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CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1921 (2 bis)

CAP. I - ALBORI DELL'ANABATTISMO
CAP. II - L'ANABATTISMO DI WITTEMBERG A FRANKENHAUSEN
CAP. III - LE REAZIONI
CAP. IV - FONDAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. V - ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. VI - MELCHIORRE HOFFMANN E GIOVANNI MATHIAS
CAP. VII - REGIME POLITICO E RELIGIOSO DELLA CITTA DI MUNSTER
CAP. VIII - L'ANABATTISMO A MUNSTER
CAP. IX - DALLA REPUBBLICA ALLA DITTATURA
CAP. X - IL TRAMONTO DELL'ANABATTISMO
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CAP. X- IL TRAMONTO DELL'ANABATTISMO

La notizia della decapitazione di Illa fu fatta conoscere alla città a mezzo di proclami buttati nottetempo presso le fortificazioni più avanzate. Gli anabattisti ne furono costernati e la loro sfiducia nel successo finale si accrebbe a questi segni che essi interpretavano come avvertimenti divini. Solo Giovanni di Leyda serbava, o mostrava di serbare, una tracotante serenità, seguitando a dettare leggi e a compiere atti di governo di una stranezza pari alla loro inopportunità.
A mezzo di un editto, egli divise la Germania e i Paesi Bassi in dodici ducati, e a capo di ciascuno degli immaginari ducati mise uno dei suoi più fedeli. Tale spartizione non venne presa sul serio da alcuno, ma forse era un atto politico e un'affermazione di sicurezza e di forza che per altro appariva in perfetto contrasto con gli avvenimenti.

Per sollecitare gli aiuti dalle altre città della Germania, egli decise di inviare da Munster altri apostoli che invitassero gli anabattisti a riunirsi in una determinata località e marciare contro le truppe del Vescovo. Volle che la partenza degli apostoli fosse preceduta da una grande cena, ad imitazione dell'ultima cena di Gesù e dei suoi dodici apostoli; in tale occasione egli, Profeta, avrebbe salutato quelli che dovevano spargere per la Germania la parola di Dio.
TUISCOSURER fu incaricato di preparare tale funzione sulla piazza del Mercato; qui vennero convitati i più valorosi difensori della città, gli invalidi e le loro donne, circa cinquemila persone in tutto, delle quali tremila donne. Se numerosi erano i convenuti, ben meschine erano le vivande, poiché ormai i viveri della città erano ridotti, causa il blocco, a ben poca cosa, e il meglio era stato consumato, a dispetto della legge sulla giusta ripartizione, dai satelliti del Re, dalle sue concubine e dai più furbi.
I1 Re giunse sulla piazza avendo a sinistra la regina Divara, e seguito dalle altre regine ; egli e le sue donne indossavano i più sfarzosi abiti e portavano tutte le loro gioie in onore degli apostoli e dei convitati.

Il primo atto del Re, giungendo nella piazza affollata, fu quello di far condurre alla sua presenza Knipperdolling, che dal giorno della ribellione languiva in carcere sotto l'incubo della condanna al supplizio e alla morte. Grande era l'attesa e l'ansia di ognuno, temendosi che il Re, come altre volte durante le maggiori solennità, volesse in quella occasione dare un esempio della sua severità nei riguardi dei ribelli al suo volere.
Knipperdolling giunse fra alcuni armati, legato strettamente. I1 Re lo fissò a lungo, fra il più profondo silenzio degli astanti ; poi, con voce energica, ordinò che il prigioniero fosse slegato. Infine, fra il generale stupore, gli si accostò e lo abbracciò più volte, baciandolo sulle guance. Rivolto quindi agli astanti, dichiarò che non era quello il tempo di discordie, che per il bene della comunità egli perdonava all'antico difensore della santa causa traviato per un momento dalle arti del demonio, e che con quell'abbraccio egli proclamava la riconciliazione, ricongiungendo l'eroe ribelle al Re e ai fratelli tutti. Indi rivolse una calda esortazione ai convenuti incitandoli ad essere fermi nei propositi quanto valorosi nel respingere gli attacchi dei nemici alla città, perché fra non molto sarebbero sopraggiunti aiuti, per modo che la spada a lui consegnata da Tuiscosurer avrebbe presto brillato in tutta la Germania contro i potenti e in favore degli oppressi.

Un silenzio glaciale accolse le sue parole, seguito da un lungo mormorio propagatosi da un capo all'altro della piazza. Di LEYDA, sdegnato, si rivolse a un soldato che gli era sembrato avesse pronunziato parole di sfiducia, lo investì violentemente con ogni sorta di contumelie dichiarandolo indegno, traditore e spia del Vescovo, e lo uccise sul colpo.
L'autorità dell'uomo e il terrore che egli ispirava erano tali che, in un ambiente ormai del tutto ostile, nessuno osava apertamente ribellarsi.
Inoltre, se grandi erano gli odi suscitati dai suoi arbitrii, la fede anabattista era ancora generalmente sentita, e il pericolo che incombeva dall'esterno sconsigliava ogni proposito di rivolta.
Dopo tale selvaggio episodio, il Re e la regina Divara, mentre il cadavere sanguinante dell'ucciso veniva trasportato fuori dalla piazza, cominciarono essi stessi a servire i convitati, e il banchetto ebbe inizio.
Durante il pasto il Re si levò in piedi, e, spezzato in più parti il pane, esclamò : “Prendete, e annunziate la morte del Signore Gesù Cristo !”
Infine, dopo aver pronunziato parole ardenti di fede, scelse 28 apostoli designati ad uscire dalla città, e il banchetto ebbe fine.

