"MATER ET MAGISTRA"

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITA' PAPA GIOVANNI XXIII

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 20 maggio 1961

INTRODUZIONE

1. Madre e maestra di tutte le genti, la Chiesa universale è stata istituita da Gesù Cristo perché tutti, lungo il corso dei secoli, venendo al suo seno ed al suo amplesso, trovassero pienezza di più alta vita e garanzia di salvezza. A questa Chiesa, colonna e fondamento di verità, (cf. 1Tm 3,15) il suo santissimo Fondatore ha affidato un duplice compito: di generare figli, di educarli e reggerli, guidando con materna provvidenza la vita dei singoli come dei popoli, la cui grande dignità essa sempre ebbe nel massimo rispetto e tutelò con sollecitudine. Il cristianesimo infatti è congiungimento della terra con il cielo, in quanto prende l’uomo nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà, e lo invita ad elevare la mente dalle mutevoli condizioni della vita terrestre verso le altezze della vita eterna, che sarà consumazione interminabile di felicità e di pace.

2. Benché dunque la santa Chiesa abbia innanzi tutto il compito di santificare le anime e di renderle partecipi dei beni di ordine soprannaturale, essa è tuttavia sollecita delle esigenze del vivere quotidiano degli uomini, non solo quanto al sostentamento ed alle condizioni di vita, ma anche quanto alla prosperità ed alla civiltà nei suoi molteplici aspetti e secondo le varie epoche.

3. La santa Chiesa, realizzando tutto questo, attua il comando del suo fondatore Cristo, che si riferisce soprattutto alla salvezza eterna dell’uomo quando dice "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6) e "Io sono la luce del mondo"; (Gv 8,12) ma altrove guardando la folla affamata, gemebondo prorompe nelle parole: "Ho compassione di questa folla"; (Mc 8,2) dando prova cosi di preoccuparsi anche delle esigenze terrene dei popoli. Né il divin Redentore dimostra questa cura soltanto con le parole, ma anche con gli esempi della sua vita, quando a sedare la fame della folla più volte moltiplicò miracolosamente il pane. E con questo pane dato a nutrimento del corpo volle preannunziare quel cibo celeste delle anime, che avrebbe largito agli uomini nella vigilia della sua passione.

4. Nessuna meraviglia dunque che la Chiesa cattolica, ad imitazione di Cristo e secondo il suo mandato, per duemila anni, dalla costituzione cioè degli antichi diaconi fino ai nostri tempi, abbia costantemente tenuto alta la fiaccola della carità, non meno con i precetti che con gli esempi largamente dati; carità che, armonizzando insieme i precetti del mutuo amore e la loro pratica, realizza mirabilmente il comando di questo duplice dare, che compendia la dottrina e l’azione sociale della Chiesa.

5. Orbene, insigne documento di tale dottrina ed azione, svolta lungo il corso dei secoli dalla Chiesa, è senza dubbio da ritenersi l’immortale enciclica Rerum novarum, (Acta Leonis XIII, XI, 1891, pp. 97-144) promulgata settanta anni or sono dal nostro predecessore di v.m. Leone XIII, per enunciare i principi con i quali si potesse risolvere cristianamente la questione operaia. Poche volte parola di pontefice ebbe, come allora, una risonanza cosi universale per profondità di argomentazioni e per ampiezza, nonché per potenza incisiva. In realtà quegli orientamenti e quei richiami ebbero tanta importanza che in nessun modo potranno cadere in oblio. Una via nuova si apri all’azione della Chiesa, il cui pastore supremo, facendo proprie le sofferenze, i gemiti e le aspirazioni degli umili e degli oppressi, ancora una volta si eresse a tutore dei loro diritti.

6. E oggi, pur essendo passato un lungo periodo di tempo, è ancora operante l’efficacia di quel messaggio non solo nei documenti dei pontefici succeduti a Leone XIII, che nel loro insegnamento sociale continuamente si richiamano all’enciclica leoniana, ora per trarne ispirazione, ora per chiarirne la portata, sempre per fornire incitamento all’azione dei cattolici; ma anche negli ordinamenti stessi dei popoli.

Segno è che i principi accuratamente approfonditi, le direttive storiche e i paterni richiami contenuti nella magistrale enciclica del nostro predecessore conservano tuttora il loro valore ed anzi suggeriscono nuovi e vitali criteri perché gli uomini siano in grado di giudicare il contenuto e le proporzioni della questione sociale, quale si presenta oggi, e si decidano ad assumere le relative responsabilità.

 

I - INSEGNAMENTI DELLA ENCICLICA "RERUM NOVARUM" E TEMPESTIVI SVILUPPI DEL MAGISTERO DI PIO XI E PIO XII

I temi della "Rerum novarum"

7. Leone XIII parlò in anni di radicali trasformazioni, di accesi contrasti e di acerbe ribellioni. Le ombre di quel tempo ci fanno maggiormente apprezzare la luce che promana dal suo insegnamento.

Come è noto, allora la concezione del mondo economico più diffusa e maggiormente tradotta nella realtà era una concezione naturalistica, che negava ogni rapporto tra morale ed economia. Motivo unico dell’operare economico, si affermava, è il tornaconto individuale. Legge suprema regolatrice dei rapporti tra gli operatori economici è una libera concorrenza senza alcun limite. Interessi dei capitali, prezzi delle merci e dei servizi, profitti e salari, sono determinati puramente e meccanicamente dalle leggi del mercato. Lo Stato deve astenersi da ogni intervento in campo economico. Le associazioni sindacali erano, a seconda dei paesi, o vietate o tollerate o considerate come di diritto privato.

In un mondo economico cosi concepito la legge del più forte trovava piena giustificazione sul piano teorico e dominava sul piano dei rapporti concreti tra gli uomini. Ne risultava cosi un ordine economico radicalmente sconvolto.

8. Mentre ingentissime ricchezze s’accumulavano nelle mani di pochi, le classi lavoratrici venivano a trovarsi in condizioni di crescente disagio. Salari insufficienti o di fame, logoranti le condizioni di lavoro e senza alcun riguardo alla sanità fisica, al costume morale e alla fede religiosa. Inumane soprattutto le condizioni di lavoro a cui spesso erano sottoposti i fanciulli e le donne. Sempre incombente lo spettro della disoccupazione. Soggetta a processo di disintegrazione la famiglia.

Di conseguenza, profonda insoddisfazione tra le classi lavoratrici, nelle quali serpeggiava e si rafforzava lo spirito di protesta e di ribellione. Ciò spiega perché tra quelle classi trovassero largo favore teorie estremiste, che proponevano rimedi peggiori dei mali.

Le vie della ricostruzione

9. In quel frangente toccò a Leone XIII bandire il suo messaggio sociale tratto dalla stessa natura umana ed informato ai principi e allo spirito del Vangelo; messaggio che al suo apparire suscitò, pur tra comprensibili opposizioni, universale ammirazione ed entusiasmo.

Certamente non era la prima volta che la Sede Apostolica scendeva sull’arena dei terreni interessi a difesa dei miseri. Altri documenti dello stesso Leone XIII ne avevano già spianata la strada; allora però venne formulata una sintesi organica dei principi ed una prospettiva storica cosi ampia che fa dell’enciclica Rerum novarum una somma del cattolicesimo in campo economico - sociale.

Né fu un gesto senza ardimento. Mentre taluni osavano accusare la Chiesa cattolica quasi che di fronte alla questione sociale si limitasse a predicare la rassegnazione ai poveri e ad esortare i ricchi alla generosità, Leone XIII non esitò a proclamare e a difendere i legittimi diritti dell’operaio.

Ed accingendosi ad esporre i principi della dottrina cattolica nel campo sociale dichiarava solennemente: "Entriamo fiduciosi in questo argomento e di pieno nostro diritto, giacché trattasi di questione di cui non è possibile trovare soluzione che valga, senza ricorrere alla religione e alla Chiesa" (cf. Acta Leonis XIII, XI, 1891, p. 107).

10. A voi sono ben noti, venerabili fratelli, quei principi basilari esposti dall’immortale Pontefice con chiarezza pari all’autorità, secondo i quali deve ricomporsi il settore economico - sociale dell’umana convivenza.

Essi riguardano anzitutto il lavoro che deve essere valutato e trattato non già alla stregua di una merce, ma come espressione della persona umana. Per la grande maggioranza degli uomini, il lavoro è l’unica fonte da cui si traggono i mezzi di sussistenza e perciò la sua rimunerazione non può essere abbandonata al gioco meccanico delle leggi del mercato; deve invece essere determinata secondo giustizia ed equità, che altrimenti rimarrebbero profondamente lese, fosse pure stipulato liberamente da ambedue le parti il contratto di lavoro.

11. La proprietà privata, anche dei beni strumentali, è un diritto naturale che lo Stato non può sopprimere. Ad essa è intrinseca una funzione sociale, e però è un diritto che va esercitato a vantaggio proprio e a bene degli altri.

12. Lo Stato, la cui ragion d’essere è l’attuazione del bene comune nell’ordine temporale, non può rimanere assente dal mondo economico; deve esser presente per promuovervi opportunamente la produzione di una sufficiente copia di beni materiali, "l’uso dei quali è necessario per l’esercizio della virtù", (S. Th., De regimine principum, 1, 15) e per tutelare i diritti di tutti i cittadini, soprattutto dei più deboli, quali sono gli operai, le donne, i fanciulli. È pure suo compito indeclinabile quello di contribuire attivamente al miglioramento delle condizioni di vita degli operai.

13. È inoltre dovere dello Stato procurare che i rapporti di lavoro siano regolati secondo giustizia ed equità, e che negli ambienti di lavoro non sia lesa, nel corpo e nello spirito, la dignità della persona umana. A questo riguardo nell’enciclica leoniana sono segnate le linee secondo le quali si è intessuta la legislazione sociale delle comunità politiche nell’epoca contemporanea; linee, come già osservava Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno, (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 185) che hanno contribuito efficacemente al sorgere e allo svilupparsi di un nuovo e nobilissimo ramo del diritto, e cioè del diritto del lavoro.

14. Ai lavoratori, si afferma ancora nell’enciclica, va riconosciuto come naturale il diritto di dar vita ad associazioni o di soli operai o miste di operai e padroni, come pure il diritto di conferire ad esse la struttura organizzativa che ritengono più idonea a perseguire i loro legittimi interessi economico - professionali e il diritto di muoversi autonomamente e di propria iniziativa all’interno di esse per il proseguimento di detti interessi.

15. Operai ed imprenditori devono regolare i loro rapporti ispirandosi al principio della solidarietà umana e della fratellanza cristiana; giacché tanto la concorrenza in senso liberistico, quanto la lotta di classe, in senso marxistico, sono contro natura e contrarie alla concezione cristiana della vita.

16. Ecco, venerabili fratelli, i principi fondamentali sui quali si regge un sano ordine economico-sociale.

Non è dunque da meravigliarsi se i cattolici più capaci, sensibili ai richiami dell’enciclica, abbiano dato vita a molte iniziative per tradurre nella realtà quei principi. E si sono mossi pure sulla stessa linea, sotto l’impulso di obiettive esigenze della stessa natura, uomini di buona volontà di tutti i paesi del mondo. Per cui l’enciclica, a ragione, è stata e viene riconosciuta la Magna Charta (cf. ivi, p. 189) della ricostruzione economico-sociale dell’epoca moderna.

La "Quadragesimo anno"

17. Pio XI, nostro predecessore di s.m., a quarant’anni di distanza commemora l’enciclica Rerum novarum con un nuovo documento solenne: l’enciclica Quadragesimo anno. (cf. ivi, pp. 177-228).

Nel documento il sommo Pontefice ribadisce il diritto e il dovere della Chiesa di portare il suo insostituibile contributo alla feclice soluzione degli urgenti gravissimi problemi sociali che angustiano la famiglia umana; riafferma i principi fondamentali e le direttive storiche dell’enciclica leoniana; coglie inoltre l’occasione per precisare alcuni punti di dottrina sui quali tra gli stessi cattolici erano sorti dubbi, e per enucleare il pensiero sociale cristiano in rispondenza alle mutate condizioni dei tempi.

18. I dubbi sorti concernevano, in modo speciale, la proprietà privata, il regime salariale, il comportamento dei cattolici nei confronti di una forma di socialismo moderato. Quanto alla proprietà privata, il nostro predecessore ne riafferma il carattere di diritto naturale e ne accentua l’aspetto sociale e la rispettiva funzione.

19. In ordine al regime salariale, respinge la tesi che lo qualifica ingiusto per sua natura; ne riprova però le forme inumane ed ingiuste, secondo le quali non di rado è stato realizzato; ribadisce e sviluppa i criteri ai quali deve ispirarsi e le condizioni che devono essere soddisfatte perché in esso non sia lesa la giustizia o l’equità.

20. In questa materia, chiaramente indica il nostro predecessore, nelle presenti condizioni è opportuno temperare il contratto di lavoro con elementi desunti dal contratto di società, in maniera che "gli operai diventino cointeressati o nella proprietà o nell’amministrazione o compartecipi in certa misura dei lucri percepiti" (cf. ivi, p. 199).

21. Della più alta importanza dottrinale e pratica va pure considerata la sua affermazione che il lavoro non si può "valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale" (cf. ivi, p. 200). Conseguentemente nel determinare la rimunerazione, dichiara il Pontefice, la giustizia esige che si abbia riguardo oltre che ai bisogni dei singoli lavoratori e alle loro responsabilità familiari, anche alle condizioni degli organismi produttivi nei quali i lavoratori prestano la loro opera e alle esigenze del bene economico pubblico (cf. ivi, p. 201).

22. Tra comunismo e cristianesimo, il Pontefice ribadisce che l’opposizione è radicale, e precisa che non è da ammettersi in alcun modo che i cattolici aderiscano al socialismo moderato: sia perché è una concezione di vita chiusa nell’ambito del tempo, nella quale si ritiene obiettivo supremo della società il benessere, sia perché in esso si propugna una organizzazione sociale della convivenza al solo scopo della produzione, con grave pregiudizio della libertà umana, sia perché in esso manca ogni principio di vera autorità sociale.

23. Ma non sfugge a Pio XI che nei quarant’anni passati dalla promulgazione dell’enciclica leoniana la situazione storica si era profondamente mutata. Infatti la libera concorrenza, in virtù di una dialettica ad essa intrinseca, aveva finito per distruggere se stessa o quasi; aveva portato ad una grande concentrazione della ricchezza e all’accumularsi altresì di un potere economico enorme in mano di pochi, e "questi spesso neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento" (cf. ivi, p. 210s).

24. Pertanto, come osserva con perspicacia il sommo Pontefice, "alla libertà di mercato è sottentrata l’egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; tutta l’economia è cosi diventata orribilmente dura, inesorabile, crudele" (cf. ivi, p. 211) determinando l’asservimento dei poteri pubblici agli interessi di gruppo e sfociando nell’imperialismo internazionale del denaro.

25. Per porre rimedio ad una tale situazione, il supremo Pastore indica, come principi fondamentali, il reinserimento del mondo economico nell’ordine morale e il perseguimento degli interessi, individuali e di gruppo, nell’ambito del bene comune.

