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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1915 (5)

GRANDE GUERRA - PRIMO MESE DI GUERRA - LE GRAVI CARENZE (1)

LE CONDIZIONI DELL' ESERCITO ITALIANO ALLO SCOPPIO DEL CONFLITTO EUROPEO E ALLA DATA DELLA DICHIARAZIONE DI GUERRA ALL'AUSTRIA-UNGHERIA - LA FLOTTA ITALIANA - DISLOCAZIONE DELL'ESERCITO ITALIANO - I COMANDI - AZIONE OFFENSIVA NAVALE E AEREA AUSTRIACA CONTRO LA COSTA ADRIATICA DELL' ITALIA - AFFONDAMENTO DEL "TURBINE" - L'AVANZATA ITALIANA NELLA GIORNATA DEL 24 MAGGIO - I "SILURAMENTI" - IL DUCA DI GENOVA LUOGOTENENTE GENERALE - LA PARTENZA DEL RE PER IL QUARTIER GENERALE - IL BLOCCO ADRIATICO - OCCUPAZIONE DI GRADO, AQUILEIA, TEZZE ED ALA - ALTRE CONQUISTE ITALIANE - LE OPERAZIONI DEI PRIMI VENTI GIORNI DI GUERRA
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In trincea sui passi dolomitici

LA DICHIARAZIONE DI GUERRA
LA PRIMA VITTIMA
LE CONDIZIONI DEL NOSTRO ESERCITO ALLO SCOPPIO DEL CONFLITTO EUROPEO E ALLA DATA DELLA DICHIARAZIONE DI GUERRA ALL'AUSTRIA - LA FLOTTA ITALIANA DISLOCAZIONE DELL'ESERCITO ITALIANO - I COMANDI
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IL PRIMO COLPO, LA PRIMA VITTIMA ITALIANA

Nella sottostante ricostruzione degli eventi, la data dell'intervento in guerra dell'Italia è quella del 24 maggio, ma già nella notte tra il 23 alle ore 23,30 vi era stato il primo colpo di fucile. Colpo che è considerato come l'inizio sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale.
( l'immagine sotto ci è stata inviata dal sig. Dante Marsetti di Trieste.- Mentre i fatti nei dettagli ci sono stati forniti dal sig. De Lazzari Damiano).

Ecco nella foto, il monumento che si trova a Visinale dello Judro, nei pressi di Corno di Rosazzo sulla strada che da Prepotto porta a Cormons in provincia di Gorizia. Il testo inciso sulla lapide parla di due eroici soldati italiani - Pietro Dell´Acqua e Costantino Carta, del 2° battaglione della Guardia di Finanza cui era affidata la vigilanza dei percorsi e dei ponti nei pressi del confine. I due facendo ottima guardia, nel vedere ombre umane e un insolito movimento nei pressi del ponte Brazzano fecero fuoco; impedirono così ad un gruppo di guastatori austriaci di minare il vecchio ponte di legno della dogana. Alle prime luci dell'alba del 24 vennero infatti rinvenuti nei pressi del ponte, attrezzi ed esplosivi abbandonati dagli austriaci messi in fuga dai due finanzieri.
L'indomani su quel ponte, sarebbero transitati i fanti della Brigata "Re" e "Pistoia".
I due finanzieri vennero poi decorati con medaglia di bronzo al valore.


Purtroppo nella stessa alba del 25, non molto lontano, e sempre sul confine, il soldato Riccardo Di Giusto, della 16ª comp. del battaglione Cividale, durante una scaramuccia con le guardie confinarie imperiali, fu colpito a morte. E' considerato il primo caduto italiano della Grande Guerra

Più o meno alla stessa ora due finanzieri austriaci (uno di origine slovena tale Franz Caucic) morivano a Porto Buso (una piccola isoletta posta all’ingresso della laguna di Grado al confine con la laguna di Marano) colpiti da una cannonata sparata dal cacciatorpediniere Zefiro (l'episodio è citato più avanti in questa stessa pagina).

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Come abbiamo letto nelle ultime pagine del capitolo precedente, il 24 maggio, l'Italia dichiarava guerra all'Austria-Ungheria, il Re lanciava il proclama a tutte le forze armate della nazione, il Generale Cadorna muoveva lo stesso giorno le sue armate. Purtroppo il "generalissimo" (titolo arbitrario) vide venir meno le prospettive su cui -velocemente- aveva impostato un vasto piano offensivo per invadere l'impero austroungarico dalla pianura friulana e dalla Carnia; inoltre si trovò a fronteggiare anche le cattive condizioni di efficienza dell'esercito italiano. Uomini, armi, munizioni, piani strategici, tutto era carente.

In abbondanza c'era invece l'entusiasmo di tanti giovani tenentini che comandavano altrettanti giovani come loro che toccavano per la prima volta un fucile, e che per la prima volta partivano per la guerra, tutti impazienti per il suo compimento. Del resto la retorica divulgativa scolastica (sulla memorialistica garibaldina, sulle guerre risorgimentali) aveva lasciato della guerra un'immagine avventurosa ed eroica, quindi comprensibile i giovanili entusiasmi e l'impazienza.

Giani Stuparich, uno dei tanti giovani che si gettarono con slancio nel conflitto come un'impresa nobile ed esaltante (era un Triestino, arruolatisi volontario con il fratello Carlo), nel suo diario "Guerra del 1915" così scriveva dopo che l'esercito italiano nei primi giorni aveva iniziato a superare il confine, proiettandosi verso la pianura oltre l'Isonzo:
"C'è in tutti una tensione esasperata, tutti sono impazienti di percorrere presto la pianura, con baldanza e la facilità con cui s'è già passato l'Isonzo�Il più -il passaggio dell'Isonzo- è fatto. L'ha compiuto la nostra compagnia e c'è stato un morto solo e un ferito. Ora bisogna superare la pianura e varcar l'altipiano, per essere in quindici giorni a Trieste".

Dagli alti vertici fino alla truppa, la retorica, la tradizione, l'immaginazione aveva creato questi "sogni di guerrieri fanciulli".
L'Isonzo fu invece il teatro di ben diciassette battaglie; il "morto solo" diventarono tanti, 600.000; e quel percorso verso Trieste che per Stuparich - per riabbracciare la madre in terra straniera- doveva essere di soli "quindici giorni", per superarlo occorsero quattro anni, inoltre non arrivò mai a Trieste suo fratello Carlo, rimasto -su quel breve percorso- ucciso.

Quando l'Italia entrò in guerra, nei precedenti mesi sullo scenario europeo le prospettive del conflitto avevano già messo fine a tutti all'illusione su una guerra di "breve durata".
Tutti i calcoli politici ed economici (dell'Austria e soprattutto della Germania - quest'ultima forse pensava ancora alle sfolgoranti ottocentesche vittorie prussiane del 1870) avevano già smentito clamorosamente sui campi di battaglia le loro speranze e che la guerra sarebbe invece stata di "lunga durata", di logoramento e a oltranza.

SCHIEFFLEN capo di stato maggiore tedesco, quando la Germania invase fulmineamente il Belgio, era sicuro che la guerra non sarebbe stata di lunga durata e disse: "(le guerre lunghe)...sono impossibili in un'epoca in cui l'esistenza della nazioni si basa sullo sviluppo ininterrotto del commercio e dell'industria. E se anche l'ingranaggio dell'economia industriale si arresta, una rapida soluzione dei conflitti deve consentire di metterlo nuovamente in moto. Non si possono tirare le cose per le lunghe con una strategia di logoramento, quando il mantenimento di milioni di persone richiede un dispendio di parecchi miliardi".

