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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1917 (14)

CAPORETTO: IL RIPIEGAMENTO, LA RITIRATA, LA DISFATTA

IL RIPIEGAMENTO - A CIVIDALE - LA RITIRATA - LA LINEA DEL TORRE - LA DIFESA DI UDINE - GLI ARDITI ALLA DIFESA DI UDINE - RIPIEGAMENTO VERSO IL TAGLIAMENTO - I COMBATTIMENTI DEL 29 E DEL 30 OTTOBRE

(vedi qui la cartina delle operazioni sul fronte)

IL RIPIEGAMENTO

INIZIO DEL RIPIEGAMENTO
LA RITIRATA

Durante il giorno 27 ottobre, costatata la critica situazione che si era verificata dopo la prima parte dell'offensiva austro-tedesca sull'Isonzo, il generale CADORNA ritenne inevitabile il ripiegamento fino al Tagliamento e nella notte del 27 ottobre diramò gli ordini ai comandi delle varie armate che non erano in grado di fermare il poderoso attacco del nemico e di raggiungere la nuova linea arretrata.
Ma nella stessa notte inviò ordini al generale MAGLIETTI di portare a completamento la sistemazione difensiva del Piave iniziata assai prima ma per altro scopo. "Penseremo poi, - disse - se sarà il caso, all'Adige e al Po".

Solo il giorno 26-27, Cadorna si rese conto che l'offensiva non era solo austriaca, ma che alla guida dell'operazione vi erano comandanti tedeschi, e che questi erano riusciti a concentrare nella zona di guerra forze e armamenti di molto superiori alle italiane; e oltre ad affidarsi all'elemento sorpresa, furono molto avvantaggiati dalla sottovalutazione data da Cadorna al pericolo fino alla vigilia dell'attacco (il giorno 23), e inoltre -altro vantaggio- per avere impostata la sua strategia in una "difesa ad oltranza" e con uno spiegamento piuttosto dispersivo non avendo Cadorna ancora ben individuato, fino a poche ore prima, la zona da dove sarebbe partita la "grande offensiva".

Questa sferrata la notte del 24 e proseguita tutto il 25, si rivelò quella che poi era, cioè massiccia, e che convergeva su Caporetto lungo due direttrici: di Tolmino e di Plezzo, con l'intenzione di accerchiare la maggior parte del IV corpo d'armata e scompaginare le altre divisioni, provocando così lo sbandamento dell'intero fronte, dall'Altopiano della Bainsizza al Carso.
Per Cadorna non c'era più tempo da perdere, se non voleva "perdere" l'intero esercito, che stava rischiando di essere chiuso dentro una sacca. E fin dal giorno 26 precipitosamente fu fatto lo sgombero della Bainsizza (era costata il 18 agosto 165.000 uomini fra morti e feriti) delle truppe e di quasi tutte le artiglierie, sotto la protezione della 38a divisione e della brigata "Venezia", che difesero con grande bravura fino alla sera del 27 la posizione di Plava.
Il ripiegamento della III Armata dal Carso cominciò la notte del 27. Essa si lasciò dietro delle truppe di copertura che furono incaricate di distruggere magazzini, baraccamenti, materiale bellico pesante e come ultima azione di rendere inagibili le strade e far saltare i ponti.
La protezione del ripiegamento fu affidata alla 4a divisione del generale PAOLINI con le brigate "Granatieri" (1° e 2°), "Pinerolo" (13° e 14°), "Catania" (34° e 35°) "Arezzo" (225° e 226°, "Caserta" (267°e 268°), la 3a bersaglieri (17° e 18°); Reparti d'Assalto dell'Armata, le batterie someggiate, le batterie dei reggimenti 22°, 38°, 47° e 49° e gli squadroni del 2° "Piemonte Reale", dell'11° Cavalleggeri "Foggia" e del 17° Cavalleggeri "Caserta".

Ma dall'ala sinistra della II Armata la ritirata era cominciata prima ancora che fosse dato ordine di ripiegare. Soldati sbandati, laceri, senz'armi, scesi dalle montagne verso il piano, e contadini impauriti, cacciati dall'invasione si erano messi con le loro famiglie e le masserizie nelle stesse strade che conducevano alla pianura; più gli avvenimenti incalzavano, più la moltitudine dei dispersi e dei civili in fuga si faceva numerosa, portando nei paesi che attraversavano oltre che lo scompiglio la stessa angoscia che avevano addosso e la psicosi della fuga.