Ciò comporta, secondo il suo insegnamento, la ricomposizione della convivenza mediante la ricostruzione di corpi intermedi autonomi a finalità economico-professionali, creati dai rispettivi membri e non imposti dallo Stato; il ripristino dell’autorità dei poteri pubblici nello svolgimento di quei compiti che loro competono in ordine all’attuazione del bene comune; la collaborazione su piano mondiale fra le comunità politiche, anche in campo economico.

26. Ma i motivi di fondo che caratterizzano la magistrale enciclica di Pio XI possono ridursi a due. Il primo motivo è che non si può assumere come criterio supremo delle attività e delle istituzioni del mondo economico l’interesse individuale o di gruppo, né la libera concorrenza, né il predominio economico, né il prestigio della nazione o la sua potenza o altri criteri simili. Vanno invece considerati criteri supremi di quelle attività e di quelle istituzioni la giustizia e la carità sociali.

27. Il secondo motivo è che ci si deve adoperare per dare vita ad un ordinamento giuridico, interno e internazionale, con un complesso di stabili istituzioni, sia pubbliche che libere, ispirato alla giustizia sociale, a cui l’economia si conformi, cosi da rendere meno difficile agli operatori economici svolgere la loro attività in armonia con le esigenze della giustizia nel quadro del bene comune.

Il Radiomessaggio della Pentecoste 1941

28. Ma nel definire e nello sviluppare la dottrina sociale cristiana ha non poco contribuito anche Pio XII, nostro predecessore di v.m., il quale il 10 giugno 1941, nella solennità della Pentecoste, trasmetteva un radiomessaggio "per attirare l’attenzione del mondo cattolico sopra una ricorrenza meritevole di essere a caratteri d’oro segnata nei fastigi della Chiesa: sul cinquantesimo anniversario della fondamentale enciclica sociale Rerum novarum di Leone XIII... (cf. AAS, XXXIII, 1941, p. 196) e per rendere a Dio onnipotente... umili grazie per il dono che... largi alla Chiesa con quell’enciclica del suo vicario in terra, e per lodarlo del soffio dello Spirito rinnovatore, che per essa, d’allora in modo sempre crescente, effuse sulla umanità intera" (cf. ivi, p. 197).

29. Nel radiomessaggio il grande Pontefice rivendica alla Chiesa "la inoppugnabile competenza di giudicare se le basi di un dato ordinamento sociale siano in accordo con l’ordine immutabile che Dio creatore e redentore ha manifestato per mezzo del diritto naturale della rivelazione; (cf. ivi, p. 196) riafferma la perenne vitalità degli insegnamenti dell’enciclica Rerum novarum e la loro inesauribile fecondità; e coglie l’occasione "per dare ulteriori principi direttivi morali sopra tre valori fondamentali della vita sociale ed economica; i tre valori fondamentali che si intrecciano, si saldano, si aiutano a vicenda sono: l’uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia" (cf. ivi, p. 198s).

30. Per quanto riguarda l’uso dei beni materiali, il nostro predecessore afferma che il diritto di ogni uomo ad usare di quei beni per suo sostentamento è in rapporto di priorità nei confronti di ogni altro diritto a contenuto economico; e però anche nei confronti del diritto di proprietà. Certo, aggiunge il nostro predecessore, anche il diritto di proprietà dei beni è un diritto naturale; però, secondo l’ordine obiettivo stabilito da Dio, il diritto di proprietà va configurato in maniera da non costituire un ostacolo a che sia soddisfatta l’"inderogabile esigenza che i beni, da Dio creati per tutti gli uomini, equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità" (cf. ivi, p. 199).

31. In ordine al lavoro, riprendendo un motivo ricorrente nella enciclica leoniana, Pio XII ribadisce che esso è simultaneamente un dovere e un diritto dei singoli esseri umani. Di conseguenza spetta ad essi, in prima istanza, regolare i loro vicendevoli rapporti di lavoro. Solo nel caso in cui gli interessati non adempiano o non possano adempiere il loro compito "rientra nell’ufficio dello Stato di intervenire nel campo della divisione e della distribuzione del lavoro, secondo la forma e la misura che richiede il bene comune rettamente inteso" (cf. ivi, p. 201).

32. Per quanto riguarda la famiglia, il sommo Pontefice afferma che la proprietà privata dei beni materiali va pure considerata come "spazio vitale della famiglia; e cioè un mezzo idoneo ad assicurare al padre di famiglia la sana libertà di cui ha bisogno per poter adempiere i doveri assegnatigli dal Creatore, concernenti il benessere fisico, spirituale, religioso della fami- glia" (cf. ivi, p. 202).

33. Ciò comporta per la famiglia anche il diritto d’emigrare. Su questo punto il nostro predecessore rileva che quando gli Stati, sia quelli che permettono di emigrare come quelli che accolgono nuovi elementi, si adoperino ad eliminare tutto ciò che "potrebbe essere d’impedimento al nascere e allo svolgersi di una vera fiducia" (cf. ivi, p. 203) tra loro, ne conseguirà un reciproco vantaggio, e si contribuirà insieme all’incremento del benessere umano e al progresso della cultura.

Ulteriori mutamenti

34. La situazione, già mutata all’epoca della commemorazione fatta da Pio XII, ha subito in questo ventennio profonde innovazioni, sia all’interno delle singole comunità politiche sia nei loro vicendevoli rapporti.

35. In campo scientifico-tecnico-economico: la scoperta dell’energia nucleare, le sue prime applicazioni a scopi bellici, la successiva crescente sua utilizzazione ad usi civili; le possibilità sconfinate aperte dalla chimica nelle produzioni sintetiche; l’estendersi dell’automatizzazione e dell’automazione nel settore industriale e in quello dei servizi; la modernizzazione del settore agricolo; la quasi scomparsa delle distanze nelle comunicazioni per effetto soprattutto della radio e della televisione; l’accresciuta rapidità nei trasporti; l’iniziata conquista degli spazi interplanetari.

36. Il campo sociale: lo sviluppo dei sistemi d’assicurazione sociale, e, in alcune comunità politiche economicamente sviluppate, l’instaurazione di sistemi di sicurezza sociale; il formarsi e l’accentuarsi nei movimenti sindacali di un’attitudine di responsabilità in ordine ai maggiori problemi economico-sociali; un progressivo elevarsi della istruzione di base; un sempre più diffuso benessere; la crescente mobilità sociale e la conseguente riduzione dei diaframmi fra le classi; l’interessamento dell’uomo di media cultura ai fatti del giorno su raggio mondiale. Inoltre l’aumentata efficienza dei sistemi economici in un numero crescente di comunità politiche, mette in maggiore risalto gli squilibri economico-sociali tra il settore dell’agricoltura da una parte e il settore dell’industria e dei servizi dall’altra; fra zone economicamente sviluppate e zone economicamente meno sviluppate nell’interno delle singole comunità politiche; e, su piano mondiale, gli squilibri economico-sociali ancora più stridenti fra paesi economicamente progrediti e paesi economicamente in via di sviluppo.

37. In campo politico: la partecipazione in molte comunità politiche alla vita pubblica di un numero crescente di cittadini di diverse condizioni sociali; l’estendersi e l’approfondirsi dell’azione dei poteri pubblici in campo economico e sociale. Si aggiunge inoltre, sul piano internazionale, il tramonto dei regimi coloniali e il conseguimento dell’indipendenza politica dei popoli d’Asia e d’Africa; il moltiplicarsi e l’infittirsi dei rapporti tra i popoli e l’approfondirsi della loro interdipendenza; il sorgere e lo svilupparsi di una rete sempre più ricca di organismi a dimensioni anche mondiali, con tendenza ad ispirarsi a criteri soprannazionali: organismi a finalità economiche, sociali, culturali, politiche.

Motivi della nuova enciclica

38. Noi, pertanto, sentiamo il dovere di mantener viva la fiaccola accesa dai nostri grandi predecessori, e di esortare tutti a trarre da essa impulso ed orientamento per la soluzione della questione sociale in forma più adeguata ai nostri tempi.

Per tale motivo, commemorando in forma solenne l’enciclica leoniana, siamo lieti di cogliere l’occasione per ribadire e precisare punti di dottrina già esposti dai nostri predecessori, e insieme enucleare ulteriormente il pensiero della Chiesa in ordine ai nuovi e più importanti problemi del momento.

 

II - PRECISAZIONI E SVILUPPI DEGLI INSEGNAMENTI
DELLA "RERUM NOVARUM"

Iniziativa personale e intervento dei poteri pubblici in campo economico

39. Anzitutto va affermato che il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, operanti individualmente o variamente associati per il perseguimento di interessi comuni.

40. Però in esso, per le ragioni già addotte dai nostri predecessori devono altresì essere attivamente presenti i poteri pubblici allo scopo di promuovere, nei debiti modi, lo sviluppo produttivo in funzione del progresso sociale a beneficio di tutti i cittadini.

La loro azione, che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione deve ispirarsi al "principio di sussidiarietà" (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 203) formulato da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno: "Deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale; che siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, cosi è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervenzione della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle" (cf. ivi, p. 203).

41. Vero è che oggi gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e delle tecniche produttive offrono ai poteri pubblici maggiori possibilità concrete di ridurre gli squilibri tra i diversi settori produttivi, tra le diverse zone all’interno delle comunità politiche e tra diversi paesi su piano mondiale; come pure di contenere le oscillazioni nell’avvicendarsi delle situazioni economiche e di fronteggiare con prospettive di risultati positivi i fenomeni di disoccupazione massiva. Conseguentemente i poteri pubblici, responsabili del bene comune, non possono non sentirsi impegnati a svolgere in campo economico una azione multiforme, più vasta, più organica; come pure ad adeguarsi a tale scopo nelle strutture, nelle competenze, nei mezzi e nei metodi.

42. Ma dev’essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive.

43. Del resto lo stesso evolversi storico mette in rilievo ognora più chiaro che non si può avere una convivenza ordinata e feconda senza l’apporto in campo economico sia dei singoli cittadini che dei poteri pubblici; apporto simultaneo, concordemente realizzato, secondo proporzioni rispondenti alle esigenze del bene comune nelle mutevoli situazioni e vicende umane.

44. L’esperienza infatti attesta che dove manca l’iniziativa personale dei singoli vi è tirannide politica; ma vi è pure ristagno dei settori economici diretti a produrre soprattutto la gamma indefinita dei beni di consumo e di servizi che hanno attinenza, oltre che ai bisogni materiali, alle esigenze dello spirito: beni e servizi che impegnano, in modo speciale, la creatrice genialità dei singoli. Mentre dove manca o fa difetto la doverosa opera dello Stato, vi è disordine insanabile, sfruttamento dei deboli da parte dei forti meno scrupolosi, che attecchiscono in ogni terra e in ogni tempo, come il loglio tra il grano.

 

La socializzazione
Origine e ampiezza del fenomeno

45. Uno degli aspetti tipici che caratterizzano la nostra epoca è la socializzazione, intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata, e istituzionalizzazione giuridica. Il fatto trova la sua sorgente alimentatrice in molteplici fattori storici, tra i quali sono da annoverarsi i progressi scientifico-tecnici, una maggiore efficienza produttiva, un più alto tenore di vita nei cittadini.

46. La socializzazione è a un tempo riflesso e causa di un crescente intervento dei poteri pubblici anche in settori tra i più delicati, come quelli concernenti le cure sanitarie, l’istruzione e l’educazione delle nuove generazioni, l’orientamento professionale, i metodi di ricupero e di riadattamento di soggetti comunque menomati; ma è pure frutto ed espressione di una tendenza naturale, quasi incontenibile, degli esseri umani: la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano le capacità e i mezzi di cui possono disporre i singoli individui. Una tale tendenza ha dato vita, soprattutto in questi ultimi decenni, ad una ricca gamma di gruppi, di movimenti, di associazioni, di istituzioni a finalità economiche, culturali, sociali, sportive, ricreative, professionali, politiche, tanto nell’interno delle singole comunità nazionali, come sul piano mondiale.

Valutazione

47. È chiaro che la socializzazione cosi intesa apporta molti vantaggi. Rende infatti attuabile la soddisfazione di molteplici diritti della persona, specialmente quelli detti economico-sociali, quali sono, ad esempio, il diritto ai mezzi indispensabili per un sostentamento umano, alle cure sanitarie, a una istruzione di base più elevata, a una formazione professionale più adeguata, all’abitazione, al lavoro, a un riposo conveniente, alla ricreazione. Inoltre attraverso alla sempre più perfetta organizzazione dei mezzi moderni della diffusione del pensiero - stampa, cinema, radio, televisione - si permette alle singole persone di prender parte alle vicende umane su raggio mondiale.

48. Nello stesso tempo però la socializzazione moltiplica le forme organizzative e rende sempre più minuta la regolamentazione giuridica dei rapporti tra gli uomini di ogni settore. Di conseguenza restringe il raggio di libertà nell’agire dei singoli esseri umani: e utilizza mezzi, segue metodi, crea ambienti che rendono difficile a ciascuno di pensare indipendentemente dagli influssi esterni, di operare di sua iniziativa, di esercitare la sua responsabilità, di affermare e arricchire la sua persona. Si dovrà concludere che la socializzazione, crescendo in ampiezza e profondità, ridurrà necessariamente gli uomini ad automi? È un interrogativo al quale si deve rispondere negativamente.

49. La socializzazione non va considerata come il prodotto di forze naturali operanti deterministicamente; essa invece, come abbiamo osservato, è creazione degli uomini, esseri consapevoli, liberi e portati per natura ad operare in attitudine di responsabilità, anche se nel loro agire sono tenuti a riconoscere e rispettare le leggi dello sviluppo economico e del progresso sociale, e non possono sottrarsi del tutto alla pressione dell’ambiente.

50. Per cui riteniamo che la socializzazione può e deve essere realizzata in maniera da trarne i vantaggi che apporta e da scongiurarne o contenerne i riflessi negativi.

51. A tale scopo però si richiede che negli uomini investiti di autorità pubblica sia presente ed operante una sana concezione del bene comune; concezione che si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona.

52. Inoltre riteniamo necessario che i corpi intermedi e le molteplici iniziative sociali, in cui anzitutto tende ad esprimersi e ad attuarsi la socializzazione, godano di una effettiva autonomia nei confronti dei poteri pubblici, e perseguano i loro specifici interessi in rapporto di leale collaborazione fra essi, subordinatamente alle esigenze del bene comune. Ma non è meno necessario che detti corpi presentino forma e sostanza di vere comunità; e cioè che i rispettivi membri siano in essi considerati e trattati come persone e siano stimolati a prender parte attiva alla loro vita.

53. Nello sviluppo delle forme organizzative della società contemporanea l’ordine si realizza sempre più con l’equilibrio rinnovato tra una esigenza di autonoma ed operante collaborazione di tutti, individui e gruppi, ed una azione tempestiva di coordinamento e di indirizzo da parte del potere politico.

