HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1923 (9)

MUSSOLINI: "FORZA E CONSENSO" - IL "PRINCIPE"-STATO - IL POPOLO

Mussolini, da Gerarchia, marzo 1923

"Forza e consenso"

"Certo liberalismo italiano, che si ritiene unico depositario degli autentici, immortali principi, rassomiglia straordinariamente al socialismo mezzo defunto, poiché anche esso, come quest'ultimo, crede di possedere "scientificamente" una verità indiscutibile, buona per tutti i tempi, luoghi e situazioni. Qui é l'assurdo. Il liberalismo non é l'ultima parola, non rappresenta la definitiva formula, in tema di arte di governo. Non c'è in quest'arte difficile e delicata, che lavora la piú refrattaria delle materie e in stato di movimento, poiché lavora sui vivi e non sui morti; non c'è nell'arte politica l'unità aristotelica del tempo, del luogo, dell'azione.

Gli uomini sono stati piú o meno fortunatamente governati, in mille modi diversi. Il liberalismo é il portato e il metodo del XIX secolo, che non é stupido, come opina Daudet, poiché non ci sono secoli stupidi o secoli intelligenti, ma ci sono intelligenza e stupidità alternata, in maggiori o minori proporzioni, in ogni secolo.

Non é detto che il liberalismo, metodo di governo, buono per il secolo XIX, per un secolo, cioè, dominato da due fenomeni essenziali come lo sviluppo del capitalismo e l'affermarsi del sentimento di nazionalità, debba necessariamente essere adatto al secolo XX, che si annuncia già con caratteri assai diversi da quelli che individuarono il secolo precedente. Il fatto vale piú del libro; l'esperienza piú della dottrina.
Ora le piú grandi esperienze del dopoguerra, quelle che sono in stato di movimento sotto i nostri occhi, segnano la sconfitta del liberalismo. In Russia e in Italia si é dimostrato che si può governare al di fuori, al disopra e contro tutta la ideologia liberale. Il comunismo e il fascismo sono al di fuori del liberalismo.

Ma insomma, in che cosa consiste questo liberalismo per il quale piú o meno obliquamente si infiammano oggi tutti i nemici del fascismo? Liberalismo significa suffragio universale e generi affini? Significa tenere aperta in permanenza la Camera, perché offra l'indecente spettacolo che aveva sollevato la nausea generale? Significa in nome della libertà lasciare ai pochi la libertà di uccidere la libertà di tutti? Significa fare largo a coloro che dichiarano la loro ostilità allo Stato e lavorano attivamente per demolirlo? E' questo il liberalismo? Ebbene, se questo è il liberalismo, esso é una teoria e una pratica di abiezione e di rovina. La libertà non é un fine; è un mezzo. Come mezzo deve essere controllato e dominato.

Qui cade il discorso della "forza".
I signori liberali sono pregati di dirmi se mai nella storia vi fu governo che si basasse esclusivamente sul consenso dei popoli e rinunciasse a qualsiasi impiego della forza. Un governo siffatto non c'è mai stato, non ci sarà mai. Il consenso é mutevole come le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai può essere totale. Nessun governo é mai esistito che abbia reso felici tutti i suoi governati. Qualunque soluzione vi accada di dare a qualsiasi problema, voi - e foste anche partecipi della saggezza divina! - creerete inevitabilmente una categoria di malcontenti. Se finora non c'è arrivata la geometria, la politica meno ancora é riuscita a quadrare il circolo.

Posto come assiomatico che qualsiasi provvedimento di governo crea dei malcontenti, come eviterete che questo malcontento dilaghi e costituisca un pericolo per la solidità dello Stato? Lo eviterete colla forza. Coll'accantonare il massimo di forza. Coll'impiegare questa forza, inesorabilmente, quando si renda necessario. Togliete a un Governo qualsiasi la forza - e si intende forza fisica, forza armata - e lasciategli soltanto i suoi immortali principi, e quel Governo sarà alla mercé del primo gruppo organizzato e deciso ad abbatterlo. Ora il fascismo getta al macero queste teorie antivitali. Quando un gruppo o un partito é al potere, esso ha l'obbligo di fortificarvisi e di difendersi contro tutti. La verità palese oramai agli occhi di chiunque non li abbia bendati dal dogmatismo, é che gli uomini sono forse stanchi di libertà. Ne hanno
fatto un'orgia. La libertà non é oggi piú la vergine casta e severa per la quale combatterono e morirono le generazioni della prima metà del secolo scorso. Per le giovinezze intrepide, inquiete ed aspre
che si affacciano al crepuscolo mattinale della nuova storia ci sono altre parole che esercitano un fascino molto maggiore, e sono: ordine, gerarchia, disciplina.