Gli apostoli attesero varie notti prima di potersi allontanare da Munster. Ma durante una di queste, avendo notizia che un reparto nemico di vigilanza aveva abbandonato in massa il suo posto, riuscirono ad uscire dalla città e a oltrepassare la linea del blocco, dirigendosi verso le località loro assegnate per la propaganda.

La sorte della maggior parte di questi apostoli fu quanto mai atroce. Quelli che vennero riconosciuti. o sorpresi nelle città ove si erano recati a predicare subirono una penosa prigionia, interrotta solo dai più raffinati tormenti coi quali si cercava di carpire loro rivelazioni o ritrattazioni, ed infine condannati al rogo o alla decorticazione. Fortunati furono quelli che subirono la morte senza essere sottoposti a supplizi.
Due apostoli, Klopris ed Erpo, recatisi a Warendorf, vi organizzarono i numerosi anabattisti della città e provocarono una violenta sommossa durante la quale nobili e clero furono espulsi a furore di popolo ; quindi proclamarono la comunità dei beni e il nuovo battesimo. II Vescovo inviò subito un distaccamento delle sue milizie che si accampò presso le mura. Gli anabattisti della città, trascorso il primo entusiasmo, e considerando che aiuti a Munster non giungevano né potevano giungere, accettarono una proposta di resa, a patto che fosse concesso un generale perdono. Il Vescovo finse di accettare tali condizioni di resa ; ma gli ordini dati alle sue truppe erano ben diversi. Gli episcopali, non appena oltrepassarono le porte della città, iniziarono saccheggi, eccidi e violenze di ogni genere. Erpo, volendo opporsi alle ribalderie degli episcopali, fu trafitto combattendo. Klopris fu arrestato ed inviato all'Arcivescovo di Colonia che, dopo penosa prigionia, lo fece collocare fra due roghi e bruciacchiare a fuoco lento, fino alla morte.

In altre cittadine i moti provocati dagli apostoli furono egualmente soffocati nel sangue. Ad Osnabruck, a Wesel, a Devanter le repressioni furono sanguinose, ed il più raffinato supplizio fu serbato agli apostoli provenienti da Munster. Il Meshovo, con ributtante cinismo e brevità, dice : “Confessio apostolorum tormentis extorta fuit” e cerca precisare queste confessioni, alcune delle quali sono evidentemente da lui riportate in mala fede. Egli afferma che il Vescovo e gli altri principi riuscirono a ricevere le seguenti dichiarazioni:
“La fede anabattista emana direttamente da Cristo che disse : “Beati mites, quoniam ipsi possiderunt terram”. Gli anabattisti non offendono i Principi o l’Imperatore, rifuggono dalle armi, ma vogliono solo vivere in pace secondo le loro aspirazioni. La città possiede oltre trentamila monete d'oro raccolte in vasi preziosi. La poligamia è esercitata su larga scala e la corruzione che ne deriva è enorme. L'età di 12 anni è ritenuta sufficiente alle donne per l'accoppiamento con gli uomini, e non vi è donna che abbia conservata la sua purezza. L'adulterio è condannato dalle leggi; ciò nonostante esso è molto frequente. I maggiori tempi cristiani sono inutilizzati e gli altari demoliti. Il Re attende aiuti dall'Olanda e dalla Frisia coi quali conta estendere il suo dominio. Nella città aumenta giornalmente la discordia fra i difensori, specie fra i nativi di Munster e quelli provenienti dell'Olanda e dalla Frisia che sono considerati come stranieri. Nelle chiese si trova depositato molto frumento, in gran parte però avariato ; vi è abbondanza di lardo, ma deficienza di sale, di burro. Gli uomini armati ascendono a duemila duecento, le donne sono in numero assai più grande e cooperano efficacemente alla difesa della città”.

Ma le confessioni, estorte fra i tormenti, non salvavano quei disgraziati dalla pena di morte. Esse, secondo che fossero più o meno utili e interessanti, servivano solo a mitigare i tormenti che precedevano la morte. Se quindi il tradimento è cosa sempre obbrobriosa, non è possibile disconoscere che il terrore del supplizio fosse una forte attenuante per chi dimenticasse la fede giurata. Fu `appunto per il terrore del supplizio che uno degli apostoli, certo Graes, fu indotto al tradimento e fu causa di lutto infinito per i suoi compagni di fede.
Graes venne incaricato dal Re di predicare l'anabattismo nella campagna di Munster.
Uscito dalla città, e dopo aver percorsa parecchia strada, fu scoperto, imprigionato e quindi condannato ad essere bruciato a lento fuoco avanti il castello di Iburg, ove si trovava in quei giorni lo stesso Vescovo. L'animo suo non resse al terrore di tale orrenda morte. Mentre era condotto al supplizio, scorse poco lontano il Vescovo, e rivoltosi a lui esclamò a voce alta “Nonne princeps habet potestatem dimittere vinctum?”.

II Vescovo, stimolato nel suo amor proprio, ordinò che il supplizio fosse sospeso, e volle conferire col prigioniero. Nel lungo e segreto conciliabolo gli promise salva la vita se si fosse acconciato a rivelare i nomi dei più attivi propagandisti nelle varie città ove egli si sarebbe recato con l'apparente scopo di fare propaganda anabattista.
Graes si diede a tale opera con lo zelo che gli veniva dalla terribile condanna sospesa sul suo capo. Percorse vaste zone, si soffermò in diverse città, e, dichiarandosi inviato da Giovanni di Leyda, raccoglieva notizie e nomi, e segretamente ne riferiva al Vescovo e ai principi. Ne conseguivano dei veri eccidi ; la stessa moglie di Giovanni Bécold, dietro denunzia di Graes, venne imprigionata a Leyda e condannata al rogo coi due fìgliuoletti, e nella stessa Leyda altri numerosi anabattisti, i nomi dei quali da costei erano stati in buona fede rivelati a Graes, vennero uccisi. Copioso sangue fu versato per la sua delittuosa attività, e ogni tentativo di soccorrere Munster venne in tal modo reso vano.