Viceversa accadde proprio che il carattere industriale della guerra, la sistematica mobilitazione e la moltiplicazione delle energie disponibili, resero possibile una sua trasformazione in guerra ad oltranza, e ciò a sua volta determinò una modificazione rilevante e per certi aspetti durevole degli assetti produttivi e sociali.

In Germania questo accadde già dopo i primi dieci mesi di guerra. Anzi già a settembre del 1914, dopo la resistenza e la controffensiva francese nella celebre battaglia della Marna, la prospettiva che si apriva, era proprio una guerra di lunga durata e di logoramento; e secondo l'opinione di molti storici, proprio quella resistenza dei francesi decretò il fallimento del piano strategico tedesco - che era quello di usare subito fino in fondo il maggior potenziale d'urto militare e di scongiurare nel contempo il pericolo dell'accerchiamento e del soffocamento economico- conteneva già in sé, la sconfitta degli Imperi Centrali.
Il potenziale economico, tutto l'apparato industriale, fu adeguato e si adeguò al nuovo corso degli (imprevisti) eventi, ma il problema rimase tuttavia drammatico, e alla fine del conflitto, fu addirittura catastrofico; subito, alla fine del conflitto e poi negli anni e anni che seguirono.

Torniamo alla nostra Italia con un potenziale economico (materie prime, strutture produttive, forze lavoro qualificate) enormemente inferiore a quello tedesco.
Allo scoppio del conflitto europeo, il 28 luglio 1914, anche se avessimo voluto, noi italiani non avremmo potuto partecipare alla guerra a causa delle condizioni del nostro esercito. Avevamo - scrive il generale SEGATO- grande deficienza di artiglierie, di fucili, di munizioni; di vestiario, d'oggetti d'equipaggiamento individuale e generale e di tutti quei mezzi tecnici (e perfino banalissimi) che si sono poi dimostrati indispensabili per ottenere il successo nella guerra moderna, nè il paese aveva capacità produttiva, - per provvedere alle lamentate deficienze. Inoltre vi erano, nel nostro esercito, insufficienza numerica e qualitativa dei quadri, deficienza quest'ultima derivante dal sistema di avanzamento per anzianità con insufficiente severità nella selezione dei non idonei" e "insufficiente forza bilanciata, per l'insufficiente addestramento delle truppe, e più specialmente delle grandi unità, alla guerra manovrata, e tanto più a quella in montagna, anche pel fatto che soltanto gli alpini avevano equipaggiamento da montagna".

Chi rimediò a tutto queste deficienze del nostro esercito, in meno di un anno, e fece un discreto strumento di offesa e di difesa, inizialmente fu il generale Cadorna con il suo autoritarismo, il quale, coadiuvato (ma solo in un primo tempo) dal Ministro ZUPPELLI e dai generali DALLOLIO e TETTONI, compì veri miracoli.

LUIGI CADORNA, 64 enne (1850-1928) messo a capo unico dell'esercito, era figlio di quel Cadorna Raffaele (1815-1897) che con la Breccia di Porta Pia, aveva preso Roma nel settembre del 1870. Era un soldato tipico del vecchio stampo piemontese. Un uomo autoritario e privo di fantasia, sprezzante verso i borghesi, un devoto a casa Savoia. Alla tenacia univa una dura se non brutale concezione della disciplina, come la punizione esemplare degli insubordinati con la decimazione a caso. E che non operò certo per rendere meno sanguinosi gli enormi sacrifici cui furono sottoposti i soldati italiani nelle già sanguinose stragi negli inconcludenti attacchi alle inespugnabili trincee nemiche (alle volte 7, una dietro l'altra)

Quando fu convocato dal Re, Cadorna insistè che voleva avere mano libera, che voleva combatterla la guerra a modo suo. Cosicchè questa fino alla disfatta di Caporetto nel 1917 (del quale fu largamente responsabile per l'incapacità di prevedere una annunciata controffensiva nemica e farvi fronte) diventò la "sua" guerra. Infatti fu sempre diretta dal "suo" Stato Maggiore posto a Udine. Non quindi diretta da Roma, pur essendo una guerra sostanzialmente uscita fuori da decisioni diplomatiche presa da politici conservatori preoccupati di conservare le istituzioni liberali. Non fu proprio - anche se lo si pensa e si è anche esagerato- dovuta alle pressioni dei chiassosi, esaltati, demagoghi nazionalisti "interventisti".
Quest'ultimi anche in guerra, furono dalla vecchia casta militare (soprattutto settentrionale) guardati con sospetto e con orrore come personalità instabili o inaffidabili. E di norma esclusi anche dai piccoli comandi e dalle scuole ufficiali. (i volontari non sono mai piaciuti e nessun generale; l'esaltazione non va mai d'accordo con la disciplina).

I politici pur ben lontani dal fronte, erano stati dal Cadorna ammoniti a non mettere piede nella zona delle operazioni. Si rifiutò perfino -nell'agosto del 1916- di incontrare il ministro incaricato di mantenere i rapporti tra il governo e il comando dell'esercito. Queste reciproche ostilità (che il generale incoraggiò) furono perfino utili al Cadorna per far diventare capro espiatorio il governo quando le cose a lui gli andavano male. Restano famose le sue tre lamentele al presidente del consiglio, nel 1917, accusando il governo di essere troppo tollerante nei confronti della propaganda "sovversiva"; e che a lui - questa - rendeva impossibile mantenere la ferrea disciplina. All'allora ministro degli interni Orlando, lanciò accuse pesanti e cercò di farlo sostituire. Ma dopo Caporetto, fu proprio Orlando a prendersi la rivincita, destituendo Cadorna.

Cadorna se la prese con tutti, fuorchè con se stesso: con i Russi che avevano abbandonato la guerra rendendola a lui più difficile; con il Papa per aver detto che quella era "una inutile strage"; con i giornali accusati di disfattismo; con i suoi ufficiali "codardi" perchè si erano rifiutati di procedere alla decimazione dei "vili" soldati italiani. Non deve meravigliare se questo atteggiamento (che diventò poi un grosso "problema") contribuì ad abbassare il morale delle truppe, e a portare - dietro sua segnalazione- davanti alla corte marziale circa 290.000 soldati accusati di diserzione.
Con simili metodi, semmai ci sorprende che non fossero ancora più numerosi. L'angoscia individuale di essere scelti a caso all'interno della compagnia e del reggimento e fucilati di fronte ai loro compagni, diventò un angoscioso isterismo collettivo dagli effetti devastanti, che conduceva - direbbe oggi uno psichiatra - alla dissociazione della realtà.

Tuttavia, Cadorna, all'inizio del conflitto, alla deficienza dei quadri (aveva solo circa 15.000 ufficiali di ruolo) rimediò con ufficiali di complemento e con corsi celeri di allievi ufficiali (a fine guerra erano 160.000, di cui 15.000 morti); per aver delle forze pronte al confine orientale mobilitò gradualmente e silenziosamente, col sistema del biglietto personale, centinaia di migliaia di soldati; per ovviare alla deficienza di armi intensificò l'attività dei cantieri militari e trasformò in cantieri bellici molti stabilimenti industriali, che fornirono del copioso materiale bellico ; inoltre riordinò e completò come meglio poté i servizi sanitari, automobilistici e ferroviari e prestò alcune cure all'aeronautica.

