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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI 1996-1911

VENT'ANNI DI POLITICA ESTERA, - QUARTO MINISTERO GIOLITTI

L' ITALIA E L' ETIOPIA DOPO LA PACE DEL 1896 - LA CONVENZIONE ITALO-FRANCO-INGLESE PER LA ETIOPIA - LA SOCIETÀ ANONIMA COMMERCIALE DEL BENADIR - IL RISCATTO DEI PORTI DEL BENADIR - L' ITALIA E IL MULLAH - COMBATTIMENTO DI DANANE, MELLET, BULABÒ E BALAD - UCCISIONE DEI CAPITANI BONGIOVANNI E MOLINARI - LA CONFERENZA DI ALGESIRAS - I RAPPORTI TRA L' ITALIA, LA GERMANIA E L' AUSTRIA - VISITE E CONVEGNI - I "GIOVANI TURCHI" - L'ANNESSIONE ALL'AUSTRIA DELLA BOSNIA E DELL' ERZEGOVINA - IL DISCORSO DELL'ON. TITTONI E CARATE BRIANZA - DISCUSSIONE PARLAMENTARE SULLA POLITICA ESTERA - DICHIARAZIONE DELLA SERBIA - SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA ED ELEZIONI POLITICHE - INAUGURAZIONE DELLA XXIII LEGISLATURA - IL DISCORSO DELLA CORONA - IL CONVEGNO DI RACCONIGI TRA IL RE D'ITALIA E LO ZAR NICOLA II - ACCORDO ITALO-RUSSO - IL FAMOSO DISCORSO DEL GENERALE ASINARI DI PERNEZZO - LE CONVENZIONI MARITTIME - IL DISEGNO DI LEGGE SUI PROVVEDIMENTI FINANZIARI - DIMISSIONI DEL MINISTERO GIOLITTI - IL SECONDO MINISTERO SONNINO - IL MINISTERO LUZZATTI - ATTIVITÀ LEGISLATIVA - IL DISEGNO DI LEGGE SULLA RIFORMA ELETTORALE - DIMISSIONI DI LUZZATTI - QUARTO MINISTERO GIOLITTI - IL DISEGNO DI LEGGE SULLE ASSICURAZIONI - IL CINQUANTENARIO DEL REGNO D' ITALIA
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RIEPILOGHIAMO: L'ITALIA E L'ETIOPIA DOPO LA PACE DEL 1896
LA CONVENZIONE ITALO-FRANCO-INGLESE PER L'ETIOPIA
LA SOCIETA ANONIMA COMMERCIALE DI BENADIR
IL RISCATTO DEI PORTI DEL BENADIR
L'ITALIA E IL MULLAH - UCCISIONE DEI CAPITANI BONGIOVANNI E MOLINARI

Per comprendere meglio gli avvenimenti che accadranno dopo l'ottobre del 1908 (occupazione dell'Austria nella Bosnia-Erzegovina) dobbiamo ricollegarci a quelli precedenti, fin da quando nel 1896 ci furono (dopo Adua) le dimissioni di Crispi. Da allora, la politica estera, in parte nel retroscena subì qualche variazione, anche se più o meno fu sempre tacitamente rinnovata la Triplice Alleanza.
Ma prima che finisse il secolo, ma ancora di più dopo la morte di Umberto, salito al trono Vittorio Emanuele III con a fianco Giolitti, ambedue si erano manifestati avversari della politica Crispina e di quel che in questa c'era di appassionata francofobia, di colonialismo, e di acceso militarismo.
Significa allora che erano anticolonialisti? Che si associavano all'anticolonialismo e all'antimilitarismo socialista?
Nemmeno per sogno, i due anzi, criticavano la piccineria di quei governi che non avevano voluto associarsi all'Inghilterra nell'impresa d'Egitto.
Fin dai primi passi i due pensarono sempre alla Libia, senza farne quasi mai parola agli italiani. Ma in ogni occasione, in ogni incontro, a Vienna come a Berlino, con i Francesi o con gli Inglesi, si ribadiva il concetto che la Libia era zona di vitale interesse per l'Italia.
E se ne parlò in gran segreto anche durante la visita dello Zar a Racconigi. Il re e Giolitti aspettavano solo il momento buono; e la questione in undici anni fu studiata in tutti i suoi aspetti: diplomatico, finanziario, economico, militare.

Entrambi, fin dai primi passi, si orientarono verso una distensione nelle relazioni con la Francia. Non rinnegarono la Triplice (ed infatti, furono accusati, tanto Giolitti che il Re di esserne dei fautori, di essere germanofili, e addirittura austriacanti), ma nel rinnovarla, gli diedero un significato più preciso e aderente ai reali interessi dell'Italia; sano significato di un contratto stipulato per difendere la pace e per garantire l'ordinato progresso; e non era colpa dell'Italia se i tedeschi invece davano a quell'Alleanza un significato nibelungico, di fedeltà incondizionata e irrazionale. Ed infatti lo abbiamo visto quando dopo la visita (festosa e senza brindisi per la Germania e al capo venerato della casa d'Absburgo) di Loubet in Italia, ci fu una palese rigidità di Guglielmo (una gelosia di colui che si riteneva il "padrone del vapore" chiamato "Europa").

Fino alla visita di Loubet, pareva che la Francia, da un momento all'altro, dovesse all'Italia chiedere conto di quel colpo di mano del 1870.
Ma la Francia era pur sempre una sorella latina dell'Italia, e sebbene repubblica, aveva passato un lungo periodo di amicizia delle correnti più monarchiche del Regno di Sardegna -poi Regno d'Italia; e nello stesso tempo amicizia con i gruppi e correnti repubblicane da Napoleone I a Napoleone III.
Si può comprendere quindi con quale ansia gli elementi più ragionevoli del liberalismo italiano perseguissero il riavvicinamento con la Francia. E più che tutti i trattati, ebbe il suo pieno e rassicurante significato quella visita che il presidente Loubet rese al re d'Italia, proprio a Roma capitale del regno.
"La Lombardia" di Milano nel suo numero 46, ma anche "il Sole" di Milano, n.54, pubblicavano articoli poi ripresi anche dal Bollettino Ufficiale dei Mercati Italiani del 18 marzo 1904) con il singolare appello del Comm. Banfi; indirizzato "... a tutti coloro che intendono fare omaggio alla Francia e portare il loro saluto ad Emilio Loubet".