Gravi tumulti succedevano nel frattempo in Amsterdam, ove gli anabattisti avevano progettato di impadronirsi del potere e stabilire la comunione dei beni.
Amsterdam era considerata come un importante centro del movimento anabattista. Già da tempo Giovanni di Leyda vi aveva inviato due emissari, GIACOBBE CAMPENS e MATTIA MIDDELBURG, a preparare il terreno per una vasta insurrezione che avrebbe dovuto estendersi in tutta l'Olanda, nominando GIACOBBE CAMPENS vescovo di Amsterdam, e Mattia Middelburg apostolo. Costoro riuscirono ad organizzare e a riunire gli sparsi affiliati, pur tenendosi celati per sfuggire alle persecuzioni delle autorità cittadine. Quando credettero che il numero e l'ardire dei seguaci fosse tale da poter promuovere la rivolta, occupare la città, e marciare poi in aiuto di Munster, fecero avvertire Giovanni di Leyda, chiedendo che mandasse ad Amsterdam un duce adatto a guidare i ribelli alla rivolta e condurli quindi contro gli episcopali. Il Re inviò un certo GIOVANNI GÈLON insieme a tre propagandisti oriundi della Frisia.

Era Gèlon uomo violento, ardito, di ingegno vivissimo, e noto per una speciale competenza in cose militari. Egli uscì da Munster verso i primi del febbraio 1534, portando con sé una forte somma in monete d'oro e d'argento. Grande speranza riponevano gli assediati nell'opera di Gèlon, poiché solo un aiuto esterno poteva liberarli dall'assedio e salvarli dallo spettro della fame ogni giorno più vicino e minaccioso.
Già in Amsterdam, prima che giungesse Gèlon, l'impazienza degli anabattisti si andava rivelando in tumulti sporadici, in fanatismi, in furibonde risse. In una viuzza della città, detta vico Salinario, abitava un certo GIOVANNI SIBERT, affiliato alla setta e propagandista. Nella sua misera casa nottetempo convenivano i capi dell'anabattismo locale.
Un giorno Sibert cominciò a dare in smanie, poi cadde in convulsioni, ed infine,-riavutosi e prostratosi per tre volte al suolo, affermò che gli si era rivelato il Signore Iddio, e che questi gli aveva rimproverato di nulla fare per la causa sarta. Indi, denudatosi, uscì nella strada, seguito da altri undici seguaci maschi e femmine, tutti invasi dallo stesso furore collettivo e tutti egualmente nudi. Stretti gli uni agli altri, costoro percorsero tutta la notte la città, emettendo urla, inveendo contro i rari passanti e proclamando imminente la vendetta divina contro i peccatori. All'alba furono circondati ed arrestati. Più tardi nel carcere vennero loro offerti dei vestiti, ma essi li ricusarono poiché, dicevano, (ed è dubbio se tali parole fossero dettate da fanatismo oppure da ciarlataneria) se la verità è nuda, essi che predicavano la verità dovevano restare egualmente nudi.

Le autorità cittadine, dopo aver tentato invano di farli rinsavire da quella specie di follia collettiva e ritrattare dalla loro fede anabattista, li condannarono alla decapitazione. Condotti al patibolo il giorno 5 marzo, serbarono animo sereno e volto sorridente, ed esortarono i presenti, fra i quali non pochi anabattisti, ad amare Dio sopra tutte le cose e a sacrificarsi perché la giustizia umana trionfasse sull'attuale ingiustizia.
II 10 marzo comparvero alle porte della città un migliaio di anabattisti provenienti dall'Hannover. Ciò fa supporre che il tentativo di Giovanni Sibert, più che effetto di esaltazione, fosse frutto di un accordo con costoro. Saputo però che la città era tranquilla e che non avrebbero potuto ottenerne la sollevazione dopo l' infelice fine di Sibert, si allontanarono rapidamente. Nello stesso tempo altre sommosse si ebbero in Frisia, represse con sollecitudine e con sanguinosa energia dal governatore Giovanni Schenk.
Gèlon era giunto in Amsterdam in febbraio. Dopo la repressione e la condanna di Sibert e dei suoi compagni, ritenne opportuno allontanarsi dalla città per evitare una eguale sorte,e peregrinò per l'Olanda predicando sempre l'avvento dell'anabattismo. La sua propaganda dava buoni frutti, poiché le teorie del comunismo affascinavano operai, contadini e anche molta parte della borghesia non meno oppressa di costoro dalle innumerevoli angherie dei nobili e del clero. Ma la grande astuzia di cui egli era dotato gli suggerì un audacissimo e geniale piano.