"Nonostante tanto intelligente, energico, concorde ed alacre lavoro per preparare l'esercito, - cito ancora il Segato - cinque gravi deficienze ancora erano da lamentarsi quando entrammo in guerra:

1° La scarsità delle bocche da fuoco di medio e di grosso calibro a seguito dello forze operanti. Tutta la nostra ricchezza consisteva nel nostro parco d'assedio che, con grandi sforzi, eravamo riusciti a portare, da 128 a 236 bocche da fuoco. Più precisamente entrammo in guerra con 28 batterie di obici 140 A, 7 da 149 G, 12 batterie di mortai da 210. Di batterie di grosso calibro non ne avevamo che pochissime da 280 e da 305, costituito con ripieghi ricorrendo a materiale da costa, e per questo motivo di scarsissima mobilità. Aggiungemmo poi alcune batterie di obici da 210 G, bocca da fuoco buona ma alquanto antiquata.
Scarse in genere le munizioni; specialmente scarse quelle per le artiglierie di medio e di grosso calibro; e per scarsità di esplosivo moderno, parte delle granate era ancora caricata con polvere nera.
Come poi vedremo, o per affrettato e poco diligente caricamento dei proiettili o per altro
(Ingenuamente -non a conoscenza di queste cose- Cadorna dimenticò che uno dei più grandi gruppi bancari in Italia, che sosteneva i grandi complessi siderurgici e metallurgici subito convertiti alla produzione bellica, era... tedesco! Ndr), molte artiglierie, e proprio le migliori, scoppiarono dopo pochi colpi, riducendo ancora di più la già scarsa dotazione di bocche da fuoco di medio calibro.

2° La scarsità delle mitragliatrici; meno della metà dei reggimenti permanenti aveva le tre sezioni, organicamente loro spettanti; alcuni ne avevano una sola; quelli di milizia mobile nessuna; né eravamo in grado di prevedere quando saremmo stati in grado di distribuirle loro. E ciò mentre ogni compagnia degli eserciti germanico ed austro-ungarico ne aveva almeno una sezione.

3° Mancanza quasi assoluta di mezzi adatti per la distruzione dei reticolati ed altre difese accessorie dell'avversario, alla quale mancanza non si poteva sopperire col tiro delle artiglierie di medio calibro, data la loro scarsità o lo scarso effetto che causavano.
Unici mezzi per distruggere i reticolati: tubi di gelatina che dovevano però venire collocati sotto i reticolati e quindi accesi con i zolfanelli, che voleva dire sotto l'infuriare del fuoco nemico; e le forbici, le quali erano scarso di numero, e molto volte insufficienti allo scopo perché troppo deboli"
.
(Si requisirono sul mercato delle cesoie da giardiniere - alle reiterate e angosciose richieste dei reparti di prima linea, si rispondeva dal Comando Supremo con frasi di questo genere: "I soldati italiani sfondano i reticolati con i petti, spezzano il filo spinato con i denti" - (Alberto Consiglio: Vittorio Emanuele, il Re silenzioso) - Purtroppo i petti erano veramente squarciati dalle mitragliatrici austriache, e i corpi cadevano a grappoli sui reticolati. Ndr).

"Può sembrare strano che a questa deficienza di mezzi per la distruzione dei reticolati non si abbia provveduto prima di entrare in guerra, mentre ormai da oltre nove mesi le azioni tattiche svolte sui campi di Francia e di Polonia- in quelli di Francia specialmente - avevano provato come sui reticolati (3, 4, 5 e anche 10 barriere) si erano infranti gli attacchi meglio architettati e più vigorosi, quando non si aveva avuto a disposizione grande quantità di mezzi adatti per distruggerli.

4° Per un complesso di cause che sarebbe superfluo ora riferire, tra cui quella che fino a poco prima della guerra si era dato la preferenza ai più leggeri (dirigibili) anzichè ai più pesanti (aereoplani) l'aviazione si trovava ancora in uno stato di grave crisi quando siamo entrati in guerra. (perfino ostilità tra Esercito e Marina- vedi la iniziale storia di GIANNI CAPRONI - I suoi aerei, che conquistavano un record dietro l'altro, si costruivano su brevetto in Inghilterra e in Usa, mentre i comandi italiani acquistavano quelli esteri, non affidabili).
Un solo mese prima - il 20 aprile - delle 15 squadriglie di aeroplani allora esistenti, non erano impiegabili in eventuali operazioni di guerra che le 6 squadriglie di monoplani Blériot-Gnome, tutte dotate di apparecchi non completamente rispondenti alle necessità di quel momento. Su nessuno dei nuovi apparecchi Voisin (motore 130 HP), Aviatik (125 HP) si poteva fare assegnamento prima della fine di luglio per operazioni di guerra. E difficili, ed in uno stato di marcata inferiorità rispetto al nemico, rimasero le condizioni della nostra aviazione durante tutto l'anno 1915. In questo campo, solo dopo, nei successivi due anni furono compiuti meravigliosi progressi di qualità e quantità.
L'Italia entrò in guerra con 70 apparecchi di tipi vari ed alcuni antiquati, mentre nell'ottobre 1917 disponeva di oltre 2000 aereoplani, di cui 500 in piena efficienza e dei migliori tipi, ed oltre 1500 erano Caproni
(finalmente Caproni ebbe il suo "breve" momento di gloria; ma le ottusità e le gelosie, alle alte sfere delle tre Armi, purtroppo continuarono, fino all'entrata in guerra nel 1940. E si ripetè la stessa deficienza in qualità e quantità nell'Arma decisiva: l'Aeronautica - Vedi Caproni e Balbo).

5° Nonostante i corsi accelerati nelle scuole militari ed i corsi istituiti presso molti reggimenti per il reclutamento degli ufficiali di complemento, molte erano ancora le deficienze in fatto di quadri, fino al punto che le compagnie di fanteria non avevano, di massima, che due ufficiali; deficienze cui male si poteva provvedere con dei sottufficiali che però erano scarsissimi.
Si era poi dovuto promuovere un grande numero di giovani tenenti per provvedere al comando delle compagnie, di modo che la maggior parte dei plotoni era affidato ad ufficiali di complemento, molti dei quali ancora molto giovani ed inesperti pari ai loro coetanei sottoposti. Più sentita ancora la deficienza nell'artiglieria, cui si era dovuto provvedere ricorrendo largamente ad ufficiali di cavalleria, molti dei quali però, è giusto riconoscere, nonostante difettassero di studi tecnici e più ancora di cognizioni scientifiche tuttavia fecero dei miracoli quanto ad efficienza".

In condizioni migliori dell'esercito si trovava invece la nostra marina. La flotta italiana era buona, ma era purtroppo piccola e insufficiente a guardare gli 11.726 chilometri di costa dell'Italia e delle colonie. Se per numero di navi, per tradizione, per allenamento, per spirito bellicoso era superiore alla flotta austriaca, non era però come questa, favorita dalle condizioni della costa.
Durante il periodo della neutralità si provvide ad ovviare alle deficienze della marina. Si accelerarono i lavori delle navi in cantiere (stavano per essere ultimate le dreadnoughts Andrea Doria, Duilio, Cavour), specie degli esploratori; si comprarono all'Estero motoscafi antisommergibili; si costituì con piroscafi requisiti ai privati un gruppo di incrociatori ausiliari; si perfezionarono le basi navali adriatiche, specie quelle di Venezia e di Brindisi; in quest'ultimo porto e a Taranto furono portate le navi più vecchie e le grosse artiglierie dei forti di Genova, Spezia ed Ancona; furono allestiti treni armati a difesa della costa adriatica; s'impiantarono cinque stazioni di idrovolanti, si costruirono infine mine, pontoni torpedini e mas.