A Cividale, fin dal 25, per ordine del Comando della II Armata, il sindaco aveva pubblicato un proclama rassicurante, ma questo fu subito smentito dai fuggiaschi militari della stessa armata e migliaia di civili che riempivano le strade e si dirigevano verso Udine, raccontando (c'era gente infida al soldo austriaco) cose terribili ed esagerando le notizie; poi prendevano d'assalto i treni e gli autocarri o, mettendosi in marcia, intralciavano con carri e bestie il traffico delle grandi e delle piccole arterie stradali del territorio.

Proprio la mattina del 25 erano giunti a Cividale i primi cinque Reparti d'Assalto ("arditi") di Sdricca di Manzano, partiti dal loro campo la notte, per andare nella valle del Natisone, si diceva, e sbarrare al nemico il passo al vecchio confine.
Giunsero a Cividale cantando, urlando, sventolando i loro gagliardetti neri, giurando di ricacciare oltre i monti i Tedeschi, brandendo pugnali e moschetti e sparando com'era loro costume: singolare esempio d'entusiasmo e di baldanza in quello sconforto generale ! Ma nel pomeriggio del 26, non si sa perché, i fierissimi battaglioni di "Arditi" anziché su per la valle del Natisone, furono avviati verso il Corada.

Nel tardo pomeriggio del 26, il Comando della II Armata partì per Udine e mandò a ritirare la cassa d'Armata da Cormons. Nella notte molti abitanti di Cividale rimasero tutti fuori all'aperto, o temendo che durante il sonno accadessero cose gravissime, o per leggere in viso ai fuggiaschi le notizie dell'avanzata nemica, o per rendersi conto, dal loro numero e dai bagliori degli incendi lontani, della gravità della situazione.
La situazione il 27 ottobre, non era solo grave ma era gravissima, anzi critica. La linea italiana degli sbocchi fu il mattino attaccata con grande violenza dal nemico, che riuscì a sfondare su un vasto tratto fra Monte Madlessena e Castel del Monte. Verso mezzogiorno le prime pattuglie nemiche giungevano a Cividale, poi alla sera fu invasa dal grosso dell'esercito. Nel pomeriggio, anche la difesa della sella di Canebola fu vinta; reparti nemici occupavano la sella di Tananca e per la valle di Musi si dirigevano verso l'alto Torre, mentre l'ala destra della divisione Edelweiss continuava ad avanzare nella Val Resia.

Per l'ala sinistra della II Armata non ci fu scampo. Così narra questi eventi il Gori:
"Cessata, il 27, la resistenza sulle alture, la II Armata smise di mettere gli argini al "torrente" nemico, il quale travolse e sommerse intere divisioni italiane e, ad una ad una, le brigate che erano state richieste nelle lontane retrovie, a mano a mano che arrivavano,
Purtroppo l'esaltato grido, che nel grande caos gli Austro-tedeschi levavano, "a Milano ! a Milano !" convinsero tanti italiani che tutto era ormai perduto: il Carso, il Veneto e l'Italia.
La ritirata o piuttosto la fuga dell'ala sinistra non pare debba arrestarsi, dal momento che i nemici marciano misti ai nostri e spesso li precedono.... Elemento primissimo della ritirata e che le conferiva una caratteristica formidabilmente grandiosa, costituivano le innumerevoli famiglie friulane, le quali, miste alle truppe si allontanavano dalla loro terra: migrazioni simili alle preistoriche e da cambiare natura e forma ad una trista anabasi militare.

"Le popolazioni del Friuli (tutte italiane, poiché dagli inizi delle ostilità i nuclei slavi erano partiti) nei tre anni di guerra si erano abbastanza acclimatate alle temperie di guerra. Ma dopo l'imprevisto spezzarsi del fronte, il giorno 24, gli abitanti dei villaggi prossimi alle conche di Plezzo e di Tolmino (dove stavano convergendo gli austro-tedeschi, avevano cominciato a muoversi e a far fagotto: la stessa agitazione si diffuse subito pure nella valle del Natisone e oltre il Torre. Le autorità militari volevano negare l'evidenza e consigliare le popolazioni a non muoversi. Ma presto, incalzante il pericolo e per ordini che nessuno poi disse di aver dato, squadre di militari imposero discutibili sfratti, creando angosce e un fuggi fuggi caotico e inarrestabile.
Molti, per vari motivi (vecchi, malati, o con vari beni) rimasero, e avrebbero voluto partire; invece molti si trovarono a fuggire, prima ancora di aver capito che cosa accadeva e senza nemmeno aver deciso dove andare. Ci furono famiglie improvvisamente spezzate; e non di rado donne e fanciulli si davano alla fuga, senza il capofamiglia, di cui non avevano notizie da mesi, che non vedevano da anni, e che alcuni non videro mai più.