54. Qualora la socializzazione si attui nell’ambito dell’ordine morale secondo le linee indicate, non importa, per sua natura, pericoli gravi di compressione ai danni dei singoli esseri umani; contribuisce invece a favorire in essi l’affermazione e lo sviluppo delle qualità proprie della persona; si concreta pure in una ricomposizione organica della convivenza, che il nostro predecessore Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 222s) proponeva e propugnava quale presupposto indispensabile perché siano soddisfatte le esigenze della giustizia sociale.

55. Il nostro animo è preso da una profonda amarezza dinanzi allo spettacolo smisuratamente triste di numerosissimi lavoratori di molti paesi e di interi continenti, ai quali viene corrisposto un salario che costringe essi stessi e le loro famiglie a condizioni di vita infraumane. Ciò, senza dubbio, si deve pure al fatto che in quei paesi ed in quei continenti il processo di industrializzazione o è agli inizi o è ancora in fase non sufficientemente avanzata.

 

La rimunerazione del lavoro
Criteri di giustizia ed equità

56. In alcuni tra quei paesi però, alle condizioni di estremo disagio di moltissimi, fa stridente, offensivo contrasto l’abbondanza e il lusso sfrenato di pochi privilegiati; in altri ancora si costringe la presente generazione a soggiacere a privazioni disumane per aumentare l’efficienza dell’economia nazionale secondo ritmi di accelerazione che oltrepassano i limiti consentiti dalla giustizia e dall’umanità; mentre in altri paesi una percentuale cospicua di reddito viene assorbita per far valere o alimentare un malinteso prestigio nazionale o si spendono somme altissime per armamenti.

57. Inoltre nei paesi economicamente sviluppati, non è raro costatare che mentre vengono assegnati compensi alti o altissimi per prestazioni di poco impegno o di valore discutibile, all’opera assidua e proficua di intere categorie di onesti e operosi cittadini vengono corrisposte retribuzioni troppo ridotte, insufficienti o comunque non proporzionate al loro contributo al bene della comunità, o al reddito delle rispettive imprese o a quello complessivo della economia nazionale.

58. Riteniamo perciò nostro dovere riaffermare ancora una volta che la retribuzione del lavoro, come non può essere interamente abbandonata alle leggi di mercato, cosi non può essere fissata arbitrariamente; va invece determinata secondo giustizia ed equità. Il che esige che ai lavoratori venga corrisposta una retribuzione che loro consenta un tenore di vita veramente umano e di far fronte dignitosamente alle loro responsabilità familiari; ma esige pure che nella determinazione della retribuzione si abbia riguardo al loro effettivo apporto nella produzione e alle condizioni economiche delle imprese; alle esigenze del bene comune delle rispettive comunità politiche, specialmente per quanto riguarda le ripercussioni sull’impiego complessivo delle forze di lavoro dell’intero paese, come pure alle esigenze del bene comune universale e cioè delle comunità internazionali di diversa natura ed ampiezza.

59. È chiaro che i criteri sopra esposti valgono sempre e ovunque; però il grado secondo cui vanno applicati ai casi concreti non può essere stabilito che avendo riguardo alla ricchezza disponibile; ricchezza che, nella quantità e nella qualità, può variare, e di fatto varia, da paese a paese, e nello stesso paese da tempo a tempo.

Processo di adeguazione tra sviluppo economico e progresso sociale

60. Mentre le economie dei vari paesi si evolvono rapidamente, e con ritmo ancora più intenso in questo ultimo dopoguerra, riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su un principio fondamentale, che cioè allo sviluppo economico si accompagni e si adegui il progresso sociale, cosicché degli incrementi produttivi abbiano a partecipare tutte le categorie di cittadini. Occorre vigilare attentamente e adoperarsi efficacemente perché gli squilibri economico-sociali non crescano, ma si attenuino quanto più è possibile.

61. "Anche l’economia nazionale, osserva a ragion veduta il nostro predecessore Pio XII, come è frutto dell’attività di uomini che lavorano uniti nella comunità statale, cosi ad altro non mira che ad assicurare senza interrompimento le condizioni materiali in cui possa svilupparsi pienamente la vita individuale dei cittadini. Dove ciò, e in modo duraturo, si ottenga, un popolo sarà, a vero dire, economicamente ricco, perché il benessere generale, e, per conseguenza, il diritto personale di tutti all’uso di beni terreni viene in tal modo attuato conformemente all’intento voluto dal Creatore" (Radiomessaggio di Pentecoste 1941). Dal che consegue che la ricchezza economica di un popolo non è data soltanto dall’abbondanza complessiva dei beni, ma anche e più ancora dalla loro reale ed efficace ridistribuzione secondo giustizia a garanzia dello sviluppo personale dei membri della società, ciò che è il vero scopo dell’economia nazionale.

62. Non possiamo qui non accennare al fatto che oggi in molte economie le imprese a medie e grandi proporzioni realizzano, e non di rado, rapidi ed ingenti sviluppi produttivi attraverso l’autofinanziamento. In tali casi riteniamo poter affermare che ai lavoratori venga riconosciuto un titolo di credito nei confronti delle imprese in cui operano, specialmente quando viene loro corrisposta una retribuzione non superiore al minimo salariale.

63. In materia va ricordato il principio esposto dal nostro predecessore Pio XI nella enciclica Quadragesimo anno: "È del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro; ed è affatto ingiusto che l’uno arroghi a sé quel che si fa negando l’efficacia dell’altro" (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 195).

64. L’accennata esigenza di giustizia può essere soddisfatta in più modi suggeriti dall’esperienza. Uno di essi, e tra i più auspicabili, è quello di far si che i lavoratori nelle forme e nei gradi più convenienti possano giungere a partecipare alla proprietà delle stesse imprese giacché oggi, come e più che ai tempi del nostro predecessore, "è necessario con tutte le forze procurare che in avvenire i capitali guadagnati non si accumulino se non con eque proporzioni presso i ricchi, e si distribuiscano con una certa ampiezza fra i prestatori d’opera" (cf. ivi, p. 198).

65. Ma dobbiamo inoltre ricordare che l’adeguamento tra rimunerazione del lavoro e del reddito va attuato in armonia alle esigenze del bene comune tanto della propria comunità politica quanto della intera famiglia umana.

66. Sono da considerarsi esigenze del bene comune su piano nazionale: dare occupazione al maggior numero di lavoratori; evitare che si costituiscano categorie privilegiate, anche tra i lavoratori; mantenere una equa proporzione fra salari e prezzi e rendere accessibili beni e servizi al maggior numero di cittadini; eliminare o contenere gli squilibri tra i settori dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi; realizzare l’equilibrio tra espansione economica e sviluppo dei servizi pubblici essenziali; adeguare, nei limiti del possibile, le strutture produttive ai progressi delle scienze e delle tecniche; contemperare i miglioramenti nel tenore di vita della generazione presente con l’obiettivo di preparare un avvenire migliore alle generazioni future.

67. Sono invece esigenze del bene comune sul piano mondiale: evitare ogni forma di sleale concorrenza tra le economie dei diversi paesi; favorire la collaborazione tra le economie nazionali con intese feconde; cooperare allo sviluppo economico delle comunità politiche economicamente meno progredite.

68. È ovvio che le accennate esigenze del bene comune, tanto sul piano nazionale che su quello mondiale, vanno tenute presenti pure quando si tratta di determinare le aliquote di reddito da assegnarsi ai responsabili della direzione delle imprese in forma di profitti; e agli apportatori di capitali in forma di interessi o di dividendi.

 

Esigenze della giustizia nei confronti delle strutture produttive
Strutture conformi alla dignità dell’uomo

69. La giustizia va rispettata non solo nella distribuzione della ricchezza, ma anche in ordine alle strutture delle imprese in cui si svolge l’attività produttiva. È infatti insita nella natura degli uomini l’esigenza che nello svolgimento delle loro attività produttive abbiano possibilità di impegnare la propria responsabilità e perfezionare il proprio essere.

70. Perciò se le strutture, il funzionamento, gli ambienti d’un sistema economico sono tali da compromettere la dignità umana di quanti vi esplicano le proprie attività, o da ottundere in essi sistematicamente il senso della responsabilità, o da costituire un impedimento a che comunque si esprima la loro iniziativa personale, un siffatto sistema economico è ingiusto, anche se, per ipotesi, la ricchezza in esso prodotta attinga quote elevate e venga distribuita secondo criteri di giustizia e di equità.

Riconferma di una direttiva

71. Non è possibile fissare nelle loro particolarità le strutture di un sistema economico più rispondenti alla dignità degli uomini e più idonee a sviluppare in essi il senso di responsabilità. Tuttavia il nostro predecessore Pio XII traccia opportunamente questa direttiva: "La piccola e media proprietà nell’agricoltura, nelle arti e nei mestieri, nel commercio e nell’industria, debbono essere garantite e promosse assicurando loro i vantaggi della grande azienda attraverso unioni cooperative; mentre nelle grandi aziende deve essere offerta la possibilità di temperare il contratto di lavoro con il contratto di società" (Radiomessaggio 10 sett. 1944).

Impresa artigiana e impresa cooperativistica

72. Si devono conservare e promuovere, in armonia con il bene comune e nell’ambito delle possibilità tecniche, l’impresa artigiana, l’impresa agricola a dimensioni familiari, nonché l’impresa cooperativistica anche come integrazione delle due precedenti.

73. Sull’impresa agricola a dimensioni familiari si ritornerà in seguito. Qui crediamo opportuno fare qualche rilievo attinente l’impresa artigiana e quella cooperativistica.

74. Anzitutto è da rilevare che le due imprese, per essere vitali, devono adeguarsi incessantemente nelle strutture, nel funzionamento, nelle produzioni, alle situazioni sempre nuove, determinate dai progressi delle scienze e delle tecniche, ed anche dalle mutevoli esigenze e preferenze dei consumatori. Azione di adeguamento che deve essere realizzata in primo luogo dagli stessi artigiani e dagli stessi cooperatori.

75. A tale scopo è necessario che gli uni e gli altri abbiano una buona formazione sotto l’aspetto sia tecnico che umano e siano professionalmente organizzati; ed è pure indispensabile che si svolga una appropriata politica economica riguardante soprattutto l’istruzione, l’imposizione tributaria, il credito, le assicurazioni sociali.

76. Del resto l’azione dei poteri pubblici a favore degli artigiani e dei cooperatori trova la sua giustificazione anche nel fatto che le loro categorie sono portatrici di valori umani genuini e contribuiscono al progresso della civiltà.

77. Per tali ragioni con animo paterno invitiamo i nostri carissimi figli artigiani e cooperatori sparsi in tutto il mondo ad essere consapevoli della nobiltà della loro professione, e del loro valido apporto perché nelle comunità nazionali si mantengano desti il senso della responsabilità e lo spirito di collaborazione, e rimanga acceso l’anelito ad operare con finezza ed originalità.

Presenza attiva dei lavoratori nelle medie e grandi imprese

78. Inoltre muovendoci sulla linea tracciata dai nostri predecessori, noi pure riteniamo che sia legittima nei lavoratori l’aspirazione a partecipare attivamente alla vita delle imprese, nelle quali sono inseriti e operano. Non è possibile predeterminare i modi e i gradi di una tale partecipazione, essendo essi in rapporto con la situazione concreta che presenta ogni impresa: situazione che può variare da impresa a impresa, e nell’interno di ogni impresa è soggetta a cambiamenti spesso rapidi e sostanziali. Crediamo però opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che il problema della presenza attiva dei lavoratori esiste sempre, sia l’impresa privata o pubblica: e, in ogni caso, si deve tendere a che l’impresa divenga una comunità di persone nelle relazioni, nelle funzioni e nella posizione di tutti i suoi soggetti.

79. Ciò esige che i rapporti tra gli imprenditori e i dirigenti da una parte e i prestatori d’opera dall’altra, siano improntati a rispetto, a stima, a comprensione, a leale ed attiva collaborazione ed interessamento come ad opera comune, e che il lavoro sia concepito e vissuto da tutti i membri dell’impresa oltre che come fonte di reddito, anche come adempimento di un dovere e prestazione di un servizio. Ciò importa pure che i lavoratori possano far sentire la loro voce e addurre il loro apporto all’efficiente funzionamento dell’impresa e al suo sviluppo. Osservava il nostro predecessore Pio XII: "la funzione economica e sociale che ogni uomo aspira a compiere, esige che lo svolgimento dell’attività di ciascuno non sia totalmente sottomesso alla volontà altrui" (Discorso dell’8 ottobre 1956). Una concezione umana dell’impresa deve senza dubbio salvaguardare l’autorità e la necessaria efficienza della unità di direzione; ma non può ridurre i suoi collaboratori di ogni giorno al rango di semplici, silenziosi esecutori, senza alcuna possibilità di far valere la loro esperienza, interamente passivi nei riguardi di decisioni che dirigono la loro attività.

80. È da rilevare infine che l’esercizio della responsabilità da parte dei lavoratori negli organismi produttivi, mentre risponde alle esigenze legittime insite nella natura umana, è pure in armonia con l’evolversi storico in campo economico-sociale-politico.

81. Purtroppo, come già abbiamo fatto cenno e come si vedrà più diffusamente in seguito, non sono pochi gli squilibri economico-sociali che nell’epoca nostra offendono la giustizia e l’umanità; ed errori profondi informano attività, fini, strutture e funzionamento del mondo economico. Però è un fatto incontestabile che i sistemi produttivi, sotto la spinta dei progressi scientifico-tecnici si vanno oggi ammondernando e divengono più efficienti con ritmi assai più rapidi che in passato. Ciò domanda ai lavoratori attitudini e qualifiche professionali più elevate.

82. Nello stesso tempo e di conseguenza, vengono messi a loro disposizione maggiori mezzi e maggiori margini di tempo per la loro istruzione e il loro aggiornamento, per la loro cultura e la loro formazione morale e religiosa. Si rende pure realizzabile un aumento degli anni destinati alla istruzione di base e alla formazione professionale delle nuove generazioni.

83. In tal modo si crea un ambiente umano che favorisce nelle classi lavoratrici l’assunzione di maggiori responsabilità anche all’interno delle imprese; mentre le comunità politiche sono sempre più interessate a che tutti i cittadini si sentano responsabili dell’attuazione del bene comune in tutti i settori della convivenza.

Presenza dei lavoratori a tutti i livelli

84. Nell’epoca moderna si è verificato un ampio sviluppo del movimento associativo dei lavoratori e il generale suo riconoscimento negli ordinamenti giuridici dei diversi paesi e su piano internazionale, ai fini specifici di collaborazione soprattutto mediante il contratto collettivo. Non possiamo però non rilevare come sia opportuno o necessario che la voce dei lavoratori abbia possibilità di farsi sentire ed ascoltare oltre l’ambito dei singoli organismi produttivi e a tutti i livelli.

85. La ragione è che i singoli organismi produttivi, per quanto le loro dimensioni possano essere ampie e la loro efficienza elevata ed incidente, sono vitalmente inseriti nel contesto economico - sociale delle rispettive comunità politiche e da esso condizionati.

86. Se non che le scelte che maggiormente influiscono su quel contesto non sono decise all’interno dei singoli organismi produttivi; sono invece decise da poteri pubblici o da istituzioni che operano su piano mondiale o regionale o nazionale o di settore economico e di categoria produttiva. Di qui l’opportunità o la necessità che in quei poteri e in quelle istituzioni, oltre che i portatori di capitali o di chi ne rappresenta gli interessi, siano pure presenti i lavoratori o coloro che ne rappresentano i diritti, le esigenze, le aspirazioni.

