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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1924 (5)

CONCEZIONE FASCISTA DELLO STATO

"La differenza fra lo Stato liberale e lo Stato fascista consiste precisamente in ciò: che lo Stato fascista non solo si difende, ma attacca":
(Disc. Esordio "La nuova politica estera", 16 febbraio 1923. S. e D. vol. III, pag. 60)

Prima di proseguire con gli interventi "Sullo Stato" del 1924
e che estenderemo poi fino al 1929, è significativo riprendere
due scritti di Mussolini, fatti in precedenza;
ci soffermiamo innanzitutto su due frasi del 1921, e su un ampio articolo apparso
nel giugno 1922 su "Gerarchia".

"Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista, così come c'é stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano".
[Il primo discorso alla Camera, 21 giugno 1921. "S. e. D.", vol. II, pag. 187.]


" Partendo dalla Nazione, arriviamo allo Stato, che é il Governo nella sua espressione tangibile. Ma lo Stato siamo noi: attraverso un processo vogliamo identificare la Nazione con lo Stato. La crisi di autorità degli Stati é universale ed é un prodotto del cataclisma guerresco. È necessario però che lo Stato ritrovi la sua autorità, altrimenti si va al caos. »
[Discorso all'Augusteo, 9 novembre 1921. "S. e D.", vol. II, pag. 202.]

« Che cosa é lo Stato?"

"Nei postulati programmatici del Fascismo lo Stato vien definito come "l'incarnazione giuridica della Nazione". La formula é vaga. Lo Stato, soprattutto lo Stato moderno, é anche questo, ma non é soltanto questo. Senza volere elencare tutte le definizioni che del concetto di Stato furono date, nei secoli, dai cultori delle scienze politiche - il che sarebbe inutile e prolisso - mi pare che lo Stato possa essere definito come un "sistema di gerarchie". Lo Stato é, alle sue origini, un sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo, fra un gruppo di altri uomini, assunse il comando perché era il più forte, il più astuto, il più saggio o il più intelligente, e gli altri per amore o per forza ubbidirono, quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie, semplice e rudimentale allora, com'era semplice e rudimentale la vita degli uomini agli albori della storia.
Il capo dovè creare necessariamente un sistema di gerarchie, per fare la guerra, per rendere giustizia, per amministrare i beni della comunità, per ottenere il pagamento dei tributi. per regolare i rapporti fra l'uomo e il soprannaturale. Non importa l'origine da cui lo Stato ripete o con cui lo Stato legittima il suo privilegio di creatore di un sistema di gerarchie: può essere Iddio ed é lo Stato teocratico; può essere un individuo solo, la discendenza di una famiglia, o un gruppo di individui, ed é lo Stato monarchico od aristocratico - qui mi sovviene del Libro d'Oro della Serenissima -; é il popolo, attraverso il meccanismo del suffragio, e siamo allo Stato demo-costituzionale dell'éra capitalistica: ma in tutti i casi lo Stato si estrinseca in un sistema di gerarchie, oggi infinitamente più complesso adeguatamente alla vita che è più complessa in intenzione ed in estensione. Ma perché le gerarchie non siano categorie morte, é necessario che esse fluiscano in una sintesi, che convergano tutte ad uno scopo, che abbiano una loro anima, che si assomma nell'anima collettiva, per cui lo Stato deve esprimersi nella parte più eletta di una data società e deve essere a guida delle altre classi minori.
La decadenza delle gerarchie significa la decadenza degli Stati. Quando la gerarchia militare, dal sommo all'infimo grado, ha perduto le sue virtù, é la disfatta. Quando la gerarchia dei tributi rapina e divora l'erario senza scrupoli, lo Stato barcolla. Quando la gerarchia dei politici vive giorno per giorno e non ha più la forza morale di perseguire scopi lontani, né di piegare le masse al raggiungimento di questi scopi lo Stato viene a trovarsi di fronte a questo dilemma: o si dissolve dietro l'urto di un altro Stato o attraverso la rivoluzione sostituisce o rinsangua le gerarchie decadenti o insufficienti.
La storia degli Stati, dal tramonto dell'Impero romano al crollo della dinastia Capetingia, al declinare malinconico della Repubblica veneta, é tutta un nascere, crescere, morie e di gerarchie.

