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CRONOLOGIA

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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1921 (2 bis)

CAP. IV - FONDAZIONE COLONIA
COMUNISTA IN MORAVIA

I nuclei anabattisti, perseguitati d'ogni parte, si sparsero, si distanziarono, e fondarono associazioni ove l'ambiente sembrava meno ostile. Associazioni che rapidamente aumentarono di numero e di adepti.
Un prediletto seguace di STORK più degli altri si dedicava all'opera di riorganizzazione della setta e alla propaganda, recandosi a varie riprese nella Germania e nella Svizzera e preoccupandosi sopratutto di uscire dalle astrazioni inutili e dalle irrealtà, per entrare a vele spiegate nel campo della attuazione.

Era costui GIACOBBE HUTTER, figlio di un modesto operaio tirolese, uomo dotato di mente positiva e di alto ingegno, di parola facile e di dottrina non comune. Erano con lui certo GABRIEL e SCHERTING, ferventi anabattisti quanto abili organizzatori. Essi riuscirono a raccogliere in Slesia un forte numero di seguaci; ma presto la loro attività venne giudicata pericolosa alla pubblica tranquillità, e vennero espulsi, con ingiunzione di non più mettere piede in Slesia; essi decisero quindi di emigrare con i più attivi seguaci in MORAVIA, ove progettavano di gettare le basi di una VASTA COLONIA COMUNISTA.

Prima di abbandonare la Slesia, quegli anabattisti che possedevano beni immobili (ed erano ben pochi) li vendettero a vile prezzo, ed il ricavato di tali vendite fu consegnato ad Hutter quale capo della comunità.

Si era nel 1530. Si vedevano torme di emigranti, intere famiglie, avviarsi penosamente dai loro villaggi verso la terra promessa, beffeggiati spesso al loro passaggio, talvolta obbligati a percorrere lunghi itinerari per evitare gli assalti che le milizie dei principi, come bande di predoni, tentavano ai loro danni. Hutter precedette in Moravia questo vasto movimento emigratorio dalla Slesia, e man mano che i gruppi di anabattisti giungevano a lui, egli li riorganizzava e dava ad essi una sistemazione corrispondente al suo ardito disegno. Col ricavato delle vendite e con oblazioni inviate dalla Germania furono presi in affitto vasti tratti di terra completamente incolta, dove la popolazione indigena era nulla o scarsissima; e poiché i primi immigrati in Moravia non erano in numero sufficiente per realizzare il vasto piano di Hutter, furono lanciati appelli, specie per opera di Scherting, ai contadini della Polonia, Germania, Lituania, Svizzera, Tirolo, Baviera e Slesia perché accorressero a popolare la grande colonia comunista ove ciascuno avrebbe goduto intero il frutto del suo lavoro in piena libertà.

Gli anabattisti della colonia morava riconoscevano la sola autorità di Hutter che sapeva parlare loro con parola affascinante e suggestiva, quasi fosse ispirato da Dio. Egli infatti soleva dire:
“Così Iddio ha parlato, così dice il Signore, ecco la parola che a voi manda il Signore...” e i suoi discorsi esaltavano
la GIUSTIZIA,
l 'AUSTERITÀ della vita,
l' EGUAGLIANZA DEI DIRITTI di tutti gli uomini,
la COMUNIONE DEI BENI.

Le lettere inviate ai correligionari delle lontane province erano quanto mai efficaci, perché toccavano sul vivo la piaga dolorante della miseria e dell'abbrutimento nel quale i contadini erano lasciati dalla società. Così Scherting scriveva ai contadini e agli operai della Polonia:
“Che cosa farete voi, poveri contadini, poveri operai, quando sarete vecchi, sfiniti, ammalati? A che sarà servito il vostro lavoro incessante, il vostro sudore di sangue? Per chi oggi vivete voi? per chi lavorate? per chi morirete? Poveri diavoli in estate, poveri infelici in inverno! Non vale meglio impiegare le vostre braccia, i vostri muscoli, i vostri attrezzi da lavoro nell' interesse della santa associazione che vi darà degli abiti quando avrete freddo, delle cure quando sarete ammalati, del pane quando avrete fame, che avrà cura dei vostri figlioletti avviandoli ad un sano e sicuro avvenire? Ricordate che i vostri padri hanno lavorato giorno e notte, e voi siete tuttora schiavi, come lo saranno i vostri figli; la bestia nella scuderia, come l'animale nella foresta, è mille volte più sereno di voi.
Volete voi essere felici e lavorare per voi e per i vostri fratelli che avranno comuni con voi pene e gioie? Venite a noi, venite nella Moravia!”.

Queste epistole, nelle quali si nota per altro un certo stile enfatico e alquanto ciarlatanesco, riuscivano di grande efficacia; il nucleo di anabattisti della Moravia cresceva rapidamente, ed erano lavoratori probi e disciplinati, poiché Hutter aveva cura che elementi torbidi e pigri non fossero accettati nella comunità. Egli rifiutava pure l'accesso a quelli che, oltre la comunione dei beni, predicavano l'abolizione del matrimonio, innovazione che egli prudentemente giudicava fomentatore di dissensi.

