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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1915 (1)

GRANDE GUERRA - ITALIA: LA NEUTRALITÁ - PATTO DI LONDRA
( sul "Patto di Londra" vedi altre pagine QUI )

Capitolo: "La Guerra Europea" dal "Memoriale" di Giovanni Giolitti

(vedi anche il documento LA "NOSTRA" GUERRA )
redatto nel 1940, alla vigilia della 2nda G.M.

BEPPINO GARIBALDI AL FASCIO INTERVENTISTA DI MILANO - COLLOQUIO SALANDRA-GIOLITTI - IL DISCORSO DI GAETA - LA LEGGE SULLA DIFESA ECONOMICA E MILITARE DELLO STATO - II CONGRESSO DELLA "TRENTO-TRIESTE" - IL GENERALE PORRO NOMINATO SOTTOCAPO DELLO STATO MAGGIORE - SEGNI D'INTERVENTO - IL GENERALE PAU IN ITALIA - LE GIORNATA DELL' 11 APRILE - I MANIFESTI DEI FASCI DI AZIONE RIVOLUZIONARIA - UN ARTICOLO DEL "POPOLO D' ITALIA" SULLA DISCIPLINA NAZIONALE - GLI INTERVENTISTI RIVOLUZIONARI E LA MONARCHIA - UN CONVEGNO DEI PARTITI INTERVENTISTI MILANESI - L'AGITAZIONE DEGLI STUDENTI - I NEGOZIATI FRA L'ITALIA E L'AUSTRIA-UNGHERIA - LE RICHIESTE ITALIANE E TERGIVERSAZIONI DI VIENNA - IL GOVERNO ITALIANO TRATTA CON L' INTESA - NUOVE PROPOSTE DEL BULOW E DEL BURIAN; LE CONTROPROPOSTE ITALIANE - PROPOSTA AUSTRIACA PER LA CESSIONE DEL TRENTINO - TRATTATO DI LONDRA - IL GOVERNO ITALIANO DENUNCIA IL TRATTATO D'ALLEANZA DELL' ITALIA CON L'AUSTRIA-UNGHERIA -
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COLLOQUIO SALANDRA-GIOLITTI
IL DISCORSO DI GAETA - IL CONGRESSO DELLA "TRENTO-TRIESTE"

Nonostante i divieti di organizzare comizi, le agitazioni sia degli interventisti sia dei neutralisti continuarono. Ma i primi, sebbene meno numerosi, dominavano la piazza e la scena politica con i loro capi, risoluti ed energici, fra i quali il più attivo di tutti era BENITO MUSSOLINI, che con clamorose azioni, discorsi, articoli, stava imponendo la propria volontà.
Come mezzo di propaganda, oltre i suoi ardenti comizi, c'era il suo "Popolo d'Italia", che spopolava non solo di lettori ma anche di sottoscrittori; in prima fila i grandi industriali, i liberali di destra, gli antisocialisti, gli interventisti.
Il 10 febbraio 1915, sul N. 41, Mussolini così ne parlava:

"Agli amici" - Poche parole e chiare, agli amici, ai simpatizzanti, ai lettori. E per una volta tanto. L'unica. Chiedo, ma non intendo di andare in giro col cappello. Chiedo oggi, dopo tre mesi. Non l'avrei fatto, non l'ho fatto dopo tre giorni di vita del giornale. Ai quindici di novembre il giornale era una speranza o una promessa. Bisogna credermi sulla parola ed era - da parte mia - troppo pretendere in un paese di ipocriti, di sornioni, di poltroni, di maldicenti. Oggi, le cose sono cambiate. Oggi c'è il fatto compiuto. C'è un grande giornale che - a giudizio dei competenti e a giudizio unanime del pubblico sovrano - è uno dei migliori d'Italia. Un giornale moderno, libero, spregiudicato: un organismo pieno di sangue, ricco di nervature, sodo di muscoli: un giornale di notizie, di pensiero, di polemica; un giornale di vita, ben fatto, leggibile, variato, interessante. Gli avversari, a denti stretti e con la bile in corpo, devono riconoscerlo. E' un organismo già formato. Sono stati, questi, mesi di lavoro frenetici.

"Ma tutto è ormai al punto. Abbiamo qualche centinaio di corrispondenti disseminati in tutta Italia, dai grandissimi centri ai più remoti paesi. Dall'estero siamo informati dai nostri inviati speciali a Parigi e a Londra. II servizio politico da Roma è - specie per ciò che riguarda la politica estera - diligente e coscienzioso, assolutamente indipendente. La migliore, irrefutabile testimonianza è la collezione del giornale. Si spiega, con queste ragioni, che vado prospettando rapidamente, il successo del Popolo, la sua rapida e larga diffusione dovunque, e nei paesi delle vallate nevose del Piemonte e nelle borgate dell'ardente Sicilia o nella dimenticata Sardegna. Sono relativamente contento del mio lavoro. Ma sento che c'è la possibilità di fare ancora dì più, molto di più. Ci sono dei progetti da tradurre nella realtà. Dei progetti che fermentano - per ora - nel mio cervello. Per l'attuazione di tali progetti occorre del denaro. Non posso dire quanto. Occorre del denaro. I milioni non esistono. Esistono solo e sono - ahimè - molti, troppi, gli imbecilli e i malvagi che me li hanno regalati sbrigliando le fantasie. Ma la realtà è diversa. Io non chiedo milioni. Chiedo l'aiuto degli amici, dei simpatizzanti, dei lettori. Chiedo degli abbonati, chiedo dei sottoscrittori. Non apro, però, la sottoscrizione pubblica, che si risolve in una piccola fiera della vanità.
Ho finito. Le parole sono state poche. Non ripeterò questa specie di appello. Chi vuol intendere, intenda: chi vuol dare, dia. Salute! (Mussolini).
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Il 6 marzo del 1915, scioltasi in Francia la Legione Garibaldina, PEPPINO GARIBALDI telegrafava da Parigi al Comitato dei Fasci interventisti: "Rendendomi conto del lavoro che si sta facendo in Italia per il compimento delle nostre aspirazioni nazionali, invio la completa adesione tanto mia quanto quella dei miei fratelli Ricciotti, Sante, Ezio al loro programma e domandiamo di essere inseriti a codesto Comitato Centrale con l'augurio che i rimasti dei volontari italiani che si batterono nelle Argonne in nome di Trento e Trieste possano in un giorno non lontano trovarsi al fianco vostro oltre le Alpi Giulie, combattenti per i nostri fratelli irredenti".

Quel giorno stesso avveniva a Roma un lungo colloquio tra gli onorevoli GIOLITTI e SALANDRA, in cui i due uomini di Stato ebbero franche spiegazioni. Salandra, saputo che il Giolitti aveva poca stima del presente ministero credendolo incapace di piegare l'Austria a vantaggiose condizioni o il re e il paese alla guerra, offrì di cedergli il potere; ma Giolitti disse che non desiderava il potere, affermò che un gabinetto interventista (di Salandra) poteva ottenere di più dall'Austria che un Gabinetto germanofilo (il suo) e dichiarò che avrebbe lealmente continuato a dare a Salandra l'appoggio promesso nel dicembre del 1914.
Avuto questo incontro, detto questo, Giolitti se ne tornò in campagna, e vi rimase tutta l'estate, senza modificare di una linea le sue occupazioni (scriverà poi nelle sue "Memorie" di essere rimasto sorpreso dallo scoppio della guerra).