" Il Fascismo vuole lo Stato. Esso non crede alla possibilità di una convivenza sociale, che non sia inquadrata nello Stato. Solo gli anarchici - più ottimisti di Gian Giacomo Rousseau - pensano che le società umane - così torbide, così opache, così egoiste - possano vivere in istato di assoluta libertà. L'avvento di una umanità composta di "libere comunità liberamente associate", secondo la formula anarchica, dev'essere relegata nel cielo delle più futuriste utopie. Siamo dunque anti-anarchici perché non crediamo a possibilità di convivenza umana che non si estrinsichi in uno Stato. Né ci seduce, anzi respingiamo la formula socialista dello Stato, che da "comitato d'affari" della classe dirigente, dovrebbe trasformarsi nella semplice "amministrazione delle cose": una specie di enorme ragioneria pubblica. Tutto ciò é incerto ed assurdo.

" L'amministrazione delle cose é una frase priva di senso, quando voglia significare la negazione dello Stato. In realtà chi amministra governa e chi governa é Stato, con tutti gli annessi e connessi. L'esempio russo è là a dimostrare che "l'amministrazione delle cose" provoca la creazione di uno Stato, anzi di un super-Stato, che aggiunge alle vecchie funzioni di tutti gli Stati - guerra e pace, polizia, giustizia, esazione dei tributi, scuole, ecc. -, funzioni di ordine economico. Il Fascismo non nega lo Stato; afferma che una società civica nazionale o imperiale non può essere pensata che sotto la specie di Stato; non va, dunque, contro l'idea di Stato, ma si riserva libertà di atteggiamento di fronte a quel particolare Stato che é lo Stato italiano. Ciò è un suo diritto. Ciò é un suo dovere. Si tratta ora di esaminare quali rapporti esistano fra lo Stato in atto, che é lo Stato d'oggi, e lo Stato in potenza e in divenire, che è il Fascismo.

" Nell'ordine politico lo Stato attuale italiano, è in contrasto con lo spirito animatore del Fascismo. Lo Stato italiano più che rivendicare altamente e duramente la sua autorità, la mendica dalle parti opposte. Lo Stato italiano ha delle gerarchie, ma sono insufficienti. Servono senz'anima. La più delicata di esse, la magistratura, è in rivolta contro lo Stato. Fermenti di malcontento e di sdegno, serpeggiano nelle altre gerarchie: da quella dell'esercito a quella delle scuole. La crisi delle gerarchie è la crisi dello Stato. Rinfrancare o sostituire o falcidiare le gerarchie: ecco il cómpito a cui non sembra più idoneo, l'idropico ed elefantiaco Stato italiano. Ecco il compito della Rivoluzione fascista, la quale potrà effettuarsi tanto sui binari di una lenta saturazione legale, come attraverso l'insurrezione armata, per cui il Fascismo saggiamente ha provveduto, attrezzandosi per entrambe le eventualità.

"Nell'ordine morale, la distanza fra lo Stato attuale italiano e il Fascismo, è grandissima.
E il Fascismo non può accettare la concezione rollandesca di uno Stato che é moralmente al disopra della mischia.
Non v'è dubbio che Fascismo e Stato sono destinati, forse in un tempo relativamente vicino, a diventare una identità. »
[Stato, anti-Stato e Fascismo, in "Gerarchia", 25 giugno 1922. "S. e D.", vol. 11, pagg. 292-294 e 297.]

"Lo Stato che cosa è? È il carabiniere. Tutti i vostri codici, tutte le vostre dottrine e leggi sono nulle, se a un dato momento il carabiniere con la sua forza fisica non fa sentire il peso indistruttibile delle leggi. »
[Disc. La riforma elettorale, 15 luglio 1923. "S. e D.", vol. III, pag. 198.]

« Si tratta prima di tutto di ristabilire l'idea dello Stato e fissare lo stile del Governo. Abbiamo il merito di aver fatto del Governo una cosa viva, palpitante, operante nel seno della società nazionale; non il Governo abulico e amorfo, che si lascia insidiare e insultare in una specie di duello ridicolo per cui l'opposizione sarebbe sacra e intangibile: avrebbe tutti i diritti, mentre il Governo avrebbe l'unico dovere di costituire un comodo e indulgente bersaglio. Dichiaro che questa é una teoria assolutamente suicida e che se in tale teoria si compendia la dottrina del liberalismo, io mi dichiaro nettamente antiliberale. »
[Disc. di Capodanno, 3 gennaio 1924. "S. e D.", vol. IV, pag. 8.]