Chi riuscì a fare una parte del viaggio in ferrovia dovette attendere giorni e notti nelle stazioni, patendo fame, intemperie, e insulti. La massa invece fuggì a piedi; e a piedi, portandosi dietro a fatica le cose più care, percorse le melmose strade, formando un'immane fiumana, che in certi momenti defluiva come una processione e in altri si impaludava in intoppi e intasamenti.
Una moltitudine amorfa, nella quale stranamente si mescolavano ceti e sessi, riempiva, non solo le vie tracciate, ma i margini e i campi; e un ponte rotto o un carro messo di traverso, o l'ingorgo di un'altra moltitudine che sboccava da una via laterale era sufficiente per sconvolgere la fiumana creando una immenza babele vociante.

Vaghe disposizioni avrebbero dovuto regolare quel caos e tener distinti militari e borghesi ma nessuno le seguiva. Ogni tanto ufficiali superiori, con la pistola in pugno, urlavano ordini confusi, che non erano ascoltati e spesso servivano solo ad aumentare la confusione. Qui, gruppi di soldati si facevano largo con prepotenza, scaraventando nei fossati carrette di borghesi con gli animali attaccati, dividendo gruppi di compaesani, separando le madri dai figli; ma capitava anche di vedere un soldato, che con atto paterno, si portava abbracciato al collo un bambino stanco, forse ricordandogli quello lasciato a casa.
E nell'eterogenea mischia nemmeno mancavano Austriaci e Tedeschi, che talvolta se erano isolati erano catturati, ma altre volte un piccolo gruppo col solo presentarsi, erano loro a catturare interi reggimenti e brigate allo sbando.
Nell'oscena babele potevi osservare avanzare, in aspetto militare, schiere di soldati che formavano fasci e organizzavano gruppi bellicosi; ma non molto distante, altri soldati, senz'armi e senza cura, li vedevi buttarsi a terra, come degli smemorati, godersi puerilmente quell'attimo di posa, di libertà, di vita, dopo mesi e anni di costrizione, di tensione, d'abbattimento; e altrove, altri soldati, ladruncoli per vezzo o per fame entravano nelle case abbandonate e, o per bieco istinto o per matta bestialità, scassinavano, danneggiavano, o vandalicamente distruggevano.

I miseri paesi del Friuli, che il nemico seguitava a bombardare fin quando li ebbe quasi tutti incendiati e rasi al suolo, dovettero anche soffrir lo strazio e lo sfregio dei saccheggio dei soldati e dei civili italiani in fuga. Dei quali, alcuni erano i sacrileghi dei campi di battaglia, quelli che spogliano i soldati appena morti, quei sciacalli scolpiti con tratto michelangiolesco da Victor Hugo; antichi quanto la guerra e che fanno ribrezzo ai veri combattenti; altri erano ladri d'occasione e vuotavano zaini e tascapani abbandonati per riempire i propri di sigarette, cibarie, biancheria, o qualunque cosa capitasse a tiro.
E laddove qua un ladruncolo è, a rigore di legge fucilato sull'atto, là torme di saccheggiatori portavano in trionfo i ribaldi più rapaci che razziando avevano fatto un sostanzioso bottino.

Queste vergogne non furono solo infamie della sfaldatissima II Armata; pure alcuni reparti della III se ne insozzò, e pure i corpi della sinistra estrema, sebbene marciassero ordinati e del tutto sicuri dei loro fianchi. Miglior comportamento il Corpo più ordinato e sicuro, il XXIII (gen. DIAZ), che dall'Hermada, sospinti dagli assalti nemici, si era, il 27 diretto a San Giorgio di Nogaro. Le truppe inquadrate stavano ferme alla disciplina, si portavano dietro quasi tutte le artiglierie e marciavano in doppia fila allungata agli orli della strada, per riservare il centro ai profughi e ai carriaggi.
Ma le migliaia di non combattenti, tuttavia militari, addetti ai poligoni, agli stabilimenti, ai magazzini infiniti delle prime linee, avevano percorso le strade, dandosi al saccheggio, al furto, alla rapina, allo stupro.
I paesi che questi sbandati attraversarono presentavano dal più al meno le oscene tracce dell'improvvisato brigantaggio. La 28a divisione (gen. Petilli), l'ultima a sinistra, trovò, il 27, Cervignano devastata; e le strade ingombravano di mobilia distrutta, di vetri infranti, di casse e cassette spaccate, frantumi di piatti, di bottiglie, di bicchieri; e tra i mucchi di rottami scorrevano rivoli di vino e di liquori, sgorganti dalle botti e dai barili sfondati.
I pochi Cervignanesi rimasti, guardavano esterrefatti tanta iniqua rovina e versavano lacrime di rabbia e di umiliazione; narravano che alle loro proteste e preghiere quelli avevano risposto con percosse, rimproverandoli con "che, forse preferite che il nemico trovi sana la città e piene le cantine?".