87. E il nostro affettuoso pensiero e il nostro paterno incoraggiamento vanno alle associazioni professionali e ai movimenti sindacali di ispirazione cristiana presenti e operanti in più continenti, i quali tra molte difficoltà e spesso gravi, hanno saputo e continuano ad operare per l’efficace perseguimento degli interessi delle classi lavoratrici e per la loro elevazione materiale e morale, tanto nell’ambito di singole comunità politiche che sul piano mondiale.

88. Ed è con soddisfazione che riteniamo di dover rilevare che l’opera loro va misurata non solo nei suoi risultati diretti ed immediati facilmente costatabili, ma anche nelle sue positive ripercussioni su tutto il mondo del lavoro, nel quale diffonde idee rettamente orientatrici e porta un impulso cristianamente innovatore.

89. E tale pure riteniamo che debba considerarsi l’opera che con animo cristiano svolgono i nostri amati figli in altre associazioni professionali e movimenti sindacali ispirantisi ai principi della convivenza e rispettosi della libertà delle coscienze.

90. E siamo pure felici di esprimere il nostro cordiale apprezzamento per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), che da decenni porta il suo valido, prezioso contributo alla instaurazione nel mondo di un ordine economico-sociale informato a giustizia ed umanità, nel quale trovano la loro espressione anche le istanze legittime dei lavoratori.

 

La proprietà privata
Mutata situazione

91. In questi ultimi decenni, come è noto, il distacco fra proprietà di beni produttivi e responsabilità direttive nei maggiori organismi economici si è andato sempre più accentuando. Sappiamo che ciò crea difficili problemi di controllo da parte dei poteri pubblici per garantire che gli obiettivi perseguiti dai dirigenti delle grandi aziende, soprattutto da quelle che hanno maggiore incidenza in tutta la vita economica di una comunità politica, non siano in contrasto con le esigenze del bene comune; problemi, come l’esperienza attesta, che si pongono ugualmente tanto se i capitali che alimentano le grandi imprese siano di proprietà di privati cittadini, quanto se essi siano di enti pubblici.

92. Ed è pure vero che non sono pochi oggi i cittadini, e il loro numero va crescendo, che dalla loro appartenenza a sistemi assicurativi o di sicurezza sociale traggono argomento per guardare con serenità l’avvenire: serenità che un tempo si fondava sulla proprietà di patrimoni sia pure modesti.

93. Infine va osservato che ai nostri giorni, più che a diventare proprietari di beni, si aspira ad acquistare capacità professionali; e si nutre maggior fiducia sui redditi che hanno come fonte di lavoro o diritti fondati sul lavoro, che sui a redditi che hanno come fonte il capitale o diritti fondati sul capitale.

94. Ciò del resto è in armonia con il carattere preminente del lavoro quale espressione immediata della persona nei confronti del capitale, bene di sua natura strumentale; e va quindi considerato un passo innanzi nell’incivilimento umano.

95. Gli accennati aspetti che presenta il mondo economico hanno certamente contribuito a diffondere il dubbio che oggi sia venuto meno o abbia perduto di importanza un principio dell’ordine economico-sociale costantemente insegnato e propugnato dai nostri predecessori; e cioè il principio del diritto naturale della proprietà privata sui beni anche produttivi.

Riaffermazione del diritto di proprietà

96. Quel dubbio non ha ragione di esistere. Il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi ha valore permanente, appunto perché è diritto naturale fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società. Del resto, vano sarebbe ribadire la libera iniziativa personale in campo economico, se a siffatta iniziativa non fosse acconsentito di disporre liberamente dei mezzi indispensabili alla sua affermazione. Inoltre, storia ed esperienza attestano che nei regimi politici, che non riconoscono il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi, sono compresse o soffocate le fondamentali espressioni della libertà; perciò è legittimo dedurre che esse trovino in quel diritto garanzia e incentivo.

97. In ciò trova la sua spiegazione il fatto che movimenti sociali-politici, che si propongono di conciliare nella convivenza la giustizia con la libertà, fino a ieri nettamente negativi nei confronti del diritto di proprietà privata sui beni strumentali, oggi, maggiormente edotti sulla realtà sociale, rivedono la propria posizione e assumono, in ordine a quel diritto, un atteggiamento sostanzialmente positivo.

98. In materia pertanto facciamo nostri i rilievi del nostro predecessore Pio XII: "Difendendo il principio della proprietà privata la Chiesa persegue un altro fine etico-sociale. Essa non intende già sostenere puramente e semplicemente il presente stato di cose, come se vi vedesse l’espressione della volontà divina, né di proteggere per principio il ricco e il plutocrate, contro il povero e il non abbiente... La Chiesa mira piuttosto a far si che l’istituto della proprietà privata sia quale deve essere secondo il disegno della Sapienza divina e le disposizioni della natura" (Radiomessaggio 10 sett. 1944: AAS). E cioè che sia garanzia dell’essenziale libertà della persona e al tempo stesso un elemento non sostituibile dell’ordine della società.

99. Inoltre, come abbiamo osservato, oggi le economiche, in molte comunità politiche, vanno rapidamente aumentando la loro efficienza produttiva. Sennonché, crescendo il reddito, giustizia ed equità esigono, come si è già visto, che venga pure elevata, nei limiti acconsentiti dal bene comune, la rimunerazione del lavoro. Ciò permette più facilmente ai lavoratori di risparmiare e perciò di costituirsi un patrimonio. Non si comprende dunque come possa essere contestato il carattere naturale di un diritto che trova la sua prevalente fonte e il suo perenne alimento nella fecondità del lavoro; che costituisce un mezzo idoneo alla affermazione della persona umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi; un elemento di consistenza e serenità per la vita familiare e di pacifico e ordinato sviluppo nella convivenza.

Effettiva diffusione

100. Non basta affermare il carattere naturale del diritto di proprietà privata anche sui beni produttivi; ma ne va pure insistentemente propugnata l’effettiva diffusione fra tutte le classi sociali.

101. Come afferma il nostro predecessore Pio XII, la dignità della persona umana esige "normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all’uso dei beni della terra, a cui risponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata possibilmente a tutti"; (Radiomessaggio natalizio 1942) mentre tra le esigenze derivanti dalla nobilità morale del lavoro vi è pure quella che comprende "la conservazione e il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà a tutti i ceti del popolo" (cfr. ivi) .

102. Tanto più la diffusione della proprietà deve propugnarsi e realizzarsi in un tempo come il nostro, nel quale, come si è osservato, i sistemi economici di un numero crescente di comunità politiche sono in via di rapido sviluppo. Per cui, utilizzando accorgimenti tecnici di varia natura riscontrati efficaci, non riesce difficile promuovere iniziative e svolgere una politica economico - sociale che incoraggi ed agevoli una più larga diffusione della proprietà privata di beni di consumo durevoli, dell’abitazione, del podere, delle attrezzature proprie dell’impresa artigiana ed agricolo-familiare, dei titoli azionari nelle medie e nelle grandi aziende: come già si sta proficuamente sperimentando in alcune comunità politiche economicamente sviluppate e socialmente progredite.

Proprietà pubblica

103. Quanto sopra esposto non esclude, come è ovvio, che anche lo Stato e gli altri enti pubblici possano legittimamente possedere in proprietà beni strumentali, quando specialmente "portano seco una preponderanza economica per cui non si possano lasciare in mano di privati cittadini senza pericolo del bene comune" (Enc. Quadragesimo anno).

104. Nell’epoca moderna c’è la tendenza a un progressivo estendersi della proprietà che ha come soggetto lo Stato ed altri enti di diritto pubblico. Il fatto trova una spiegazione nelle funzioni sempre più ampie che il bene comune domanda ai poteri pubblici di svolgere. Però anche nella presente materia è da seguirsi il principio di sussidiarietà, sopra enunciato. Per cui lo Stato ed altri enti di diritto pubblico non devono estendere la loro proprietà se non quando lo esigono motivi di evidente e vera necessità di bene comune, e non allo scopo di ridurre e tanto meno di eliminare la proprietà privata.

105. Né è da dimenticare che le iniziative di natura economica dello Stato e di altri enti di diritto pubblico vanno affidate a persone che congiungono una specifica soda competenza, una specchiata onestà ed un vivo senso di responsabilità nei confronti del paese. Inoltre il loro operato deve essere soggetto ad un oculato e costante controllo, anche per evitare che in seno alla stessa organizzazione dello Stato si formino centri di potere economico con pregiudizio alla sua ragion d’essere, cioè al bene della comunità.

Funzione sociale

106. Un altro punto di dottrina, costantemente proposto dai nostri predecessori, è che al diritto di proprietà privata sui beni è intrinsecamente inerente una funzione sociale.

107. Nel piano della creazione infatti i beni della terra sono anzitutto preordinati al dignitoso sostentamento di tutti gli esseri umani, come insegna sapientemente il nostro predecessore Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum: "Chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio copia maggiore di beni, sia esteriori e corporali, sia spirituali, a questo fine li ha ricevuti: di servirsene al perfezionamento proprio, e nel medesimo tempo, come ministro della divina Provvidenza, a vantaggio altrui; chi ha dunque ingegno badi di non tacere; chi abbonda di roba, si guardi dall’essere, nell’esercizio della misericordia, troppo duro di mano; chi ha un’arte da vivere, ne partecipi al prossimo l’uso e l’utilità" (Acta Leonis XIII, XI, 1891, p. 114).

108. Oggi tanto lo Stato che gli enti di diritto pubblico hanno esteso e continuano ad estendere il campo della loro presenza e iniziativa. Non per questo però è venuta meno la ragione di essere della funzione sociale della proprietà privata, come alcuni erroneamente inclinano a pensare; giacché essa scaturisce dalla stessa natura del diritto di proprietà. Inoltre vi è sempre una vasta gamma di situazioni dolorose e di bisogni delicati e nello stesso tempo acuti, che le forme ufficiali dell’azione pubblica non possono attingere e che comuqnue non sono in grado di soddisfare. Per cui rimane sempre aperto un vasto campo alla sensibilità umana e alla carità cristiana degli individui. Infine va pure osservato che per la promozione dei valori spituali sono spesso più feconde le molteplici iniziative di singoli o di gruppi, che l’azione dei pubblici poteri.

109. Ci piace qui ricordare come nel Vangelo il diritto di proprietà privata sui beni è ritenuto legittimo. Però nello stesso tempo il Maestro divino rivolge spesso ai ricchi pressanti inviti perché convertano i loro beni materiali, dispensandoli ai bisognosi, in beni spirituali: beni che il ladro non ruba né la tignola o la ruggine rodono e che si ritroveranno aumentati nei granai eterni del Padre celeste: "Non cercate di accumulare tesori sopra la terra dove la ruggine e la tignola consumano, e dove i ladri dissotterrano e rubano, ma procurate di accumulare tesori nel cielo, dove la ruggine e la tignola non consumano" (Mt 6,19-20). E il Signore riterrà fatta o negata a se stesso la carità fatta o negata agli indigenti: "Ogni volta che avete fatto (queste cose) per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, le avete fatte a me" (Mt 25,40).

 

III - NUOVI ASPETTI DELLA QUESTIONE SOCIALE

110. L’evolversi delle situazioni storiche mette sempre in maggior rilievo come le esigenze della giustizia e della equità non hanno attinenza soltanto con i rapporti tra lavoratori dipendenti e imprenditori o dirigenti, ma riguardano pure i rapporti tra differenti settori economici e tra zone economicamente più sviluppate e zone economicamente meno sviluppate nell’interno delle singole comunità politiche; e, sul piano mondiale, i rapporti tra paesi a diverso grado di sviluppo economico-sociale.

 

Esigenze di giustizia in ordine ai rapporti tra i settori produttivi
L’agricoltura, settore depresso

111. Sul piano mondiale non sembra che la popolazione agricolo-rurale, in termini assoluti, sia diminuita; però è incontestabile l’esistenza di un esodo delle popolazioni agricolo-rurali verso agglomerati o centri urbani; esodo che si verifica in quasi tutti i paesi e che talvolta assume proporzioni massive, creando complessi problemi umani di difficile soluzione.

112. Sappiamo che a mano a mano che una economia si sviluppa, diminuiscono le forze di lavoro impegnate nell’agricoltura; mentre cresce la percentuale delle forze di lavoro impegnate nell’industria e nel settore dei servizi. Però, pensiamo che l’esodo della popolazione del settore agricolo verso gli altri settori produttivi, oltre che a ragioni obiettive di sviluppo economico, spesso è dovuto a molteplici fattori, tra i quali vanno annoverati l’ansia di evadere da un ambiente ritenuto chiuso e senza prospettive; il desiderio di novità e di avventura da cui è presa la presente generazione; l’attrattiva di fortune rapide; il miraggio di vivere in maggior libertà, usufruendo dei mezzi e delle facilitazioni che gli agglomerati ed i centri urbani offrono. Ma riteniamo pure che non si possa dubitare che questo esodo trovi uno dei suoi fattori nel fatto che il settore agricolo, quasi ovunque, è un settore depresso, sia per quanto riguarda l’indice di produttività delle forze di lavoro, sia per quanto riguarda il tenore di vita delle popolazioni agricolo-rurali.

113. Per cui un problema di fondo che si pone in quasti tutte le comunità politiche è il seguente: come procedere perché sia ridotto lo squilibrio nell’efficienza produttiva tra il settore agricolo da una parte e il settore industriale e quello dei servizi dall’altra, e perché il tenore di vita della popolazione agricolo-rurale sia distanziato quanto meno è possibile dal tenore di vita dei cittadini, che traggono il loro reddito dal settore industriale e da quello dei servizi; e quanti lavorano la terra non abbiano un complesso di inferiorità; siano invece persuasi che anche nell’ambiente agricolo-rurale possono affermare e sviluppare la loro persona attraverso il loro lavoro e guardare fiduciosi l’avvenire.

114. Ci sembra perciò opportuno indicare alcune direttive che possono contribuire a risolvere il problema: direttive che pensiamo abbiano valore, qualunque sia l’ambiente storico in cui si opera, a condizione, come è ovvio, che siano applicate nei modi e nei gradi che l’ambiente permette o suggerisce o esige.

Adeguamento dei servizi pubblici essenziali

115. Anzitutto è indispensabile che ci si adoperi, specialmente da parte dei poteri pubblici, perché negli ambienti agricolo-rurali abbiano sviluppo conveniente i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile, l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione di base e l’istruzione tecnico-professionale, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi ricreativi e perché vi sia una disponibilità di quei prodotti che acconsentano alla casa agricolo - rurale di essere arredata e di funzionare modernamente.

Qualora tali servizi che oggi sono elementi costitutivi di un tenore di vita dignitoso, facciano difetto negli ambienti agricolo-rurali, lo sviluppo economico e il progresso sociale in essi diventano quasi impossibili o procedono troppo lenti; e ciò ha come conseguenza che il deflusso delle popolazioni dalla campagna diviene quasi incontenibile e difficilmente controllabile.