Presentatosi alla Regina Maria che governava i Paesi Bassi in nome del fratello Carlo, confessa -di aver partecipato alla propaganda anabattista, ma affermò di essere talmente pentito del suo errore, che per riparare al mal fatto prometteva, qualora gli fosse concesso, di assoldare un esercito in Olanda e con esso marciare contro Munster. La sua parola ardita e l'aspetto di sincero ravvedimento convinsero la Regina Maria che non solo gli permise di soggiornare in Amsterdam, ma anche lo provvide di danaro per acquistare armi ed arruolare milizie per l'esecuzione del piano da lui riferito.
In tal modo Gèlon, esultante, poté rientrare in Amsterdam, e fingendo di preparare la spedizione contro Munster, iniziò i preparativi per una generale sommossa degli anabattisti, servendosi del danaro che la Regina Maria gli aveva fornito. Venne protetto dal Senato, accarezzato dai ricchi e dai potenti ed aiutato in ogni maniera a procacciarsi le armi che gli occorrevano ; frattanto segretamente preparava un audace colpo di mano per impadronirsi della città.
Il piano da lui escogitato consisteva nell'assalire nottetempo con pochi audaci I'Hótel de Ville, suonare a stormo le campane perché tutti gli altri anabattisti uscissero dalle loro case e si dirigessero verso tale edificio come punto di riunione, massacrare le autorità ecclesiastiche e civili e impadronirsi delle porte della città in attesa dell'arrivo di altri anabattisti da Devanter e da Weser. Il resto sarebbe venuto da sé.

Nella notte sul 10 maggio, oscura e piovosa, Gèlon e un certo numero di animosi seguaci uscirono da una casa al vico Pilano ove erano nascosti, e si diressero celermente all'Hòtel de Ville. La prima sentinella fu uccisa nel sonno ; le altre si difesero, ma vennero rapidamente sopraffatte. Quella breve difesa però fu sufficiente perché un guardiano, certo Simone Putt, sfuggendo agli assalitori, riuscisse ad asserragliarsi nella torre, impedendo che gli anabattisti penetrassero nel campanile e che potessero suonare la campana che doveva dare il segnale a tutti i congiurati.
Frattanto la notizia della rivolta cominciava a spargersi nella città. Contemporaneamente uscivano nelle vie gruppi di soldati per sedare i tumulti e frotte disordinate di anabattisti che cercavano di raggiungere il loro capo.
Ne nacquero combattimenti parziali e frazionati nei quali gli anabattisti ebbero presto la peggio; Gèlon, rinunciando ad occupare il campanile, si asserragliò nella parte bassa dell'edificio, difendendosi strenuamente per tre giorni contro gli assalti della soldatesca. II 12 maggio l'edificio fu preso dopo accanita lotta in seguito alla quale Gèlon ed alcuni suoi compagni vennero uccisi, e ventotto furono fatti prigionieri.
La repressione fu orrenda. I più atroci supplizi vennero adoperati contro costoro e contro tutti quelli che, uomini e donne, erano stati imprigionati perché sospetti di anabattismo. I1 rogo, la crocifissione, l'annegamento, ecco le armi di cui si valse la reazione.

GIACOBBE CAMPENS, che dagli anabattisti era considerato come il loro vescovo, venne tormentato con incredibile malvagità ed ucciso. La triste funzione ebbe luogo nella piazza principale, e vi assistettero le autorità tutte e gran folla di cittadini. Il misero fu legato ad un palo; in testa gli venne messa, per irrisione, una mitria bicorne. Gli venne quindi tagliata la lingua perché essa gli era servita a predicare l'anabattismo ; gli venne troncata la mano destra perché con essa aveva dato il nuovo battesimo, e quindi venne ucciso a furia di percosse sul capo con sacchi imbottiti di lana, supplizio lungo e atroce. Il cadavere venne bruciato, mentre il capo e la mano destra vennero inchiodati ad una porta della città, ad estrema minaccia per quelli che volessero entrare in Amsterdam per predicarvi l'anabattismo.
Il supplizio di Cristo era ben poca cosa, in paragone!

Mentre tutto questo accadeva ad Amsterdam, le condizioni degli assediati in Munster diventavano precarie. La fame ormai incombeva sui cittadini, e le malattie si propagavano con rapidità impressionante. Le sofferenze divennero tali che i casi di suicidio e di pazzia erano quasi giornalieri. L' inasprirsi del blocco rendeva ormai impossibile ai paesani dei dintorni, tutti simpatizzanti per i difensori di Miinster sia per fede che per reazione alle angherie delle truppe episcopali, di portare clandestinamente viveri nella città.
Più disgustosi ancora riuscivano in tanta miseria e pericolo le abitudini e i vizi del Re e della corte, e le gozzoviglie alle quali lui, i capi anabattisti e le loro numerosissime donne si abbandonavano, intercalando le orge satrapiche con gli inni sacri e le brutali violenze. Gli animi erano incerti e i più puri anabattisti, come Rothmann, vivevano isolati nella meditazione e nel dolore, pronti alla lotta contro i nemici esterni qualora la comunità, loro novella patria che nel loro idealismo simboleggiava nella sua lotta tutta l'umanità sofferente, richiedesse il loro braccio, ma austeri ed incontaminati dalle nefandezze che si commettevano nella città.
Le notizie della fallita sollevazione di Amsterdam, pervenute nella città, tolsero ai difensori le ultime speranze sugli aiuti che si attendevano dall'Olanda, e provocarono una disperazione indicibile.

Ma la disavventura sembrava accrescere nel Re il furore erotico, la crudeltà e l'arbitrio. In verità, quanto andava commettendo in quel periodo Giovanni di Leyda la supporre che gli avvenimenti ultimi, e specie la fallita missione di Gèlon dopo le grandi speranze e gli ambiziosi sogni concepiti, gli avessero in parte sconvolta la mente. Egli alternava le più aspre violenze e le più inattese stranezze a minuziose ed intelligenti cure nel provvedere alla difesa della città.
Però oramai il pericolo incombente non consisteva negli assalti dell'esercito episcopale, assalti di esito assai dubbio, ma nella fame, nell'esaurimento, nell'angoscia del lungo blocco. Ecco come Meshovo descrive le misere condizioni degli abitanti, narrazione che muove a pietà ed ammirazione per quei difensori che, malgrado ogni sofferenza, erano vigili e pronti a respingere ogni assalto ed incrollabili nella loro fede.
“Calceorum solia ignibus torta, pelles et ani mantium excrementa cibus erant. Mater non filio, imo nec propriis visceribus parcit. Infantes vix ac ne vix quidem in lucem editi, ad carnificinam captantur, quorum membra passim e salsuggine extracta, etc...”.