« Tutti hanno dato una definizione dello Stato. Ieri sera, rileggendo Carlo Cattaneo, ho trovato una definizione dello Stato che è singolarissima, e che si riattacca a quanto ho detto l'altro giorno quando ho parlato dinanzi all'assemblea dei Sindacati fascisti.
E la definizione dice: "Lo Stato sarebbe una immensa transazione, dove la possidenza e il commercio, la porzione legittima e la disponibile, il lusso e il risparmio, l'utile e il bello, conquistano e difendono ogni giorno, con imperiose e universali esigenze, quella quota di spazio che loro consente la concorrenza degli altri sistemi. E la formula suprema del buon governo e della civiltà é quella in cui nessuna delle dimande né l'esito suo soverchia le altre e nessuna del tutto è negata".
«Potremmo afferrarci a questa definizione che ci piace. »
(Risposta al discorso della Corona, 7 giugno 1924. "S. e D.", vol. IV, pag. 164.]

"Noi vogliamo unificare la Nazione nello Stato sovrano, che é sopra di tutti e può essere contro tutti, perché rappresenta la continuità morale della Nazione nella storia. Senza lo Stato non c'é Nazione. Ci sono soltanto degli aggregati umani, suscettibili di tutte le disintegrazioni che la storia può infliggere loro.
[Al Consiglio Nazionale del Partito fascista, 8 agosto 1924, In "La nuova politica dell'Italia", ediz. Alpes, 1928, pag. 319. Vedi anche "S. e D.", vol. VIII, pag. 96.]

"La forza del Fascismo consiste in ciò: che esso prende da tutti i programmi la parte vitale, e ha la forza di realizzarla. L'idea centrale del nostro movimento è lo Stato; lo Stato è l'organizzazione politica e giuridica delle società nazionali, e si estrinseca in una serie di istituzioni di vario ordine.
La nostra formula è questa: tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato. Io credo che la polemica politica in Italia si avvierebbe a un diverso svolgimento se ci si rendesse conto di un fatto, che cioè nell'ottobre del 1922 non c'é stato un cambiamento di Ministero, ma c'è stata la creazione di un nuovo regime politico.
[Disc. al III annlversario della Marcia su Roma, 28 ottobre 1925. "S. e D"., vol. V, pag. 162].

" Lo Stato é uno, é una monade inscindibile, lo Stato è una cittadella nella quale non vi possono essere antitesi né d'individui né di gruppi. Lo Stato controlla tutte le organizzazioni al di fuori ma non può essere controllato al di dentro.
[Legge sui rapporti collettivi di lavoro, 11 dicembre 1925. "S. e D.", vol. V, pag. 240.]

" Abbiamo sepolto il vecchio Stato democratico, liberale, agnostico e paralitico, il vecchio Stato che, in omaggio agli immortali principi lascia che la lotta delle classi si tramuti in una catastrofe sociale. A questo vecchio Stato che noi abbiamo sepolto con un funerale di terza classe abbiamo sostituito lo Stato corporativo e fascista, lo Stato della società nazionale, lo Stato che raccoglie e controlla, armonizza e contempera gli interessi di tutte le classi sociali, le quali si vedono egualmente tutelate. E mentre prima, durante gli anni del regime demo-liberale, le masse laboriose guardavano con diffidenza lo Stato, erano al di fuori dello Stato, erano contro lo Stato, consideravano lo Stato come un nemico d'ogni giorno e di ogni ora, oggi non c'é italiano che lavori, che non cerchi il suo posto nelle Corporazioni, nelle Federazioni, che non voglia essere una molecola vivente di quel grande, immenso organismo vivente che é lo Stato nazionale corporativo fascista.
Ed allora? Allora, o camerati, é il caso di riprendere un motivo che io prospettavo di scorcio or sono poche settimane, a Perugia. È perfettamente idiota descrivere il Regime fascista come il prodotto di una oligarchia in cima alla quale sta un tiranno misterioso e crudele, è perfettamente assurdo accusare il Regime fascista di essere un regime antipopolare e ostile alle classi laboriose. »
(Disc. Al popolo di Roma per il XXVIII Ottobre, 1926. "S. eD.", vol. V, pag. 449)

"Abbiamo creato lo Stato unitario italiano. Pensate che dall'Impero in poi, l'Italia non fu più uno Stato unitario. Noi qui riaffermiamo solennemente la nostra dottrina concernente lo Stato; qui riaffermo non meno energicamente la mia formula del discorso alla Scala di Milano, "tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato".
Non so nemmeno pensare nel secolo XX uno che possa vivere fuori dello Stato, se non allo stato di barbarie, allo stato selvaggio. È solo lo Stato che dà l'ossatura ai popoli. Se il popolo è organizzato, il popolo é uno Stato, altrimenti è una popolazione che sarà alla mercé del primo gruppo di avventurieri interni o di qualsiasi orda di invasori che venga dall'estero. Perché, o signori, solo lo Stato con la sua organizzazione giuridica, con la sua forza militare, preparata in tempo utile, può difendere la collettività nazionale. »
[Il discorso dell'Ascensione, 26 maggio 1927. "S. e. D., vol VI, pag. 76)