Allo scoppio della guerra le nostre forze navali erano così dislocate: a Venezia, per operare nell'alto Adriatico, stava la divisione del contrammiraglio PATRIS: 5 navi da battaglia (Sardegna, Filiberto, Saint-Bon, C. Alberto, Marco Polo), l'incrociatore Etruria, 11 cacciatorpediniere (Bersagliere, Garibaldino, Corazziere, Lanciere, Artigliere, Carabiniere, Pontiere, Zefiro, Fuciliere, Ascaro, Alpino), 30 torpediniere e 14 sommergibili (uno dei quali distaccato ad Ancona); a Brindisi, per operare nel basso Adriatico, stava la seconda squadra agli ordini del viceammiraglio PRESBITERO e composta della divisione Trifari (Brin, Margherita, Garibaldi, Varese, Ferruccio, Pisani)e della divisione Millo (esploratori Palermo, Siracusa, Messina, Quarto, Bixio, Marsala, Agordat, Liguria, Puglia, Libia), 10 cacciatorpediniere e 6 sommergibili; a Taranto, dove risiedeva il comandante supremo DUCA DEGLI ABRUZZI, stava la prima squadra, di riserva, composta della divisione Corsi (corazzate Cavour, Dante, Giulio Cesare, Leonardo da Vinci), della divisione Cutinelli (corazzate Regina Elena, Vittorio Emanuele, Napoli, Roma) e della divisione Cagni (incrociatori Pisa, Amalfi, San Giorgio, San Marco, Piemonte); in più una squadriglia di caccia, una di torpediniere e una di sommergibili.

Le forze navali nemiche erano così dislocate: a Pola la squadra principale austriaca dell'ammiraglio HAUS (12 grosse unità da battaglia, 7 incrociatori, 3 esploratori, 11 cacciatorpediniere, 46 torpediniere é 5 sommergibili); a Sebenico un incrociatore, 2 esploratori, 9 cacciatorpediniere e 10 torpediniere; a Cattaro 4 navi da battaglia, 2 incrociatori, 5 cacciatorpediniere, 13 torpediniere o 2 sommergibili. Sparsi qua e là nei porti circa 60 idrovolanti.

Alla dichiarazione di guerra noi disponevamo di 35 magre divisioni. Con queste il generale CADORNA formò 4 armate, 1 raggruppamento autonomo ed 1 riserva. La 1 Armata, comandata dal tenente generale ROBERTO BRUSATI, occupava la fronte tridentina e aveva il III Corpo (2 divisioni) dal confine svizzero al lago di Garda, e il V Corpo (3 divisioni, compresa la 15a dell'VIII Corpo) dal lago di Garda alla Croda Grande. La IV Armata, comandata dal tenente generale LUIGI NAVA, teneva la fronte cadorina ed aveva il IX Corpo (2 divisioni) fra la Croda Grande e il Pelmo, il I Corpo (3 divisioni) tra il Pelmo e il Paralba. Il Raggruppamento autonomo, agli ordini del tenente generale CLEMENTE LEQUIO, occupava la fronte carnica con due brigate del XII Corpo rafforzato da 16 battaglioni alpini. La II Armata, al comando del tenente generale PIETRO FRUGONI, stava sulla fronte orientale dal M. Magione al Torre ed era fornita dei Corpi IV (3 divisioni di fanteria, 1 di bersaglieri e 1 raggruppamento di 12 battaglioni alpini) e II (3 divisioni di fanteria). La III Armata, agli ordini prima del tenente generale ZUCCARI, poi di S.A.R. il DUCA D'AOSTA; copriva il rimanente tratto della fronte Giulia fino al mare ed era formata dei Corpi VI, già schierato, del X che si trovava sul Tagliamento e dell'XI e del VII che stavano ancora eseguendo il loro movimento ferroviario.

Infine il Comando Supremo, stabilito in Udine, aveva a sua disposizione la Riserva costituita dal XIII e dal XIV Corpo (su 3 divisioni ciascuno di milizie mobili) dislocati tra Desenzano e Verona, dalla 16a divisione con sede a Bassano, dov' era pure il comando dell'VIII Carpo e dalla 4a divisione di cavalleria, ancora in Piemonte. Il comando supremo del nostro esercito era stato assunto dal Sovrano, ma egli, con R. D. del 29 maggio, ne aveva delegato l'esercizio al generale CADORNA. Comandante generale dell'artiglieria era il tenente generale FELICE D'ALESSANDRO, del Genio il tenente generale LORENZO BONAZZI; intendente generale il tenente generale SETTIMIO PIACENTINI.
Il nemico all'inizio della guerra, aveva sulla nostra fronte solo 122 battaglioni, ma dopo alcune settimane poté schierarvi ben 26 divisioni di cui 1 germanica. II comando supremo dell'esercito austro-ungarico, suddiviso in 3 armate, era tenuto dall'arciduca EUGENIO; quello dell'armata che operava nello scacchiere tirolese dal generale VITTORIO DANKL, quello dell'Annata dell'Alto Isonzo dal generale ROHR, quello infine dell'armata posta a guardia dell'Isonzo e del Calco dal generale BOROEVIC.

Numericamente, allo scoppio della guerra, il nemico ora inferiore a noi, ma aveva il vantaggio delle posizioni ed un'enorme superiorità negli armamenti. Fu detto dagli Austro-tedeschi e ripetuto da qualcuno dei nostri alleati che noi scendevamo in campo in un momento molto propizio.
Invece le cose stavano diversamente per la situazione sfavorevole degli eserciti dell'Intesa: in Francia gl'Inglesi avevano subito molte perdite nei combattimenti di Ypres e continuavano i loro insuccessi ai Dardanelli; i Serbi, dopo la vittoriosa controffensiva contro l'armata Potiorek, rimanevano in una inspiegabile e dannosa inattività, permettendo agli Austriaci di distrarre numerose divisioni da quel fronte, infine i Russi, battuti a Gorlice, (Galizia occidentale), dove avevano lasciato nelle mani dei nemici 30 mila prigionieri, si ritiravano precipitosamente incalzati dagli Austro-tedeschi.

Il delicato momento che attraversava l'Intesa rendeva ancora più prezioso l'intervento dell'Italia, la quale con la sua dichiarazione di neutralità aveva reso possibile alla Francia invasa la riscossa della Marna ed ora, per tener fede alla sua parola, sebbene la mobilitazione non fosse terminata e non fosse provvista di sufficiente materiale bellico che le permettesse una vigorosa offensiva, entrava cavallerescamente nella grande avventura col coraggio di chi ha fede nella propria virtù, nella santità della causa abbracciata e nel compimento dei propri destini.

AZIONE OFFENSIVA NAVALE E AEREA AUSTRIACA CONTRO LA COSTA ADRIATICA DELL'ITALIA
AFFONDAMENTO DEL "TURBINE"
L'AVANZATA ITALIANA NELLA GIORNATA DEL 24 MAGGIO
I " SILURAMENTI "
IL DUCA DI GENOVA LUOGOTENENTE GENERALE
LA PARTENZA DEL RE PER IL QUARTIER GENERALE
IL BLOCCO ADRIATICO - OCCUPAZIONE DI GRADO, AQUILEIA, TEZZE ED ALA - ALTRE CONQUISTE ITALIANE
LE OPERAZIONI NEI PRIMI VENTI GIORNI DI GUERRA

La prima notte di guerra il nemico volle sferrare un'azione offensiva navale ed aerea contro la nostra costa adriatica più per produrre un effetto morale che per raggiungere un obbiettivo militare. Aeroplani austriaci gettarono bombe su Venezia, Iesi e Brindisi senza produrre grandi danni; cacciatorpediniere e torpediniere bombardarono, fra le 4 e le 6 del mattino, Porto Corsini, Ancona, Rimini, Senigallia, Barletta, Manfredonia, Pesaro, Fano, Potenza Picena, Porto Recanati e Tremiti.
I danni dell'incursione navale furono lievissimi: alcune case, qualche stazione, un casello ferroviario, un posto semaforico, il serbatoio dell'acquedotto pugliese, qualche carro ferroviario, qualche ponte, un ospedale furono colpiti; un piroscafo tedesco nel porto di Ancona, il Lambros, fu affondato, pare, dagli stessi ufficiali dopo aver fatte segnalazioni al nemico; però poche vittime e, quel che più conta, niente panico fra le popolazioni.