Per diminuire il numero delle persone da sfamare, il Re acconsentì che oltre cinquecento invalidi, fra uomini e donne, uscissero dalla città con i loro figlioli. Una delle porte di Munster si schiuse per dare il passaggio alla dolorante turba. Erano vecchi macilenti, giovani resi invalidi dalle malattie e dalle ferite mal curate, donne consunte dagli stenti, fanciulli che appena avevano la forza di camminare od ancora poppanti. Oltrepassate le mura, parte degli uomini si avviò verso il campo nemico per implorare grazia e nutrimento, e gli altri, nell'attesa, si accamparono in un'ampia radura fra le fortificazioni della città e il fossato principale.
Nessuna pietà fu usata dagli episcopali ; essi miravano sghignazzando il triste spettacolo, e quindi trucidavano tutti coloro che man mano giungevano a portata delle loro armi. Gli altri uomini, le donne e i fanciulli restarono ove si erano accampati.
Otto giorni durò la loro straziante agonia. Alla fine degli otto giorni molti di essi giacevano cadaveri sul posto, gli altri, nutritisi di erbe e di radici, non erano più che larve umane. Finalmente il Vescovo permise a questi infelici superstiti di entrare nei suoi accampamenti, ove, dopo una prima distribuzione di viveri, vennero imprigionati in attesa che la loro sorte fosse decisa.

Tutte le notizie provenienti da Munster, nonché le insistenze dei principi che avevano fornito le truppe e minacciavano di riprenderle se la città non fosse subito occupata, decisero il Vescovo a tentare un nuovo e più violento assalto. Le soldatesche episcopali si erano venute rafforzando e migliorando grazie l'abile ed accurato comando di ULRICO DI FALKENSTEIN. Ciò nonostante, l'esempio dei precedenti assalti alla città così sanguinosamente respinti non invogliava i comandanti a ritentare la prova, preferendo essi al dubbio risultato di un nuovo assalto il sicuro esito del blocco. I prigionieri che venivano talvolta presi ai difensori, e qualche fuggiasco, testimoniavano al solo aspetto macilento dello stato di estrema miseria e delle orribili privazioni da essi subite, tanto che per scherno gli episcopali chiamavano i difensori di Munster con l'appellativo di “pallidi” a causa del pallore del loro volto emaciato.
A questi miseri, il più delle volte uccisi dopo una penosa prigionia, venivano rivolte domande sulle intenzioni di Giovanni di Leyda, sulle difese della città, sulle provviste ancora esistenti, né si tralasciava di beffeggiarli sul bel risultato che, a giudicare dal loro aspetto e dalla loro fame, aveva prodotto la comunità dei beni, comunità che anzi, per derisione, veniva chiamata la “comunità della fame” ; indi si chiedevano loro notizie delle varie mogli del Re, della poligamia, e la beffa diventava il più delle volte lubrica.

Malgrado ciò, le truppe episcopali non osavano avvicinarsi alle mura della città difesa da questi esseri pallidi, sfiniti, ma ostinati, e il perentorio ordine del Vescovo di procedere all'assalto restava lettera morta, palleggiandosi i comandanti l'un l'altro la responsabilità dell'azione, e rifiutando il comando della colonna di attacco. Fu ventura per costoro che ancora una volta il tradimento andasse loro incontro, risolvendo le loro diatribe.
Un certo GIOVANNI DI LANGESTRATEN, uomo astuto, temerario e di pochi scrupoli, faceva parte delle truppe vescovili fra le quali egli ambiva cogliere onori e rinomanza. Trascurato, invece, dagli ufficiali di quelle truppe, stimò più facile ai suoi ambiziosi propositi il cercare la gloria fra i difensori di Munster, ed una notte si presentò alle sentinelle della città, chiedendo di essere ammesso fra i difensori.

Ma anche qui, forse per lo scarso fervore dimostrato nella nuova fede alla quale egli in realtà credeva né punto né poco, o forse per una naturale diffidenza che la sua diserzione ispirava agli anabattisti, egli non ebbe fortuna, restando quasi dimenticato fra i più umili soldati. Le sofferenze e le privazioni lo convinsero finalmente che Munster non era terreno adatto alle sue ambizioni, onde decise di disertare nuovamente, e per non incorrere nella grave pena che lo attendeva, pensò di ottenere il perdono del Vescovo promettendo di far cadere la città nelle mani degli episcopali.
Una notte, approfittando della scarsa vigilanza delle sentinelle, riuscì ad oltrepassare la difesa della città e a presentarsi al campo episcopale. Condotto a sua richiesta alla presenza di Ulrico di Falkenstein, egli rivelò francamente il motivo della sua duplice diserzione e diede le più ampie notizie sullo stato d'animo dei difensori, sulle condizioni dei lavori difensivi, e su quanto potesse servire a dimostrare la sua decisa volontà di riabilitarsi ; infine si offerse di prendere la città, solo che gli avessero dati quattrocento armati di animo deciso e gli avessero lasciata libertà d'azione e il merito dell'impresa.