Tra le file, i profughi numerosi si tenevano rispettosi e calmi; ma l'accozzaglia lurida degli sbandati, ingrossanti le colonne in marcia, insolentiva. Il 26 il sindaco di Udine aveva affisso il suo proclama rassicurante, ma era stato subito contraddetto dalle ondate di profughi da Cividale; e dalla stessa Udine vistosamente partivano per Padova molti ufficiali e famiglie del Comando Supremo.
La cittadinanza notava, sgomenta e indignata, i camions infiniti, che, di prima mattina, si portavano via strepitando cose d'ogni genere, e specialmente oggetti di proprietà e tante altre cose degli ufficiali dello Stato Maggiore. I feriti e i malati numerosi negli ospedali di Udine, se appena si reggevano in piedi, erano avvertiti che dovevano, a piedi, raggiungere il Tagliamento.

VERSO IL TAGLIAMENTO

E al Tagliamento si affrettavano moltissimi Udinesi. Vi si affrettavano tutte le autorità civili, che ne avevano l'ordine, ma con tanta fifa addosso, che dimenticavano di salvare importanti documenti e invano poi mandarono a recuperarli. Il direttore della sede udinese della Banca d'Italia ebbe la buona idea, fuggendo, di portarsi dietro e salvare molti milioni di spettanza governativa. Lasciò Udine (e fu detto per invito diretto del Papa) anche l'arcivescovo, contrariamente alle norme ecclesiastiche e al fatto che la maggior parte dei preti, rimasero ovunque, ultima rappresentanza superstite dell'autorità. Eppure con gli ultimi partenti, nel pomeriggio del 29, CADORNA, aveva ancora un aspetto sereno e sicuro (Gori)".

Sugli stessi fatti leggiamo anche quest'altra interessante pagina:
"Con la loro tattica gli austriaci raggiunsero una prima vittoria che permise loro di tagliare fuori la retroguardia italiana. Ma allora furono proprio gli italiani che trasformarono la sconfitta in disfatta. Le difese dietro le linee erano deboli e il comando non riuscì a far affluire in breve tempo, truppe di riserva fresche. Anzi, a volte non riuscì neppure a fare arretrare le truppe verso postazioni meno esposte. La maggior parte della II Armata fu abbandonata a se stessa senza ordini per due giorni. Gli altri contingenti riuscirono in gran parte a ritirarsi, ma ovunque vi fosse una minaccia austriaca la disciplina italiana era compromessa.
Fu così che centinaia di migliaia di soldati italiani scesero in rotta dalle montagne, alcuni senz'armi, altri saccheggiando e devastando, altri sparando dalla gioia perché la guerra era finita, altri ancora sparando ferivano i propri camerati in una sorta di folle frenesia dionisiaca, in gran parte semplicemente esausti e sollevati. Fu uno spettacolo straordinario che segnò sinistramente l'Italia per una generazione. Ma fu comunque meno caotico e violento di quanto avrebbe potuto essere; gli ufficiali non furono toccati, e sia Cadorna sia il Re furono trattati con rispetto. I testimoni oculari riferiscono di aver sentito grida di "Viva la pace! Viva il papa! Viva Giolitti!" ma niente di più minaccioso. (vedi resoconto di Amendola, in O. Malagodi, "Conversazioni�I, pag 184). Almeno 200.000 soldati persero contatto con i loro reggimenti, che poi finirono sban dati oltre la linea del Piave, e 300.000 furono fatti prigionieri. (M. Clark, in "Storia dell'Italia contemporanea", Bompiani, p. 258)".