Il giorno dopo, l'on. Salandra fu presente, a Gaeta, all'inaugurazione dei lavori del nuovo molo militare e dell'acquedotto. Al banchetto ufficiale il generale MORRA, comandante del presidio della brigata "Savona", chiuse la serie dei discorsi e dei brindisi con queste parole: "Eccellenza, se i capi diranno di sostare, noi sosteremo; se diranno di marciare, noi marceremo avanti sempre e dovunque, per il nostro Re e per l'Italia. Il nostro grido bellicoso sarà sempre: Savoia !" .
Il presidente del Consiglio abbracciò fra l'entusiasmo dei presenti il generale, e presa la parola, disse fra le altre cose:
"Tutti gli oratori, oltre a questioni locali, hanno accennato a più alte cose. Poco dirò, non perché io tema di compromettermi ...., ma perché, profondamente commosso dalle parole del generale Morra, sento che non saprei esprimere con altrettanta efficacia l'animo mio. Rileverò soltanto queste sue parole: Egli ha detto che la brigata "Savona" sarà fidente, calma, disciplinata e pronta. Così deve essere il Paese, così tutta l'Italia deve essere come è la brigata Savona, e cioè calma, disciplinata, fidente e pronta. Essere pronti senza calma e senza disciplina non è preparare la grandezza del Paese. Io mi trovai al mio posto in condizioni impreviste, superiori alle mie forze. Vi resto e farò con profonda fede e coscienza tutto quello che si dovrà fare affinché il Paese esca dalle presenti contingenze più grande e più forte. Tutti faremo il nostro dovere, come ha concluso il generale Morra, con l'aiuto di Dio, agli ordini del Re e per la gloria della Patria".

Tornando il presidente del Consiglio a Roma, alla stazione di Sessa Aurunca, tra la folla plaudente uno sconosciuto gridò: "Viva la neutralità!" Allora Salandra, dal finestrino, rispose: "No, gridate con me Viva l'Italia!". Quest'episodio, riferito dalla stampa, fece credere prossimo o sicuro l'intervento dell'Italia nella guerra.

Non erano cessati i commenti dei giornali all'episodio di Sessa Aurunca e al discorso di Gaeta, quando altri commenti sulla stampa suscitò la notizia che a Venezia, il 10 marzo, scaricandosi 92 barili di birra provenienti da Berlino e diretti a Tripoli, si era casualmente scoperto che i barili, anziché birra, contenevano 456 fucili e 27.300 cartucce. Data la provenienza e la destinazione delle armi e la marca francese dei fucili, molte e varie furono le congetture, ma non si riuscì mai a spiegare l'enigma.

Il 13 e il 14 marzo 1915 ebbe luogo alla Camera la discussione di un disegno di legge sulla "difesa economica e militare dello Stato"; il 15 la Camera, con 251 voti contro 15 e 1 astenuto, accordò la fiducia al Governo e, con 234 voti favorevoli e 25 contrari, approvò il disegno, che il 20 fu discusso in Senato e approvato con 145 voti favorevoli e 2 contrari. La Camera prese le vacanze il 22 marzo; una settimana dopo le prese anche il Senato.
Lo stesso 29 marzo si svolse a Roma un congresso della "Trento e Trieste" che per il numero e la qualità degli intervenuti e di coloro che aderirono costituì un'affermazione interventista importantissima.
Parlarono BARZILAI, in nome di Trieste aspettante, IVANOE BONOMI per i riformisti, la cui anima, non poteva rifiutarsi "di accogliere la voce del sentimento, i moniti della storia e le speranze dell'avvenire"; poi parlò ENRICO CORRADINI, che in nome dei nazionalisti polemizzò con i neutralisti: "conservatori borghesi e conservatori socialisti, uomini tutti di pancia in un mondo commestibile, pancia borghese e pancia rivoluzionaria, nonché ufficiale" ed espresse l'augurio della liberazione del Trentino, dell'Istria e della Dalmazia; quindi fu approvato all'unanimità il seguente ordine del giorno: "Il convegno indetto dalla "Trento-Trieste", riassumendo le vibrazioni migliori dell'anima italiana attraverso la concordia e la disciplina di cittadini d'ogni regione e d'ogni parte politica, aspetta dal Governo, che ha rivendicato libertà piena, corrispondente a responsabilità illimitate per l'esaudimento delle aspirazioni nazionali, le non troppo tarde decisioni supreme per cui dovranno, con le armi, essere fissati i confini e la grandezza d'Italia".
PEPPINO GARIBALDI infine portò il saluto dei volontari delle Argonne e chiuse dicendo: "Amici, arrivederci a Trieste !".
Terminata la cerimonia, una colonna di alcune migliaia di persone percorse le vie della capitale cantando gl'inni patriottici, si recò poi a far una dimostrazione ostile sotto il palazzo dell'Ambasciata austriaca che a stento fu protetta dalla truppa, ruppe i vetri del Gambrinus, del Norddeutscher Lloyd e del "Popolo Romano" neutralista e si sciolse dopo avere gridato davanti a Palazzo Braschi sotto le finestre del Presidente del Consiglio: "Viva l'Italia! Viva Trieste! Vogliamo la guerra!".


IL GENERALE PORRO NOMINATO SOTTOCAPO DI STATO MAGGIORE
SEGNI FORIERI DELL'INTERVENTO

Alcuni giorni dopo, il 3 aprile, si diffondeva la notizia che il generale CARLO PORRO dei conti di Santa Maria della Bicocca era stato nominato sottocapo dello Stato Maggiore. La nomina di Porro, amico di CADORNA, che nel 1914 aveva rifiutato il ministero della Guerra perché non era stato accettato un suo noto programma richiedente l'impiego di circa 800 milioni, fu considerato come un segno di prossimo intervento anche perché quel giorno stesso il Bollettino Militare pubblicò un vasto movimento negli ufficiali generali. Né questo del resto era il solo segno. Altri si erano avuti, i quali davano al pubblico la sensazione che il Governo si preparava.
Notiamo fra essi la febbrile preparazione militare, il disegno eccezionale per la difesa economica e militare dello Stato, il disegno per il richiamo in servizio d'autorità degli ufficiali di complemento (2 marzo) il decreto che prorogava di 20 giorni la permanenza alle armi dei militari di prima categoria della classe 1888 ascritti all'artiglieria da campagna e pesante campale, dei militari di prima categoria della classe 1881 ascritti agli alpini e dei militari di terza categoria delle classi 1891, 1892, 1893 e 1894 ascritti agli alpini, chiamati alle armi il 28 gennaio (26 marzo), il decreto per il quale erano chiamati alle armi per un periodo di 45 giorni a cominciare dal 7 aprile i militari alpini di prima categoria della classe 1883 (27 marzo), il decreto che trasferiva da Mantova a Venezia il comando dell'artiglieria da fortezza e da Venezia a Mantova il comando della brigata "Puglia" (21 marzo), il decreto che indicava di quali notizie di carattere militare era proibita la pubblicazione (28 marzo), infine il decreto che vietava l'esportazione di ogni genere di navi (3 aprile).