Non era ancora definitivamente fondata la colonia, che un primo editto del Re Ferdinando ordinò l' immediata espulsione degli anabattisti. I pochi che ad esso osarono ribellarsi furono decapitati, gli altri intrapresero il cammino dell'esilio. Ma ben presto il Re si accorse di aver commesso un errore, dal momento che questi solerti e pacifici coloni erano sulla via di fertilizzare col loro accurato lavoro una fra le piaghe allora quasi deserte e del tutto incolte; onde l'editto fu ritirato e gli anabattisti rientrarono festanti nel territorio della colonia. Ma non passò molto tempo che il Re Ferdinando, impressionato sinistramente dai moti che in altre regioni, specie in Germania e Svizzera, erano stati provocati dagli anabattisti, scrisse al Maresciallo governatore della Moravia che si procedesse nuovamente alla espulsione di questi immigrati che egli considerava elementi torbidi.

Grida di indignazione e di protesta, parole di dolore accolsero tale ordine. Essi si erano spogliati di tutto per fondare la nuova colonia, ed il ritorno alle loro terre non era possibile; la più atroce miseria li aspettava ! Ma le loro proteste furono vane e le soldatesche regie, inviate per dare esecuzione all'ordine di espulsione, penetrarono nella colonia e ne scacciarono gli affiliati, sospingendoli lentamente verso il confine.
Mai si vide spettacolo tanto pietoso ! Questa torma di derelitti, fra cui donne coi figlioletti ancora poppanti, mal nutriti, disillusi, gente che nessun motivo di lamentela aveva dato al governo locale, che anzi aveva iniziato con faticoso lavoro un vasto dissodamento di terre incolte, era spinta verso l' ignoto, con l'orrenda visione di una morte per stenti. Hutter cercava di sollevare gli animi depressi degli esiliati, e pure nel dolore la sua parola era accetta e riconosciuta autorevole.
“Fratelli - egli diceva - Iddio è con noi come lo fu coi figli di Israele in Egitto, nel deserto, nella cattività di Babilonia; come noi, gli apostoli di Cristo furono esiliati, imprigionati, perseguitati in ogni modo, tormentati, suppliziati; Cristo stesso fu respinto dai Samaritani, e disse: “Le volpi hanno la loro tana, gli uccelli hanno il loro nido, ma il figlio del Signore non ha ove posare il capo” Fratelli, Cristo ci vede e ci proteggerà!”.

Lungo la strada dell'esilio i più vecchi, gli esausti, gli ammalati cadevano a terra e vi attendevano la liberazione con la morte; onde Hutter, prima che quella torma di fuggiaschi piombasse nel completo sfacelo, implorò la pietà del Re; ma la risposta, portata da alcuni ufficiali, fu una recisa conferma dell'ordine di espulsione. Ciò decise Hutter a scrivere al Maresciallo governatore una lettera che è tutto un grido di dolore e di esasperazione:
“Noi, fratelli e adoratori di Dio, veri testimoni della sua verità e sincerità, discepoli di Cristo, espulsi da vari luoghi per amore del suo nome e in odio alla verità, venimmo in Moravia ove vivemmo in concordia sotto l'autorità del Maresciallo, per grazia e protezione di Dio nostro Signore. Noi ti annunciamo che gli inviati per eseguire il tuo mandato sono giunti.
“Così ti rispondiamo: Noi abbiamo rinunziato al mondo, alle sue cattiverie, alle sue falsità, alla sua vita contraria a Dio e alla natura. Crediamo in Dio onnipotente, e in Gesù Cristo nostro Signore che ci difende da ogni pericolo, e al quale siamo votati con tutto ciò che possediamo e con la nostra stessa vita; ubbidiamo ai suoi precetti, seguiamo la sua fede, la sua dottrina e odiamo la iniquità e l'ingiustizia. Per tutto ciò siamo colpiti da persecuzioni ed esili e spogliati dei nostri beni come già venne fatto ai santi profeti, come già venne fatto a nostro Signore Gesù Cristo.
“Il Re Ferdinando, principe delle tenebre, truculento ed odioso tiranno, nemico della verità divina, persecutore della giustizia, ha causato la morte di parecchi dei nostri fratelli, senza alcuna misericordia. Egli ci tolse i nostri beni, le nostre case, e ci mandò in esilio, trattandoci inumanamente e crudelmente. Dopo di ciò tornammo in Moravia, e qui, sotto la tua autorità, vivemmo parecchio tempo in quiete e tranquillità, lavorando diligentemente, né fummo di peso o di danno ad alcuno, come ciascuno può attestare. Ciònonostante, noi siamo mandati in esilio! Noi ci trasciniamo per una regione solitaria, per una landa immensa e deserta, sotto un cielo nudo e gelido. Noi sopportiamo con rassegnazione tutto ciò, in nome dell'Eterno Padre che ci scelse a ciò per i suoi reconditi fini. Ma grande è il nostro dolore nel vedere così crudelmente trattati dei figli di Dio. È vero che i buoni sono destinati al dolore, ma guai, e ancora guai a tutti quelli che, senza una giusta causa, e nel nome di Dio, tali e tanti malanni ci infliggono, e ci scacciano da loro come cani e belve da ricacciare nel deserto! Si avvicini la sventura e la rovina per costoro! La mano del Signore già preme su di essi e così sarà oggi e nei secoli futuri. E Dio, secondo il presagio dei Profeta, vendicherà con la sua mano il sangue degli innocenti suoi figli.
E al vostro violento ordine di esilio, così noi rispondiamo:
“Noi non conosciamo alcun luogo ove ci sia concesso vivere sicuramente, né noi possiamo oltre rimanere ove ora siamo, morenti di fame e di sete. Da qualunque parte noi guardiamo, non vediamo che nemici; con noi soffrono un gran numero di vedove e di orfanelli i cui genitori vennero massacrati per ordine di Ferdinando, tiranno crudelissimo e nemico della giustizia divina. Noi non possiamo non condurli con noi, poiché è Dio che ce li ha confidati, e noi siamo responsabili dinanzi a Lui della loro vita. Meglio morire che abbandonare le donne e i fanciulli! Inoltre noi abbiamo i nostri beni che abbiamo comprati col nostro denaro e che abbiamo resi migliori col sudore delle nostre fronti, e voi ce li avete tolti! Ma noi ne abbisogniamo per le vedove e gli orfani dei nostri fratelli!