L'articolo del "Bollettino" era intitolato:
"Come si prepara un plebiscito a Loubet":

"L'arrivo ormai ufficialmente certo, del presidente Loubet in Italia per la fine di Aprile ha suscitato in molti il desiderio di manifestare la gioia degli italiani per la rinnovata amicizia fra l'Italia e la Francia. A Roma è sorto un comitato di feste; Torino e Milano, coi loro sindaci alla testa, raccolgono offerte per un ricordo al presidente Loubet. Ma gli altri comuni, specialmente i medi e i piccoli, che non possono mandare un proprio delegato, vogliono pure partecipare a questa esplosione di sentimento. E il modo di far partecipare anche i piccoli comuni, è stato genialmente trovato dal Comm. Banfi, che l'ha subito praticamente applicato.
Ha spedito a tutti i Comuni d'Italia (ben 8.000) delle schede pregando i rispettivi Sindaci di raccogliere delle firme, bollarle col timbro del Comune, e spedirle al Comitato dei festeggiamenti, il quale penserà a raccogliere tutte le schede per farne degli album da presentare al presidente Loubet quando avrà posto piedi in Italia.
Come si vede è una patriottica manifestazione che, mentre ha carattere di massima semplicità, riuscirà certo solenne e grandiosa e, non vi è dubbio, particolarmente gradita non solo a Loubet, ma anche a tutta la Francia.
Sarà questa una vera manifestazione plebiscitaria dei Comuni italiani, la quale dirà come tutta l'Italia ricordi i vincoli di fratellanza con la nazione francese".

Nota: La lettera di Banfi fu poi estesa anche a tutti i Presidenti di società italiane, e vi si diceva: "Molte Società hanno risposto all'appello inviando le schede con le firme dei Soci della loro Società.�Non dubitando che la Sua Società non vorrà essere esclusa, la prega di inviargli colla massima sollecitudine l'allegata scheda firmata dai Soci della Società da lei rappresentata". (Bollettino Ufficiale dei Mercati Italiani n. 78, del 18 marzo 1904).

Alla Triplice, ma soprattutto al Kaiser Guglielmo II diede molto fastidio prima queste iniziative e ancora di più le successive accoglienze entusiastiche riservate al francese, e non a lui il mese precedente.

Quanto sull'amicizia con l'Inghilterra, questa in Italia era quasi un dogma indiscusso; nemmeno i più accesi nazionalisti lo ponevano in discussione. Negli ultimi anni dell'Ottocento, l'Inghilterra che ancora pensava ai possibili ritorni dell'imperialismo francese, aveva visto nell'unificazione dell'Italia un mezzo radicale per sottrarre la penisola all'influenza dell'antica sua rivale; e si era anche data da fare cercando di promuovere e di incoraggiare un'espansione italiana in Africa, proprio per sbarrare la via alla Francia.

Ma torniamo indietro di qualche anno, che ci serve per ricapitolare alcuni avvenimenti
che abbiamo già velocemente trattato nei precedenti capitoli.

Annullato il trattato di Uccialli, le potenze europee fecero a gara per crearsi interessi in Etiopia. Nel 1896 la Francia ottenne da MENELIK la concessione ferroviaria Gibuti-Dirè-Dana-Addis Abeba; quindi concluse un trattato con il Negus per la delimitazione del suo protettorato sulla costa somala e in seguito poté fare accordare ai suoi sudditi, concessioni importanti di territori e di miniere.
L'Inghilterra, nel 1897 concluse con l'Etiopia un trattato di amicizia e di commercio, delimitò la frontiera verso l'Harrar, stipulò un accordo per il regime delle acque del Nilo e per le opere di sbarramento del lago Tana, ottenne ad Itang una stazione commerciale e la facoltà di congiungere il Sudan e l'Uganda con una ferrovia attraverso l'Abissinia; ebbe notevoli concessioni minerarie e, nel 1904, ottenne la facoltà di collegare, attraverso l'Etiopia, il Somaliland con il Sudan per mezzo di una strada ferrata.

Anche la Russia, che con il pretesto dell'affinità della religione aveva assunto l'aria di protettrice dell'Etiopia, cercò di crearsi degli interessi in quella regione, ma dopo gli avvenimenti d'Oriente, i Russi vi persero tutta quell'influenza che erano riusciti ad esercitarvi.
Invece la Germania vide crescere di giorno in giorno la sua influenza presso il Negus, fornendogli il medico (dott. Steinkuler), il precettore di LIGG IASU (dott. Paulow) e l'organizzatore del ministero (dott. Zintgraff) e stipulando con lui un vantaggiosissimo trattato d'amicizia e di commercio.

L'Italia, dopo la pace dell'ottobre del 1896, stipulò, il 10 luglio del 1900 il trattato relativo alla frontiera, e, più tardi, due convenzioni: una, il 15 maggio del 1902, per la delimitazione del confine tra l'Eritrea, il Sudan e l'Etiopia verso il Setit e l'altra il 16 maggio del 1908 per il confine tra l'Abissinia e la Somalia italiana, e tra l'Abissinia e l'Eritrea verso la Dancalia. Inoltre fu impiantata una linea telegrafica congiungente Massaua con Addis Abeba, e una società italiana ebbe l'autorizzazione di eseguire ricerche minerarie in territorio etiopico.
Il 13 dicembre del 1906 fu firmata a Londra una convenzione tra l'Inghilterra l'Italia e la Francia relativa all'Etiopia, con la quale i tre precisano i loro interessi in Abissinia impegnandosi a rispettarli reciprocamente. Quelli dell'Inghilterra erano costituiti dalla regolazione e dallo sfruttamento delle acque del Nilo e dalla costruzione delle ferrovie Sudan-Uganda e Sudan-Somaliland; quelli della Francia dalla costruzione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, quelli dell'Italia dal riconoscimento dell'hinterland dell'Eritrea e della Somalia in Etiopia e dalla facoltà di collegare le due colonie con una ferrovia.

Il 25 maggio del 1898 il Governo italiano aveva ceduto l'amministrazione della Somalia alla Società Anonima Commerciale Italiana del Benadir, costituitasi a Milano due anni prima. Cedendo l'amministrazione, il Governo si era impegnato di pagare ogni anno alla Società la somma di L. 400.000, che soltanto dopo dieci anni sarebbero potuto essere ridotte a 350.000. La Società a sua volta si era impegnata a provvedere all'amministrazione della giustizia, alla sicurezza del territorio, all'applicazione delle convenzioni di Berlino e di Bruxelles (1885-1890) circa l'abolizione della schiavitù, al servizio postale e allo sviluppo civile e commerciale della Somalia.
Ma la Società non fu in grado, anche per i pochi capitali di cui disponeva, di mantenere gli impegni e sopratutto non si curò di fare rispettare le convenzioni riguardanti la schiavitù, il che diede origine, negli anni 1903-1904 a tre inchieste condotte dai consoli PESTALOZZA e MERCATELLI e dall'on. GUSTAVO CHIESI e dall'avv. TIRELLI.
Solo allora il Governo italiano s'incaricò direttamente dell'amministrazione della colonia, mandandovi da Zanzibar il console MERCATELLI con l'incarico di Commissario generale, e riscattò i porti del Benedir con un accordo stipulato a Londra il 13 gennaio dei 190; con quest'accordo il sultano di Zanzibar, dietro il compenso di 3.600.000 lire, lasciava all'Italia il pieno possesso dei porti di Brava, Merca, Mogadiscio e Uarsuik.