Sviluppo graduale ed armonico del sistema economico

116. Si richiede inoltre che lo sviluppo economico delle comunità politiche si attui in forma graduale e in proporzioni armoniche fra tutti i settori produttivi; occorre cioè che nel settore agricolo siano realizzate le innovazioni concernenti le tecniche produttive, la scelta della colture e le strutture aziendali che il sistema economico, considerato nel suo insieme, permette o sollecita; e che siano realizzate, quanto più è possibile, nelle debite proporzioni rispetto al settore industriale e dei servizi.

117. L’agricoltura viene cosi ad assorbire una quantità maggiore di beni industriali e domanda una prestazione più qualificata di servizi; a sua volta offre agli altri due settori e all’intera comunità i prodotti che meglio rispondono, nella qualità e nella quantità, alle esigenze del consumo, contribuendo alla stabilità del potere di acquisto della moneta, elemento positivo per l’ordinato sviluppo dell’intero sistema economico.

118. In tal modo crediamo che dovrebbe pure riuscire meno difficile, sia nelle zone di deflusso che in quelle di accesso, controllare il movimento delle forze di lavoro lasciate libere dalla progressiva modernizzazione dell’agricoltura; fornire loro la formazione professionale per il loro proficuo inserimento negli altri settori produttivi, e l’aiuto economico, la preparazione e l’assistenza spirituale per la loro integrazione sociale.

Appropriata politica economica

119. Ad ottenere uno sviluppo economico in proporzioni armoniche fra tutti i settori produttivi, si rende pure necessaria una oculata politica economica in campo agricolo; politica economica attinente l’imposizione tributaria, il credito, le assicurazioni sociali, la tutela dei prezzi, la promozione di industrie integrative, l’adeguamento delle strutture aziendali.

Imposizione tributaria

120. Principio fondamentale in un sistema tributario informato a giustizia ed equità è che gli oneri siano proporzionati alla capacità contributiva dei cittadini.

Però risponde pure ad una esigenza di bene comune che nella determinazione dei tributi si tenga presente come nel settore agricolo, i redditi si formano con più lentezza e sono esposti a maggiori rischi nella loro formazione; e si incontrano maggiori difficoltà nel reperire i capitali indispensabili al loro incremento.

Capitali a interesse conveniente

121. Per le ragioni sopra indicate, i possessori di capitali sono poco propensi agli investimenti in questo settore; sono invece più propensi ad investire negli altri settori. Per lo stesso motivo l’agricoltura non può corrispondere alti interessi; e neppure, di regola, gli interessi di mercato per procurarsi i capitali necessari al suo sviluppo e al normale esercizio delle sue aziende.

Occorre quindi, per ragioni di bene comune, svolgere una particolare politica creditizia e dar vita ad istituti di credito che assicurino all’agricoltura detti capitali ad un saggio di interesse a condizioni convenienti.

Assicurazioni sociali e sicurezza sociale

122. In agricoltura può essere indispensabile che si dia vita a due sistemi di assicurazione: l’uno attinente i prodotti agricoli, l’altro le forze di lavoro e le rispettive famiglie.

Per il fatto che il reddito agricolo pro-capite è, generalmente, inferiore al reddito pro-capite del settore industriale e di quello dei servizi, non sarebbe conforme a criteri di giustizia sociale e di equità instaurare sistemi di assicurazioni sociali o di sicurezza sociale, nei quali il trattamento delle forze di lavoro dell’agricoltura delle rispettive famiglie fosse sostanzialmente inferiore a quello garantito al settore dell’industria e dei servizi. Stimiamo però che la politica sociale debba proporsi che il trattamento assicurativo fatto ai cittadini non presenti differenze rilevanti, qualunque sia il settore economico in cui operano o del cui reddito vivono.

123. I sistemi di assicurazioni sociali o di sicurezza sociale possono contribuire efficacemente ad una ridistribuzione del reddito complessivo della comunità politica secondo criteri di giustizia e di equità; e possono quindi considerarsi uno degli strumenti per ridurre gli squilibri nel tenore di vita tra le varie categorie di cittadini.

Tutela dei prezzi

124. Data la natura dei prodotti agricoli, è necessario che sia attuata una disciplina efficace a tutela dei loro prezzi, utilizzando, a tale scopo, i molteplici espedienti che oggi la tecnica economica è in grado di suggerire. È altamente auspicabile che tale disciplina sia, soprattutto, opera delle categorie interessate; non può però mancarvi l’azione moderatrice dei poteri pubblici.

In materia non va dimenticato che il prezzo dei prodotti agricoli costituisce, spesso, piuttosto retribuzione di lavoro che rimunerazione di capitale.

125. Il pontefice Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno a ragione nota che all’attuazione del bene comune "giova la giusta proporzione tra i salari; - ma subito aggiunge - con la quale va strettamente congiunta la giusta proporzione dei prezzi, a cui si vendono i prodotti delle diverse arti, quali sono stimate l’agricoltura, l’industria e simili" (cf. AAS, XXIII, 1931, p. 202).

126. Vero è che i prodotti agricoli sono preordinati a soddisfare anzitutto bisogni umani primari; per cui il loro prezzo deve essere tale da renderli accessibili alla totalità dei consumatori. Però è chiaro che non si possa addurre un tale motivo per costringere tutta una categoria di cittadini ad uno stato permanente di inferiorità economico-sociale, privandola di un potere di acquisto indispensabile per il loro dignitoso tenore di vita; ciò è pure in netto contrasto con il bene comune.

Integrazione dei redditi agricoli

127. È pure opportuno promuovere nelle zone agricole le industrie e i servizi attinenti la conservazione, la trasformazione e il trasporto dei prodotti agricoli. È desiderabile inoltre che vi si sviluppino iniziative riguardanti gli altri settori economici e le altre attività professionali. In tal modo vengono offerte alle famiglie agricole possibilità di integrare i redditi negli stessi ambienti in cui vivono e operano.

Adeguazione delle strutture dell’impresa agricola

128. Non è possibile fissare a priori quale sia la struttura più conveniente all’impresa agricola, data la varietà che presentano gli ambienti agricolo-rurali nell’interno di ciascuna comunità politica; e, più ancora, fra i diversi paesi del mondo. Però, quando si ha dell’uomo e della famiglia una concezione umana e cristiana, non si può non considerare un ideale l’impresa configurata e funzionante come una comunità di persone nei rapporti interni e nelle strutture rispondenti ai criteri di giustizia e allo spirito sopraesposti; e, più ancora, l’impresa a dimensioni familiari; e non si può non adoperarsi perché l’una o l’altra, in rispondenza alle condizioni ambientali, diventino realtà.

129. È però opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che l’impresa a dimensioni familiari è vitale a condizione che da essa si possa trarre un reddito sufficiente al decoro tenore di vita della rispettiva famiglia. A tale scopo è indispensabile che i coltivatori siano istruiti, incessantemente aggiornati e tecnicamente assistiti nella loro professione; ed è pur indispensabile che creino una ricca rete di iniziative cooperativistiche; siano professionalmente organizzati e attivamente presenti nella vita pubblica: tanto negli organismi di natura amministrativa che nei movimenti a finalità politiche.

I lavoratori della terra protagonisti della loro elevazione

130. Siamo però convinti che i protagonisti dello sviluppo economico, del progresso sociale e dell’elevazione culturale degli ambienti agricolo-rurali devono essere gli stessi interessati, e cioè i lavoratori della terra. I quali possono facilmente costatare quanto sia nobile il loro lavoro: sia perché lo si vive nel tempio maestoso della creazione, sia perché lo si svolge spesso sulla vita delle piante e degli animali: vita inesauribile nelle sue espressioni, inflessibile nelle sue leggi, ricca di richiami a Dio creatore e provvido, sia perché produce la varietà degli alimenti di cui si nutre la famiglia umana e fornisce un numero sempre maggiore di materie prime all’industria.

131. È un lavoro inoltre che presenta la dignità di una professione che si distingue per la ricchezza dei contenuti concernenti la meccanica, la chimica, la biologia; contenuti che vanno incessantemente aggiornati a motivo delle ripercussioni, nel settore agricolo, dei progressi scientifico-tecnici. Ed è pure un lavoro che si caratterizza per gli aspetti e valori morali che gli sono propri. Esige infatti capacità di orientamento e di adattamento, pazienza nelle attese, senso di responsabilità, spirito di ripresa e di intraprendenza.

Solidarietà e collaborazione

132. Va pure ricordato che nel settore agricolo, come del resto in ogni altro settore produttivo, l’associzione oggi è una esigenza vitale; tanto più lo è quando il settore ha come base l’impresa a dimensioni familiari. I lavoratori della terra devono sentirsi solidali gli uni con gli altri e collaborare per dar vita ad iniziative cooperativistiche e ad associazioni professionali o sindacali, necessarie le une e le altre per beneficiare dei progressi scientifico - tecnici nella produzione, per contribuire efficacemente alla difesa dei prezzi dei prodotti, per mettersi su un piano di uguaglianza nei confronti delle categorie economico - professionali degli altri settori produttivi, esse pure di solito organizzate, per avere voce in capitolo in campo politico e negli organi della pubblica amministrazione: le voci isolate quasi mai, oggi, hanno possibilità di farsi sentire e tanto meno di farsi ascoltare.

Sensibilità ai richiami del bene comune

133. Però i lavoratori della terra, come del resto i lavoratori di ogni altro settore produttivo, nell’utilizzare la loro multiforme organizzazione, devono muoversi nell’ambito dell’ordine morale - giuridico: devono cioè conciliare i loro diritti e i loro interessi con i diritti e gli interessi delle altre categorie economico -professionali e subordinare gli uni e gli altri alle esigenze del bene comune. I lavoratori della terra, impegnati a migliorare ed elevare il mondo agricolo-rurale, possono legittimamente domandare che l’opera loro sia sostenuta e integrata dai poteri pubblici quando essi pure si mostrino e siano sensibili ai richiami del bene comune e contribuiscano alla sua attuazione.

134. A questo punto ci è caro esprimere il nostro compiacimento a quei figli che in varie parti del mondo sono impegnati nelle iniziative cooperativistiche, nelle associazioni professionali e nei movimenti sindacali ad elevazione economico-sociale di quanti lavorano la terra.

Vocazione e missione

135. Nel lavoro agricolo la persona umana trova mille incentivi per la sua affermazione, per il suo sviluppo, per il suo arricchimento, per la sua espansione anche sul piano dei valori dello spirito. È quindi un lavoro che va concepito e vissuto come una vocazione e come una missione; come una risposta cioè ad un invito di Dio a contribuire all’attuazione del suo piano provvidenziale nella storia; e come un impegno di bene ad elevazione di se stessi e degli altri e un apporto all’incivilimento umano.

Azione di riequilibrio e di propulsione nelle zone in via di sviluppo

136. Tra i cittadini appartenenti alla stessa comunità politica non è raro che esistano accentuate sperequazioni economico - sociali, dovute soprattutto al fatto che gli uni vivono e operano in zone economicamente più sviluppate, e gli altri in zone economicamente meno sviluppate. In tale situazione, giustizia ed equità esigono che i poteri pubblici si adoperino perché quelle sperequazioni siano eliminate o ridotte. A tale scopo si deve procurare che nelle zone meno sviluppate siano assicurati i servizi pubblici essenziali, e lo siano nelle forme e nei gradi suggeriti o reclamati dall’ambiente e rispondenti, di norma, al tenore di vita medio vigente nella comunità nazionale. Ma è pure necessario che si svolga una appropriata politica economico-sociale attinente soprattutto l’offerta di lavoro e gli spostamenti di popolazione, i salari, l’imposizione tributaria, il credito, gli investimenti, con speciale riguardo alle industrie di natura propulsiva; politica idonea a promuovere l’assorbimento e l’impiego redditizio delle forze di lavoro, a stimolare l’iniziativa imprenditoriale, e sfruttare le risorse del luogo.

137. Però l’azione dei poteri pubblici deve trovare sempre la sua giustificazione in motivi di bene comune. Per cui va svolta con criteri unitari su piano nazionale, con l’obiettivo costante di contribuire allo sviluppo graduale, simultaneo, proporzionato di tutti e tre i settori produttivi: agricolo, industriale e dei servizi; e con la preoccupazione operante che i cittadini delle zone meno sviluppate si sentano e siano, quanto più è possibile, responsabili e protagonisti della loro evoluzione economica.

138. È infine da ricordare che anche l’iniziativa privata deve portare il suo contributo a comporre l’equilibrio economico e sociale tra le differenti zone di un paese. Anzi i poteri pubblici, secondo il principio di sussidiarietà, devono favorire ed aiutare l’iniziativa privata affidando ad essa, dove e non appena è possibile in modo efficiente, la continuità dello sviluppo economico.

Eliminazione o riduzione degli squilibri fra terra e popolazione

139. È qui opportuno rilevare come vi siano non pochi paesi nei quali esistono accentuate sperequazioni fra terra e popolazione; in alcuni infatti si scarseggia di uomini e si abbonda di terreni suscettibili di essere coltivati; mentre in altri abbondano gli uomini e scarseggiano i terreni coltivabili.

140. Inoltre vi sono paesi dove, nonostante la ricchezza delle risorse naturali allo stato potenziale, la primitività delle colture non consente la produzione di una sufficienza di beni per soddisfare i bisogni elementari delle rispettive popolazioni; mentre in altri paesi l’alto grado di modernizzazione raggiunto nelle colture determina una sopraproduzione di beni agricoli con riflessi negativi nelle rispettive economie nazionali.

141. È ovvio che la solidarietà umana e la fraternità cristiana domandano che tra i popoli si instaurino rapporti di collaborazione attiva e multiforme; collaborazione che permetta e favorisca il movimento di beni, capitali, uomini, allo scopo di eliminare o ridurre gli accennati squilibri; ma su tale argomento torneremo più diffusamente in seguito.

142. Vogliamo però qui esprimere il nostro sincero apprezzamento per l’opera altamente benefica che l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) svolge, per favorire tra i popoli intese feconde, per promuovere l’ammodernamento delle colture soprattutto nei paesi in via di sviluppo, per alleviare il disagio delle popolazioni che scarseggiano di alimenti.

 

Esigenze di giustizia nei rapporti fra paesi a sviluppo economico di grado diverso. Il problema dell’epoca moderna

143. Il problema forse maggiore dell’epoca moderna è quello dei rapporti tra le comunità politiche economicamente sviluppate e le comunità politiche in via di sviluppo economico: le prime, di conseguenza, ad elevato tenore di vita, le seconde, in condizioni di disagio o di grande disagio.

144. La solidarietà che lega tutti gli esseri umani e li fa membri di un’unica famiglia impone alle comunità politiche, che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza, il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si dibattono nelle difficoltà dell’indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei diritti elementari di persona. Tanto più che, data la interdipendenza sempre maggiore tra i popoli, non è possibile che tra essi regni una pace duratura e feconda, quando sia troppo accentuato lo squilibrio nelle loro condizioni economico-sociali.