"Se negli ottanta anni trascorsi abbiamo realizzato dei progressi così imponenti, voi pensate e potete supporre e prevedere che nei prossimi cinquanta od ottanta anni il cammino dell'Italia, di questa Italia che noi sentiamo così potente, così percorsa da linfe vitali, sarà veramente grandioso specialmente se durerà la concordia di tutti i cittadini, se lo Stato continuerà ad essere l'arbitro nelle contese politiche e sociali, se tutto sarà nello Stato e niente fuori dello Stato, perché oggi non si concepisce un individuo fuori dello Stato se non l'individuo selvaggio che non può rivendicare per sé che la solitudine e la sabbia del deserto".
[Disc. Per la riforma Costituzionale, 12 maggio 1928. "S. e D.", vol. VI, pag. 173.]

"Il Fascismo ha restituito allo Stato la sua attività sovrana - rivendicandone, contro tutti i particolarismi di classe e di categoria l'assoluto valore etico ; ha restituito al governo dello Stato, ridotto a strumento esecutivo dell'assemblea elettiva, la sua dignità di rappresentante della personalità dello Stato e la pienezza della sua potestà di imperio; ha sottratto l'amministrazione alle pressioni di tutte le faziosità e di tutti gli interessi".
[Art. "Una consegna", 22 dicembre 1928. "S. e D.", vol. VI, pag. 292.]

"Incontestabile merito del Fascismo è di aver dato agli italiani il senso dello Stato. Tutto quello che abbiamo fatto e che vi ho riassunto, scompare di fronte a ciò che abbiamo fatto creando lo Stato. Per il Fascismo lo Stato non è il "guardiano notturno", che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini: non è nemmeno un'organizzazione a fine puramente materiale, come quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso, a realizzarlo, basterebbe un consiglio d'amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà mutevole e complessa della vita dei singoli e di quella dei popoli. Lo Stato, così come il Fascismo lo concepisce e l'attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l'organizzazione politica, giuridica, economica della Nazione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu dai secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede.
« Lo Stato non è solamente presente, ma è anche passato e, sopra tutto, futuro. È lo Stato che, trascendendo il lignite breve delle vite individuali, rappresenta la coscienza immanente della Nazione. È lo Stato che, in Italia, si riassume e si esalta nella dinastia di Savoia, e nella Sacra Augusta persona del Re.
Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano ma la necessità rimane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtù civile; li rende consapevoli della loro missione; li sollecita all'unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell'umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare delle tribù alla più alta espressione di potenza umana che è l'Impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per ubbidire alle sue leggi; addita come esempio, e raccomanda alle generazioni che verranno, i capitani che lo accrebbero di territorio, o i geni che lo illuminarono di gloria.
Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissacratrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto.»
[Discorso all'Assemblea quinquennale del Regime, 10 marzo 1929. "S. e D.", vol. VII, pagg. 26-27.]

"Ognuno pensi che non ha di fronte a sé lo Stato agnostico demo-liberale, una specie di materasso sul quale tutti passavano a vicenda; ma ha dinanzi a sé uno Stato che è conscio della sua missione e che rappresenta un popolo che cammina, uno Stato che trasforma questo popolo continuamente, anche nel suo aspetto fisico. A questo popolo lo Stato deve dire delle grandi parole, agitare delle grandi idee e dei grandi problemi, non fare soltanto dell'ordinaria amministrazione. Per questa anche dei piccoli Ministri dei piccoli tempi erano sufficienti."
[Relazione sugli accordi del Laterano, 14 maggio 1929. "S. e D.", voi. VII, pag. 105.]

"Il senso dello Stato grandeggia nella coscienza degli italiani, i quali sentono che solo lo Stato è la insostituibile garanzia della loro unità e della loro indipendenza; che solo lo Stato rappresenta la continuità nell'avvenire della loro stirpe e della loro storia."
[Disc. "Messaggio per l'anno ottavo", 25 ottobre 1929. "S. e. D.", vol. VII, pag. 152.]

« Lo Stato fascista è corporativo o non è fascista.
[Discorso sulla crisi economica mondiale, 1 ottobre 1930. "S. e D.", vol. VII, pag. 213.]

TABELLA DEI RIASSUNTI


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