Avendo provveduto alla sistemazione della colonia, il Governo pensò ad assicurarne la tranquillità, minacciata seriamente da Mohammed ben Abdullah, meglio conosciuto col nome di MAD MULLAH, il quale, con lo scopo di creare uno Stato indipendente, aveva predicato la guerra santa contro gli Europei nella Somalia inglese costringendo l'Inghilterra ad organizzare diverse spedizioni. Il 5 marzo del 1905, il Governo italiano, per mezzo di PESTALOZZA, stipulò ad Illig con Mullah un accordo, con il quale gli concedeva il diritto di risiedere nei territori del Nogal e di Hod e la protezione italiana.

Nel febbraio del 1907, essendo i Bimal insorti, truppe italiane composte di indigeni li assalirono a Danane e inflissero loro una grave sconfitta. Nel luglio, nell'agosto e nel settembre del 1908, il maggiore ANTONINO DI GIORGIO, comandante delle truppe della Somalia, sconfisse gli insorti a Mellet e spinse l'occupazione fino a Barice e ad Alfgoi. Nel novembre, essendo sorti dissensi tra lui e il governatore CARLETTI, Di Giorgio rientrò in Italia e fu sostituito dal maggiore VINCENZO ROSSI, il quale completò l'occupazione del territorio dell'Uebi Scebeli sconfiggendo i ribelli a Bulabò e a Balad.
Un anno prima, e precisamente il 15 dicembre del 1907, a Bardale, presso Lugh, in uno scontro con una banda abissina di razziatori, erano caduti i capitani BONGIOVANNI e MOLINARI. Per impedire il ripetersi di simili incidenti, il Negus MENELIK e il capitano COLLI di FELIZZANO, rappresentante italiano in Etiopia, firmarono, il 16 maggio 1908, in Addis Abeba una convenzione con la quale, dietro compenso di tre milioni, l'imperatore riconobbe all'Italia il possesso di Lugh e una linea di confine che, partendo da Dolo, andava fino all'Uebi Scebeli.
Due anni dopo, con legge del 6 aprile 1908, si sistemò definitivamente la Somalia, la cui amministrazione fu affidata ad un Governatore civile e la difesa e la sicurezza ad un corpo di truppe coloniale e di polizia indigena.

LA CONFERENZA DI ALGESIRAS - I RAPPORTI TRA L'ITALIA, LA GERMANIA E L'AUSTRIA - VISITE E CONVEGNI

Per discutere la questione marocchina, il 16 gennaio del 1906 si riunirono ad Algesiras i rappresentanti del Marocco, della Germania, dell'Austria, della Francia, dell'Italia, dell'Inghilterra, del Belgio, della Spagna, del Portogallo, degli Stati Uniti, dell'Olanda, della Russia e della Svezia. Rappresentava l'Italia il vecchio ma abile VISCONTI-VENOSTA.
Le questioni relative alla repressione del contrabbando delle armi alla dogana furono facilmente risolte nelle prime sedute con altre di minor conto; ma le difficoltà sorsero quando si trattò di risolvere quella dell'organizzazione della polizia marocchina e della creazione di una banca, perché la Francia reclamava di organizzare la polizia con la collaborazione della Spagna e pretendeva che i capitali francesi nella costituenda banca, fossero illimitati, mentre la Germania voleva che la polizia fosse organizzata da ufficiali europei appartenenti a Stati di second'ordine e i capitali francesi fossero limitati.
Le due questioni furono risolte il 31 marzo con decisioni favorevoli alla Francia, la quale ebbe l'incarico insieme alla Spagna di organizzare la polizia. Quanto alla banca, pur lasciando la prevalenza al capitale francese, si stabilì di aprire pure a quello tedesco.

Il contegno del VISCONTI-VENOSTA, il quale alla conferenza d'Algesiras aveva appoggiato il punto di vista francese, indignò GUGLIELMO II e fece sì che la stampa germanica si scagliasse contro l'Italia accusandola d'infedeltà, ma nella seduta al Reichstag del 14 novembre 1906 il cancelliere BULOW dichiarò corretta la condotta dell'Italia e affermò che la Triplice possedeva "ancora il vantaggio, oltre che di assicurare la pace europea, di eliminare i conflitti fra le tre nazioni alleate".
Inutile dire che Bulow risentiva molto dell'egocentrismo del suo "cesarista" imperatore, e aveva molto meno comprensione e collaborazione di quella che dal sovrano riceveva invece Giolitti nel dirigere la politica estera.

Inoltre aggiungiamo queste note: se Tittoni era un filo-germanico, Bulow per gusti educazione e cultura era molto più italiano che tedesco, conosceva la storia d'Italia meglio di molti politici italiani; e appassionato dell'Italia lo divenne ancora di più quando il Cancelliere sposò la figlia di donna Laura Minghetti, una delle più colte e più brillanti dame dell'Italia umbertina.

A dissipare le nubi che avevano oscurato l'orizzonte italo-germanico valse la presenza alla Consulta di TITTONI, che ripetiamo, era amico sincero della Germania; il 18 dicembre di quello stesso anno, dichiarò alla Camera che "la Triplice avrebbe continuato ad essere la base della politica italiana e ad essa intendeva rimanere fedele": "In Italia - disse - non mancano quelli che hanno predetto che noi un giorno avremmo dovuto decidere a scegliere tra le alleanze e le amicizie. Ebbene, fino a che la Triplice Alleanza continuerà nell'azione pacifica, che è la sua caratteristica, e fino a che le Potenze a noi amiche persevereranno nella politica di pace, che ora seguono, noi non dovremo scegliere, né decidere; dovremo soltanto continuare nella politica attuale, per la quale la fedeltà alle alleanze ci permette di mantenere le amicizie assicurando in tal modo la pace in Europa. E questo non è artificio, non è machiavellismo, non è politica a partita doppia, come a torto è stato detto; ma è la via semplice, piana, che necessariamente si presenta a chi davvero desidera il mantenimento della pace".

Anche gli Alleati dell'Italia cercavano di dissipare le nubi e rinsaldare l'amicizia. Il 6 giugno del 1906, un mese circa dopo la chiusura della conferenza di Algesiras, GUGLIELMO II e FRANCESCO GIUSEPPE da Vienna inviavano a Vittorio Emanuele III, per telegrafo, una formale "espressione d'inalterabile amicizia"; il 24 giugno del medesimo anno, per il centenario di Custoza, ufficiali austriaci intervenivano alla cerimonia; e al giubileo del maresciallo Beck, capo dello Stato Maggiore austriaco partecipava ufficialmente il generale SALETTA, capo dello Stato Maggiore italiano, che ricevette a Vienna grandi accoglienze; sul finire del 1906, essendo a Ragusa, a Zara e a Sussak avvenute dimostrazioni antitaliane, il Governo austriaco chiedeva scusa all'Italia, la quale vedeva con piacere il cancelliere austriaco Golachowsky rimpiazzato dal barone AERHENTHAL che il 4 dicembre parlava delle "cordiali e sincere relazioni con l'Italia".