Il 29 Cadorna non disperava, ma già la sera del 27 la Il Armata, o meglio ciò che era rimasto, ripiegando, si tendeva con la destra dal Podgora a Buttrio, fronte a nord, per proteggere la ritirata della III Armata, con il centro e la sinistra da Pradamano lungo il fiume Torre fino al Monte Stella, sopra Tarcento. Reparti dell'estrema sinistra resistevano ancora accanitamente nella zona S. Trinità, M. Zuagna. Da Val Fella e da Val Raccolana cominciava lo sgombro, che il giorno dopo, lentamente seguiti dal nemico, dovevano raggiungere la linea Palluzza-Paularo-Dogna-Raccolana.
Da Udine, la sera e la notte del 27 partiva ancora gente, ma rimanevano non pochi abitanti, che si asserragliavano nelle case, e fra questi molte spie nemiche che, la mattina dopo, dalle finestre, iniziarono a sparare sui soldati italiani in ritirata, provocando la reazione degli Arditi della II Armata. Questi, dal Corada, erano stati chiamati a Cussignacco; qui giunti, cinque reparti erano stati avviati verso il Tagliamento, uno, il I, al comando del capitano conte MAGGIORINO RADICATI di Primeglio, rinforzato da un plotone del IV, fu mandato a difendere Udine e l'antistante linea del Torre, insieme con qualche compagnia di bersaglieri ciclisti.
La linea del Torre, improvvisata e priva di valide difese, non poteva reggere a lungo. Assalita da forze più numerose, la mattina del 28 fu rotta tra Salt e Beivers e così Udine rimase seriamente minacciata, e sarebbe stata subito occupata dal nemico se a difenderla non si fossero trovati gli Arditi, i bersaglieri ciclisti, qualche drappello di carabinieri e, intorno, delle compagnie di fanti e alcuni squadroni di cavalleria, di cui assunse il comando il generale BADOGLIO.

LA DIFESA DI UDINE

Ma più che sui fanti della "Salerno" e sui cavalleggeri "Saluzzo" che, sacrificandosi, trattennero per qualche tempo i Tedeschi al sobborgo di San Gottardo, la difesa di Udine pesò sugli Arditi e sui bersaglieri ciclisti del 3° battaglione, che per tutto il giorno respinsero e contrattaccarono prima le avanguardie poi il grosso del Gruppo BARRER, uccidendo lo stesso generale mentre in automobile ormai vincitore entrava in città.
Tuttavia i Tedeschi, dopo aver subito parecchi scacchi con molte vittime, riuscirono nel pomeriggio a penetrare in Udine; ma gli Arditi li ricacciarono ancora, e fino a sera rimasero padroni della città. Durante la notte pattuglie di tedeschi si infiltrarono nei punti non difesi della città, e la mattina del 29, per ordine superiore fu evacuata dai difensori. Udine era persa.

Nel frattempo il 28 ottobre, mentre Udine era strenuamente difesa da un pugno di valorosi, CADORNA dal Comando Supremo pubblicava un terribile bollettino di guerra in cui era scritto:
"La mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere, ignominiosamente arresisi al nemico o dandosi codardamente alla fuga, ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra del fronte Giulia".

Tutta la responsabilità Cadorna la scaricava sugli altri.
Si trattò di una presa di posizione ignobile, e in ogni caso Cadorna confondeva la causa con l'effetto. Erano quasi meglio - anche se scritte con scopi diversi- le opinioni degli austriaci nei confronti dell'esercito italiano.
Il bollettino di Cadorna, che conteneva quelle pesanti affermazione, non rispondente a verità, fu dal Ministero così corretto: "La violenza dell'attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti della II Armata hanno permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra del fronte Giulia".

In Italia, fu diramata questa seconda versione, ma l'estero conobbe anche la prima, e il nemico non mancò di approfittarne lanciando ai soldati italiani manifestini in cui di quel bollettino si facevano aspri commenti ovviamente (ma non era lontano dal vero) a scopo di propaganda sovvertitrice:
"Italiani ! Italiani! Il comunicato del Gen. Cadorna del 28 ottobre vi avrà aperto gli occhi sull'enorme catastrofe che ha colpito il vostro esercito. In questo momento così grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha l'audacia di accusare il vostro esercito che tante volte si è lanciato dietro suo ordine in inutili e disperati attacchi! Questa è la ricompensa al vostro valore! Avete sparso il vostro sangue in tanti combattimenti; il nemico stesso non vi negò la stima dovuta come avversari valorosi. E il vostro generalissimo vi disonora, v' insulta per discolpare sé stesso".

I COMBATTIMENTI DEL 29 E DEL 30 OTTOBRE

Il 29 ottobre la ritirata proseguì. Il Gruppo Carnico del generale TASSONI, sgombrate Val Fella e Val Resia, passò con quasi tutti i suoi reparti alla destra dell'alto Tagliamento, stendendo la 26a divisione (gen. BATTISTONI) a sud di Ampezzo con un distaccamento a Casera Razzo, la 36a (gen. ZAMPOLLI) fino a Preone e la 63a (gen. ROCCA) al costone del Mena. La IV Armata intanto sgombrava le valli Sesis e Visdende.