Non parve vero ai comandanti di uscire dall'imbarazzo nel quale si trovavano per il perentorio ordine del Vescovo di prendere a qualunque costo la città ; i quattrocento uomini gli furono senz'altro concessi, ma al suo fianco fu messo il capitano WILKING STADING, con l'incarico di sorvegliarlo durante l'attacco e di ucciderlo appena egli avesse mostrato intenzione di tradire ancora una volta.
Il 22 giugno il Vescovo intimò nuovamente la resa alla città. Il messaggio non giunse fino al Re, poiché, consegnato prima a Rothmann, questi respinse l'intimazione, interpretando in tal modo la volontà del Re e del popolo. Frattanto Langestraten aveva ultimati i preparativi per l'esecuzione del suo piano.

La notte sul 23 egli, riuniti i suoi quattrocento uomini, si mise in agguato per cogliere il momento opportuno all'assalto ; ma la vigilanza delle sentinelle gli parve troppo accorta perché si decidesse ad agire. La sera del 24 giugno un violento temporale si scatenò su tutta la regione, seguito da pioggia dirotta. Per il mal tempo la sorveglianza delle guardie alle mura e alle fortificazioni della città era diminuita e le sentinelle si erano allontanate dai loro posti per cercare di ripararsi alla meglio dalla pioggia. Langestraten, intuito ciò e approfittando della perfetta conoscenza che egli aveva delle difese della città, condusse la colonna di attacco di fronte al fossato, nel punto ove il passaggio era più facile. Il resto dell'esercito si preparava intanto nel più grande silenzio ad intervenire appena il momento fosse giudicato opportuno. Langestraten riuscì ad attraversare con i suoi uomini il fossato; progredendo verso la città, si imbatté in alcuni uomini che tornavano al loro posto di guardia; li assalì e li uccise senza che avessero tempo di gettare l'allarme. Giunto alle mura nel punto da lui scelto, iniziò la scalata.
Finalmente fra i difensori qualcuno si accorse di quanto accadeva, e diede l'allarme. Ma era già tardi, poiché Langestraten era oramai riuscito a superare le mura, entrare in Munster ed irrompere verso il centro coi suoi uomini.

In un baleno tutta la città fu in armi ; ma non si sapeva bene ove fosse il nemico. Molti accorsero alle mura, credendo che gli episcopali fossero ancora oltre il fossato; invece Langestraten, attraverso vie secondarie a lui perfettamente note, avanzava rapidamente verso la piazza del Mercato trucidando quanti incontrava lungo il cammino.

Alla notizia che gli episcopali erano entrati in città, il Re, riuniti quanti armati poté trovare nella enorme confusione di quella tragica ora, pronunziò parole di incitamento e di fede, cercando di rianimare i più avviliti, e si avviò poi verso la piazza del Mercato ove Langestraten si era già asserragliato circondandosi di barricate fatte con i carri rovesciati e con suppellettili tolte alle case vicine. Ad essi si aggiunse Rothmann, che solo allora ritenne giunto il momento di far risuonare nuovamente la sua vibrante parola di incoraggiamento, parola per tanti mesi non più udita. Sopraggiunsero successivamente Krechting, Knipperdolling e gli altri capi anabattisti.
Una cruenta mischia si accese sotto la pioggia fitta e nelle tenebre rotte qua e là dalle fiamme giallastre delle torcie. Passata ormai la sorpresa, gli anabattisti avevano ritrovato il loro ardimento e mentre le porte venivano guardate e difese da pochi uomini e dalle donne, gli altri, guidati dal Re e da Knipperdolling, Rothmann e Krechting, si battevano furiosamente nella piazza. Le barricate furono conquistate e superate ; dei quattrocento episcopali oltre un centinaio, fra cui Wilking Stading, furono trucidati, e gli altri lentamente erano spinti, combattendo, verso una piazzetta senz'altra uscita, chiamata “Piccola Cappella di Santa Margherita”.

Alte grida di vittoria risuonavano nella piazza e dalle mura, alle quali rispondevano gli urli di disperazione e di rabbia dei trecento episcopali sempre più stretti fra il nemico incalzante e le mura della piazzetta. Le grida vittoriose, lanciate dalle mura, giunsero fino agli altri episcopali che si erano, frattanto, avvicinati alla città, e li convinsero che il tentativo dei commilitoni era ormai fallito ; essi si allontanarono, pur restando in attesa difensiva per respingere ogni eventuale sortita che gli anabattisti, imbaldanziti dal trionfo, potessero tentare.
I superstiti delle truppe di Langestraten sembravano già destinati all'eccidio, quando il loro capo, esperto conoscitore dei luoghi, riconobbe un edificio il cui cortile aveva una porta nella piazzetta ed un'altra in una viuzza adiacente. Lasciati alcuni animosi a trattenere il nemico, egli, seguito dagli altri, attraversò il cortile, e correndo per alcune vie laterali, riuscì a piombare inatteso alle spalle degli anabattisti che, levando urla di vittoria, ancora si accanivano contro il manipolo di uomini asserragliati alla “Piccola Cappella”.

La manovra ebbe un effetto decisivo. Gli anabattisti furono presi dal panico, credendo che il grosso dell'esercito episcopale fosse entrato in città forzando la difesa delle mura. Il combattimento degenerò in lotte isolate fra i cattolici e i pochi animosi, fra cui Rothmann, che preferivano morire combattendo piuttosto che darsi alla fuga, mentre Langestraten inviava alle mura alcuni soldati affinché con grida e segnalazioni invitassero le altre truppe ad entrare nella città.
Era già l'alba quando questo esercito, che già altre volte era stato ributtato in disordine dai pochi difensori della città, vi entrava senza colpo ferire, iniziando, a compimento di quanto già stava facendo Langestraten, la strage per lunghi mesi premeditata. L'eccidio fu metodico, crudele, organizzato. La città fu divisa in zone, ed in ciascuna di essa un capo e dei soldati diedero mano alla triste opera. Non furono risparmiati i fanciulli né le donne, solo che fossero creduti anabattisti o parenti di anabattisti. Con i genitori vennero uccisi i figli, i poppanti tolti al seno delle madri e sgozzati. Nessuna donna di aspetto meno che ripugnante riuscì a sottrarsi alle peggiori violenze. Le case degli anabattisti furono saccheggiate, e poiché ben misero era il frutto di tale saccheggio, l' ira degli episcopali suggeriva nuovi delitti.