I due sovrani alleati avrebbero però voluto che fosse più docile e più ligio alla loro politica VITTORIO EMANUELE III. Questi invece pareva che tenesse molto alla sua indipendenza, specie in politica orientale, e quelli non videro di buon occhio il viaggio del re d'Italia ad Atene (8-12 aprile 1907) per restituire la visita fattagli nel novembre del 1906 dal re di Grecia.
Di ritorno dalla Grecia, Vittorio Emanuele fece una sosta in Sicilia, dove, il 14 aprile inaugurò l'Esposizione Agricola di Catania. Il 17 il re giunse a Gaeta, e il giorno dopo, s'incontrò con EDOARDO VII d'Inghilterra.
Dopo quello Francese (di Loubet del 1904) anche quest'incontro non poteva far piacere alla Germania, ma il Governo tedesco ritenne necessario nascondere il suo disappunto per non indebolire l'alleanza e BULOW il 30 aprile dichiarò al Reichstag: "Le relazioni amichevoli tra l'Inghilterra e l'Italia non solo sono conciliabili con la posizione dell'Italia nella Triplice, ma sono per questa, utili e desiderabili".

A queste dichiarazioni facevano riscontro quelle che TITTONI rivolgeva alla Camera il 15 maggio del 1907: "L'antica formula - fedeltà incrollabile alla Triplice Alleanza, amicizia sincera per l'Inghilterra e per la Francia e rapporti cordiali con le altre Potenze - rimane sempre l'esponente della nostra politica, e il modo schietto con il quale questa politica è praticata dall'Italia è il solo possibile".

Il 31 marzo del 1907 il BULOW aveva avuto un convegno a Rapallo con TITTONI; il 14 luglio fu la volta del barone AERHENTHAL che s'incontrò a Desio con lui, dal quale, il giorno dopo, fu accompagnato presso il re a Racconigi. Nei colloqui di Desio e di Racconigi si riaffermò l'accordo tra l'Italia e l'Austria sia in rapporto alla situazione generale europea sia sul mantenimento dello "status quo" nei Balcani e si convenne che alla scadenza (giugno 1908) il trattato della Triplice si sarebbe rinnovato fino al 1914.

Ma nell'animo dell'AERHENTHAL non albergava proprio per nulla il proposito di mantenere lo "status quo" nei Balcani; anzi desiderava e preparava in quegli stessi mesi, l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina e a questa annessione lasciò intendere il 22 agosto del 1907, quando TITTONI gli restituì la visita a Sommering.
Altra mira dell' AEHRENTHAL era quella di riaffermare l'egemonia austriaca nel prossimo Oriente, approfittando della prostrazione della Russia dopo la disastrosa guerra contro il Giappone. Egli, difatti, il 27 gennaio del 1908 comunicò alla Delegazione Ungherese l'idea di ottenere dal Sultano la concessione di una linea ferroviaria da Seraievo a Mitrovitza. La concessione fu data, ma la Russia e la Serbia ne furono allarmate e, d'accordo con la Francia e l'Italia, contrapposero al disegno austriaco quello di una ferrovia dal Danubio all'Adriatico.

Queste nuove nubi furono dissipate con l'incontro tra GUGLIELMO II e VITTORIO EMANUELE III a Venezia, avvenuto il 23 marzo del 1908; con la visita fatta dal BULOW a TITTONI e a GIOLITTI a Roma nell'aprile successivo; e cielo azzurro vi era alle feste del maggio a Vienna per il sessantesimo anno di regno di Francesco Giuseppe, durante le quali s'inneggiò alla Triplice.
Ma altre nubi dovevano di lì a non molto sorgere nel cielo della politica europea, e più volte il cielo non mostrò né l'azzurro né brillò il sole.

I GIOVANI TURCHI
L'ANNESSIONE ALL'AUSTRIA DELLA BOSNIA E DELL'ERZEGOVINA

IL DISCORSO DELL'ON. TITTONI A CARATE BRIANZA

Parve per un momento che i disegni di barone di AEHRENTHAL sul vicino Oriente dovessero fallire, quando nell'impero ottomano, nel luglio del 1908, capitanata da ENVER bey, scoppiò la rivoluzione dei "Giovani Turchi", che riuscivano ad ottenere la costituzione, a ravvivare il sentimento patriottico degli Ottomani e a liberare l'impero da qualsiasi influenza delle Potenze europee.
Ma l'astuto cancelliere austro-ungarico trasse profitto dalla situazione creata dalla rivoluzione turca per far guadagnare terreno all'Austria in Oriente, dove la politica sua e quella dell'arciduca ereditario FRANCESCO FERDINANDO avevano lo scopo di abbassare la Serbia con l'innalzare la Bulgaria, scongiurando così il pericolo che quella rappresentava: cioè di attirare nella sua orbita l'elemento slavo della monarchia austro-ungarica.

In seguito ad accordi tra i governi bulgaro ed austriaco, il 5 ottobre del 1908 la Bulgaria, che era vassalla della Turchia, proclamò la propria indipendenza, eleggendo re il principe FERDINANDO di SASSONIA Coburgo-Gotha ed annettendosi la Rumelia Orientale. Il giorno dopo, l'Austria, non tenendo conto dell'art. 25 del Trattato di Berlino, proclamò l'annessione della Bosnia Erzegovina che dal 1878 occupava militarmente ed amministrava in nome del Sultano, e ritirò le truppe dal sangiaccato di Novi Bazar.
L'azione del Governo austro-ungarico suscitò lo sdegno e le proteste di quasi tutte le nazioni europee, non esclusa l'Italia.

II 6 ottobre 1908, il ministro TITTONI, inaugurando a Carate Brianza il congresso lombardo delle scuole di disegno, volle accennare agli avvenimenti balcanici e, fra le altre cose disse:

"L'Italia può attendere serenamente gli avvenimenti perché, comunque si svolgeranno, non la sorprenderanno né la troveranno impreparata o isolata. La posizione che l'Italia ha oggi fra le potenze, la pone in grado di tutelare efficacemente i propri interessi e, al tempo stesso, di portare un efficace contributo alla causa della pace. Del resto non è da meravigliarsi se certi troppo sottili avvenimenti con i quali la diplomazia creò situazioni di diritto, che sono mere finzioni ed alle quali contraddice lo stato di fatto da esse contemporaneamente create, non resistono a lungo all'azione del tempo. Una cosa sola a noi importa ed è, da un lato, che la pace non sia messa in pericolo, e, dall'altro, che le possibili variazioni nella penisola balcanica non turbino l'equilibrio degli interessi e sopratutto non le turbino a nostro danno. Come noi ci siamo premuniti in tempo contro simili eventualità, lo dirò quando sarà i1 momento e forse gli avvenimenti lo diranno per me prima che io parli. Quindi, qualche mese fa fu posta all'improvviso la questione delle ferrovie balcaniche, io chiesi al Parlamento di attendere con calma e fiducia che il Governo desse conto dell'opera sua, e dell'attesa Parlamento e Paese non ebbero a pentirsi. Ebbene, oggi il Governo deve chiedere alla pubblica opinione la stessa fiducia nell'opera sua, poiché ha la coscienza che potrà dimostrare di averla pienamente meritata".