145. Consapevoli della nostra universale paternità, ci sentiamo in dovere di ribadire in forma solenne quanto altra volta abbiamo affermato: "Noi siamo tutti solidamente responsabili delle popolazioni sottoalimentate...". (Perciò) "occorre educare la coscienza al senso di responsabilità che pesa su tutti e su ciascuno, specialmente sui più favoriti" (cf. ivi).

146. È ovvio che il dovere, sempre proclamato dalla Chiesa, di aiutare chi si dibatte nell’indigenza e nella miseria deve essere maggiormente sentito dai cattolici, trovando essi un motivo nobilissimo nel fattore che sono membri del corpo mistico di Cristo: "Da questo - proclama l’apostolo Giovanni - abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché egli ha dato la sua vita per noi e anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Chi avrà dei beni di questo mondo, e vedrà il suo fratello in necessità, e chiuderà le viscere, come la carità di Dio dimora in lui?" (1Gv 3,16-17).

147. Vediamo quindi con piacere che le comunità politiche, che dispongono di sistemi economici altamente produttivi, prestino la loro opera alle comunità politiche in fase di sviluppo economico, perché riesca a queste meno difficile migliorare le proprie condizioni di vita.

Aiuti di emergenza

148. Vi sono paesi nei quali si producono beni di consumo e soprattutto prodotti agricoli in eccedenza; mentre ve ne sono altri nei quali larghi strati popolari lottano contro la miseria e la fame: ragioni di giustizia e di umanità domandano che i primi vengano in soccorso dei secondi. Distruggere o sciupare beni che sono indispensabili ad esseri umani per sopravvivere è ledere la giustizia e l’umanità.

149. Sappiamo che produrre beni, specialmente agricoli, in eccedenza al fabbisogno di una comunità politica, può avere ripercussioni economicamente negative nei confronti di alcune categorie di cittadini. Però non è quella una ragione che esima dal dovere di prestare un aiuto di emergenza agli indigenti e agli affamati; se mai è una ragione che domanda che si usino tutti gli accorgimenti perché quelle ripercussioni negative siano contenute, e perché il loro peso venga equamente distribuito fra tutti i cittadini.

Cooperazione scientifico-tecnico-finanziaria

150. Gli aiuti di emergenza, pur rispondendo a un dovere di umanità e di giustizia, non sono sufficienti per eliminare e neppure per ridurre le cause che determinano in un numero considerevole di comunità politiche uno stato permanente di indigenza o di miseria o di fame. Quelle cause vanno ritrovate, soprattutto, nella primitività o nella arretratezza dei loro sistemi economici. Per cui non si possono eliminare o ridurre che attraverso una multiforme cooperazione, diretta a far acquistare ai loro cittadini attitudini e qualifiche professionali e competenze scientifiche e tecniche; e a mettere a loro disposizione i capitali indispensabili per iniziare e accelerare lo sviluppo economico con criteri e metodi moderni.

151. Conosciamo bene come in questi ultimi anni si è sempre più diffusa ed è maturata la coscienza di doversi adoperare per favorire lo sviluppo economico e il progresso sociale nei paesi che si dibattono in maggiori difficoltà.

152. Organismi mondiali e regionali, singoli Stati, fondazioni, società private offrono a detti paesi in misura crescente la propria cooperazione tecnica in tutti i settori produttivi; e moltiplicano le facilitazioni a migliaia di giovani perché possano studiare nelle università dei paesi più sviluppati e acquistare una formazione scientifico-tecnico-professionale rispondente ai tempi. Mentre istituti bancari mondiali, singoli Stati e privati forniscono capitali e danno vita o contribuiscono a dar vita a una rete sempre più ricca di iniziative economiche nei paesi in fase di sviluppo. Siamo lieti di cogliere la presente occasione per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tale opera riccamente feconda.

153. Però non possiamo esimerci dal rilevare che la cooperazione scientifico-tecnico-economica, tra le comunità politiche economicamente sviluppate e quelle che sono appena agli inizi o in via di sviluppo, domanda svolgimenti più ampi di quelli esistenti; ed è augurabile che tali svolgimenti durante i prossimi decenni caratterizzino i loro rapporti. In materia stimiamo opportune alcune considerazioni e alcuni richiami.

Evitare gli errori del passato

154. Saggezza vuole che le comunità politiche che si trovano in uno stadio iniziale o poco avanzato del loro sviluppo economico tengano presenti le esperienze vissute dalle comunità politiche economicamente già sviluppate.

155. Produrre di più e meglio risponde ad una esigenza di ragione ed è pure una necessità imprescindibile. Però è non meno necessario e conforme a giustizia che la ricchezza prodotta venga equamente distribuita fra tutti i membri della comunità politica: per cui si deve tendere a che lo sviluppo economico proceda di pari passo con il progresso sociale. Ciò importa che lo si attui, per quanto è possibile, gradualmente e armonicamente in tutti i settori produttivi: nel settore agricolo, industriale e dei servizi.

Rispetto delle caratteristiche delle singole comunità

156. Le comunità politiche in fase di sviluppo economico presentano di solito una propria inconfondibile individualità: sia per le risorse e le caratteristiche specifiche del proprio ambiente naturale, sia per le loro tradizioni spesso ricche di valori umani, sia per le qualità tipiche dei propri membri.

157. Le comunità politiche economicamente sviluppate, nel prestare la loro opera, devono riconoscere e rispettare quella individualità, e vincere la tentazione che le porta a proiettare se stesse, attraverso quell’opera, nelle comunità in via di sviluppo economico.

Opera disinteressata

158. Ma la tentazione maggiore da cui possono essere prese le comunità politiche economicamente sviluppate è quella di approfittare della loro cooperazione tecnico-finanziaria per incidere sulla situazione politica delle comunità in fase di sviluppo economico allo scopo di attuare piani di predominio.

159. Qualora ciò si verifichi, si deve dichiarare esplicitamente che in tal caso si tratta di una nuova forma di colonialismo, che, per quanto abilmente mascherata, non per questo sarebbe meno involutiva di quella dalla quale molti popoli sono di recente evasi e che influirebbe negativamente sui rapporti internazionali, costituendo una minaccia e un pericolo per la pace mondiale.

160. È quindi indispensabile e rispondente a una esigenza di giustizia che l’accennata opera tecnico-finanziaria sia prestata nel più sincero disinteresse politico, allo scopo di mettere le comunità in via di sviluppo economico nelle condizioni di realizzare esse stesse la propria ascesa economica e sociale.

161. In tal modo si porta pure un contributo prezioso alla formazione di una comunità mondiale nella quale tutti i membri siano soggetti consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, operanti in rapporto di uguaglianza all’attuazione del bene comune universale.

Nel rispetto della gerarchia dei valori

162. I progressi scientifico-tecnici, lo sviluppo economico, i miglioramenti nelle condizioni di vita sono certamente elementi positivi di una civiltà. Però dobbiamo ricordare che non sono né possono essere considerati valori supremi, nei confronti dei quali rivestono carattere essenzialmente strumentale.

163. Rileviamo con amarezza che nei paesi economicamente sviluppati non sono pochi gli esseri umani nei quali si è attenuata o spenta o capovolta la coscienza della gerarchia dei valori; nei quali cioè i valori dello spirito sono trascurati o dimenticati o negati; mentre i progressi delle scienze, delle tecniche, lo sviluppo economico, il benessere materiale vengono caldeggiati e propugnati spesso come preminenti e perfino elevati ad unica ragione di vita. Ciò costituisce un’insidia dissolvitrice tra le più deleterie nell’opera che i popoli economicamente sviluppati prestano ai popoli in fase di sviluppo economico: popoli, nei quali, non di rado, per antica tradizione, la coscienza di alcuni tra i più importanti valori umani è ancora viva e operante.

164. Attentare a quella coscienza è essenzialmente immorale. Essa invece va rispettata e, per quanto possibile, chiarita e sviluppata, perché rimanga quello che è: fondamento di vera civiltà.

L’apporto della Chiesa

165. La Chiesa, come è noto, è universale per diritto divino e lo è pure storicamente per il fatto che è presente, o tende ad esserlo, presso tutti i popoli.

166. L’inserirsi della Chiesa in un popolo ha sempre riflessi positivi in campo economico-sociale, come dimostrano storia ed esperienza. La ragione è che gli esseri umani, diventando cristiani, non possono non sentirsi impegnati a migliorare istituzioni e ambienti dell’ordine temporale: sia perché in essi non venga lesa la dignità umana, sia perché vengano eliminati e ridotti gli ostacoli al bene e moltiplicati gli incentivi e gli inviti ad esso.

167. Inoltre la Chiesa, inserendosi nella vita dei popoli, non è né si sente mai una istituzione che venga imposta dal di fuori. Ciò è dovuto al fatto che la sua presenza si concreta con la rinascita o la risurrezione dei singoli esseri umani in Cristo; e chi rinasce o risorge in Cristo non si sente mai coartato dall’esterno; si sente invece liberato nel più profondo di se stesso e cioè aperto verso Dio; e quanto in lui rappresenta un valore, qualunque ne sia la natura, viene riaffermato e nobilitato.

168. "La Chiesa di Cristo, osserva sapientemente il nostro predecessore Pio XII, fedelissima depositaria della divina educatrice saggezza, non può pensare né pensa di intaccare o disistimare le caratteristiche particolari che ciascun popolo con gelosa pietà e comprensibile fierezza custodisce e considera quale prezioso patrimonio. Il suo scopo è l’unità soprannaturale nell’amore universale, sentito e praticato, non l’uniformità esclusivamente esterna, superficiale e perciò stesso debilitante. Tutte quelle direttive e cure, che servono ad un saggio, ordinato svolgimento di forze e di tendenze particolari, le quali hanno radici nei più riposti penetrali di ogni stirpe, purché non si oppongano ai doveri derivanti alla umanità dall’unità di origine e comune destinazione, la Chiesa le saluta con gioia e le accompagna nei suoi voti materni" (Enc. Summi pontificatus).

169. Costatiamo con profonda soddisfazione come oggi pure i cittadini cattolici delle comunità in fase di sviluppo economico non sono, di regola, secondi a nessuno nel partecipare allo sforzo che i propri paesi sostengono per sviluppare ed elevare se stessi in campo economico-sociale.

170. D’altra parte, i cittadini cattolici delle comunità economicamente sviluppate moltiplicano le loro iniziative per assecondare e rendere più feconda l’opera che viene prestata alle comunità in via di sviluppo economico. Degna di speciale considerazione è la multiforme assistenza che essi prestano in proporzioni sempre maggiori agli studenti dei paesi d’Africa e d’Asia sparsi per le università di Europa e d’America; e la preparazione di soggetti disposti a portarsi nei paesi in fase di sviluppo economico per svolgervi attività tecnico-professionali.

171. A questi nostri diletti figli, che in tutti i continenti esprimono la perenne vitalità della Chiesa nel promuovere il progresso genuino e nel vivificare le civiltà, vogliamo che giunga la nostra parola paternamente affettuosa di plauso e di incoraggiamento.

 

Incrementi demografici e sviluppo economico
Squilibrio tra popolazione e mezzi di sussistenza

172. In questi ultimi tempi riaffiora spesso il problema attinente il rapporto tra incrementi demografici, sviluppo economico e disponibilità di mezzi di sussistenza sia su piano mondiale che nei confronti di comunità politiche in fase di sviluppo economico.

173. Su piano mondiale alcuni osservano che, secondo calcoli statistici ritenuti sufficientemente attendibili, la famiglia umana in pochi decenni attingerà cifre assai elevate, mentre lo sviluppo economico procederà con ritmo meno accelerato. Ne deducono che qualora non si provveda in tempo a limitare il flusso demografico, lo squilibrio tra popolazione e i mezzi di sussistenza, in un futuro non lontano, si farà sentire acutamente.

174. Per quanto attiene alle comunità politiche in fase di sviluppo economico si osserva, sempre su indicazioni di dati statistici, che il rapido diffondersi di misure igieniche e di cure sanitarie appropriate riduce di molto il tasso di mortalità, soprattutto infantile; mentre tende a rimanere costante o quasi, almeno per un considerevole periodo di tempo, il tasso di natalità, che in quelle comunità suole essere elevato. Cresce quindi notevolmente l’eccedenza di nati sui morti; mentre non aumenta in proporzione l’efficienza produttiva dei rispettivi sistemi economici. È pertanto impossibile che nelle comunità politiche in via di sviluppo economico migliori il tenore di vita; anzi è inevitabile che peggiori. Per cui, ad evitare che si finisca in situazioni di estremo disagio, vi è chi ritiene indispensabile far ricorso a drastiche misure elusive o repressive della natalità.

I termini del problema

175. A dire il vero, considerato su piano mondiale, il rapporto tra incremento demografico da una parte e sviluppo economico e disponibilità di mezzi di sussistenza dall’altra, non sembra, almeno per ora e in un avvenire prossimo, creare gravi difficoltà: in ogni caso, troppo incerti ed oscillanti sono gli elementi di cui si dispone per poterne trarre conclusioni sincere.

176. Inoltre Dio, nella sua bontà e nella sua sapienza, ha diffuso nella natura risorse inesauribili e ha dato agli uomini intelligenza e genialità per creare gli strumenti idonei ad impadronirsi di esse e a volgerle a soddisfazione dei bisogni e delle esigenze della vita. Per cui la soluzione di fondo del problema non va ricercato in espedienti che offendono l’ordine morale stabilito da Dio e intaccano le stesse sorgenti della vita umana, ma in un rinnovato impegno scientifico-tecnico da parte dell’uomo ad approfondire ed estendere il suo dominio sulla natura. I progressi già realizzati dalle scienze e dalle tecniche aprono su questa via orizzonti sconfinati.

177. Sappiamo però che in aree determinate e nell’ambito di comunità politiche in fase di sviluppo economico possono presentarsi e si presentano realmente gravi problemi e difficoltà, che si devono al fatto di una deficiente organizzazione economico - sociale che non offre perciò mezzi di vita proporzionati al saggio di incremento demografico; come pure al fatto che la solidarietà tra i popoli non è operante in grado sufficiente.

178. Ma, anche in tale ipotesi, dobbiamo subito affermare chiaramente che quei problemi non vanno affrontati e quelle difficoltà non vanno superate facendo ricorso a metodi e a mezzi che sono indegni dell’uomo e che trovano la loro spiegazione soltanto in una concezione prettamente materialista dell’uomo stesso e della sua vita.

179. La vera soluzione si trova soltanto nello sviluppo economico e nel progresso sociale, che rispettino e promuovano i veri valori umani, individuali e sociali; sviluppo economico e progresso sociale, cioè, attuati nell’ambito morale, conformemente alla dignità dell’uomo e a quell’immenso valore che è la vita dei singoli esseri umani; e nella collaborazione su piano mondiale che permetta e favorisca una ordinata e feconda circolazione di utili cognizioni, di capitali, di uomini.

Rispetto delle leggi della vita

180. Dobbiamo proclamare solennemente che la vita umana va trasmessa attraverso la famiglia, fondata sul matrimonio uno e indissolubile, elevato, per i cristiani, alla dignità di sacramento. La trasmissione della vita umana è affidata dalla natura a un atto personale e cosciente e, come tale, soggetto alle sapientissime leggi di Dio: leggi inviolabili e immutabili che vanno riconosciute e osservate. Perciò non si possono usare mezzi e seguire metodi che possono essere leciti nella trasmissione della vita delle piante e degli animali.