Tre giorni durò l'orrendo spettacolo senza che il Vescovo, rimasto fuori della città, inviasse una parola di biasimo o di moderazione. Dopo tre giorni, la feroce esaltazione riuscì a placarsi nel sangue. Rothmann era stato ucciso durante il combattimento.
II Re, Knipperdolling e Krechting furono presi prigionieri e chiusi nel carcere della città in attesa che si studiasse quale supplizio potesse essere commisurato alle loro gesta.

Il 7 luglio, nella piazza del Mercato, la bella Divara veniva decapitata. Per i cattolici costei era rea di essere stata la compagna del Re; a nulla valse la generale simpatia della quale ella era circondata non solo per l'avvenenza della persona, ma più ancora per la bontà dell'animo e per l'opera di moderazione che aveva sempre esercitata presso il Re in favore degli stessi prigionieri cattolici. Le altre regine, abbandonate alla mercé della soldatesca, subirono ogni sorta di oltraggi e furono poi miseramente massacrate. Tale era il fetore dei cadaveri e del sangue, che il Vescovo, entrato in Munster, non riuscì a restarvi oltre un giorno, e dopo avere esaminato il bottino, di cui una metà spettava a lui, ritornò alla sua sede vescovile fuori della città.
Giovanni di Leyda fu trasportato nella peggiore cella delle prigioni ; il suo sostentamento fu ridotto al tanto che fosse appena sufficiente a tenerlo in vita fino al giorno dell'nevitabile supplizio.
Il Vescovo volle parlargli. Egli venne tratto dal carcere, e, incatenato, a capo scoperto, fra due cavalieri e con grande seguito di armati sghignazzanti, avviato verso la residenza vescovile. Condotto alla presenza del Vescovo, mentre questi lo fissava con sguardo torvo e sdegnato, Giovanni di Leyda esclamò “È così che merita di essere trattato un Re?”.
Ed il Vescovo, di rimando “Vile ed infame impostore, che cosa ti ha spinto a ridurre il mio popolo in tanta sventura?”.

Giovanni di Leyda lo interruppe sdegnosamente: “O Francesco Waldek, tu non saresti giammai entrato nella città desolata, se anche avessimo dovuto morire di fame, qualora il tradimento non ci avesse colpiti così sventuratamente. E consolati, perché se molto oro ed argento hai sciupato nell'assedio, potrai presto guadagnarne dieci volte di più, cosa che certo ti sta molto a cuore”.
Ed avendo il Vescovo chiesto il significato di tali strane parole, egli aggiunse con tono ironico e sprezzante: “Prendi una gabbia chiusa da tutte le parti con forti pareti e da una parte con una cancellata di ferro ; colloca dentro di essa il mio corpo, e mandala poi in giro per tutte le province dell'Europa ; tante saranno le persone che chiederanno di vedermi e ti pagheranno perché tu mi mostri loro, che raccoglierai tanto oro quanto tu stesso non supponi”.
“Tu sarai rinchiuso in una gabbia” esclamò il Vescovo furente “ma per ben altra ragione, e il Vescovo Francesco di Waldek ti mostrerà così ai tuoi turpi amici, non per guadagnare dell'oro, ma per farli tremare!”. Indi aggiunse “Chi ti ha dato l'autorità e il diritto di fare quanto hai fatto?”.
“E a te - rispose di Leyda - chi ha data l'autorità che eserciti sul clero e sul popolo? lo ho avuto l'autorità da tutto il popolo e dal Signore Iddio, e l'ho adoperata per la redenzione del popolo stesso e per la volontà di Dio. Tu invece hai oppresso il tuo popolo, falsata e sfruttata ai tuoi fini la parola di Dio!".
Nella stessa giornata di Leyda fu rinchiuso nella torre di Bewergern poco lontano dalla città, e severamente sorvegliato.

Trattone poco dopo, incominciò per lui una triste peregrinazione che equivaleva ad un'agonia. Fu inviato nelle città e nei villaggi attorno a Munster ed esposto ad esempio e ludibrio sulle pubbliche piazze; poi nuovamente ricondotto alla torre di Bewergern. Vi si recarono vari principi ad interrogarlo, non per spirito di umanittà, ma per curiosità di quest'uomo che per diciottto mesi aveva resistito a truppe numerose, aveva creato ordinamenti nuovi, minacciato uno sconvolgimento senza precedenti in tutti gli ordini sociali, ed ora, sapendo la triste fine che lo attendeva, riusciva a conservare ancora un così impressionante dominio di se stesso. Interrogato sui precedenti della sua venuta a Munster, egli fece la seguente dichiarazione:
“Mi recai una prima volta a Munster per ascoltare i celebri predicatori che vi si trovavano. Di là mi recai ad Osnabruik, poi a Schoepingen, a Coesfeld ed infine tornai alla mia città natale, cioè a Leyda, ove feci la conoscenza di Giovanni Mathias, che divenne íl mio amico ed il mio maestro. Mathias abitò per due mesi nella mia casa; egli mi ribattezzò e proclamò profeta. Partii nuovamente per fare propaganda a Briel e a Rotterdam. Tornato a Leyda, ribattezzai mia moglie ed i miei figliuoli, e poi mi recai ad Amsterdam e ad Alkmar ove fra i poveri e gli sfruttati la mia parola trovò grande accoglienza e feci molti proseliti. Infine ritornai a Leyda per salutare la mia famiglia, e quindi raggiunsi il mio maestro Mathias che mi chiamava a Munster”.