Mentre gli Austriaci iniziavano la guerra contro di noi bombardando città aperte e indifese, noi compievamo vere e proprie azioni di guerra sul mare e alla frontiera. Da Venezia usciva in esplorazione una pattuglia di cacciatorpediniere, un'altra puntava su Grado e Porto Buso, un sommergibile e un dirigibile partivano in esplorazione verso Pola. Da Brindisi una squadriglia di cacciatorpediniere partiva verso la foce del Drin per verificare se vi esistesse una base di sottomarini nemici, e una seconda squadriglia andava, con due sommergibili, a sorvegliare Cattaro; una terza squadriglia andava a incrociare nel canale, mentre l'esploratore Siracusa e l'incrociatore Libia andavano a tentare un colpo di mano su Pelagosa e i cacciatorpediniere Aquilone e Turbine sorvegliavano la costa italiana fino a Manfredonia.

Non molti né felici purtroppo furono i risultati delle nostre prime operazioni navali. Inutile fu l'esplorazione nell'Alto Adriatico perché già da Pola e da Sebenico erano uscite le navi austriache per bombardare la nostra costa. Di esse un caccia, una torpediniera e l'incrociatore Novara entrarono di sorpresa nel canale di Porto Corsini, ma furono danneggiati e messi in fuga dalle batterie costiere. Non diedero risultati la sorveglianza su Cattaro, l'esplorazione alle foci del Drin e il tentativo su Pelagosa; coronata invece da pieno successo fu l'azione del cacciatorpediniere Zefiro, comandato da ARTURO CIANO, il quale entrò (nella notte del 23-24 maggio, quindi prima della dichiarazione di guerra dell'Italia) a Porto Buso, distrusse (così poi si disse) "il pontile della stazione e quello della caserma, affondò tutti gli autoscafi raccolti nel porto e senza subire alcuna perdita, fece prigionieri 47 uomini del presidio".
Più o meno alla stessa ora della morte dei due finanzieri italiani (citati all'inizio) due finanzieri austriaci (uno di origine slovena tale Franz Caucic) morivano a Porto Buso (una piccola isoletta posta all’ingresso della laguna di Grado al confine con la laguna di Marano) colpiti da una cannonata sparata dal cacciatorpediniere Zefiro.
Da segnalare che sull’isola di Porto Buso c’era un solo pontile quello della caserma della Guardia di Finanza, nè poteva esserci alcuna stazione, l’isola non è più lunga di 300/400,metri con una larghezza di circa 150/200 metri.


"Nelle operazioni della prima notte (del 23-24 maggio) noi non avemmo a lamentare che una perdita sola, quella del vecchio cacciatorpediniere Turbine. "Questo, - così narrava un comunicato del Capo di Stato Maggiore della Marina - la mattina del 24 corr., essendo in servizio di esplorazione avvistò un cacciatorpediniere nemico al quale dette immediatamente la caccia, allontanandosi così dal grosso del reparto navale al quale era aggregato; la caccia durava da circa mezz'ora, quando sopraggiunsero altre unità nemiche, tre torpediniere e l'incrociatore leggero Helgoland. Il Turbine ripiegó allora sul reparto navale a cui era aggregato, ma, colpito per due volte nella caldaia, man mano andò perdendo di velocità. Tuttavia continuò a combattere per circa un'ora, nonostante che un forte incendio divampasse a bordo. Esaurite tutte le munizioni, il comandante ordinò che fossero aperte le valvole di comunicazione col mare per affondare la nave e sottrarla alla cattura da parte del nemico. Il Turbine cominciò così ad affondare, ma, nonostante avesse cessato il fuoco e, con tutto l'equipaggio allineato a poppa, fosse in così gravi condizioni, il nemico continuò a cannoneggiarlo a distanza ravvicinata. Il comandante (che sin dall'inizio del combattimento era stato ferito) quando il Turbine stava per inabissarsi, ordinò alla gente di gettarsi in mare. I cacciatorpediniere nemici misero in mare i battellini per prestare soccorso ai naufraghi, ma in quel momento essendo comparso il reparto navale su cui si appoggiava il Turbine, il nemico, ricuperati frettolosamente i battellini, si diresse a tutta forza verso la propria costa. Le nostre navi, lanciate in mare le scialuppe per soccorrere i naufraghi, inseguirono il nemico aprendo il fuoco. Un cacciatorpediniere nemico del tipo Tatra (il Czepel) e l'Helgoland furono ripetutamente colpiti e gravemente danneggiati; del Turbine furono salvati nove uomini.
I comunicati austriaci venuti a nostra conoscenza affermano che sono stati recuperati 35 naufraghi tra i quali il comandante".

Inizio migliore ebbe la guerra terrestre. Secondo un ordine d'operazione dato fin dal 16 maggio, il XII Corpo meno le due brigate messe a disposizione del Raggrupparnento autonomo della Carnia, doveva passare a disposizione della II Armata, per operare sulla strada di Tarvis; la II e la III Armata dovevano procedere verso l'Isonzo, che sarebbe stato poi superato in un secondo balzo, avanzando più rapidamente la II dalla parte di Caporetto e la III spingendo avanti la I divisione di cavalleria del generale PIROZZI per assicurarsi il possesso dei ponti di Pieris: la I doveva procurarsi, avanzando, una buona linea di difesa, il Raggruppamento Lequio appoggiare la sinistra della II verso Tarvis e la IV raggiungere il nodo stradale e ferroviario di Toblacco.

I risultati della prima avanzata della notte sul 24 furono soddisfacenti. La I Armata occupò la forcella di Montozzo e il passo del Tonale nella Valcamonica, il ponte Caffaro nelle Giudicarie, il terreno a nord di Ferrara di Monte Baldo, Monte Corno, Monte Foppiano sul versante nord dei monti Lessini, i monti Pasubio e Baffelan alla testata della Val d'Agno e della Val Leogra e si spinse in Val Brenta e in Val Cismòn.

Nella Carnia si ebbero violente azioni delle artiglierie; nel Cadore la IV Armata occupò tutti i passi di confine. La II Armata raggiunse Monte Stole occupò Caporetto e le alture tra l'Iudrio e l'Isonzo, la III occupò Cormons, Versa, Cervignano e Terzo, preceduta con eccessiva prudenza dalla I divisione di cavalleria.
Questa prudenza eccessiva, che spesso fu accompagnata e soverchiata da perplessità e titubanza davvero inspiegabili, costò al generale PIROZZI l'esonero. " Il generale PIROZZI - scrive il Gori - sverginò la lista degli ufficiali superiori esonerati in piena azione o, come poi si disse, silurati e che, all'ottobre 1917, raggiunse il numero di 461, di cui 217 generali. Una ecatombe! Fu malignato volesse il Cadorna, non sopravanzando in altro il JOFFRE, sorpassarlo almeno nei siluramenti. Ma il generalissimo francese adoperò la furberia di concentrare i suoi silurati (limogès) in una sola città (Limoges), dove potevano sfogarsi e consolarsi a, vicenda e non disseminarsi nel paese a screditarvi il siluratore.