181. La vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio. Violando le sue leggi, si offende la sua divina maestà, si degrada se stessi e l’umanità e si svigorisce altresì la stessa comunità di cui si è membri.

Educazione al senso della responsabilità

182. È della più alta importanza che le nuove generazioni vengano educate con adeguata formazione culturale, nonché religiosa come è dovere e diritto dei genitori, a un profondo senso di responsabilità in tutte le manifestazioni della loro vita e perciò anche in ordine alla creazione di una famiglia e alla procreazione ed educazione dei figli. I quali devono essere formati a una vita di fede e a una profonda fiducia nella divina Provvidenza perché siano pronti ad affrontare fatiche e sacrifici nell’adempimento di una missione tanto nobile e spesso ardua quale è quella di collaborare con Dio nella trasmissione della vita umana e nell’educazione della prole. Per tale educazione nessuna istituzione dispone di risorse efficaci quanto la Chiesa, la quale, anche per tale motivo, ha diritto di svolgere in piena libertà la sua missione.

A servizio della vita

183. Nella Genesi si ricorda come Dio abbia rivolto ai primi esseri umani due comandi: quello di trasmettere la vita: "Crescete e moltiplicatevi" (Gen 1,28) e quello di dominare la natura: "Riempite la terra e assoggettatela": (Ivi) comandi che si integrano a vicenda. Certo il comando divino di dominare la natura non è a scopi distruttivi; è invece a servizio della vita.

184. Con tristezza rileviamo che una delle contraddizioni più sconcertanti da cui è tormentata e in cui si logora la nostra epoca è che, mentre da una parte si mettono in accentuato rilievo le situazioni di disagio e si fa balenare lo spettro della miseria e della fame, dall’altra si utilizzano, e spesso largamente, le scoperte della scienza, le realizzazioni della tecnica e le risorse economiche per creare terribili strumenti di rovina e di morte.

185. Dio provvido concede al genere umano sufficienti mezzi per risolvere in forma dignitosa anche i molteplici e delicati problemi attinenti alla trasmissione della vita: ma quei problemi possono diventare di difficile soluzione o insolubili perché gli uomini, deviati nella mente o pervertiti nella volontà, si valgono di quei mezzi contro ragione e cioè per fini che non sono quelli che rispondono alla loro natura sociale e ai piani della Provvidenza.

 

Collaborazione sul piano mondiale
Dimensioni mondiali di ogni problema umano di rilievo

186. I progressi delle scienze e delle tecniche in tutti i settori della convivenza moltiplicano e infittiscono i rapporti tra le comunità politiche e rendono perciò la loro interdipendenza sempre più profonda e vitale.

Di conseguenza può dirsi che ogni problema umano di qualche rilievo, qualunque ne sia il contenuto, scientifico, tecnico, economico, sociale, politico, culturale, presenta oggi dimensioni soprannazionali e spesso mondiali.

187. Pertanto le singole comunità politiche non sono più in grado di risolvere adeguatamente i loro maggiori problemi nell’ambito di se stesse con le sole loro forze; anche se sono comunità che emergono per l’elevato grado e la diffusione della loro cultura, per il numero ed operosità dei cittadini, per l’efficienza dei loro sistemi economici, per la vastità e la ricchezza dei loro territori. Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l’intesa e la collaborazione.

Sfiducia reciproca

188. Si può cosi comprendere come nell’animo dei singoli esseri umani e tra i popoli si diffonda sempre più la persuasione della urgente necessità dell’intesa e della collaborazione. Però nello stesso tempo sembra che gli uomini, specialmente quelli investiti di maggiori responsabilità, si rivelino impotenti a realizzare l’una e l’altra. La radice di siffatta impotenza non è da ricercarsi in ragioni scientifiche, tecniche, economiche, ma nell’assenza di reciproca fiducia. Gli uomini e conseguentemente gli Stati si temono a vicenda. Ognuno teme che l’altro nutra propositi di sopraffazione e mediti il momento ritenuto favorevole per mandare ad effetto tali propositi. Perciò organizza la propria difesa, e cioè si arma più che per aggredire, cosi si dichiara, per dissuadere l’ipotetico aggressore da ogni effettiva aggressione.

189. Ciò però ha come conseguenza che immense energie umane e mezzi giganteschi vengano usati a scopi non costruttivi: mentre si insinua e si alimenta nell’animo dei singoli esseri umani e tra i popoli un senso di disagio e di pesantezza che attenua lo spirito di iniziativa per opere di ampio respiro.

Mancato riconoscimento dell’ordine morale

190. La mancanza di reciproca fiducia trova la sua spiegazione nel fatto che gli uomini, specialmente i più responsabili, nello svolgimento della loro attività si ispirano a concezioni di vita differenti o radicalmente opposte. In alcune di quelle concezioni, purtroppo, non si riconosce l’esistenza dell’ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto, uguale e valevole per tutti. Viene meno cosi la possibilità di incontrarsi e di intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia ammessa e seguita da tutti.

191. Vero è che il termine "giustizia" e la dizione "esigenze della giustizia" continua a risuonare sulle labbra di tutti. Però quel termine o quella dizione assumono negli uni e negli altri contenuti diversi o contrapposti.

192. Perciò gli appelli ripetuti e appassionati alla giustizia, e alle esigenze della giustizia, nonché offrire possibilità di incontro o d’intesa, aumentando la confusione, inaspriscono i contrasti, rendono infuocate le contese; e come conseguenza si diffonde la persuasione che per far valere i propri diritti e perseguire i propri interessi non si offra altro mezzo che il ricorso alla violenza, fonte di gravissimi mali.

Dio fondamento dell’ordine morale

193. La reciproca fiducia tra gli uomini e tra gli Stati non può nascere e rafforzarsi che nel riconoscimento e nel rispetto dell’ordine morale.

Sennonché l’ordine morale non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra. L’uomo infatti non è solo un organismo materiale, ma è anche spirito dotato di pensiero e di libertà. Esige quindi un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell’interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse.

194. Si è affermato che nell’era dei trionfi della scienza e della tecnica gli uomini possono costruire la loro civiltà, prescindendo da Dio. La verità invece è che gli stessi progressi scientifico-tecnici pongono problemi umani a dimensioni mondiali che si possono risolvere soltanto nella luce di una sincera ed operosa fede in Dio, principio e fine dell’uomo e del mondo.

195. Di queste verità si trova una conferma nella costatazione che gli stessi sconfinati orizzonti dischiusi dall’indagine scientifica contribuiscono a far nascere e sviluppare negli animi la persuasione che le conoscenze matematico-scientifiche avvertono, ma non colgono e tanto meno esprimono interamente gli aspetti più profondi della realtà. E la tragica esperienza che le forze gigantesche, messe a disposizione della tecnica, possono essere utilizzate tanto per finalità costruttive che per la distruzione, mette in evidenza la prevalente importanza dei valori spirituali affinché anche il progresso scientifico-tecnico conservi il suo carattere essenzialmente strumentale in ordine all’incivilimento.

196. Mentre il senso di crescente insoddisfazione che si diffonde tra gli esseri umani nelle comunità nazionali ad alto livello di vita dissolve l’illusione di un sognato paradiso in terra, nello stesso tempo però si fa in essi sempre più chiara la coscienza di diritti inviolabili ed universali della persona, e più viva l’aspirazione a rapporti più giusti e più umani. Motivi tutti, questi, che contribuiscono a rendere gli esseri umani più consapevoli dei propri limiti, a far riaffiorare in essi l’anelito verso i valori dello spirito; e ciò non può non essere di lieto auspicio per le intese sincere e le collaborazioni feconde.

 

IV - RICOMPOSIZIONE DEI RAPPORTI DELLA CONVIVENZA
NELLA VERITÀ, NELLA GIUSTIZIA E NELL’AMORE

Ideologie incomplete ed erronee

197. Dopo tanti progressi scientifico-tecnici, e anche a causa di questi, rimane ancora il problema che i rapporti della convivenza vengano ricomposti in equilibri più umani tanto all’interno delle singole comunità politiche quanto sul piano mondiale.

198. Nell’epoca moderna varie ideologie sono state elaborate e diffuse a tale scopo: alcune si sono già disciolte, come nebbia al sole; altre hanno subito e subiscono revisioni sostanziali ed altre hanno attenuato di molto e vanno ulteriormente perdendo le loro attrattive sull’animo degli uomini. La ragione è che sono ideologie che dell’uomo considerano soltanto alcuni aspetti e, spesso, i meno profondi. Giacché non tengono conto delle inevitabili imperfezioni umane, come la malattia e la sofferenza; imperfezioni che i sistemi economico-sociali anche più progrediti non possono eliminare. Vi è poi la profonda ed inestinguibile esigenza religiosa che si esprime ovunque e costantemente, anche quando è conculcata con la violenza o abilmente soffocata.

199. Infatti l’errore più radicale nell’epoca moderna è quello di ritenere l’esigenza religiosa dello spirito umano come espressione del sentimento o della fantasia, oppure un prodotto di una contingenza storica da eliminare quale elemento anacronistico e quale ostacolo al progresso umano; mentre in quell’esigenza gli esseri umani si rivelano per quello che veramente sono: esseri creati da Dio e per Dio, come esclama sant’Agostino: "ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (S. Agostino, Confessioni, I, 1).

200. Pertanto, qualunque sia il progresso tecnico ed economico, nel mondo non vi sarà né giustizia né pace finché gli uomini non ritornino al senso della dignità di creature e di figli di Dio, prima ed ultima ragione d’essere di tutta la realtà da lui creata. L’uomo staccato da Dio diventa disumano con se stesso e con i suoi simili, perché l’ordinato rapporto di convivenza presuppone l’ordinato rapporto della coscienza personale con Dio, fonte di verità, di giustizia e di amore.

201. Vero è che la persecuzione che da decenni incrudelisce in molti paesi, anche di antica civiltà cristiana, su tanti nostri fratelli e figli, a noi perciò in modo speciale carissimi, mette in sempre maggiore evidenza la dignitosa superiorità dei perseguitati e la raffinata barbarie dei persecutori; ciò che, se ancora non dà frutti visibili di resipiscenza, induce già molti a pensare.

202. Ma resta sempre che l’aspetto più sinistramente tipico dell’epoca moderna sta nell’assurdo tentativo di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo prescindendo da Dio, unico fondamento sul quale soltanto può reggere; e di voler celebrare la grandezza dell’uomo disseccando la fonte da cui quella grandezza scaturisce e della quale si alimenta, e cioè reprimendo e, se fosse possibile, estinguendo il suo anelito verso Dio. Sennonché l’esperienza di tutti i giorni continua ad attestare, fra le delusioni più amare e non di rado in termini di sangue, quanto si afferma nel Libro ispirato: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori " (Sal 126,1).

Perenne attualità della dottrina sociale della Chiesa

203. La Chiesa è portatrice e banditrice di una concezione sempre attuale della convivenza.

Principio fondamentale in tale concezione è, come emerge da quanto fin qui si è detto, che i singoli esseri umani sono e devono essere il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni in cui si esprime e si attua la vita sociale: i singoli esseri umani visti in quello che sono e che devono essere secondo la loro natura intrinsecamente sociale, e nel piano provvidenziale della loro elevazione all’ordine soprannaturale.

204. Da quel principio fondamentale, che tutela la dignità sacra della persona, il magistero della Chiesa ha enucleato, con la collaborazione di sacerdoti e laici illuminati, specialmente in questo ultimo secolo,una dottrina sociale che indica con chiarezza le vie sicure per ricomporre i rapporti della convivenza secondo criteri universali rispondenti alla natura e agli ambiti diversi dell’ordine temporale e ai caratteri della società contemporanea, e perciò accettabili da tutti.

205. È però indispensabile, oggi più che mai, che quella dottrina sia conosciuta, assimilata, tradotta nella realtà sociale in quelle forme e in quei gradi che le varie situazioni acconsentano o reclamino: compito arduo, ma nobilissimo, alla cui attuazione invitiamo con appello ardente non solo i nostri fratelli e figli sparsi in tutto il mondo, ma anche tutti gli uomini di buona volontà.

Istruzione

206. Riaffermiamo anzitutto che la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita.

Mentre notiamo con soddisfazione che in vari istituti già da tempo tale dottrina viene insegnata, ci preme esortare ad estendere l’insegnamento con corsi ordinari e in forma sistematica a tutti i seminari e a tutte le scuole cattoliche di ogni grado. Va inoltre inserita nei programmi di istruzione religiosa delle parrocchie e delle associazioni dell’apostolato dei laici, va diffusa con i mezzi espressivi moderni: stampa quotidiana e periodica, pubblicazioni a carattere divulgativo e di natura scientifica, radio e televisione.

207. Alla sua diffusione possono contribuire molto i nostri figli del laicato con l’impegno per apprenderla, con lo zelo nel farla comprendere agli altri e svolgendo nella sua luce le loro attività a contenuto temporale.

208. Non diementichiamo che le verità e l’efficacia della dottrina sociale cattolica vanno dimostrate soprattutto offrendo un orientamento sicuro per la soluzione dei problemi concreti. In tal modo si riesce pure ad attirare su di essa l’attenzione di coloro che la ignorano o che, ignorandola, l’avversano; e forse anche a far entrare nel loro spirito qualche scintilla della sua luce.

Educazione

209. Una dottrina sociale non va solo enunciata, ma anche tradotta in termini concreti nella realtà. Ciò tanto è più vero della dottrina sociale cristiana, la cui luce è la verità, il cui obiettivo è la giustizia e la cui forza propulsiva è l’amore. Richiamiamo quindi l’attenzione sulla necessità che i nostri figli, oltre che essere istruiti nella dottrina sociale, siano pure educati socialmente.

210. L’educazione cristiana deve essere integrale, e cioè estendersi ad ogni serie di dovere; e però deve pure tendere a che nei fedeli nasca e si invigorisca la coscienza del dovere di svolgere cristianamente anche le attività a contenuto economico e sociale.

211. Il passaggio dalla teoria alla pratica, è, per sua natura, arduo; tanto più lo è quando si tratta di tradurre in termini di concretezza una dottrina sociale quale è quella cristiana, a motivo dell’egoismo profondamente radicato negli esseri umani, del materialismo di cui è permeata la società moderna, delle difficoltà a individuare con chiarezza e precisione le esigenze obiettive della giustizia nei casi concreti.

Perciò l’educazione, oltre che far nascere e sviluppare la coscienza del dovere e di agire cristianamente in campo economico e sociale, è pure necessario che si proponga di far apprendere il metodo che rende idonei a compiere quel dovere.

Compito delle associazioni di apostolato dei laici

212. L’educazione ad operare cristianamente anche in campo economico e sociale difficilmente riesce efficace se i soggetti medesimi non prendono parte attiva nell’educare se stessi, e se l’educazione non viene svolta anche attraverso l’azione.

213. A ragione si suol dire che non s’acquista l’attitudine a esercitare rettamente la libertà se non attraverso il retto uso della libertà. Analogamente l’educazione ad agire cristianamente in campo economico e sociale non si realizza se non attraverso il concreto cristiano agire in quel campo.