IL GENERALE PAU IN ITALIA

Questi segni, naturalmente, facevano intensificare nel paese la propaganda interventista, che, nell'aprile, si esplicò con manifestazioni clamorose. Il 6 aprile Catania accoglieva con calorosa dimostrazione il generale francese PAU reduce dalla Grecia, il 7 a Genova oltre 25.000 persone ascoltavano la parola di PEPPINO GARIBALDI, dell'on. CANEPA e di COSIMO PALA e andavano davanti al consolato belga ad acclamare all'eroica nazione; l'8 il generale Pau fu accolto con grande entusiasmo dagli interventisti romani.

Una grande manifestazione per l'11 aprile in tutta Italia preparavano intanto "fasci di azione rivoluzionaria". Questi diramavano a Roma il seguente manifesto agli Italiani: "L'ora di agire è maturata. La storia e l'avvenire della Nazione non soffrono ulteriori temporeggiamenti. E proprio in questo momento si fanno più concrete e più gravi le voci di turpi passi che senza produrre l'unità nazionale ci asservirebbero disonorandoci per sempre all'Impero tedesco. E' minacciato il nostro più povero patrimonio di libertà acquisito. Si sta per decidere dei nostri più vitali interessi politici ed economici, nazionali ed internazionali. Mentre nella triste intimità dei Gabinetti si trama la tela di ragno in cui si dovrebbero soffocare le aspirazioni più doverose, giuste e sante del nostro popolo, è dovere di tutti gl'Italiani d'ogni dottrina e di ogni tendenza affermare un'ultima volta solennemente ma fermamente da un capo all'altro della penisola che la guerra ai pirati di Europa, la guerra ad ogni costo contro l'Austria padrona e tormentatrice di genti italiane, e sopratutto contro la Germania rovesciatrice di ogni libertà, deve essere intrapresa.
Bisogna dimostrare che la preparazione ai necessari sacrifici sarà pari alla grandezza dell'impresa. Noi, proprio noi sovversivi, in nome dei rivoluzionari interventisti che ci si raccolgono intorno, lanciamo oggi un ultimo appello a tutti i cittadini, un ultimo monito pacifico al Governo. Dalle vie e dalle piazze delle nostre città, esso, prorompa domenica prossima verso la Reggia e i suoi Ministri. Dopo ciascuno al proprio posto di battaglia. Italiani, a voi !" .

Così concepito era il manifesto del FASCIO MILANESE d'Azione rivoluzionaria:
"Proletari milanesi! per domenica prossima, 11 corr., i Fasci d'Azione Rivoluzionaria, hanno organizzato in tutte le città d'Italia delle manifestazioni popolari per reclamare dal governo della monarchia, insieme con la denuncia dell'infausta Triplice Alleanza, la dichiarazione di guerra agli Imperi Centrali. A Milano la dimostrazione avrà luogo nelle ore serali in Piazza del Duomo. Proletari milanesi! Ascoltate la nostra parola fraterna e sincera. Noi non siamo dei "guerrafondai" né dei nazionalisti. Voi stessi - affollando le assemblee dei Fasci - avete fatto sovrana giustizia di queste stupide calunnie. Nessuno di noi vuole la guerra per la guerra, ma tutti noi, pur militando in frazioni diverse del sovversivismo siamo convinti della necessità indeprecabile della guerra dell'Italia contro l'Austria e contro la Germania. Proletari milanesi! Considerate e riflettete. La neutralità è voluta dalla monarchia che non osa rischiare la Corona, dal Vaticano che vuole conservare l'Austria, dalla borghesia contrabbandiera, dai senatori germanofili, dai venduti all'oro di Bulow, da tutti, insomma, i rappresentanti della conservazione sociale. Fra gli stessi socialisti i favorevoli all'intervento sono moltissimi. Coloro che vi dicono che il proletariato italiano è neutrale mentiscono sfacciatamente. A Parma e a Genova - per citare due città dell'alta Italia - la classe operaia è partigiana della guerra. Volere la guerra non è un delitto di leso socialismo. Da Krapotkine a Malato, da Hyndmann a Plekanoff, da Gaillaume a Cipriani, i migliori e i più devoti militanti della Rivoluzione sociale sono tutti favorevoli ella guerra contro l'Austria e la Germania. Proletari milanesi! Noi vogliamo la guerra per ragioni nazionali, sociali, umane. Finché vi saranno nazioni oppresse e smembrate come la Polonia ed il Belgio, l'Internazionale che noi vagheggiamo sarà un sogno irrealizzabile. L'Austria-Ungheria che opprime otto popoli deve sfasciarsi e gli Italiani di Trento e di Trieste, che furono decimati in Galizia e soffrono in questi giorni dolori inenarrabili, devono tornare all'Italia. Abbandonarli ancora alle feroci rappresaglie austriache, sarebbe un'infamia senza nome. La guerra contro la Germania e l'Austria deve liberare l'Europa dall'incubo del militarismo prussiano. Le ragioni umane del nostro atteggiamento stanno nella convinzione che l'intervento dell'Italia abbrevierà la guerra e risparmierà milioni di giovani vite.
Proletari milanesi! La neutralità è egoismo, è interesse, è calcolo, è cinismo, ma la classe operaia è, deve essere generosa. Il proletariato italiano ha sempre dato la sua solidarietà ai sofferenti e agli oppressi di tutto il mondo. Resterebbe ora sordo dinanzi alla rovina del Belgio? No: non lo crediamo. Ecco perché vi rivolgiamo questo appello. Noi, o proletari, siamo stati al vostro fianco ieri, saremo al vostro fianco domani. Non vi chiediamo voti o stipendi o applausi, non vi lusinghiamo, vi additiamo invece la via del dovere che è anche quella dell'onore. Pensate: se voi non ci aiuterete a spezzare la neutralità del Governo, i vostri fratelli che emigrano saranno domani reietti da tutto il mondo civile. Proletari, venite con noi nelle strade e nelle piazze a gridare basta alla politica mercantile corrompitrice della borghesia italiana e a reclamare la guerra contro gli Imperi responsabili della conflagrazione europea. Viva la guerra liberatrice dei popoli! Il Comitato del Fascio".

LA GIORNATA DELL'11 APRILE
I MANIFESTI DEI FASCI DI AZIONE RIVOLUZIONARIA
UN ARTICOLO DEL " POPOLO D' ITALIA " SULLA DISCIPLINA NAZIONALE

L'11 aprile, giorno della manifestazione popolare, il "Popolo d' Italia" recava un articolo del proprio direttore, intitolato "Disciplina?" in risposta a quanto raccomandava il ministeriale "Giornale d' Italia".