I corpi d'armata IV, VII, XXVII e XXVIII ripiegarono sui ponti di Pinzano e di Cornino e, verso sera, oltrepassarono la linea Ledra, Arcano, Villanova; la III Armata iniziò il passaggio del Tagliamento su i ponti di Latisana e Mandrisio; i corpi II, VI e XXIV della II Armata si diressero verso i ponti di Codroipo. Specie in questo tratto il passaggio del fiume fu reso lentissimo e difficile dalla piena e dall'enorme contemporanea affluenza ai due ponti di truppe, carriaggi, artiglierie, veicoli militari e civili, profughi, tutti comodi bersagli degli aeroplani nemici che, mitragliando le colonne in ritirata, ne aumentarono la ressa e il disordine. Si aggiunga che audaci reparti nemici, infiltratisi nella calca, creavano scompigli e panico.
Il nemico proseguì l'avanzata molto lentamente nella bassa pianura e nella Carnia, velocemente invece tra le colline di S. Daniele e la strada Udine-Codroipo. Sui ponti di Codroipo, anche nella speranza di procedere oltre, sulla sinistra del fiume, per tagliare la ritirata alla III Armata, convergevano le truppe del Gruppo del gen. HOFACKER (già Berrer) o quelle del Gruppo del gen. SCOTTI e delle Armate del Boroevic.
Ma al nemico non riuscì di tagliare la ritirata alla III Armata. Al centro e nord trovò, il giorno 30, una vivace resistenza da parte delle truppe italiane, specie sulle colline e sulla testa di Ponte di Ragegna,, a Carpeneto, a Pozzuolo, a Mortegliano, a Orgnano e a Codroipo.

La cavalleria, in questa pianura friulana, scrisse pagine gloriose. Il 29, i lancieri "Mantova" e "Aosta" si distinsero con le loro impetuose cariche presso Fagogna, e i reggimenti "Roma" e "Monferrato", schierati a cavallo della strada Udine-Codroipo, sostennero l'urto della 26a divisione del Gruppo Hofacker e per alcune ore ne ritardarono l'avanzata, cadendo, fra gli altri, eroicamente il capitano GIAN CARLO di CASTELBARCO. Il 30, a Pozzuolo del Friuli, insieme con reparti della brigata "Bergamo", i reggimenti "Novara" e "Genova" tennero fermo per tutta la giornata, contendendo eroicamente il passo alle soverchianti truppe del Generale Scotti, contro le quali si coprirono di gloria, fra i molti, il tenente CARLO di CASTELNUOVO delle LANZE e il Capitano ETTORE LAIOLO.

Un'altra eroica resistenza la fecero -contro il Gruppo Hofacker- la 10a divisione (gen. CHIONETTI) e la 30a (gen. MANGIAROTTI) del XXIV Corpo (gen. CAVIGLIA) fra Villacaccia, Galleriano e Pozzuolo; tutto il pomeriggio e la sera del 30 la 5a brigata bersaglieri ad est di Mortegliano resistette contro la 1a divisione austro-ungarica e nell'abitato di Mortegliano a lungo e valorosamente si difese il 240° fanteria della brigata "Pesaro"; furiosi contrattacchi sferrò la 68a divisione, subendo gravissime perdite e lasciando nelle mani del nemico il generale POGGI.
Poco dopo il mezzogiorno del 30 ottobre, essendo le avanguardie nemiche giunte presso i ponti di Codroipo, questi furono fatti saltare; e rimase alla sinistra del Tagliamento una gran parte di truppe, di profughi e di batterie, di cui una parte riuscì salvarsi superando il ponte di Mandrisio. Verso le ore 14 dello stesso giorno, Codroipo, che era stato teatro di lotte violentissime, sostenute da cavalieri, da fanti e dalle retroguardie degli Arditi che avevano, difeso Udine, cadeva nelle mani del nemico.

Parlando dei giorni 29 e 30, il generale CADORNA sostenne che "furono i più terribili della ritirata; ma il valore delle truppe della III Armata e quello dei corpi ancora saldi, dell'ala destra della II Armata nonché della 1a e 2a divisione di cavalleria che eroicamente si sacrificarono, permise di condurre l'esercito a salvarsi sulla destra del Tagliamento. Molto giovò la distruzione dei ponti dell'Isonzo e l'inondazione praticata nella pianura compresa tra l'Isonzo e il Carro a trattenere il nemico e ad impedire un efficace inseguimento".