Questo povero liberalismo italiano, che va gemendo e battagliando per una piú grande libertà, è singolarmente in ritardo. È completamente al di fuori di ogni comprensione e possibilità. Si parla di semi che ritroveranno la primavera. Facezie! Certi semi muoiono sotto la coltre invernale. Il fascismo, che non ha temuto di chiamarsi reazionario quando molti dei liberali odierni erano proni davanti alla bestia trionfante, non ha oggi ritegno alcuno di dichiararsi illiberale e antiliberale. Il fascismo non cade vittima di certi trucchi dozzinali.
Si sappia dunque, una volta per tutte, che il fascismo non conosce idoli, non adora feticci: è già passato e, se sarà necessario, tornerà ancora tranquillamente a passare sul corpo piú o meno decomposto della Dea Libertà".

-----------------------------

Mussolini, più tardi, si riallaccia allo scritto di sopra (che chiama " famoso discorso")

Mussolini, da Gerarchia, aprile 1924

"Preludio al Machiavelli"

"Accadde che un giorno mi fu annunciato da Imola - dalle legioni nere di Imola - il dono di una spada con inciso il motto di Machiavelli "Cum parole non si mantengono li Stati". Ciò troncò gli indugi e determinò senz'altro la scelta del tema che oggi sottopongo ai vostri suffragi. Potrei chiamarlo Commento dell'anno 1924 al "Principe" di Machiavelli, al libro che io vorrei chiamare Vademecum per l'uomo di governo.
Debbo inoltre, per debito di onestà intellettuale, aggiungere che questo mio lavoro ha una scarsa bibliografia, come si vedrà in seguito. Ho riletto attentamente il Principe e il resto delle opere del grande segretario, ma mi è mancato tempo e volontà per leggere tutto ciò che si è scritto in Italia e nel mondo su Machiavelli. Ho voluto mettere il minor numero possibile d'intermediari vecchi e nuovi, italiani e stranieri, tra il Machiavelli e me, per non guastare la presa di contatto diretta fra la sua dottrina e la mia vita vissuta, fra le sue e le mie osservazioni di uomini e cose, fra la sua e la mia pratica di governo.

Quella che mi onoro di leggervi non è quindi una fredda dissertazione scolastica, irta di citazioni altrui, è piuttosto un dramma, se può considerarsi, come io credo, in un certo senso drammatico il tentativo di gettare il ponte dello spirito sull'abisso delle generazioni e degli eventi. Non dirò nulla di nuovo.
La domanda si pone: a quattro secoli di distanza che cosa c'è ancora di vivo nel Principe? I consigli del Machiavelli potrebbero avere una qualsiasi utilità anche per i reggitori degli Stati moderni? Il valore del sistema politico del Principe è circoscritto all'epoca in cui fu scritto il volume, quindi necessariamente limitato e in parte caduco, o non è invece universale e attuale? Specialmente attuale? La mia tesi risponde a queste domande.

Io affermo che la dottrina di Machiavelli è viva oggi piú di quattro secoli fa, poiché se gli aspetti esteriori della nostra vita sono grandemente cangiati, non si sono verificate profonde variazioni nello spirito degli individui e dei popoli.
Se la politica è l'arte di governare gli uomini, cioè di orientare, utilizzare, educare le loro passioni, i loro egoismi, i loro interessi in vista di scopi d'ordine generale che trascendono quasi sempre la vita individuale perché si proiettano nel futuro, se questa è la politica, non v'è dubbio che l'elemento fondamentale di essa arte, è l'uomo.
Di qui bisogna partire. Che cosa sono gli uomini nel sistema politico di Machiavelli? Che cosa pensa Machiavelli degli uomini? È egli ottimista o pessimista? E dicendo "uomini" dobbiamo interpretare la parola nel senso ristretto degli uomini, cioè degli italiani che Machiavelli conosceva e pesava come suoi contemporanei o nel senso degli uomini al di là del tempo e dello spazio o per dirla in gergo acquisito "sotto la specie della eternità"? Mi pare che prima di procedere a un piú analitico esame del sistema di politica machiavellica, cosí come ci appare condensato nel Principe, occorra esattamente stabilire quale concetto avesse Machiavelli degli uomini in genere e, forse, degli italiani in particolare.

Orbene, quel che risulta manifesto, anche da una superficiale lettura del Principe, è l'acuto pessimismo del Machiavelli nei confronti della natura umana. Come tutti coloro che hanno avuto occasione di continuo e vasto commercio coi propri simili, Machiavelli è uno spregiatore degli uomini e ama presentarceli, come verrò fra poco documentando, nei loro aspetti piú negativi e mortificanti.
Gli uomini, secondo Machiavelli, sono tristi, piú affezionati alle cose che al loro stesso sangue, pronti a cambiare sentimenti e passioni.