"La disciplina "nazionale" -scriveva MUSSOLINI - c'è stata. Due miliardi sono stati spesi, settecento mila uomini sono sotto alle armi e nessuno ha protestato. Ma ora la disciplina comincia a pericolare. Il popolo che ha atteso, per lunghissimi nove mesi, una parola, oggi non ne può letteralmente più, e domanda e vuol sapere qual destino gli sia riservato, di qual morte deve morire. È umano. Abusare ancora della sua pazienza, sarebbe bestiale. Intanto che cosa fa il Governo? Ci consiglia di mettere il "cuore in pace", ci fa sapere che attende un evento decisivo per muoversi e che l'attesa gioverà a rendere perfetta la nostra preparazione militare. Noi ci domandiamo - esterrefatti - in quale stato di incredibile disorganizzazione doveva trovarsi il nostro esercito nel mese di agosto, se con due miliardi e nove mesi non siamo ancora "al punto".
O l'impreparazione è una scusa per le interrogazioni diplomatiche - O è annunciata per reclamare nuovi miliardi- Quanto al fatto decisivo, che tutti aspettano e che non viene mai, non ha dunque considerato il Governo la verità di questa proposizione fondamentale: che il miglior modo per rendere un fatto decisivo" è quello di contribuire a crearlo- Przemysl "pareva un fatto decisivo, adesso il fatto decisivo sarebbe costituito dalla ormai avvenuta traversata dei Carpazi da parte dei russi. Ma non è intuitivo che se domani le baionette italiane si affacciassero alle frontiere austriache, si faciliterebbe l'invasione dei russi in Ungheria, e si sarebbe compartecipi del "fatto decisivo", impedendo anche una precipitosa pace nutro-russa ? Noi siamo indotti a sospettare che l'eventualità di una pace austro-russa lusinghi i nostri diplomatici e i nostri governanti. Se la Germania da una parte e la Triplice Intesa dall'altra acconsentono a una pace separata austro-russa, i nostri diplomatici farebbero il loro gioco e raggiungerebbero il loro obiettivo che è quello della piccola guerra soltanto contro l'Austria. Se la Germania -, dopo una pace austro-russa si disinteressa dell'Austria-Ungheria - la Germania si disinteresserà allo stesso modo di una guerra dell'Italia contro l'Austria, guerra che, non coinvolgendo la Germania, renderebbe ancora possibile una collaborazione diplomatica italo-tedesca.
Con la Serbia è facile raggiungere un accordo particolare. Sono ipotesi, eventualità, ma questa incertezza perdurante rende legittimo ogni sospetto e, fra poco, ogni esasperazione. Noi restiamo quindi sordi agli appelli per la disciplina nazionale. Per esigere la "disciplina" di un popolo nel secolo XX, bisogna "illuminarlo". Noi "indisciplinati" abbiamo la coscienza di avere assolto a un nobilissimo dovere patriottico. Rendendo popolare la necessità della guerra, noi abbiamo contribuito a creare il morale delle truppe che dovranno combattere domani. Gli "interventisti" disseminati nella compagine dell'esercito, saranno di sprone agli altri e saranno i migliori soldati perché sapranno la "ragione" della guerra. Data la compagine prevalentemente "rurale" dell'esercito italiano, questa infusione di elementi idealisti avrà, senza dubbio, benefiche ripercussioni sull'esito della guerra. I nostri propositi sono chiari. D'ora innanzi noi accettiamo una sola disciplina: quella della guerra. Se il generale Cadorna non dirà la parola che attendiamo, l'Italia sarà fatalmente in sanguinata dalla guerra civile".

Il giorno prima lo stesso giornale aveva pubblicato una dichiarazione redatta a Roma in un convegno, in cui avevano partecipato persone appartenenti a tutte le gradazioni del rivoluzionarismo italiano. Essa portava, fra le altre, le firme di BENITO MUSSOLINI, MARIA RYGIER, LIVIO CIARDI, ALCESTE DE AMBRIS, UBALDO COMANDINI, MICHELE BIANCHI, ATTILIO LONGONI, OLIVIERO OLIVETTI, LIBERO TANCREDI e GIOVANNI MARINELLI e diceva:

"All'intervento .... - che non può esplicarsi altrimenti che con la rottura violenta della Triplice Alleanza e la guerra contro gl'Imperi Centrali a fianco della Triplice Intesa - noi siamo pronti a dare tutto il nostro appoggio, accettando di condividerne la responsabilità nella forma più leale: diciamo cioè che, qualora la monarchia dichiari la guerra che noi auspichiamo, sentiremo il dovere collettivo di continuare fino a vittoria raggiunta nella tregua rivoluzionaria, ed il dovere personale di accorrere sui campi di battaglia per offrire il nostro sangue alla causa della libertà dei popoli contro il militarismo teutonico. Ma con eguale franchezza diciamo che né sangue, né tregua possiamo promettere per ogni azione che la monarchia avesse in animo di svolgere compromettendo l'Italia nelle viltà e nelle speculazioni tristi di una politica obliqua e usuraia. La grave responsabilità della guerra può essere da noi accettata soltanto per altissime ragioni ideali (la rivendicazione dei diritti di tutte le nazionalità) e per la necessità di abbattere un ostacolo formidabile al progresso umano (il militarismo tedesco): ben altro contegno ci detta l'eventualità che l'Italia ufficiale abbia a fare il giuoco della Germania con qualche diversivo sostanzialmente ostile alla Triplice Intesa. In questo caso, non l'opposizione passiva, ma la più vivace opposizione attiva di tutte le nostre forze ci si imporrebbe come un dovere assoluto. E lo stesso dovere noi compiremmo anche contro ogni mercato della nostra neutralità a base di compensi territoriali.
Noi diciamo che la sola neutralità onesta - anche se imbelle - è quella che non chiede di essere pagata. La neutralità che specula sui conflitti, nei quali gli altri profondono sangue e ricchezza, è la neutralità di Sylock. Un popolo non può ricavare da una simile politica usuraia che odio e disprezzo, entrambi ben meritati. Perciò se anche le trattative avviate da Bulow potessero darci - cosa impossibile - i più larghi compensi territoriali, noi affermeremo per sempre la nostra decisa ed assoluta opposizione all'ignobile traffico dell'onore italiano, separando fin da ora la responsabilità nostra da una simile vergogna che dovrà pesare tutta intera ed esclusivamente sulla monarchia restando a noi il compito di fargliela scontare con la più sollecita severità. Questo anche nel caso non difficile che la baratteria venisse dissimulata con una finzione di guerra sul tipo di quella che nel 1866 ci coprì d'onta e di ridicolo".