LA CADUTA DEL MINISTERO BOSELLI
IL MINISTERO ORLANDO

Il 25 ottobre (mentre era in corso il secondo giorno dell'invasione con già le prime conseguenza, ma che nessuno si aspettava così disastrose - cioè la perdita di buona parte del Veneto), pur essendo commossa dalle prime triste notizie, la Camera ascoltò con abbastanza calma il discorso dell'on. SONNINO, in cui fu esaminata la situazione politica internazionale con speciale riferimento alla pace. Molto ascoltata fu quella parte del discorso in cui il ministro trattò della questione adriatica:
"L'Italia - egli disse- combatte per l'integrazione dei suoi confini naturali, per la liberazione dei fratelli oppressi dallo straniero e per assicurarsi nell'Adriatico le condizioni necessarie alla sua esistenza e alla sua legittima sicurezza. La questione adriatica forma per l'Italia una delle finalità essenziali della guerra e, come fu già detto in quest'aula per bocca del Governo, essa, per noi e i nostri Alleati, è fuori discussione. Nulla vi è di imperialistico nelle nostre rivendicazioni. Non starò a dilungarmi sull'intollerabile nostra situazione in conseguenza dell'artificioso assetto adriatico prima della guerra. La diversa conformazione delle coste di quel mare produce praticamente le gravi conseguenze di natura strategica che furono e sono sperimentate di fatto nella presente guerra. Dal punto di vista etnico è abbastanza noto oramai, che le nostre rivendicazioni sono inspirate a concetti essenzialmente concilianti e pianamente rispettosi delle esigenze politiche ed economiche dei popoli slavi, ed è naturale che sia così, trattandosi di territori a popolazione mista. Nonostante l'alto valore economico, storico e politico dei centri di pura italianità della sponda opposta, il nostro programma è pertanto inspirato alla necessità di sacrifici e concessioni reciproche, e mira all'instaurazione di una condizione di cose che permetta in avvenire la più fiduciosa, la più cordiale ed amichevole collaborazione e convivenza della nostra razza con quella slava, nostra limitrofa".

L'on. SONNINO concluse poi il suo discorso così: "Meditate, onorevoli colleghi, nel formare le vostre risoluzioni, sulla suprema gravità dell'ora. Qui non si tratta di esaltare l'uno o di deprimere l'altro uomo politico. Non si tratta di questioni di parte e nemmeno di accelerare più o meno qualche speciale riforma, questo o quel particolare della legislazione interna. Si tratta delle sorti future della Patria intera, ed ogni errore può riuscire irreparabile. Ogni più caldo fautore della pace, deve far voti perché non si turbi minimamente l'ordine pubblico sotto qualsiasi pretesto o forma, rendendosi pieno conto di quanto ciò ostacolerebbe e ritarderebbe la pace con il rianimare l'ormai depresso spirito guerresco degli Imperi autocratici, accrescendone le speranze e le illusioni di prossimo indebolimento nel nostro e le conseguenti loro esigenze intransigenti.
Ogni moto inconsulto, ogni turbamento dell'ordine pubblico, non solo opera oggi nel senso di ritardare la pace con il rinfrancare il nemico, ma tende pure a rovinare la pace futura. Sabotare oggi la guerra vuol dire anche sabotare la pace; vuol dire rovinare il Paese cercando di costringere ad una pace vergognosa e disastrosa. Il reclamare poi la pace immediata o la pace a qualunque costo equivale all'invocar la peggiore delle paci, una pace, non solo di disonore e di obbrobrio di fronte agli Alleati, ma anche di completa rovina della Patria, prolungando ogni maggiore danno e sofferenza popolare anche per il dopo guerra.
Il Paese ha messo tutta la forza della sua anima fiera e gentile in questa guerra come guerra di affermazione dei propri sacrosanti diritti di sicurezza e di indipendenza. Il segreto della vittoria è uno solo; una sola è la via che vi possa condurre: perseverare e resistere, e non solo al fronte, ove si combatte con le armi, e a questo pensano i nostri soldati di terra e di mare, ma anche nell'interno del Paese, domando le proprie sofferenze, limitando i propri bisogni ed i consumi di ogni specie, frenando con tenace volere le passioni, le ambizioni, le impazienze, superando perfino i patimenti e le angosce con l'animo che vince ogni battaglia .... Mai come oggi si poté affermare con sicurezza che vincerà sui nemici chi saprà meglio vincere se stesso".