Il discorso del ministro degli Esteri, non era molto chiaro, anzi era molto oscuro, e addirittura fece credere che l'Austria avesse dato all'Italia compensi per l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina. Si parlò perfino della cessione del Trentino. Ma l'Italia -con il passare dei giorni, delle settimane e dei mesi- non ebbe nulla e l'indignazione contro TITTONI fu enorme, né scemò per le violente dimostrazioni irredentiste provocate dall'aggressione patita a Vienna da duecento studenti italiani per opera di duemila studenti austriaci; cosicché s'iniziò ovunque a gridare "abbasso Tittoni !" e a Roma fu bruciato il ritratto del ministro degli Esteri assieme a quelli di Giolitti e di Francesco Giuseppe.

DISCUSSIONE PARLAMENTARE SULLA POLITICA ESTERA
DICHIARAZIONE DELLA SERBIA

Il 1° dicembre del 1908 cominciò alla Camera la discussione sulla politica estera, che durò quattro giorni. La politica di TITTONI fu difesa dall'on. GUIDO FUSINATO che presentò e svolse una mozione di approvazione dell'opera della Consulta.
Invece molti parlarono contro la politica estera del Ministero; fra questi l'on. BARZILAI, il quale fece una critica spietata sull'opera di Tittoni e concluse, rivolgendosi al ministro degli Esteri:

"Guardi, io avrei creduto che ella, all'indomani dei fatti dolorosi per noi, e dolorosi certamente per lei, all'indomani dei fatti che hanno dimostrato a quale risultato di delusioni profonde la portavano le intimità con i cancellieri degli Stati alleati, in quel giorno io avrei creduto che un grande esempio ella avesse richiamato alla sua mente, alla sua coscienza. Non è doloroso privilegio suo quello di subire l'insuccesso o l'ingenuo nelle trattative con le potenze straniere.
Altri inganni vi furono. Fu un inganno che creò la Triplice Alleanza; come è un inganno oggi quello che l'ha virtualmente distrutta. Orbene, Benedetto Cairoli, dopo che Barthélémy Saint-Hilaire aveva assicurato Cialdini che lui non pensava all'occupazione del Bardo, quando il fatto smentì l'affidamento, disse: "io ritengo l'interesse del paese superiore alla difesa della mia persona; io non mi presento alla Camera, non voglio che la discussione alla Camera inacerbisca il dissidio tra l'Italia e la Francia: io sono un fallito della politica e mi ritiro". Ella, onorevole ministro, non seppe avere questo gesto, che avrebbe riabilitato l'opera sua, perché l'avrebbe definita come opera non fortunata, ma cosciente e, sopratutto, diretta alla tutela del Paese".

L'on. MIRABELLI, repubblicano, svolse una mozione sostenendo che tutta quanta l'azione diplomatica, implicante realmente e virtualmente un onere finanziario, doveva essere sottoposto all'esame e al sindacato del potere legislativo e disse:
"La politica segreta delle alleanze è un'anticaglia delle vecchie diplomazie. Un ministro qualsiasi non può essere arbitro dei destini di una nazione: la politica estera di una nazione deve essere fatta dalla nazione stessa".
Anche l'on. SONNINO criticò aspramente la politica di Tittoni e dell'intero ministero. "Non è mio desiderio - egli concluse - di esagerare l'individuale responsabilità dell'on. Tittoni. L'incerto e ripetuto oscillare tra direttive diverse così all'estero come all'interno, e il difetto d'armonia e di coerenza nell'azione del Governo nei vari rami della sua attività politica, provengono da tutto un metodo seguito dal presente Gabinetto considerato nel suo complesso; metodo, o mancanza di metodo, che antepone il parere all'essere; che si riduce a vivere sempre alla giornata, lasciandosi andare alla deriva secondo il mutare dei venti; che vede in ogni questione quasi il solo lato strettamente parlamentare in quanto l'una e l'altra soluzione possano influire sui voti a Montecitorio, e che tende a considerare sostanzialmente risolto ogni problema più grave e complesso, ogni volta che il Ministero abbia in proposito riportato soltanto un voto di fiducia politica".

L'on. BISSOLATI disse: "Noi accusavamo ed accusiamo anche oggi l'onorevole TITTONI di essere stato impari a quel compito cui lo chiamavamo, cui lo incoraggiavamo di eliminare i dissidi fra Italia ed Austria e di stringere possibilmente i legami d'amicizia fra i due Stati. E tanto più lo condanniamo e lo accusiamo in quanto oggi raccogliamo il frutto della sua debolezza e della sua remissività".

Il discorso più elevato e più giusto di tutto il dibattito fu quello pronunziato il 3 dicembre dall'on. FORTIS. Egli, fra l'altro, toccò con molta sincerità il tasto degli anormali rapporti italo austriaci:

"Io e i miei amici vogliamo rimanere, malgrado tutto, fedeli alla Triplice Alleanza, che abbiamo sempre sostenuta e difesa. Dico malgrado tutto, perché .... questa fedeltà .... ci viene resa di giorno in giorno più difficile. E così non dovrebbe essere. Anche ieri, da uno dei più convinti fautori della Triplice Alleanza l'on. Sonnino, abbiamo sentito qualche lagnanza. Io voglio essere più rude; e dirò che non mi lamento dei mali trattamenti usati ai nostri connazionali soggetti all'impero austro-ungarico e non voglio troppo affliggermi delle rappresaglie immeritate, dei giudizi ingiusti, di tutto un insieme di piccole contrarietà, che pure rendono amara la vita. Io di un'altra cosa mi lagno, che mi dà molta pena e mi cagiona gravi apprensioni, ed è la misura veramente straordinaria degli armamenti della nostra vicina alleata. La situazione è piuttosto grave ed è molto dolorosa. Io confido che l'abilità, e la buona volontà dei due Governi, come riuscirono fin qui ad evitare gravi inconvenienti, così riusciranno ad evitarli in avvenire. Ma ad ogni modo io prevedo il giorno in cui bisognerà dire a nostra volta al barone di Aerhenthal, o a chi per lui, con il proverbio italiano: Patti chiari ed amicizia lunga. O cessa questa condizione anormalissima di cose, per cui l'Italia non ha ormai da temere la guerra che da una potenza alleata .... o non può cessare, ed allora riprendiamo serenamente la nostra libertà d'azione .... Intanto pensiamo ai casi nostri .... Qui dentro siamo tutti concordi, e se anche non lo fossimo noi, è concorde il paese tutto nel volere che il Governo domandi il sacrificio che occorre per completare la nostra difesa, per mettere la nostra potenza militare in condizione di garantire la pace".

FORTIS con gli applausi fragorosi che coronarono il suo discorso, indubbiamente aveva interpretato il pensiero di tutti; il suo successo fu enorme, ministri e deputati corsero a baciarlo ed abbracciarlo e fra questi ci fu lo stesso GIOLITTI.
Il giorno dopo, l'on. TITTONI si difese con un lungo discorso in cui dimostrò che all'Italia non spettavano compensi territoriali, rimproverava l'Austria di avere suscitato con l'annessione tanto sdegno in Europa, si diceva favorevole ad una conferenza europea e concludeva col dire che si associava alla proposta di aumentare le forze militari e col dichiarare che i recenti avvenimenti non potevano modificare la politica estera italiana basata sulle alleanze e sulle amicizie.
Dopo un discorso dell'on. GIOLITTI, che osannava al grande avvenire della nazione, la Camera approvò con 297 voti contro 140 la mozione FUSINATO.