"Forse il Cadorna nel percuotere i grossi papaveri, che abbatté di mano propria, fu talora ingiusto; certo eccedé di ossequio alla gerarchia nell'accettare sempre e a occhi chiusi le proposte di siluramenti, venutegli dalle armate e talvolta dal Governo. Le quali proposte non di rado nascevano da equivoci, antipatie, gelosie, dispetti, e si appoggiavano a motivazioni vacue o risibili. Alla Commissione, che più tardi esaminò quegli inspiegabili siluramenti, risultarono casi strani. Molti ufficiali superiori, e taluni decoratissimi, ebbero il siluro, perché la loro "cultura generale e professionale non garantiva che avrebbero percorso con distinzione i gradi più elevati". A silurare un colonnello, particolarmente colto e persino poeta, gli si fece anche l'addebito di non saper parlare ai soldati con proprietà di linguaggio e di dare alle parole la cadenza napoletana. Fra i motivi per silurare un generale si scrisse che, "paffuto e rubicondo, arguiva ma che non ne possedeva le necessarie capacità".
Silurarono un prode generale di divisione, perché, ricevuto con cipiglio dal suo nuovo comandante di corpo d' Esercito e richiestone con mal garbo se avesse fatto la Scuola di Guerra, aveva risposto: "Non ho fatto la Scuola di Guerra, ma ho fatto la Guerra, e bene !" (ANTONIO MONTI, Combattenti e Silurati).

Questo grandinare di siluramenti, che non perdonava nessuno e colpiva gli alti gradi, mantenne inquieti e sospettosi i comandi, falsò i caratteri, debilitò le iniziative. Né il siluramento, con le sostituzioni portava avanti i migliori, ma si seguiva sempre l'anzianità dell'Annuario; l'inconveniente già poco efficiente all'inizio, peggiorava ancora di più con questo continuo spostamento di ufficiali che prendevano il comando delle vecchie unità o quelle che per necessità d'impiego via via si andavano formando.
Sicché i soldati spesso non sapevano neppure il nome del tenente e del capitano; quanto ai nomi degli ufficiali superiori non si incaricavano di impararli; e in quella fantasmagoria di generali, di colonnelli, di maggiori, canticchiavano: "Un fesso è partito, un fesso è arrivato, sarà silurato senza pietà".
Questa canzonaccia non era soltanto una delle tante opinioni dei soldati espressa in forma satirica, ma era anche l'inizio di quel disfattismo fatto sovente con allusioni, epigrammi, lazzi e motti, che doveva raggiungere il punto culminante nell'autunno del 1917.

Il 25 maggio le truppe fecero altri progressi. Fu occupato l'Altissimo di M. Baldo, fu conquistato il medio Isonzo, furono occupati la Sella Prevala alla testata di Val Raccolana e gli accessi di Val Degna, a est della ferrovia pontebbana tra Chiusaforte e Pontebba, e fu conquistato alla baionetta il passo di Valle Inferno alla testa di Val Degano.
L'eroico plotone che occupò il passo cambiò in pochi minuti tre comandanti Il sottotenente CIOCCHINO e due caporali maggiori. L'ultimo di questi, il caporal maggiore ANTONIO VICO, sebbene ferito, guidò all'assalto i suoi conquistando la posizione. Riassumendo più tardi l'azione, per la quale il Re gli conferì la medaglia d'argento, il Vico così si espresse in dialetto piemontese: "I l'ouma fait pulissia (abbiamo fatto pulizia)".

Mentre gli Italiani, attraverso i bollettini del Cadorna e le relazioni dei corrispondenti di guerra, apprendevano con gioia queste notizie, il Re, il 26 maggio, indossato bustina e scarponi partiva da Roma per portarsi nel fango del Quartier Generale. Il giorno prima egli aveva nominato suo Luogotenente Generale con la cura di provvedere agli affari di ordinaria amministrazione e ad ogni atto che avesse un carattere d'urgenza, eccettuati gli affari di grave importanza, il suo amatissimo zio TOMMASO di Savoia, duca di Genova, fratello della Regina Madre Margherita, figlio del Duca Ferdinando (fratello di Vittorio Emanuele II) e della Duchessa Elisabetta di Sassonia, sposo della principessa Isabella di Baviera e padre di sei figli, dei quali Ferdinando principe di Udine era tenente di vascello e Filiberto duca di Pistoia ufficiale di fanteria.

La sera stessa della partenza del Re venne pubblicato il seguente decreto:
"Il R. Governo italiano, visto lo stato di guerra esistente fra l'Italia e l'Austria-Ungheria, considerato che alcuni posti della costa albanese servono alle autorità navali austroungariche per il rifornimento clandestino del loro naviglio sottile da guerra, dichiara:
A datare dal giorno 26 maggio 1915 sono tenuti in stato di blocco effettivo da parte delle forze navali italiane 1° il litorale austro-ungarico che si estende a nord del confine italiano sino al confine montenegrino a sud, con tutte le sue isole, porti, seni e rade o baie; 2° il litorale dell'Albania che si estende dal confine montenegrino a nord sino a Capo gephali compreso a sud.
I limiti geografici dei territori bloccati sono: per il litorale austro-ungarico limite nord 450 42'50" di latitudine N. E., 130 15'10" di longitudine E. Greenwich. Limite sud 420 6'25" latitudine N. E., 190 50'30" di longitudine E. Greenwich. Litorale albanese: limite nord 410 52' di latitudine N. E., 190 22'40" di longitudine E. Greenwich. Limite sud: 39o 54'15" di latitudine N. E., 190 45'30" di longitudine E. Greenwich.
Le navi di Potenze amiche e neutrali avranno un termine che sarà stabilito dal comandante in capo delle forze navali italiane, a cominciare dal giorno della dichiarazione di blocco, per uscire liberamente dalla zona bloccata. Contro le navi che in violazione del blocco tentassero di attraversare o avessero attraversato la linea di sbarramento costituita dalla congiungente Capo d'Otranto-Capo gephali, sarà proceduto in conformità delle regole del diritto internazionale dei trattati in vigore".

Il 27 maggio fu giornata piuttosto felice per le armi italiane. Quel giorno furono occupate Grado ed Aquileia e Tezze in Valsugana; furono fatti progressi nel territorio tra il Capo d' Idro e il Garda; bombardata da nostre aereonavi la strada ferrata Trieste-Nabrosina; fu continuato il bombardamento, iniziato al principio delle ostilità, di Monte Croce Carnico, Malborghetto e dei forti di Luserna, Busa e Spitz Verle e " truppe di fanteria, - come diceva un comunicato - rinforzate dalle guardie di finanza e da artiglieria, da Peri, per le due rive dell'Adige, avanzarono verso Ala. Espugnato il villaggio di Pileante, coperto da più ordini di trincee, si impossessarono stabilmente di Ala. Il combattimento durò da mezzogiorno a sera ".
Alla presa di Ala è legato il nome della signorina MARIA ABRIANI, trentina, abitante presso Mori, la quale nel maggio del 1915 si trovava ad Ala a passarvi qualche giorno in casa di amici. La mattina del 27, gli Austriaci, sgombrata la città, si erano trincerati fortemente nelle alture circostanti, decisi a resistere accanitamente agli Italiani i quali, entrando avrebbero dovuto attraversare la via principale, esposta alle raffiche della fucileria nemica. L'Abriani che sapeva ciò e che avrebbe potuto giovare alle truppe italiane anziché starsene nascosta con la famiglia degli ospiti nella stanza più sicura delle casa, verso mezzogiorno, mentre giungeva l'avanguardia dei nostri accolta dal vivo fuoco degli Austriaci, uscì coraggiosamente nella via e sfidano i proiettili nemici, si mise alla testa delle truppe italiane e per una scorciatoia le guidò su un'altura, da dove, i nostri, riparati, poterono rispondere al fuoco avversario e più tardi snidare il nemico dalle sue posizioni. Per otto ore l'eroica giovane rimase esposta al tiro micidiale degli Austriaci; vi rimase finché questi non furono sloggiati e la piccola città non fu libera definitivamente.