Due volte si recò da lui il langravio di Assia, poi alcuni monaci; ma a costoso egli si rifiutò di rispondere. Venne poi inviato al duca di Clève che lo trattenne qualche tempo per mostrarlo ai suoi sudditi, ed infine fu di nuovo rinchiuso nella torre di Bewergern.
Nella tristezza della prigionia, incrudelita dal presentimento di una orrenda morte, egli meditò, comprese e confessò l'errore commesso nell'avere istituita la poligamia, e ammise altri errori di indole assolutamente religiosa, facendo ritrattazione.
Potrebbe anche aver fatto ciò sperando di sfuggire, se non alla morte, almeno ai tormenti. Ma mantenne inalterata, come già Munzer e gli altri martiri, la sua fede nei due caposaldi dell'anabattismo: nuovo battesimo, cioè rigenerazione religiosa, e comunità assoluta dei beni, cioè rigenerazione sociale.
Knipperdolling, invitato a ritrattarsi, rifiutò recisamente, dichiarandosi pronto a subire qualunque sorte ; inviatogli un frate perché si confessasse, non volle riceverlo, affermando che nessun peccato egli credeva di aver commesso, e ritenendo ad ogni modo che meglio fosse amare Dio con le opere buone e i sacrifici a favore degli oppressi, che cantando, salmodiando e genuflettendosi nelle chiese.
Krechting, sottoposto a domande di ogni genere, e deriso perché, essendo di nobile origine, si fosse tanto affaticato per sollevare il popolo contro i nobili, pregò lo si lasciasse in pace col suo spirito e con la sua coscienza, e non volle aggiungere altro.

Già fin dal 23 luglio, in una riunione tenuta dal Vescovo e dai legati dei principi, era stata emessa sentenza di morte contro i tre prigionieri ; la morte doveva essere esemplare, tale da destare terrore e raccapriccio e sconsigliare i sudditi da ogni futura velleità di rivolta.
L'esecuzione ebbe luogo il 22 gennaio 1535 in Munster. In tale occasione convennero nella città il Vescovo Francesco di Waldek, l'arcivescovo di Colonia e il duca di Cléve. II palco fu eretto nella piazza del Mercato, nella stessa piazza ove Tuiscosorer aveva investito Giovanni di Leyda della autorità regia, ove questi aveva fatto erigere il suo trono, ove si era svolta la furiosa mischia fra anabattisti e cattolici per effetto della quale la città era stata rioccupata dal Vescovo.
Questi, l'arcivescovo di Colonia e il duca di Clève assistevano al supplizio contornati dal loro seguito, da una folla di soldati crudeli e spavaldi e da tutti coloro che, già esuli, erano rientrati in città dopo la sconfitta degli anabattisti. Alle undici del mattino Giovanni di Leyda, Knipperdolling e Krechting, incatenati l'uno all'altro, furono condotti innanzi al palco. Il loro volto era pallido e smunto, gli abiti laceri, il corpo stanco ma come irrigidito nella volontà di sopportare con fermezza il tormento.
Appena liberati dalle catene essi si prostrarono al suolo ed invocarono a voce altissima Iddio affinché desse loro forza in quel terribile frangente. Venne quindi letta ai presenti la sentenza, lunga ed intercalata di sacre citazioni, e subito dopo i tre anabattisti vennero legati ciascuno ad un palo per le caviglie, i polsi e la gola.

Il supplizio ebbe inizio da Giovanni di Leyda ; dopo pochi minuti fu iniziato anche quello degli altri due compagni. Con tenaglie arroventate gli vennero strappati brandelli di carne in ogni parte del corpo ; egli ebbe la forza di sopportare l'atroce dolore senza un sol gemito. Knipperdolling, invece, levava alte grida di dolore che facevano fremere di orrore gli astanti, finché, sperando di por fine allo strazio, spinse violentemente il capo in avanti tentando di soffocarsi. Ma alcuni soldati accorsero prontamente, gli aprirono a forza la bocca e gli fecero passare la corda fra le mascelle, stringendo i nodi al palo, ed immobilizzandolo. Krechting gemeva e pregava, e fu il primo a perdere i sensi, senza che per ciò il supplizio fosse affrettato. A tutti e tre venne poi strappata, sempre con tenaglie arroventate, la lingua, e infine, quando la loro vita non era più che un soffio, un soldato, cominciando da di Leyda, li pugnalò al cuore successivamente.
II Moreri così concisamente si esprime nel suo «Mèlange de l'histoire sacrèe et profane»; «Bécold et Knipperdolling furent pris prisionniers et souffrirent, quelque temps après, le supplice qu' ils meritoient».
Il cadavere del Re venne chiuso fra quelli di Knipperdolling e di Krechting in una gabbia di ferro e legato alla volta per la testa; la gabbia venne sospesa alla torre della cattedrale di Saint Lambert ed ivi lasciata come ammonimento e perpetua minaccia. Per molto tempo le ossa di questi miseri vennero esposte alle intemperie, senza che alcuno osasse chiedere che cessasse il macabro spettacolo.La tenaglia adoperata per il supplizio fu incastrata in una colonna dell' Hotel de la Ville.
La città tornò sotto il dominio del clero, dominio più inasprito che mai, ed ogni velleità di comunismo scomparve, soffocata dagli avversari nel sangue e dai fautori nel fango di innumerevoli e nefandi errori.

FINE

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