Quella dell'11 aprile fu, in tutta Italia, una giornata "calda". Il Governo cercò di impedire che i comizi indetti dagli interventisti avessero luogo; ma avvennero lo stesso e provocarono immancabili tumulti. A Roma si ebbero conflitti con la forza pubblica in piazza della Pilotta e in piazza dell'Esedra e furono tratti in arresto BENITO MUSSOLINI, F. T. MARINETTI e ARTURO VELLA, segretario del Partito Socialista Ufficiale.
Tafferugli si ebbero a Napoli; violente dimostrazioni a Firenze con legnate e colpi di rivoltella e l'arresto di parecchi, fra cui DECIO CANZIO; chiassate e conflitti e arresti a Torino, ad Ancona, a Venezia, a Verona, a Siena; ferimenti si ebbero a Parma; colluttazioni violente a Milano con l'uccisione di un operaio; a Brescia la commemorazione delle Dieci giornate si trasformò in manifestazione interventista, significativa per la compostezza e la solennità e per l'intervento di liberali, democratici, massoni, cattolici, di rappresentanze delle scuole, dei corpi municipali della provincia e dell'esercito e di un folto gruppo di irredenti e di senatori e deputati.

GLI INTERVENTISTI RIVOLUZIONARI E LA MONARCHIA
UN CONVEGNO DEI PARTITI INTERVENTISTI MILANESI L'AGITAZIONE DEGLI STUDENTI

Il 13 aprile in una riunione dei partiti interventisti milanesi, nella quale parlarono l'avv. LUZZATTO, il prof. GIUSEPPE RICCHIERI ed altri, fu approvato per acclamazione il seguente ordine del giorno:

"I soci e aderenti delle Società e Gruppi: Democratica lombarda, Lega nazionale italiana, Partito socialista riformista, Unione liberale democratica, Segretariato radicale lombardo, Gruppo liberale Nazionale, Società Patria per Trento e Trieste, Comitato lombardo per l'azione dell'Italia nel conflitto europeo; riuniti in assemblea comune il 13 aprile 1915, riaffermano l'imprescindibile necessità dell'intervento dell'Italia nel conflitto europeo; ritenuto essere ormai tempo di porre fine all'attuale situazione, la quale prolungandosi aumenterebbe il disagio morale all'interno, diminuirebbe il prestigio della Nazione all'Estero, ne determinerebbe l'isolamento politico; ritenuto che l'intervento dell'Italia nell'attuale momento farebbe indubbiamente decidere le sorti del conflitto e le procurerebbe oltre al raggiungimento degli ideali nazionali, l'onore di avere affrettata la vittoria della giustizia e della civiltà; ritenuto che, all'opposto, l'indecisione del Governo in questo momento cagionerebbe irreparabile pregiudizio agli interessi della Patria ed al suo avvenire, e di fronte a ciò il Paese insorgerebbe; affermano solennemente la solidarietà dei diversi sodalizi interventisti in tali idee e propositi; deliberano d'intensificare la propaganda nel popolo per elevare il sentimento patriottico e prepararlo alle supreme decisioni, di esprimere direttamente al Governo, a mezzo del Consiglio federale, la decisa volontà dei sodalizi federati".

Ma oramai i platonici voti dei partiti e delle associazioni erano soffocati dalle dimostrazioni, dai comizi e dai tumulti della parte più irrequieta degli interventisti; anche gli studenti universitari medi tumultuavano scagliandosi contro l'insegnamento di professori stranieri o germanofili o neutralisti e li confortava nell'agitazione l'autorevole voce del senatore MARAGLIANO, rettore dell'università genovese. Che affermava pubblicamente: "Le Università italiane siano degli Italiani".
Si respirava aria di guerra, i canti del Risorgimento risuonavano nelle vie di ogni città; notizie di incidenti alla frontiera austriaca, veri o inventati, eccitavano gli animi; Peppino Garibaldi fu ricevuto dal Re e gli chiedeva di poter costituire un corpo di volontari; correva voce che l'Italia sarebbe uscita dalla neutralità alla prossima riapertura del Parlamento e intanto tramontava l'aprile e s'avvicinava a gran passi il 5 maggio, nel qual, giorno Gabriele d'Annunzio, esule volontario in Francia, aveva promesso di fare ritorno in patria per esaltare, davanti al monumento ai Mille che doveva inaugurarsi a Quarto, la leggendaria impresa garibaldina e spingere alla nuova più grande impresa l'Italia.

I NEGOZIATI FRA L'ITALIA E L'AUSTRIA-UNGHERIA
LE RICHIESTE ITALIANE E LE TERGIVERSAZIONI DI VIENNA
IL GOVERNO ITALIANO TRATTA CON L'INTESA
NUOVE PROPOSTE DI BULOW E DI BURIAN
LE CONTROPROPOSTE ITALIANE

Parve, verso la metà di febbraio, che i negoziati italo-austriaci dovessero esser troncati. Il 12 di quel mese SONNINO faceva comunicare al Governo austro-ungarico dall'ambasciatore a Vienna quanto segue:
"Di fronte al contegno persistentemente dilatorio a nostro riguardo, non è possibile ormai nutrire più alcuna illusione sull'esito pratico delle trattative. Onde il Regio Governo si trova costretto, a salvaguardia della propria dignità, ritirare ogni sua proposta o iniziativa di discussione e a trincerarsi nel semplice disposto dell'art. 7, dichiarando che considera come apertamente contraria all'articolo stesso qualunque azione militare che volesse muovere da oggi in poi l'Austria-Ungheria nei Balcani sia contro la Serbia, sia contro il Montenegro o altri, senza che sia avvenuto il preliminare accordo richiesto dall'art. 7.
Non ho bisogno di rilevare che se di questa dichiarazione e del disposto art. 7 il Governo austro-ungarico mostrasse con il fatto di non voler tenere il dovuto conto, ciò potrebbe portare a gravi conseguenze delle quali questo Regio Governo declina fin da ora ogni responsabilità".

Anzi, qualche giorno dopo, SONNINO incaricava il duca d' AVARNA di dichiarare al barone BURIAN che la su riferita comunicazione aveva il preciso significato di un veto apposto dall'Italia ad ogni azione militare austriaca nei Balcani prima che si fosse verificato l'accordo sui compensi giusta l'art. 7 del trattato della Triplice Alleanza.
Nonostante il rifiuto del barone Burian di ammettere il punto di vista italiano, i negoziati continuarono. Il 4 marzo il ministro Sonnino riassumeva così il suo pensiero:

"1°. Nessuna azione militare dell'Austria-Ungheria nei Balcani deve potersi iniziare senza che sia stato antecedentemente portato a termine l'accordo sui compensi, tenendoci noi rigorosamente al testo dell'art. 7.
2°. Ogni infrazione di quanto sopra sarà da noi considerata come un'aperta violazione del trattato, di fronte alla quale l'Italia riprende la sua piena libertà d'azione a garanzia dei propri diritti e interessi.
3°. Nessuna proposta o discussione di compensi può condurre ad un accordo se non prospetta la cessione di territori già posseduti dall'Austria-Ungheria.
4°. Valendoci del disposto dell'art. 7, esigiamo compensi per il fatto stesso dell'inizio di un'azione militare dell'Austria-Ungheria nei Balcani, indipendentemente dai risultati che tale azione abbia a raggiungere; non escludendo però che si possano stipulare altri compensi sotto forma condizionale e proporzionali ai vantaggi che effettivamente l'Austria-Ungheria riesca a conseguire.
5°. Quella quota fissa di compensi che serve di corrispettivo per l'inizio stesso dell'azione militare indipendentemente dai risultati, dovrà, anziché tenersi segreta, essere portata ad effetto, con il trapasso effettivo dei territori ceduti e l'occupazione loro immediata per parte dell'Italia.
6°. Non ammettiamo alcuna discussione di compensi da parte nostra per l'occupazione del Dodecaneso e di Valona".