Tuttavia l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina minacciò di accendere un gravissimo conflitto europeo. Se ciò non avvenne lo si dovette all'impreparazione militare della Russia in seguito alle sconfitte subite per opera del Giappone, al mancato appoggio all'impero moscovita della Francia e dell'Inghilterra, all'accordo della Turchia con l'Austria, che pagò alla prima 54 milioni di corone.
Rimasta sola e minacciata da un concentramento di truppe austriache alla frontiera, la Serbia, alcuni giorni dopo che la Russia aveva riconosciuto l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, dovette sottoscrivere la seguente dichiarazione impostagli dall'Austria (31 marzo 1909):

"La Serbia riconosce che non è stata colpita nei suoi diritti dal fatto compiuto nella Bosnia Erzegovina e quindi essa si conforma alle decisioni delle Potenze circa l'articolo 25 del Trattato di Berlino. Accettando i consigli delle Grandi Potenze, la Serbia s'impegna da questo momento ad abbandonare l'attitudine di protesta e di opposizione assunta verso l'annessione dall'autunno scorso e s'impegna inoltre verso l'Austria-Ungheria per vivere con quest'ultima come una buona vicina. In conformità di queste dichiarazioni, e fiduciosa delle intenzioni pacifiche dell'Austria-Ungheria, la Serbia ricondurrà il suo esercito allo stato della primavera del 1908, in ciò che concerne la sua organizzazione, la sua dislocazione ed il suo effettivo".
La soluzione al problema slavo, non era stata trovata ma solo rimandata.


SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA ED ELEZIONI POLITICHE
INAUGURAZIONE DELLA XXIII LEGISLATURA
IL DISCORSO DELLA CORONA
IL CONVEGNO DI RACCONIGI DEL RE D'ITALIA E LO ZAR NICOLA II

ACCORDO ITALO-RUSSO

Con il decreto dell'8 febbraio del 1909 la Camera fu sciolta e convocati i comizi elettorali per le elezioni del 7 e 14 marzo.

Votarono 1.903.687 elettori, il 65% degli aventi diritto.
I risultati furono favorevoli al Ministero Giolitti; tuttavia l'Estrema Sinistra si accrebbe di una trentina di deputati: i socialisti, infatti, da 26 salirono a 42, i repubblicani da 20 a 23, i radicali da 36 a 49. Il partito cattolico, che in quattro anni si era fortemente organizzato, mandò al Parlamento 24 rappresentanti.
Nelle liste dei radicali il collegio di Montegiorgio di Fermo nelle Marche, elesse deputato anche con i voti dei socialisti, il prete don ROMOLO MURRI, uno dei capi del "modernismo", da Pio X nel 1907 scomunicato e sospeso a "divinis" per la sua attività politica, il quale andò a sedere, in abito talare, tra i radicali.

La XXIII Legislatura fu inaugurata a Palazzo Madama il 24 marzo con il seguente discorso della Corona:

"Nella solennità di questo giorno, mentre cordialmente si rivolge a voi la mia parola bene augurando ai lavori della Legislatura che s' inizia, avverto anche più intenso quel cordoglio che tuttora rimane profondo nell'animo mio. La furia distruggitrice della natura, immensa e terribile come non fu mai, aprì la più crudele piaga nel cuore della Patria, atterrando due città fra le più nobili e belle, di cui l'Italia andasse superba, e funestando intere regioni di rovine e di lutti. Ma fu conforto che, di contro alla catastrofe orrenda, pur rifulgessero eroismi individuali e virtù collettive. Mentre, con serena coscienza del proprio dovere e con alto spirito di abnegazione, l'esercito e l'armata attendevano all'ardua e perigliosa opera di soccorso, una commovente concordia fraterna avvinse gli Italiani di ogni parte in uno slancio solo di affetto, di carità, di sacrificio. E con luminoso esempio di solidarietà umana, tutte le Nazioni civili, partecipando alla nostra sventura, offrirono il cuore e le braccia dei valorosi loro figli, rivolsero ai superstiti le più provvide cure, ci confortarono di amichevole simpatia, così che il dolore d'Italia apparve e fu veramente dolore del mondo. Il sentimento di riconoscenza, che a tutti esprimo, confermi il proposito nostro che Messina e Reggio rinascano ad un avvenire degno del loro glorioso passato".

Quindi il re accennò alla riforma tributaria, alla ricostituzione del patrimonio forestale, alla trasformazione della scuola, alla riorganizzazione delle forze militari e concluse dicendo che l'Italia avrebbe sinceramente raggiunta la meta assegnatele dalla sua gloria secolare e dalla sua fiorente giovinezza.
Della questione balcanica non un accenno. Eppure tutta Italia, a parte il terremoto, parlava solo di quello.

A presidente della Camera fu confermato l'on. MARCORA; tra i vicepresidenti fu eletto con 113 voti il socialista ANDREA COSTA. Dopo queste elezioni, cominciò la discussione sulla risposta al discorso della Corona e gli onorevoli PANTANO e MIRABELLI attaccarono il Governo per la sua politica passata e poi chiese il programma che intendeva svolgere.
GIOLITTI pose la questione di fiducia, e la Camera con 179 voti contro 74 approvò le dichiarazioni del presidente del Consiglio.

Il 4 aprile, il senatore CASANA, vivamente osteggiato dall'elemento militare, diede le dimissioni da ministro della Guerra e fu sostituito dal tenente generale PAOLO SPINGARDI. In quello stesso tempo una violenta offensiva fu condotta dall'on. NITTI, dall'Estrema e da un gruppo della Sinistra, contro l'on. COCCO-ORTU, ministro dell'Agricoltura. E ancora più violenta fu quella ingaggiata gli ultimi giorni di maggio dall'Estrema contro il Governo, accusato di tresca con i clericali; ma un ordine presentato dal radicale ALESSIO fu a grandissima maggioranza respinto.

