice fece scandalo, si invoco' perfino una "vigilanza" contro i suoi libri (cosa vuole? forse riabilitare il fascismo?) e nessuno si ricordo' che Gramsci nel 1926 a Lione aveva scritto le stesse cose; aveva individuato nei ceti medi raccoltisi intorno al fascismo "una comune mentalita' di "una nuova classe nascente". E questa classe venne fuori proprio negli anni '60-'70 e rimescolare le carte.

L'alta borghesia, la chiesa e i politici conservatori in questi venti anni, questo ceto "emergente" - lasciato in eredita' e formatasi nel regime,  che durante il "miracolo" era ancora giovane- l'aveva ignorato, e la stessa sinistra era convinta che quell' "ascesa" era stata interrotta o del tutto annullata.

Sbagliarono i primi, i secondi e i terzi. Questa classe era viva, vegeta e forte e onnipresente in ogni luogo; i suoi uomini, ora quaranta-cinquantenni, erano dentro tutti i meandri dei ministeri, prefetture, questure, esercito, istituzioni, parastato, municipi , province (ora nelle regioni) e dentro nelle piccole medie aziende.

Alcuni  in questi anni non potendo accedere ai vertici del potere agiscono sfogandosi sull'autorit� (dei vecchi), e nei loro piccoli o grandi ruoli si mettono persino al riparo da ogni accusa; e il potere, pur subendo certi ricatti  non puo' fare a meno del suo consenso, perderebbe credibilita'; quindi suo malgrado sta al gioco, qualcosa sacrifica, cede molte leve del comando, spesso a gente mediocre (a quella classe politica che vedremo sfilare al processo Cusani a Tangentopoli ("Siamo noi i responsabili, ci siamo allevati gente mediocre" dir� Frafani, uno della vecchia guardia)

Prima della guerra nel ventennio questa piccola borghesia aveva fatto "tirocinio" quali impiegati funzionari, imprenditori; ora maturi si affacciano dentro gli uffici pubblici che contano, guidano piccole aziende, banche, municipi, sono (numerosi) dentro le segreteria dei partiti, ed aspirano al gran salto a una maggiore partecipazione e direzione del Paese. Solidali iniziano una connivenza nella gestione della cosa pubblica e privata (naturalmente compresa la giustizia e le finanze) che durera' come i due regimi precedenti, un "ventennio", fino agli anni '90 .

Attenzione, guardiamo nomi e anagrafe e scopriremo che la "Terza Italia", l'"Italia delle Partecipazioni", l'" Italia dove e' tutto permesso", l'"Italia assistenzialista", l'"Italia delle raccomandazioni", l'"Italia divorzista", oltre ai tanti altri fattori concomitanti che  favoriranno l'anomalo sviluppo e la modificheranno "intrallazzando", verranno tutte create proprio da questi soggetti, con i nomi non sempre in primo piano; ma sono forti perch� ormai sono un reggimento; quelli che saranno poi chiamati "razza padrona".

Sono italiani che non sono di sinistra, che non sono di destra (anche se sono dentro i partiti); "sono tutti uguali" scrisse il geniale provocatore Pasolini. E come scopriremo in seguito, neppure tanto cattolici - troveremo nel 1992, nello sconquasso, tanti trasformisti che strattoneranno a destra o a sinistra l'elettorato Dc; rivelando la loro "anima". Tanto che un monsignore  sara' molto lapidario "lasciateci almeno in pace a piangere dalla vergogna".

Sta nascendo ora, in questo 1970, questa nuova nazione del ventennio, e gli stessi italiani dallo stupore sembrano cadere in una crisi di identita'. (divorzio, amore libero, omosessualita' dichiarata, ombelico al vento, evasione fiscale che premia, intrallazzo vincente, umiliazione nel chiedere, glorificazione narcisistica nel dare; e tanta cinica spregiudicatezza, che premia)

Con i "puri" comunisti sorpresi e i "veri" cattolici sconvolti.

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