Le pressioni di Berlino inducevano BURIAN a dichiarare, il 9 marzo, che il Governo austro-ungarico consentiva a discutere la questione dei compensi sulla base proposta dall'Italia, e allora il Sonnino proponeva i punti di partenza da chiarire preventivamente e cioè:

1° assoluto segreto dei negoziati;
2° esecuzione immediata dell'accordo;
3° l'accordo doveva investire l'intera durata della guerra.

BURIAN però si rifiutava recisamente di dar esecuzione all'accordo e il Governo italiano, non nutrendo più fiducia nei negoziati e convinto che con questi l'Austria si serviva soltanto per guadagnare tempo, ritenne necessario di trattare con l'Intesa. I primi approcci furono fatti con l'Inghilterra.
Il 4 marzo il marchese IMPERIALI, ambasciatore italiano a Londra, comunicò a sir EDWARD GREY che l'Italia era disposta a scendere in campo a fianco della Triplice Intesa, e gli consegnò un memorandum in cui erano enumerate e spiegate le condizioni alle quali l'Italia avrebbe partecipato alla guerra.
Il Governo italiano chiedeva: che la Francia, l'Inghilterra, l'Italia e la Russia, non avrebbero dovuto concludere la pace o l'armistizio separatamente; la Russia avrebbe dovuto continuar la guerra contro l'Austria-Ungheria; all'Italia sarebbero stati dati il Trentino fino al Brennero, Trieste e l'Istria fino al Volosca, con l'isola di Cherso, la Dalmazia tra Fiume (esclusa, questa andava alla Croazia) e il Narenta con tutte le isole a nord e ad est della stessa Dalmazia, Valona dal Vojussa al Chimara, l'isola di Saseno, il Dodecaneso, compensi in Africa se l'Intesa si fosse appropriate le colonie tedesche, compensi in Turchia se l'impero ottomano fosse stato diviso, diritto di occupare Adalia e il territorio circostante se fosse stata occupata l'Asia Minore; la Santa Sede sarebbe stata esclusa dai negoziati di pace; l'Italia avrebbe eventualmente consentito al Montenegro, alla Serbia e alla Grecia di acquistar territori in Albania purché il rimanente territorio fosse eretto in Stato mussulmano indipendente e neutrale e fosse neutralizzata la costa da Cattaro al Vojussa e dal Chimara al Capo Stylos.

A questi patti l'Italia s'impegnava di scendere in campo entro il 25 maggio contro l'Austria, la Turchia e gli altri nemici dell'Intesa, eccettuata la Germania e anche questa se gli eserciti tedeschi avessero aiutato direttamente gli austriaci contro l'Italia.
Il 10 marzo sir EDWARD GREY comunicò a PAUL CAMBON e al conte BENCKENDORF, ambasciatori della Francia e della Russia, il "memorandum" italiano e non mancò di fare rilevare l'importanza dell'aiuto dell'Italia, sia dal lato militare che dal lato politico. I due ambasciatori presero visione dei patti del Governo italiano e risposero che li avrebbero comunicati a Parigi e a Pietroburgo.

PROPOSTA AUSTRIACA PER LA CESSIONE DEL TRENTINO
IL TRATTATO DI LONDRA

Benché non progredissero di un passo, i negoziati italo-austriaci intanto continuavano, aiutati dal principe di BULOW, il quale, il 20 marzo, era fiducioso di superare la difficoltà poste dal rifiuto ostinato di BURIAN dell'immediata esecuzione dell'accordo, comunicando a SONNINO che il Governo tedesco lo aveva incaricato di dichiarare che la Germania assumeva di fronte all'Italia la piena ed intera garanzia che la convenzione da concludersi fra i due Governi italiano ed austro-ungarico sarebbe stata eseguita fedelmente e lealmente dopo la conclusione della pace.
Il Governo italiano non fece buon viso alla dichiarazione germanica, ma poiché da Londra tardavano a giungere notizie intorno alla nostra offerta, SONNINO disse che non avrebbe insistito sulla condizione dell'esecuzione immediata se l'Austria avesse fatto proposte precise e concrete.

Le proposte BURIAN le fece il 27 marzo:
"L'Italia s'impegnerebbe a osservare fino alla fine della guerra attuale verso l'Austria-Ungheria e i suoi alleati una neutralità benevola dal punto di vista politico ed economico; in quest'ordine d'idee l'Italia si obbligherebbe inoltre per tutta la durata della guerra attuale a lasciare all'Austria-Ungheria piena e intera libertà d'azione nei Balcani e a rinunziare in anticipazione a qualsiasi nuovo compenso per i vantaggi territoriali o altri che risulterebbero
eventualmente per l'Austria-Ungheria da tale libertà d'azione.
Questa stipulazione però non si estenderebbe all'Albania, rispetto alla quale l'accordo esistente fra l'Austria-Ungheria e l'Italia, nonché le decisione della riunione di Londra, rimarrebbero in vigore".

Il duca d'AVARNA, che comunicava tali proposte, aggiungeva: "Il barone BURIAN mi ha fatto quindi conoscere che dal suo lato l'Austria-Ungheria sarebbe pronta ad una cessione di territori nel Tirolo meridionale, compresa la città di Trento. La delimitazione particolareggiata sarebbe fissata in modo da tener conto delle esigenze strategiche che creerebbe per la Monarchia una nuova frontiera, e dei bisogni economici delle popolazioni".

Ma Sonnino dichiarava vaghe, incerte ed insufficienti, come base di negoziati le proposte di BURIAN, in quanto che "non soddisfacevano abbastanza le aspirazioni nazionali, non miglioravano in modo apprezzabile le condizioni militari italiane e non rappresentavano un compenso adeguato alla libertà d'azione nei Balcani all'Austria".

Nel frattempo, il 20 marzo il ministro inglese GREY rimetteva al marchese Imperiali un "memorandum" in cui dichiarava che l'Intesa era disposta ad accettare in linea di massima le proposte italiane, ma che l'Italia doveva rivedere il suo disegno riguardo all'Adriatico, poiché "la domanda italiana della Dalmazia, unita alla proposta di neutralizzare una larga parte della carta orientale adriatica e la pretesa delle isole del Quarnaro lasciavano alla Serbia opportunità e condizioni molto ristrette per il suo accesso al mare, e rimaneva chiusa nelle sue province jugoslave, che avevano con ragione guardato a questa guerra come a quella che avrebbe assicurato loro le legittime aspirazioni di espansione e di sviluppo di cui erano state fino allora private".