Il 28 la lotta delle nostre artiglierie del Tonale e degli altipiani di Asiago e di Lavarone continuò contro le opere nemiche. Rimasero gravemente danneggiati i forti di Laserna, di Belvedere di Busa e di Cima Vezzena. Quest'ultima posizione venne subito occupata dalle nostre truppe, che il giorno 28 si trovavano padroni anche di Cima Mandariolo e di Cima Spessa ed occupavano la borgata e la conca di Cortina d'Ampezzo o il soprastante Passo delle Tre Croci.
Meno fortunate furono le operazioni sulla fronte della II Armata, specie nella zona di Gorizia, dove il II Corpo d'Armata del generale REISOLI più volte, il 26, il 27 e il 28 diede l'assalto al Sabotino, lo prese e dovette rilasciarlo. Ala nella Val d'Adige, sull' altipiano di Lavarone e nella Val Sugana i nostri progredivano; tra la Val d'Adige e la Vallarsa occupavano il Coni Zugna; da Val Cismon, balzati oltre la frontiera, conquistavano il Monte Belvedere che domina Fiera di Primiero; al Monte Croce Carnico, gli Alpini resistevano ai contrattacchi nemici; in Val Giudicaria occupavano Storo spingendosi fin oltre Condino e collegandosi con reparti d'alpini scesi su Chiese per le balze di Val Caffaro e di Val Canonica e il 31 maggio riuscivano ad occupare saldamente il costone del Monte Nero sulla sinistra dell'Isonzo.

Man mano che, nelle prime giornate di giugno, le nostre operazioni procedevano, più il nemico opponeva resistenza alla nostra avanzata, mostrando di avere ricevuto rinforzi e di essersi consolidato su posizioni da molto tempo disposte a difesa. Dalla parte del Trentino, continuava negli altipiani di Lavarone e Folgaria la lotta delle artiglierie, veniva occupata, il 10 giugno, Podestagno, a nord di Cortina d'Ampezzo; invano il nemico attaccava, il 13, la sella del Tonale, Cima Cady, Monte Pissola, Monte Piano e il passo di Sesis. Alla fronte carnica duravano accaniti i combattimenti presso Monte Croce Carnico; il 9 i nostri alpini conquistavano il Freikofel e respingevano la notte successiva vigorosi contrattacchi nemici sia dalla stessa posizione occupata, sia da quelle di Pal Grande e Pal Piccolo; il 12 poi, ancora dagli alpini, veniva occupato il passo di Volaia. Alla fronte orientale i nostri, con operazioni compiute da forti nuclei protetti da artiglierie, tendevano ad assicurare all'esercito italiano la necessaria libertà di manovra sulla linea dell'Isonzo. Nel basso Isonzo, gettati ponti alla presenza dell'avversario, forti reparti di fanteria, preceduti da ricognizioni di cavalleria erano passati sulla sponda sinistra ed ora vi si rafforzavano. Nel medio Isonzo, dove Tolmino ci contrastava il passo con le sue formidabili trincee e con le potenti batterie di Santa Lucia e di Santa Maria, la lotta accanita, iniziata il 4 giugno e proseguita il 5 e il 6, continuava il 7 sulle creste delle pendici di Monte Nero.

Il 9 giugno c'impadronimmo di Monfalcone e di Gradisca, il 10 occupammo la rocca e le alture di Monfalcone e nella notte sul 10 la brigata Granatieri di Sardegna, riuscì ad irrompere di viva forza sulla sinistra dell'Isonzo presso Plava e mantenne posizione penosamente conquistata difendendola da drammatici contrattacchi.

Il 12 giugno l'Agenzia Stefani diramava il seguente comunicato ufficiale delle operazioni nei primi venti giorni di guerra:
"In tutti i punti dell'estesissimo fronte che dallo Stelvio va fino al mare, le qualità del soldato italiano si sono in queste prime settimane splendidamente confermate. Tutte le truppe hanno dimostrato uno slancio aggressivo che, per ragioni strategiche o tattiche, dovette essere perfino talvolta contenuto.

(All'inizio lo scritto di Stuparich lo abbiamo letto. Ma attorno a lui (che aveva validi motivi essendo di Trieste) non vi era una "nazione in armi" (metà era contadina) entusiasta e assetata di gloria, ispirata agli ideali del Risorgimento. Al contrario, c'era un esercito formato da truppe mal disposte, spesso analfabete, mal equipaggiate, strappate alle loro case, famiglie e ai loro campi per combattere in suolo straniero per ragioni a loro incomprensibili. Trento, Trieste, Gorizia e quella spianata di rocce carsiche sull'Isonzo, per questa gente (e metà di loro provenivano dal Sud) non avevano alcun significato, né lo avevano gli ideali cosiddetti nazionali. Inoltre - in questo caso sia i fanti settentrionali che i meridionali- sapevano benissimo che a casa erano rimasti moltissimi imboscati: al settentrione gli operai delle grandi fabbriche dei "pescicani", in meridione i figli di notabili o di uomini politici; entrambi al sicuro non solo da ogni rischio, ma che guadagnavano anche molto, 4, 5, 10 lire al giorno, rispetto alla misera mezza lira per fante di prima linea, e alla miserevole mezza lira data alla sua famiglia per campare (Ndr.)

Ma l' Agenzia Stefani così entusiasticamente proseguiva con il suo comunicato:
(che dobbiamo fedelmente riportare, perchè questo leggevano gli italiani sui giornali: che fra l'altro erano in mano ai proprietari delle grandi industrie belliche.


"In qualsiasi zona, su qualsiasi terreno, di fronte a qualsiasi ostacolo, il soldato italiano, fosse alpino o artigliere; fante o cavaliere, specialista o doganiere, si è comportato magnificamente sopportando le più aspre fatiche, affrontando con sereno e pertinace coraggio il fuoco più violento e le posizioni più difficili, eseguendo con disciplina e con intelligenza gli ordini degli ufficiali..
"Le truppe non combattenti addette alla poderosa organizzazione degli svariati servizi necessari ad un grande esercito si sono pure distinte per operosità, per ordine e per abilità, sicché nelle retrovie regna la più completa calma, malgrado l'intenso lavoro.
"Chi ha vissuto questi giorni di campagna fra i reparti operanti ha avuto occasione di trarre eccellenti impressioni dalle proprie osservazioni. Anzitutto la caratteristica principale del soldato italiano, cioè il buon umore, non si è smentita neanche questa volta, pur conoscendo benissimo le truppe la difficoltà del loro compito e l'aspro carattere di questa guerra; anche nei momenti in cui più grave è il pericolo, i soldati esprimono nei nativi dialetti la loro gaiezza con frasi nelle quali scintilla l'umorismo paesano. I feriti non domandano che di guarire per poter tornare sul fronte. Sono avvenuti moltissimi episodi di stoica e coraggiosa condotta anche da parte di feriti gravi.
"La guerra all'Austria è straordinariamente sentita dalle truppe, da qualunque regione provengano. Vi è in tutti i soldati una ferma volontà di vincere a qualunque costo. Si avverte un poderoso risveglio dell'istinto di razza, oltreché un fervido e cosciente sentimento di Patria. Vi sono stati, in molti punti del fronte, azioni violente e sanguinose. Il soldato ha sempre seguito l'ufficiale con quello slancio, con quella fede e con quell'obbedienza che derivano soprattutto dallo stretto e cordiale rapporto che vi è tra le truppe ed i loro comandanti. In attacchi alla baionetta con trincee formidabilmente munite, in assalti frontali sotto il fuoco delle artiglierie e delle mitragliatrici, ufficiali anche dei più alti gradi e soldati hanno combattuto con eroico coraggio, spingendosi fino alle estreme altezze del sacrificio.
"Moltissimi furono gli episodi di valore. Il colonnello DE ROSSI, comandante di un reggimento di bersaglieri operante in terreno asperrimo, caduto gravissimamente ferito, agitò in alto il cappello piumato, gridando: "Bersaglieri sempre avanti!". La ricompensa al valore datagli personalmente da. S. M. il Re, accorso al suo letto di dolore, gli fu poi di gran conforto.
Il tenente colonnello NEGROTTO, dello stesso reggimento, cadde eroicamente sul campo dell'onore. E con loro divisero la gloriosa sorte altri ufficiali e soldati
bersaglieri, alpini, fucilieri e granatieri, dando al nemico annidato in trincee preparate da lungo termpo e con ogni arte di guerra, lo spettacolo di un ardimento insuperabile.
"In questo modo furono tolte agli Austriaci posizioni fortissime; ma, per quanto talvolta i sacrifici non siano stati lievi, il cuore degli ufficiali e soldati non tremò e ognuno volenterosamente ripeté gli attacchi fino al conseguimento dell'obbiettivo. Né fu soltanto la lotta contro il nemico ma anche la lotta contro il terreno che dimostrò la ferrea resistenza delle nostre truppe specialmente di montagna. Le operazioni furono condotto su balze impervie; furono trasportati su alte e quasi inaccessibili vette grossi pezzi di artiglieria con un'abilità ed una tenacia degne del più alto elogio. Lunghe colonne di salmerie procedenti su per sentieri alpestri e addirittura tra le anfrattuosità del terreno roccioso, recarono regolarmente ai nostri combattenti sull'alta montagna munizioni e viveri.