La lotta contro i clericali tornò a divampare nell'ottobre del 1909, in seguito alla fucilazione, avvenuta in Spagna, di FRANCISCO FERRER, fondatore della scuola laica. Le democrazie italiane, che forse non avevano mai prima di allora udito il nome dell'agitatore spagnolo, si commossero; in Italia ci fu uno sciopero generale di protesta e in ogni città fu intitolata al Ferrer una via o una piazza.
Il 23 di quello stesso mese di ottobre, nonostante le minacce dei socialisti (che già avevano impedito la sua visita nel 1904) giunse in Italia lo ZAR NICOLA II, che finalmente rendeva la visita a Vittorio Emanuele III. La visita però, anziché a Roma, fu resa, per precauzione, a Racconigi, dove fu invitato ERNESTO NATHAN, il massone sindaco di Roma, che portò allo zar l'omaggio della capitale italiana.
Conseguenza del viaggio dello zar fu l'accordo seguente (segreto, e che conosceremo molti anni più tardi) firmato a Raccongi il 24 ottobre dall'on. TITTONI e da ISVOLSKI:

"I. - La Russia, e l'Italia s' impegnano, in prima linea, al mantenimento dello "status quo" nella Penisola Balcanica.
II. - Per ogni eventualità che potesse nascere nei Balcani, le due Potenze appoggeranno l'applicazione del principio di nazionalità, mediante lo sviluppo degli Stati balcanici, ad esclusione d'ogni dominio straniero.
III. - Le due Potenze si opporranno, con un'azione comune, ad ogni tendenza a fini contrari a quelli espressi; per azione comune s'intenderà un'azione diplomatica, ogni azione d'indole diversa dovendo naturalmente restare riservata ad una intesa ulteriore.
IV. - Se la Russia e l'Italia intendessero stipulare per l'Oriente europeo accordi nuovi con una terza Potenza, oltre quelli attualmente esistenti, ognuna di esse non potrebbe farlo che con la partecipazione dell'altra.
V. - L'Italia e la Russia s'impegnano a considerare con benevolenza, l'una gl'interessi russi nella questione degli Stretti, l'altra gl'interessi italiani in Tripolitania e Cirenaica.

La visita dello Zar al sovrano d'Italia, ovviamente suscitò vivo malcontento in Germania e in Austria, specialmente in Austria, dove si faceva di tutto per mostrare ostilità all'Italia, e dove l'Italia aveva due nemici accaniti e potenti: l'arciduca ereditario FRANCESCO FERDINANDO e il capo di Stato Maggiore CONRAD von HÓTZENDORFF. Quest'ultimo non si stancava mai di fare piani d'invasione in Italia e dal consigliare l'imperatore a dichiararci la guerra. Un giornale vicino ai vertici militari, il "Danzer's Armèe Zeitung", con un articolo giunse a proporre di scatenare una guerra preventiva contro l'Italia all'indomani del terremoto calabro-siculo; sostenendo che con la nazione in ginocchio, quello era il momento più propizio per attaccare. Aerhenthal si dissocerà dal contenuto dell'articolo; ma a Tittoni non bastava e presentò le dimissioni, che poi Giolitti persuase a ritirarle. Bisognava "sdrammatizzare"; Tittoni ubbidì e tornerà a riprendere le trattative per la definizione (Sic) della questione balcanica.

IL FAMOSO DISCORSO DEL GENERALE ASINARI

Un imbarazzante incidente con l'Austria ci fu nel novembre del 1909. L'11 di quel mese, il generale ASINARI di BERNEZZO, comandante del Corpo d'Armata di Milano, assistendo a Brescia all'inaugurazione della bandiera che le donne di Aquila avevano donata al reggimento di cavalleria residente in quella città, pronunziò questo discorso:
"Carlo Alberto diede l'insegna tricolore al suo Regno, mentre essa veniva innalzata contro il nemico sugli spalti di Brescia e di Venezia, rinnovanti le gesta dell'antico valore italico. Vittorio Emanuele II la fece sventolare in Campidoglio dinanzi a tutta l'Europa ammirata. Umberto I la difese eroicamente nel quadrato di Villafranca. Vittorio Emanuele III la regge alteramente dall'alto del Gran Sasso d'Italia con lo sguardo rivolto all'Oriente, donde tante città sorelle guardano ansiose al Leone di San Marco aspettando la loro liberazione. Voi, Colonnello, potete chiamarvi fortunato di trovarvi in questa città, perché dalle sue stesse mura apprendete una delle pagine più belle del Risorgimento italiano. Da questa medesima caserma si spiegano al vostro sguardo le colline bagnate di sangue di tanti martiri e di là, non troppo lontane, le terre irredente, le quali attendono l'opera vostra. Le donne aquilane confezionarono il vostro stendardo ufficiale; sappiate portarlo al sole della vittoria".

Il Governo di Vienna protestò per le parole pronunciate dal generale e lo "sdrammatizzatore" GIOLITTI, ligio ai voleri dell'Austria, collocò a riposo il generale ASINARI di BERNEZZO, cui però giunsero plausi da ogni parte d'Italia.
Quello contro il comandante del Corpo d'Armata di Milano fu uno degli ultimi provvedimenti politici presi dal terzo Ministero Giolitti, destinato a vivere un'altra ventina di giorni ancora.
Il suo errore fu quello come il solito di "sdrammatizzare" gli eventi, con lo stesso atteggiamento di sorridente scetticismo col quale aveva considerato, all'inizio del secolo, la lotta di classe in Italia. Giolitti era persuaso che tutte le crisi, in un modo o nell'altro, si sarebbero risolte pacificamente.

Così l'Italia in Libia (che leggeremo nel prossimo capitolo), Giolitti era sì riuscito ad impedire che l'Italia fosse coinvolta nella prima guerra balcanica; ma agli Imperi centrali con la "questione Libia" si limitò a chiedere ai due suoi alleati il riconoscimento della sovranità italiana in Libia, e rinnovò pure il 5 dicembre 1912, la Triplice Alleanza (con scadenza l'8 luglio 1914 - dieci giorni prima di quel giorno ci sarà l'assassinio dell'Arciduca a Sarajevo).
A Giolitti da molte parti quel rinnovo della Triplice gli fu rimproverato, che avrebbe dovuto essere più guardingo nel firmarlo, in considerazione dei segni premonitori della guerra generale, che erano già evidenti.
Il colpo che era stato inferto alla Turchia con le due guerre, aveva acceso e stava esaltando i vari nazionalismi balcanici, e quindi inconsapevole o no, Giolitti pur occupando Tripoli sparse tante micce sui Balcani, tutte pronte ad accendersi alla minima scintilla.
Non solo, ma il più civile e moderato nazionalismo che si manifestò in Italia tra il 1914 e il 1915, era stato messo in movimento proprio dalla conquista della Libia.

(qualcosa del genere si ripeté all'inizio degli anni 1990; il "Muro" era caduto a Berlino, ma è sui Balcani che riesplosero i nazionalismi; gli stessi di questo periodo giolittiano e che poi portarono alla Grande Guerra).

LE CONVENZIONI MARITTIME
IL DISEGNO DI LEGGE SUI PROVVEDIMENTI FINANZIARI
DIMISSIONI DEL MINISTERO GIOLITTI

Essendosi la Navigazione generale italiana rifiutata di continuare a tenere l'esercizio dei servizi marittimi, il ministro delle Poste e Telegrafi, on. Schanzer, aveva stipulato nuove convenzioni con il Lloyd Italiano. Le nuove convenzioni incontrarono viva opposizione nel Paese e nella Camera e invano furono strenuamente difese dal ministro SCHANZER nella seduta parlamentare del 30 giugno 1909. Fu tale l'opposizione che il senatore PIAGGIO, rappresentante del Lloyd Italiano, con una lettera diretta al presidente del Consiglio, rinunciò alle convenzioni stipulate. L'8 luglio, Giolitti, dopo avere comunicato alla Camera la lettera, chiese la sospensione del dibattito sul disegno di legge e la Camera, accettata la proposta, prese le vacanze estive.