L'ambasciatore italiano insisteva nelle richieste, dichiarando che non avrebbe giovato all'Italia combattere per sostituire nell'Adriatico la supremazia austriaca a quella jugoslava; ma la Francia e la Russia difendevano apertamente gl'interessi serbi e l'Inghilterra, sebbene fosse d'avviso che le esigenze italiane fossero grandi e andassero ridotte, consigliava i Governi alleati a non insistere su questo punto qualora l'Italia aderisse alla "dichiarazione di Londra" del 5 settembre 1914, per la quale le potenze dell'Intesa si erano impegnate a fare insieme la guerra e la pace.
Il marchese IMPERIALI dichiarò che l'Italia avrebbe aderito alla "dichiarazione di Londra" e, il 29 marzo, consegnò a sir EDWARD GREY un "memorandum" in cui le richieste italiane circa il confine meridionale della Dalmazia erano alquanto ridotte. Il 30, dietro richiesta del ministro degli Esteri inglese, l'ambasciatore italiano presentò un terzo "memorandum" riducendo ancora le richieste dell'Italia, e, dichiarando che quello era l'ultimo testo, chiese una sollecita risposta.

Duravano intanto i negoziati con Vienna. Il 2 aprile BURIAN spiegava quali concessioni territoriali l'Austria intendesse fare all'Italia e cioè:
"i distretti (Politische Bezirke) di Trento, Rovereto, Riva, Tione (ad eccezione di Madonna di Campiglio e dei suoi dintorni) nonché il distretto di Borgo. Nella vallata dell'Adige il confine rimonterebbe fino a Lavis che resterebbe all'Italia". (Lavis è situato a 8 chilometri a nord di Trento - Ndr)

Richiestone dal barone Burian, Sonnino, l'8 aprile, formulava, le seguenti controproposte:
"1°. L'Austria-Ungheria cede all'Italia il Trentino con i suoi confini che ebbe il Regno italico nel 1811, cioè dopo il trattato di Parigi del 28 febbraio 1810.
2°. Si procede ad una correzione a favore dell'Italia del suo confine orientale, restando comprese nel territorio ceduto le città di Gorizia e Gradisca. Da Trogofel il confine nuovo si stacca dall'attuale volgendo ad oriente fino all'Osterning e di là scende dalle Carniche fino a Saifiniz. Indi per il contrafforte tra Seisera e Schilza sale al Wirsehberg e poi torna a seguire il confine attuale fino alla sella di Nevea, per scendere dalle falde del Rombone fino all'Isonzo passando ad oriente di Plezzo. Segue poi la linea dell'Isonzo fino a Tolmino, dove abbandona l'Isonzo per seguire una linea più orientale, la quale passando ad est dell'altipiano Pregona-Planina e seguendo il solco del Chiapovano, scende ad oriente di Gorizia ed attraverso il Carso di Comen termina al mare tra Monfalcone e Trieste nella prossimità di Nabresina.
3°. La città di Trieste con il suo territorio, che verrà esteso al nord fino a comprendere Nabresina, in modo da confinare con la nuova frontiera italiana (art. 2) e al sud tanto da comprendere gli attuali distretti giudiziari di Capo di Istria e Pirano, saranno costituiti in uno Stato autonomo e indipendente nei riguardi politici internazionali militari, legislativi, finanziari e amministrativi, rinunziando l'Austria-Ungheria ad ogni sovranità su di esso. Dovrà restare porto franco. Non vi potranno entrare milizie né austro-ungariche né italiane. Esso si assumerà una quota parte del Debito Pubblico austriaco in ragione della sua popolazione.
4°. L'Austria-Ungheria cede all'Italia il gruppo delle isole Curzolari, comprendendo Lissa (con gli isolotti vicini di Sant'Andrea e Busi), Lesina (con le Spalmadori e Torcola), Curzola, Lagosta (con gli isolotti e scogli vicini), Cazza e Meleda, oltre Pelagosa.
5°. L'Italia occuperà subito i territori ceduti (art. 1°, 2° e 4°) e Trieste e suo territorio (art. 3°) saranno sgombrati dalle autorità e dalle milizie austro-ungariche, con congedamento immediato dei militari di terra e di mare che provengono da quelli e da questa.
6°. L'Austria-Ungheria riconosce la piena sovranità italiana su Valona e sua baia compreso Saseno, con quanto territorio dell'Hinterland si richieda per la loro difesa.
7°. L'Austria-Ungheria si disinteressa completamente dell'Albania compresa entro i confini tracciati dalla conferenza di Londra.
8°. L'Austria Ungheria concederà completa amnistia e l'immediato rilascio di tutti i condannati e processati per ragioni militari e politiche provenienti dai territori ceduti (art.1°, 2° e 4°) e sgombrati (art.3°).
9°. Per la liberazione dei territori ceduti (art. 1°, 2° e 4°) dalla loro quota parte di obbligazione del Debito Pubblico austriaco o austro-ungarico, nonché del Debito per pensioni ai cessati funzionari imperiali e reali e contro l'integrale ed immediato passaggio al Regno d'Italia di ogni prosperità demaniale, mobile, meno le armi, che si trovano nei territori stessi, e a compenso di ogni diritto dello Stato riguardante detti territori in quanto vi si riferiscono sia pel presente sia per l'avvenire, senza eccezione alcuna, l'Italia pagherà all'Austria-Ungheria la somma capitale in oro di 200 milioni di lire italiane.
10°. L'Italia s' impegna a mantenere una perfetta neutralità durante tutta la presente guerra nei riguardi dell'Austria-Ungheria e della Germania.
11°. Per tutta la durata della presente guerra l'Italia rinuncia ad ogni facoltà di invocare ulteriormente a proprio favore le disposizioni dell'art. 7 del Trattato della Triplice Alleanza; e la stessa rinunzia fa l'Austria-Ungheria per quanto riguardi l'avvenuta occupazione italiana delle isole del Dodecaneso".

Il 16 aprile BURIAN respinse le proposte italiane e fece una proposta per la cessione del Trentino. Secondo questa nuova proposta la nuova linea di confine, partendo dall'attuale frontiera presso Zufallspitze, seguirebbe lo spartiacque tra il Noce e l'Adige fino all'Illmespitze; passerebbe ad ovest di Proveis (che rimarrebbe al Tirolo), raggiungerebbe il torrente Pescara, ne seguirebbe il thalweg fino alla confluenza col Noce, da cui si distaccherebbe il confine settentrionale dal distretto di Mezzolombardo e raggiungerebbe l'Adige a sud di Salorno. La linea salirebbe sul Gelesberg, seguirebbe lo spartiacque tra la valle dell'Avisio per il Castiore e si dirigerebbe verso l'Hornspitze e il Monte Comp; volgerebbe quindi a sud ed, evitando il comune di Altrei, risalirebbe fino al colle di S. Lugano; seguirebbe lo spartiacque tra le vallate dell'Avisio e dell'Adige passerebbe per la cima di Rocca e il Grimmjoch fino al Latemar; discenderebbe verso l'Avisio e, tagliatolo tra Moena e Forno, risalirebbe verso lo spartiacque tra le vallate di San Pellegrino e Travignolo, e raggiungerebbe il confine attuale a est della cima di Bocche.