Miseri noi che siamo abbandonati in un deserto come esseri abbietti e indegni del cospetto umano! Rendeteci il nostro lavoro, e noi vivremo tranquillamente come prima di essere barbaramente espulsi. Non vogliamo essere di molestia a nessuno, neanche ai nostri nemici, neanche allo stesso Re Ferdinando. Nota è a tutti la nostra vita, noti i nostri costumi. Piuttosto che ingannare qualcuno, noi preferiamo perdere la stessa vita. Nessuno deve temere di noi, perché noi non portiamo arma alcuna. Coloro che dicono dì noi che ci riuniamo per prepararci alla guerra, mentono. Noi vorremmo che il mondo tutto fosse come noi siamo e della nostra fede, e certamente vedremmo la fine di tanti malanni che affliggono l'umanità. Espulsi da questa terra, non ci resta alcun rifugio, né Dio designò alcuna terra speciale per noi. Noi siamo nelle mani del Signore; se noi conoscessimo il luogo ove Egli vorrebbe che noi andassimo, noi vi andremmo con cuore lieto. Giorno e notte ci rivolgiamo a Lui affinché ci conduca ove Egli vuole.
Concedeteci un breve tempo; può darsi che Egli si rivelerà a noi e ci indicherà la nostra strada; ma maledizione e sempre maledizione a voi, se, in obbedienza al crudele tiranno Ferdinando, seguiterete a martirizzare i figli di Dio, seguiterete a versare il sangue innocente dei figli di Gesù ! Noi vi preghiamo, inoltre, di perdonarci per avervi voluto parlare in tal modo. Noi diciamo ciò che Iddio ci ispira, e ciò che facciamo viene da un animo puro e pieno di timore divino e di amore cristiano”.

Questa lettera, nella quale l'implorazione è pari allo sdegno per le ingiustizie subite, fu portata personalmente da Hutter al Maresciallo governatore, e a quanto in essa era scritto Hutter aggiunse a voce un argomento più convincente, dimostrando cioè ancora una volta il reale beneficio che avrebbe apportato alla Moravia la presenza di questa moltitudine di uomini forti, lavoratori assidui, d'animo tranquillo, di opinioni pacifiche, rispettosi delle leggi locali, moltitudine di uomini affratellati dal lavoro e dalla fede, e alla quale si addicevano le parole di S. Luca (Atti, VI) «... e la moltitudine formava un'anima sola”.
Le sue richieste ebbero finalmente accoglienza presso il Governatore e quindi presso il Re, ed Hutter ebbe autorizzazione a tornare in Moravia con i suoi seguaci, dietro impegno che nessuna propaganda questi avrebbero esercitata fra la popolazione indigena, e che nessuno degli anabattisti si sarebbe allontanato dalla colonia, per nessun motivo. La notizia da lui portata alla folla degli esiliati provocò immense esplosioni di gioia. Il ritorno di costoro nella colonia ebbe luogo fra gioiose manifestazioni, canti di inni sacri, osanna ad Hutter e perfino al Re Ferdinando, e, rientrata che fu la comunità nel possedimento dei beni abbandonati, il lavoro fu ripreso con maggiore lena.

Si sviluppa la colonia comunista

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