"In alcuni punti del fronte le truppe avanzarono allo scoperto in pianura sotto il fuoco delle artiglierie nemiche piazzate sulle alture, occuparono tenacemente linee di osservazione, quantunque battute continuamente dai cannoni avversari non indietreggiarono di un passo. Cavalieri e ciclisti fecero rapide ed audaci incursioni in paesi ancora occupati dal nemico, affrontando insidie e riportando buoni frutti dalle loro ricognizioni. I pontieri si distinsero lungo tutta la lunghissima linea dell'Isonzo, gettando ponti di barche o passerelle sotto il fuoco nemico, oppure riattando e ricostruendo rapidissimamente ponti distrutti dagli Austriaci prima della loro ritirata sulla riva sinistra del fiume. Così pure funzionarono ottimamente tutti gli altri numerosi servizi del genio. Brillante fu la condotta dell'artiglieria sia pesante, sia da campagna, sia da montagna. La bella fama dei nostri artiglieri non si smentì nei lunghi duelli contro pezzi nemici sapientemente nascosti in posizioni dominanti, nel vittorioso attacco a forti corazzati, nel battere numerose linee di trincee abilmente dissimulate, nel proteggere e sostenere l'avanzata delle fanterie.

In pochissimi giorni di guerra il coordinamento dell'azione tra le varie armi si affermò rapidamente; il funzionamento dei comandi si palesò ottimo; la collaborazione armonica tra le varie armate secondo i piani prefissi si dimostrò eccellente. Soddisfacente fu il funzionamento del servizio sanitario, sia sul campo, sia nelle retrovie. I feriti vennero rapidamente avviati nei vicini ospedali e i più leggeri vennero successivamente trasportati nelle città più interne onde lasciar libero il posto ai feriti sopravvenienti. In generale si è riscontrata finora la grandissima prevalenza di ferite leggere, specialmente agli arti ed il buon corso dei processi di guarigione.

I servizi di intendenza si sono andati durante pochi giorni completando con buoni risultati. Eccellenti sopratutto i risultati del larghissimo impiego di autocarri; ottimo il servizio di esplorazione aerea. Insomma uno sguardo complessivo al risultato dei primi venti giorni di guerra consente di fare una soddisfacente constatazione di assieme. Oltre a rivelare la splendida condotta delle truppe che ha già ripetutamente e giustamente richiamato l'attenzione e l'elogio di S. M. il Re, il quale percorre instancabilmente il fronte, si può affermare che l'intero esercito ha dato prova fin qui di possedere una salda costituzione organica. Infatti in pochi giorni si è riusciti a compiere la mobilitazione e nello stesso tempo a portare quasi dovunque la nostre forze fuori del territorio nazionale, ponendo così felicemente le prime basi di tutto un piano d'azione che si va razionalmente e gradualmente applicando. Intanto l'imponente organizzazione dei servizi di un grande esercito si è andata ordinatamente e progressivamente completando senza intralcio allo svolgimento della vita del Paese.
Quanto alle prime mosse offensive dell'esercito, pur evitando di entrare in dettagli inopportuni e di commettere indiscrezioni dannose, se ne possono tuttavia riassumere i caratteri generali in base a dati di assoluta verità. Nella zona del Trentino le nostre forze sono risolutamente spinte innanzi, correggendo così almeno gli inconvenienti di ordine strategico di una frontiera infelice come quella impostaci dalla campagna del 1866. Le nostre balde truppe di montagna occupano valichi e vette i cui nomi ricordano le gesta indimenticabili dei valorosi combattenti, mezzo secolo or sono nel Trentino. Potenti artiglierie coronano cime ed altipiani, donde si potrà procedere ad ulteriori e maggiori occupazioni e battono efficacemente fortini nemici finora ritenuti quasi imprendibili e ne hanno già demoliti alcuni.

Nell'alto Cadore si rinverdiscono le memorie delle gesta di Pier Fortunato Calvi, mediante l'occupazione di Cortina e di altri importanti punti. Così non soltanto sono chiuse le vie ad una, del resto impossibile invasione nemica nel territorio nazionale, ma si apre gradatamente il varco a quell'azione offensiva che potrà essere ritenuta opportuna. Nella zona carnica i nostri alpini, solidamente stabiliti su valichi importanti, li tengono ottimamente respingendo ripetutamente contrattacchi nemici. Nella zona del Friuli orientale le nostre forze avanzate vanno prendendo sempre maggior contatto con il nemico superando gradatamente ostacoli non lievi.

"Questi i risultati in un così breve primo periodo di guerra, i quali costituiscono la promessa di un piano di operazioni cui l'esercito si è accinto con animo saldo e deciso a sormontare ostacoli d'ogni specie. Questi obbiettivi e le doverose constatazioni della bontà intrinseca del nostro esercito non debbono, tuttavia, indurre in errore di ottimismo circa il carattere della presente guerra che è aspra e difficile. Non si deve sopratutto dimenticare che il terreno delle operazioni è quasi completamente montuoso, che è stato da lungo tempo preparato dal nemico ed è difeso da truppe agguerrite già da undici mesi di campagna. L'esercito è deciso a superare a qualunque costo ostacoli, resistenze, difficoltà, e gli sarà soprattutto di grande conforto, nell'aspra prova, la serena, fiduciosa e paziente aspettative del Paese".

Il Paese, in effetti era calmo, anche perchè non era granché informato dalla stampa nazionale, dai vari comunicati, ed inoltre nella iniziale euforia, tutti erano convinti che la guerra sarebbe stata breve. Qualche dubbio iniziò a serpeggiare quando in agosto, in ottemperanza al Patto di Londra, l'Italia dovette dichiarare guerra alla Turchia; e rimase in sospeso -fino all'agosto del 1916- la dichiarazione di guerra alla Germania nonostante la presenza di sommergibili tedeschi nel Mediterraneo che colpiranno diverse navi italiane.

Inoltre l'Austria con l'intento di fiaccare il morale italiano, iniziò ad angosciare con le sue incursioni aeree sulle città italiane, come a Venezia.


Ed è il prossimo capitolo di questo primo mese di guerra dell'Italia > > >

 

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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