214. Perciò nell’educazione sociale un compito importante spetta alle associazioni e alle organizzazioni di apostolato dei laici, specialmente a quelle che si propongono come obiettivo specifico la vivificazione cristiana dell’uno e dell’altro settore dell’ordine temporale. Infatti non pochi membri di quelle associazioni possono far tesoro delle loro quotidiane esperienze per educare sempre meglio se stessi e per contribuire all’educazione sociale dei giovani.

215. A questo proposito cade opportuno richiamare a tutti, in alto e in basso, il senso cristiano della vita, che importa lo spirito di sobrietà e di sacrificio.

Purtroppo oggi prevale qua e là la concezione e la tendenza edonistica, che vorrebbe ridurre la vita alla ricerca del piacere e alla soddisfazione piena di tutte le passioni con grave danno dello spirito e anche del corpo.

216. Sul piano naturale è saggezza feconda di bene la morigeratezza e la temperanza degli appetiti inferiori; sul piano soprannaturale l’Evangelo, la Chiesa e tutta la sua tradizione ascetica esigono il senso della mortificazione e della penitenza, che assicura il dominio dello spirito sulla carne e che offre un mezzo efficace a scontare la pena dovuta al peccato, da cui nessuno è immune, salvo Gesù Cristo e la sua Madre immacolata.

Suggerimenti pratici

217. Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti che si sogliono esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire.

218. È quanto mai opportuno che i giovani siano invitati spesso a ripensare quei tre momenti e, per quanto è possibile, a tradurli in pratica; cosi le cognizioni apprese e assimilate non rimangono in essi idee astratte, ma li rendono praticamente idonei a tradurre nella realtà concreta principi e direttive sociali.

219. In tali applicazioni possono sorgere anche tra cattolici, retti e sinceri, delle divergenze. Quando ciò si verifichi, non vengano mai meno la vicendevole considerazione, il reciproco rispetto e la buona disposizione a individuare i punti di incontro per una azione tempestiva ed efficace: non ci si logori in discussioni interminabili e, sotto il pretesto del meglio e dell’ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso.

220. I cattolici impegnati nello svolgimento di attività economico- sociali vengono a trovarsi perciò stesso in frequenti rapporti con altri che non hanno la stessa visione della vita. In tali rapporti i nostri figli siano vigilanti per essere sempre coerenti con se stessi, per non venire mai a compromessi riguardo alla religione e alla morale; ma nello stesso tempo siano e si mostrino animati da spirito di comprensione, disinteressati, e disposti a collaborare lealmente nell’attuazione di progetti che siano di loro natura buoni o almeno riducibili al bene. È ovvio però che quando in materia la gerarchia ecclesiastica si è pronunciata, i cattolici sono tenuti a conformarsi alle sue direttive; giacché compete alla Chiesa il diritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell’ordine etico e religioso, ma anche di intervenire autoritativamente nella sfera dell’ordine temporale, quando si tratta di giudicare dell’applicazione di quei principi ai casi concreti.

Azione molteplice e responsabilità

221. Dall’istruzione e dall’educazione occorre passare all’azione. È un compito che spetta soprattutto ai nostri figli del laicato, essendo essi, in virtù del loro stato di vita, abitualmente impegnati nello svolgimento di attività e nella creazione di istituzioni a contenuto e finalità temporali.

222. Nell’attuazione di un compito tanto nobile, è necessario che i nostri figli non soltanto siano professionalmente competenti e svolgano le attività temporali secondo le leggi ad esse immanenti per il raggiungimento efficace dei rispettivi fini; ma è altresì indispensabile che nello svolgimento di dette attività si muovano nell’ambito dei principi e delle direttive della dottrina sociale cristiana, in attitudine di sincera fiducia e sempre in rapporto di filiale obbedienza verso l’autorità ecclesiastica. Tengano presente i nostri figli che quando nello svolgimento delle attività temporali non si seguono i principi e le direttive della dottrina sociale cristiana, non solo si viene meno a un dovere e si ledono spesso i diritti dei propri fratelli, ma si può giungere al punto di gettare il discredito su quella stessa dottrina, quasi fosse nobile in se stessa, ma priva di virtù efficacemente orientatrice.

Un pericolo grave

223. Come abbiamo già osservato, gli uomini hanno oggi approfondito ed esteso enormemente la conoscenza delle leggi della natura; hanno creato gli strumenti per impadronirsi delle sue forze; hanno prodotto e continuano a produrre opere gigantesche e spettacolari. Però nel loro impegno di dominare e trasformare il mondo esteriore rischiano di dimenticare e di logorare se stessi: "E così il lavoro corporale - osserva con profonda amarezza il nostro predecessore Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno - che la divina Provvidenza, anche dopo il peccato originale, aveva stabilito come esercizio in bene del corpo insieme e dell’anima, si viene convertendo in uno strumento di perversione: la materia inerte, cioè, esce nobilitata dalla fabbrica, le persone invece vi si corrompono e avviliscono" (AAS, XXXIII, 1931, p. 221s).

224. Similmente il pontefice Pio XII a ragione afferma che la nostra epoca si contraddistingue per un netto contrasto fra l’immenso progresso scientifico-tecnico ed un pauroso regresso umano, consistendo il "suo mostruoso capolavoro nel trasformare l’uomo in un gigante del mondo fisico a spese del suo spirito ridotto a pigmeo nel mondo soprannaturale ed eterno" (Radiomessaggio natalizio 1953).

225. Oggi ancora una volta si verifica, in proporzioni amplissime, quanto affermava dei pagani il Salmista; e cioè come gli uomini dimentichino spesso il proprio essere nel proprio operare, e ammirino le proprie opere fino a farne un idolo: "Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo" (Sal 113,4).

Riconoscimento e rispetto della gerarchia dei valori

226. Nella nostra paterna preoccupazione di Pastore universale di anime, invitiamo insistentemente i nostri figli a vigilare su se stessi per tenere desta ed operante la coscienza della gerarchia dei valori nello svolgimento delle loro attività temporali e nel perseguimento dei loro rispettivi fini immediati.

227. Certo la Chiesa ha insegnato in ogni tempo e continua sempre ad insegnare che i progressi scientifico-tecnici e il conseguente benessere materiale sono beni reali; e quindi segnano un importante passo nell’incivilimento umano. Però essi devono essere valutati per quello che sono secondo la loro vera natura, e cioè come beni strumentali o mezzi che vanno utilizzati per un più efficace perseguimento di un fine superiore, quale è quello di facilitare e promuovere il perfezionamento spirituale degli esseri umani tanto nell’ordine naturale che in quello soprannaturale.

Risuona perennemente ammonitrice la parola del divino Maestro: "Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? " (Mt 16,26).

Santificazione della festa

228. A tutela della dignità dell’uomo come creatura dotata di un’anima fatta ad immagine e somiglianza di Dio, la Chiesa ha sempre reclamato l’osservanza esatta del terzo precetto del decalogo: "Ricordati di santificare la festa" (Es 20,8). È un diritto di Dio esigere dall’uomo che dedichi al culto un giorno della settimana, in cui lo spirito, libero dalle occupazioni materiali, possa elevarsi e aprirsi con il pensiero e con l’amore alle cose celesti, esaminando nell’intimo della coscienza i suoi doverosi e indispensabili rapporti con il Creatore.

229. Ma è anche diritto, anzi bisogno dell’uomo fare una pausa nell’applicazione del corpo al duro lavoro quotidiano, a ristoro delle membra stanche, a onesto svago dei sensi e a vantaggio dell’unità domestica, che esige un frequente contatto e una serena convivenza vissuta tra i membri della famiglia.

230. Religione, morale e igiene convergono verso la legge del riposo periodico, che la Chiesa da secoli traduce nella santificazione della domenica, con la partecipazioe al santo sacrificio della messa, memoriale e applicazione dell’opera redentrice di Cristo nelle anime. Ma con vivo dolore dobbiamo costatare e deplorare la negligenza, se non proprio il disprezzo, di questa legge santa, con conseguenze deleterie per la salute dell’anima e del corpo dei cari lavoratori.

231. In nome di Dio e per l’interesse materiale e spirituale degli uomini noi richiamiamo tutti, autorità, impresari e lavoratori, all’osservanza del precetto di Dio e della sua Chiesa ricordando a ciascuno la sua grave responsabilità davanti al Signore e davanti alla società.

Rinnovato impegno

232. Però sarebbe errato dedurre da quanto abbiamo brevemente sopra esposto che i nostri figli, soprattutto del laicato, debbano considerare prudente attenuare il proprio impegno cristiano nel mondo; lo devono invece rinnovare e accentuare. Il Signore nella preghiera sublime per l’unità della sua Chiesa non prega il Padre perché sottragga i suoi dal mondo, ma perché li preservi dal male: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno " (Gv 17,15). Non si deve creare un’artificiosa opposizione là dove non esiste, e cioè tra il perfezionamento del proprio essere e la propria presenza attiva nel modo, quasi che non si possa perfezionare se stessi che cessando di svolgere attività temporali, o che qualora si svolgano siffatte attività si sia frontalmente portata a compromettere la propria dignità di esseri umani e di credenti.

233. Risponde invece perfettamente ai piani della Provvidenza che ognuno perfezioni se stesso attraverso il suo lavoro quotidiano, che per la quasi totalità degli esseri umani è un lavoro a contenuto e finalità temporali.

La Chiesa oggi si trova di fronte al compito immane di portare un accento umano e cristiano alla civiltà moderna: accento che la stessa civiltà domanda e quasi invoca per i suoi sviluppi positivi e per la sua stessa esistenza.

234. Come abbiamo accennato, la Chiesa viene attuando questo compito soprattutto attraverso i suoi figli laici, che a tale scopo devono sentirsi impegnati a svolgere le proprie attività professionali come adempimento di un dovere, come prestazione di un servizio, in comunione interiore con Dio e nel Cristo e a sua glorificazione, come indica l’apostolo san Paolo: "Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio (1Cor 10,31). "Tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre " (Col 3,17).

Maggiore efficienza nelle attività temporali

235. Qualora si garantisca nelle attività e nelle istituzioni temporali l’apertura ai valori spirituali e ai fini soprannaturali, si rafforza in esse la efficienza rispetto ai loro fini specifici ed immediati. Resta sempre vera la parola del Maestro divino: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta " (Mt 6,33). Quando si è "luce nel Signore", (Ef 5,8) e quando si cammina come figli della luce (cf. ivi) si colgono più sicuramente le esigenze fondamentali della giustizia anche nelle zone più complesse e difficili dell’ordine temporale, in quelle cioè nelle quali non di rado gli egoismi individuali, di gruppo e di razza, insinuano e diffondono fitte nebbie. E quando si è animati dalla carità di Cristo ci si sente uniti agli altri e si sentono come propri i bisogni, le sofferenze, le gioie altrui. Conseguementemente l’operare di ciascuno, qualunque sia l’ambito e l’oggetto in cui si concreta, non può non risultare più disinteressato, più vigoroso, più umano, poiché la carità: "è paziente, é benigna..., non cerca il suo interesse..., non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità..., tutto spera, tutto sopporta " (1Cor 13,4-7).

Membri vivi nel corpo mistico di Cristo

236. Ma non possiamo concludere questa nostra enciclica senza ricordare un’altra verità che è insieme una sublime realtà: e cioè che noi siamo membra vivi del corpo mistico di Cristo, che è la sua Chiesa: "Come il corpo, pur essendo uno, ha molto membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, cosi anche Cristo" (1Cor 12,12).

237. Invitiamo con paterna insistenza tutti i nostri figli appartenenti sia al clero che al laicato, ad essere profondamente consapevoli di tanta dignità e grandezza per il fatto che sono inseriti nel Cristo come tralci nella vite: "Io sono la vite, voi i tralci " (Gv 15,5) e che sono chiamati a vivere perciò della sua stessa vita. Per cui quando si svolgono le proprie attività, anche se di natura temporale, in unione con Gesù divino redentore, ogni lavoro diviene come una continuazione del suo lavoro, penetrato di virtù redentiva: "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto " (cf. ivi) . Diviene cioè un lavoro con il quale mentre si realizza il proprio perfezionamento soprannaturale, si contribuisce ad estendere e diffondere sugli altri il frutto della redenzione, e si lievita del fermento evangelico la civiltà in cui si vive e si opera.

238. La nostra epoca è percorsa e penetrata da errori radicali, è straziata e sconvolta da disordini profondi: però è pure un’epoca nella quale si aprono allo slancio della Chiesa possibilità immense di bene.

239. Diletti fratelli e figli: lo sguardo che abbiamo potuto dare con voi ai vari problemi di vita sociale contemporanea, dalle prime luci dell’insegnamento di papa Leone XIII, ci ha condotti al dispiegamento di tutto un tessuto di costatazioni e di proposte, su cui vi invitiamo a soffermarvi, a ben meditare e a prendere coraggio per la cooperazione di ciascuno e di tutti alla realizzazione del regno di Cristo sulla terra: "regno di verità e di vita; regno di santità e di grazia; regno di giustizia, di amore e di pace": (Prefazio nella Messa di Cristo Re) che assicura il godimento dei beni celesti, per cui siamo creati e a cui aneliamo.

240. Infatti si tratta della dottrina della Chiesa cattolica e apostolica, madre e maestra di tutte le genti, la cui luce illumina, accende, infiamma; la cui voce ammonitrice, piena di celeste sapienza, appartiene a tutti i tempi; la cui virtù presta sempre rimedi cosi efficaci e cosi adatti alle crescenti necessità degli uomini, alle angustie e alle ansietà della vita presente. Con questa voce si accorda quella antichissima del Salmista, che non cessa di fortificare e innalzare i nostri animi: "Ascolterò ciò che dice in me il Signore Iddio: perché parla di pace al suo popolo e ai suoi santi, e a coloro che rientrano in se stessi. Per certo è vicina a quei che lo temono la sua salvezza, sicché abiti di nuovo la gloria di Dio nella nostra terra. La verità e la bontà si sono incontrate; giustizia e pace si sono baciate. La verità germoglia dalla terra: la giustizia guarda dai cieli. Il Signore darà ogni bene, e la terra apporterà il frutto suo. La giustizia va sempre innanzi a segnare di luce il buon cammino" (Sal 84,9ss).

241. Tali sono i voti, venerabili fratelli, che noi formuliamo nel chiudere questa lettera, alla quale da tempo abbiamo dedicato le nostre sollecitudini per la Chiesa universale; li formuliamo affinché il divin Redentore degli uomini, "Il quale, per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione ", (1Cor 1,30) regni e trionfi felicemente attraverso i secoli, in tutti e su tutto; li formuliamo ancora affinché, ricomposta la convivenza nell’ordine, tutte le genti finalmente godano di prosperità, di letizia, di pace.

Benedizione finale

242. In auspicio di questi voti e in pegno della nostra paterna benevolenza, scenda l’apostolica benedizione che, a voi venerabili fratelli e ai fedeli tutti affidati al vostro ministero, particolarmente a quelli che risponderanno con slancio alle nostre esortazioni, impartiamo di cuore nel Signore.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 20 maggio 1961

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