Dopo il discorso del ministro degli Esteri, l'on. TURATI, presentò il seguente ordine del giorno: "La Camera invita il Governo a rispettare l'azione e la sovranità dei liberi Comuni, le cui rappresentanze, quali che siano le loro opinioni sul problema ideale della guerra, compiono altissima opera di presidio alle popolazioni nelle difficoltà eccezionali del momento, ed a porre in atto senza indugio le provvidenze amministrative e finanziarie da essi invocate, indispensabili e mantenere salda, in attesa della pace auspicata, la resistenza interna del Paese che da insensate rappresaglie governative viene sordamente e irreparabilmente minata, a impedire che la mobilitazione industriale, in rapporto ai lavoratori anche se soldati, diventi strumento di selezione reazionaria e di persecuzione poliziesca di classe". Infine TURATI dichiarò che il suo gruppo avrebbero votato contro il Ministero, provocando un vivace battibecco con l'on. SONNINO. Quindi, avendo i presentatori dei 48 ordini del giorno rinunciato a svolgerli, il presidente BOSELLI fece alcune dichiarazioni, in cui affermò che il Ministero aveva fatto tutto quel che aveva potuto per dare impulso ed efficacia alla guerra e per pacificare i partiti, che il popolo e l'esercito guardavano al Parlamento, e che il Gabinetto aveva sempre rispettato le prerogative parlamentari. Egli, personalmente, non aveva pensato mai a violare queste prerogative. "Tutta la vita del mio pensiero - disse con accento commosso - tutta l'opera mia fu una vita parlamentare. Io vivo nei ricordi del nostro Risorgimento che fu soprattutto parlamentare, in questo nostro Paese, dove nemmeno Cavour assunse la dittatura; dove Garibaldi la posò appena essa non fu più necessaria, dove Mazzini governò e difese Roma senza essere dittatore".

Le parole del presidente parvero quelle di un morente. E, quasi fosse conscio che il suo gabinetto era agli estremi, BOSELLI disse di non sentire alcun rancore verso coloro che avevano cortesemente o no criticato l'opera sua, che quando dall'appartato banco di deputato era andato al seggio di ministro vi era andato "non sentendo altra ambizione che quella di dare quanto poteva essere dato nella sua vecchiaia al servizio del "suo" Paese" e che se in lui vi furono delle mancanze, il suo cuore, pur tremandogli la mano, fu sempre fermo e saldo".
Scelto dal Governo l'ordine del giorno dell'on. CALLAINI di approvazione all'opera del Ministero e sentite le varie dichiarazioni, si giunse alla votazione con il seguente risultato; votanti 451, astenuti 5, maggioranza 206, favorevoli al Governo 96, contrari 314. La Camera votò in via amministrativa, l'esercizio provvisorio per l'anno in corso, poi il 26 ottobre BOSELLI annunciò alla Camera e al Senato le dimissioni del Ministero.

Il 27, il Re, rientrato precipitosamente dal fronte a Roma, iniziò le consultazioni e il 29 (la notizia della disfatta, l'occupazione di Udine e la ritirata era già arrivata la mattina del 28) incaricò della formazione del nuovo Ministero l'on. ORLANDO, che, il 30 ottobre, lo costituiva nel modo seguente: Presidenza e Interni: on. ORLANDO; Esteri: on. SONNINO; Colonie: on. GASPARE COLOSIMO; Grazia, Giustizia e Culti: on. ETTORE SACCHI; Finanze: on. FILIPPO MEDA; Tesoro: On. FRANCESCO NITTI; Guerra: tenente generale VITTORIO ALFIERI; Marina: viceammiraglio ALBERTO DEL BONO; Armi e Munizioni: tenente generale ALFREDO DALLOLIO; Assistenza militare e pensioni di guerra: on. LEONIDA BISSOLATI; Istruzione Pubblica: on. AGOSTINO BERENINI; Agricoltura: on. GIAMBATTISTA MILIANI; Industria, Commercio e Lavoro: on. AUGUSTO CIUFFELLI; Poste e Telegrafi: on. LUIGI FERA; Trasporti marittimi e ferroviari: on. RICCARDO BIANCHI. Sottosegretari di Stato furono gli onorevoli BORSARELLI, FOSEARI, BONICELLI, PASQUALINO-VASSALLO, INDRI, VISOCCHI, ROTH, MONTANARI, TESO, BIGNAMI, DE VITO, VALENZANI, MORPURGO, CESARE ROSSI, REGGIO e CERMENATI.

Un ministero che mantiene al loro posto molti ministri e si caratterizza, come il precedente, come governo di unità nazionale. Lo guida però ORLANDO, che ha dei conti in sospeso con Cadorna, che nelle stesse ore sta perdendo tutta la sua reputazione, in Italia ma soprattutto con gli alleati dell'Italia.
Passano solo due giorni (il 2-3 ottobre) e gli austriaci sfondano anche la linea difensiva allestita da Cadorna sul Tagliamento, e l'esercito italiano è costretto ad un'altra drammatica ritirata fin dietro la linea del Piave. 150 km dal confine. Buona parte del Veneto è perduto.


Ritirata al Piave, La conferenza di Rapallo-Peschiera, esonero di Cadorna,
Diaz assume il comando dell'esercito > > >

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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