Naturalmente non era più il caso di continuare le trattative con l'Austria-Ungheria, sia perché questa mostrava chiaramente di non volerle condurre a termine, sia perché quelle avviate con l'Intesa stavano per concludersi felicemente.
E si conclusero infatti con il Trattato di Londra, del 26 aprile 1915, firmato da sir EDWARD GREY, da JULES CAMBON, dal marchese IMPERIALI e dal BENCHENDORFF. In esso l'Italia s'impegnava di entrare in guerra entro un mese e non oltre il 26 maggio coerentemente all'impegno delle potenze dell'Intesa di aiutare con tutte le loro forze, per terra e per mare, l'Italia a conseguire, i suoi scopi territoriali. Alla fine della guerra l'Italia riceverebbe: il Trentino fino al Brennero; Trieste e suoi dintorni; le contee di Gorizia e di Gradisca; tutta l'Istria fino al Quarnaro, comprese Valosca, Cherso e Lussin e le altre minori isole; tutta la Dalmazia nella sua attuale estensione aggiungendovi a nord Lissarika e Trebinga, a sud i territori fino a una linea che partendo dalle vicinanze del capo Planka e seguendo gli spartiacque, lascerebbe all'Italia tutte le valli le cui acque sboccano presso Sebenico; e più tutte le isole a nord e ad ovest della costa dalmatica; Valona e Saseno. L'Italia acconsentiva che alcuni distretti adriatici fossero concessi alla Croazia, alla Serbia e al Montenegro e cioè tutta la costa del golfo di Valona presso la frontiera italiana fino alla frontiera della Dalmazia, comprendente la costa attualmente appartenente all'Ungheria, la costa croata, il PORTO DI FIUME, i porti di Nevi e di Carlopago e le isole di Veglia, Perukio, Gregorio, Kali e Arbe. Il porto di Durazzo potrebbe essere assegnato al piccolo Stato autonomo albanese di cui l'Italia dirigerebbe le relazioni estere.

Desiderandolo le potenze della Intesa, l'Italia non si opporrebbe alla spartizione tra il Montenegro, la Serbia e la Grecia dell'Albania settentrionale e meridionale. Inoltre l'Italia consentiva che si neutralizzassero le isole a lei non attribuite, tutta la costa dal capo Planka alla penisola di Sabbioncello, una parte della costa, a partire da dieci chilometri a sud di Ragusa vecchia fino al fiume Vojussa a sud, in modo da comprendere nella zona neutralizzata tutto il golfo di Cattaro coi suoi porti Antivari, Dulcigno, San Giovanni di Medua e Durazzo. All'Italia si riconoscerebbe il pieno dominio del Dodecaneso. Se durante la guerra le potenze dell'Intesa occupassero distretti dell'Asia turca, l'Italia potrebbe occupare il distretto di Adalia.
L'Italia concorrerebbe all'indennità in proporzione ai suoi sforzi e sacrifici. Qualora i possessi coloniali francesi e inglesi in Africa si accrescessero con territori tolti alle colonie tedesche, la Francia e l'Inghilterra riconoscerebbero all'Italia il diritto di estendere i suoi possessi dell'Eritrea, della Somalia e della Libia sui confinanti territori delle colonie francesi ed inglesi. In corrispettivo dei vantaggi assicuratile e in considerazione degli accordi stipulati, l'Italia s'impegnava a condurre la guerra con tutte le sue forze a fianco dei tre alleati e contro gli Stati in lotta con essi.

Lo stesso 26 aprile gli ambasciatori italiano, russo e francese e il ministero degli esteri inglesi firmavano alcune dichiarazioni del trattato. Con una di esse l'Italia si associava alla dichiarazione fatta dalla Francia, dall'Inghilterra e dalla Russia di lasciare l'Arabia e i Luoghi Santi dell'Islamismo sotto uno Stato musulmano indipendente; con un'altra dichiarazione la Francia, la Russia e l'Inghilterra s'impegnavano a sostenere l'Italia per impedire che la Santa Sede svolgesse azione diplomatica per la conclusione della pace e per la sistemazione delle questioni connesse con la guerra; con altra dichiarazione i governi italiano, inglese, francese e russo s'impegnavano mutualmente a non concludere armistizi e pace separate durante la guerra e, convenivano che, giunto il tempo,di discutere i termini della pace, nessuna potenza alleata poteva porre condizioni senza preventivo accordo con ciascuno degli altri alleati; infine con un'altra dichiarazione veniva stabilito quanto segue:

"La dichiarazione del 26 aprile 1915, con la quale la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia e la Russia si impegnavano a non concludere pace separata, durante l'attuale guerra europea, rimarrà segreta. Dopo la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia o contro di essa, le quattro potenze firmeranno una nuova dichiarazione identica, che sarà resa pubblica in quel momento".

IL GOVERNO ITALIANO DENUNCIA IL TRATTATO D'ALLEANZA FRA L'ITALIA E L'AUSTRIA-UNGHERIA

Così si concludevano le trattative tra l'Italia e l'Intesa e terminavano quelle con l'Austria-Ungheria, nelle quali nulla avevano potuto l'abilità e le aderenze di BULOW, la furberia da sensale del deputato cattolico ERZBERGER, tutta la buona volontà di MACCHIO e del duca d'AVARNA e infine il gran numero dei neutralisti italiani. Il 3 maggio, l'on. SONNINO incaricava l'ambasciatore italiano a Vienna di presentare al barone BURIAN una comunicazione, la quale rimproverando all'Austria la violazione del trattato della Triplice e ricordando gli sforzi del Governo italiano di creare una situazione favorevole al ristabilimento tra i due Stati di quei rapporti amichevoli che costituiscono la base essenziale di ogni cooperazione nel terreno della politica generale, terminava così:

"Tutti gli sforzi del Regio Governo s' infransero nella resistenza del Governo Imperiale, che dopo parecchi mesi, si è soltanto deciso ad ammettere gli interessi speciali dell'Italia a Valona e a promettere una concessione non sufficiente di territori nel Trentino, concessione che non comporta il regolamento normale della situazione né dal punto di vista etnico né dal punto di vista politico o militare. Questa concessione inoltre non doveva essere eseguita che ad epoca indeterminata, alla fine della guerra. In questo stato di cose il Governo italiano deve rinunciare alla speranza di giungere ad un accordo e si vede costretto a ritirare tutte le sue proposte. È egualmente inutile mantenere all'alleanza un'apparenza formale, la quale non sarebbe destinata che a dissimulare la realtà di una diffidenza continua e di contrasti quotidiani.
Perciò l'Italia, fidando nel suo buon diritto, afferma e proclama di riprendere da questo momento la sua intera libertà d'azione e dichiara annullato e ormai senza effetto il suo trattato d'alleanza con l'Austria-Ungheria".



... intanto l'interventismo montava, poeti e giornalisti si esaltavano
e più di ogni altro Gabriele D'Annunzio....


...MAGGIO 1915, annunci di guerra > > >

come corollario vedi anche
( il documento LA "NOSTRA" GUERRA )
(redatto nel 1940, alla vigilia della 2nda G.M.
)

 

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
A.TAMARO - Il trattato di Londra e le rivendicazioni italiane, Treves, 1918
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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