Al capitolo XVII del Principe, Machiavelli cosí si esprime:
"Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che siano ingrati, volubili simulatori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno e mentre fai loro bene, sono tutti tuoi, offerenti il sangue, la roba, la vita, i figlioli, come di sopra dissi, quando el bisogno è discosto, ma quando ti si appressa, e' si rivoltano... E quel principe che si è tutto fondato sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina. Li uomini hanno meno rispetto a offendere uno che si faccia amare, che uno che si faccia temere,
perché l'Amore è tenuto da uno vincolo di obbligo, il quale per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto, ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai".
--

Per quanto concerne gli egoismi umani, trovo fra le Carte varie, quanto segue:

"Gli uomini si dolgono piú di un podere che sia loro tolto, che di uno fratello o padre che fosse loro morto, perché la morte si dimentica qualche volta, la roba mai. La ragione è pronta; perché ognuno sa che per la mutazione di uno stato, uno fratello non può risuscitare, ma è può bene riavere il suo podere".

E al capitolo terzo dei Discorsi:

"Come dimostrano tutti coloro che ragionano del vivere civile e come ne è prema di esempi ogni storia, è necessario a chi dispone una Repubblica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini essere cattivi e che li abbiano sempre a usare la malignità dell'animo loro, qualunque volta ne abbino libera occasione... Gli uomini non operano mai nulla bene se non per necessità, ma dove la libertà abbonda e che vi può essere licenzia si riempie subito ogni cosa di confusione e di disordine".

Le citazioni potrebbero continuare, ma non è necessario. I braniri portati sono sufficienti per dimostrare che il giudizio negativo sugli uomini, non è incidentale, ma fondamentale nello spirito di Machiavelli. È in tutte le sue opere. Rappresenta una meritata e sconsolata convinzione. Di questo punto iniziale ed essenziale bisogna tener conto, per seguire tutti i successivi sviluppi del pensiero di Machiavelli. È anche evidente che il Machiavelli, giudicando come giudicava gli uomini, non si riferiva soltanto a quelli del suo tempo, ai fiorentini, toscani, italiani che vissero a cavallo fra il XV eil XVI secolo, ma agli uomini senza limitazione di spazio e di tempo.

Di tempo ne è passato, ma se mi fosse lecito giudicare i miei simili e contemporanei, io non potrei in alcun modo attenuare il giudizio di Machiavelli. Dovrei, forse, aggravarlo. Machiavelli non si illude e non illude il Principe. L'antitesi fra Principe e popolo,fra Stato e individuo è nel concetto di Machiavelli fatale. Quello che fu chiamato utilitarismo, pragmatismo, cinismo machiavellico scaturisce logicamente da questa posizione iniziale. La parola Principe deve intendersi come Stato. Nel concetto di Machiavelli il Principe è lo Stato. Mentre gli individui tendono, sospinti dai loro egoismi, all'atonismo sociale, lo Stato rappresenta una organizzazione e una limitazione. L'individuo tende a evadere continuamente. Tende a disubbidire alle leggi, a non pagare i tributi, a non fare la guerra. Pochi sono coloro - eroi o santi - che sacrificano il proprio io sull'altare dello Stato. Tutti gli altri sono in stato di rivolta potenziale contro lo Stato. Le rivoluzioni dei secoli XVII eXVIII hanno tentato di risolvere questo dissidio che è alla base di ogni organizzazione sociale statale, facendo sorgere il potere come una emanazione della libera volontà del popolo. C'è una finzione e una illusione di più.

Prima di tutto il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa
dove cominci esattamente, né dove finisca. L'aggettivo sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al piú, delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna.
I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale.
Anche nei paesi dove questi meccanismi sono in piú alto uso da secoli e secoli, giungono ore solenni in cui non si domanda piú nulla al popolo, perché si sente che la risposta sarebbe fatale; gli si strappano le corone cartacee della sovranità - buone per i tempi normali - e gli si ordina senz'altro o di accettare una Rivoluzione o una pace o di marciare verso l'ignoto di una guerra.

Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. Voi vedete che la sovranità elargita graziosamente al popolo gli viene sottratta nei momenti in cui potrebbe sentirne il bisogno.

Gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione. Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un
popolo sono in gioco, anche i Governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso. V'è dunque immanente, anche nei regimi quali ci sono stati confezionati dalla Enciclopedia - che peccava, attraverso Rousseau, di un eccesso incommensurabile di ottimismo - il dissidio fra forza organizzata dello Stato e il frammentarismo dei singoli e dei gruppi.

Regimi esclusivamente consensuali non sono mai esistiti, non esistono, non esisteranno mai.

Ben prima del mio oramai famoso articolo "Forza e consenso" (vedi sopra), Machiavelli scriveva nel Principe, pagina 32:
"Di qui nacque che tutti i profeti armati vincono e li disarmati ruinarono".

Perché la natura dei popoli è varia ed è facile persuadere loro una cosa,
ma è difficile fermarli in quella persuasione.

"E però conviene essere ordinato in modo, che quando non credono píú si possa far credere loro per forza. Moise, Ciro, Teseo, Romolo non avrebbero potuto fare osservare lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati".

-------------------------------------------

RIEPILOGO PERIODO 1922-23 e anticipo del 1924 > > >


TABELLA RIASSUNTI

TABELLONE TEMATICO HOME PAGE