Il 18 novembre, l'on. Schanzer presentò gli emendamenti apportati al disegno sulle convenzioni marittime, ma l'opposizione non disarmò. Allora l'on. Giolitti, che desiderava sbarazzarsi di alcuni membri del suo Gabinetto e forse anche di prendersi un po' di riposo, pensò di dimettersi, ma per non mostrare che anche questa volta "fuggiva" a causa delle difficoltose convenzioni, presentò alcuni (improponibili) disegni di legge, tra cui uno di riforma tributaria con il titolo di "provvedimenti finanziari", che fissava un'imposta progressiva globale sui fabbricati, sui terreni e sui redditi di ricchezza mobile.
Gli uffici della Camera disapprovarono quasi all'unanimità i provvedimenti finanziari, e il 2 dicembre GIOVANNI GIOLITTI annunciò che il Ministero aveva rassegnato le dimissioni.

IL SECONDO MINISTERO SONNINO
IL MINISTERO LUZZATTI - ATTIVITA LEGISLATIVA

IL DISEGNO DI LEGGE SULLA RIFORMA ELETTORALE
DIMISSIONI DEL LUZZATTI IL QUARTO MINISTERO GIOLITTI
IL DISEGNO DI LEGGE SULLE ASSICURAZIONI
IL CINQUANTENARIO DEL REGNO D' ITALIA

Dietro indicazione dello stesso GIOLITTI il Re affidò l'incarico di costituire il nuovo ministero all'on. SONNINO, che lo formò il 10 dicembre del 1909 prendendo per sé la presidenza del Consiglio e gl'Interni e affidando gli Esteri al GUICCIARDINI, le Finanze all' ARLOTTI, il Tesoro a SALANDRA, la Guerra a SPINGARDI, la Marina a BETTOLO, la Grazia e Giustizia a SCIALOJA, l'Agricoltura a LUZZATTI, i Lavori Pubblici a RUBINI, l'Istruzione a DANEO, le Poste e i Telegrafi a DI SANT'ONOFRIO.

Il nuovo Gabinetto Sonnino era destinato ad avere vita brevissima: solo un centinaio di giorni, come il primo. Si dimise il 21 marzo del 1910 a causa delle opposizioni incontrate dal disegno Bettòlo sulle convenzioni marittime e specialmente perché Giolitti si rifiutò di continuare ad appoggiarlo.
L'incarico di formare il nuovo ministero fu dato all'on. LUZZATTI, che il 31 marzo prese la presidenza e gl'Interni, conservò il generale SPINGARDI alla Guerra e mise agli Esteri DI SAN GIULIANO, l'on. LUIGI FACTA alle Finanze, l'on. TEDESCO al Tesoro, l'on. SACCHI al Lavori Pubblici, l'on. LUIGI CREDARO all'Istruzione, l'on. FANI alla Grazia e Giustizia, CIUFFELLI alle Poste e Telegrafi, l'on. LEONARDI-CATTOLICA alla Marina e l'on. RAINERI all'Agricoltura.

LUZZATTI fornì prova di molta attività e di molta abilità. Il disegno di legge sulle Convenzioni marittime, che era stato lo scoglio contro di cui si era sfasciata la nave dei due precedenti ministeri, fu approvato il 28 maggio del 1910. Approvata fu anche la legge sull'istruzione primaria che DANEO aveva preparata. Inoltre furono emanati decreti in favore delle Puglie, promosse inchieste sui conflitti agrari della Romagna, apportato migliorie al sistema ferroviario, aumentate le paghe ai ferrovieri, stanziati 250 milioni di mutui per i comuni, istituito il Demanio forestale, caldeggiata la riforma del Senato e proposto un allargamento del voto politico con un disegno che, presentato alla Camera il 21 dicembre del 1910, riscosse il favore della maggioranza degli Uffici.
Ma l'attività di LUZZATTI, smanioso di popolarità, sembrava volesse sottrarsi alla tutela giolittiana, non poteva non ispirare preoccupazioni all'on. GIOLITTI, il quale, creduto giunto il momento di riafferrare le redini del potere, si servì del disegno sulla riforma elettorale per fare lo sgambetto a Luzzatti.
La riforma elettorale che prima era stata appoggiata proprio dai giolittiani si trovò ad un tratto, osteggiata da loro stessi. Il BERTOLINI, relatore, in nome della Commissione parlamentare che aveva esaminato il disegno di legge, ne chiese il rinvio. Il 18 marzo, la Camera, discussa la relazione, a gran maggioranza accettò il rinvio. I ministri Sacchi e Credaro, avendo il gruppo radicali, cui essi appartenevano, dato il voto contrario, si dimisero e il 20 marzo, l'on. Luzzatti, rimasto solo, presentò anche lui le dimissioni.

Ottenuto quello che voleva, e avuto l'incarico di formare il nuovo ministero, GIOLITTI lo costituiva il 31 marzo del 1911, prendendo la presidenza del Consiglio e gli Interni, chiamando alle Poste e ai Telegrafi l'on. CALISSANO, alla Grazia e Giustizia l'on. FINOCCHIARO e all'Agricoltura, Industria e Commercio l'on. NITTI e lasciando DI SAN GIULIANO agli Esteri, SPINGARDI alla Guerra, LEONARDI-CATTOLICA alla Marina, FACTA alle Finanze, TEDESCO al Tesoro, SACCHI ai Lavori Pubblici e CREDARO alla Pubblica Istruzione.

Il 6 aprile l'on. GIOLITTI espose al Parlamento il suo programma, in cui erano compresi il monopolio delle assicurazioni sulla vita, i cui utili sarebbero andati a beneficio del fondo per le pensioni operaie, e l'allargamento del suffragio politico e amministrativo a tutti coloro che avevano servito sotto le armi o compiuti i trent'anni. Iniziatosi il dibattito, le dichiarazioni del Governo furono combattute dal centro destra e dal centro sinistra per mezzo degli onorevoli SONNINO e MARTINI e difese da BERTOLINI e da BISSOLATI.
Il giorno 8 aprile, l'ordine del giorno di fiducia al Ministero, presentato dall'on. CAREANO, fu approvato.

Il disegno di legge sulle assicurazioni fu presentato ai primi di giugno. Gli Uffici fecero buon viso al disegno, ma alla Camera trovò vivissima opposizione. BERTOLINI presentò allora un emendamento, che limitava il monopolio ai contratti inferiori alle 15.000 lire e lo Stato, nei contratti dei primi sei anni, rimaneva in concorrenza con le compagnie assicuratrici. L'8 luglio il disegno fu approvato in prima lettura. Esso divenne legge l'anno dopo. Il disegno della riforma elettorale fu invece presentato il 3 giugno e sollecitamente approvato dalle due Camere.

Mentre quest'attività legislativa si esplicava, tutta la nazione celebrava il cinquantenario del Regno d'Italia. Il 17 marzo 1911, fu commemorato al Parlamento il giorno della proclamazione del Regno fatta a Torino, il 27 marzo una solenne cerimonia celebrativa avveniva in Campidoglio alla presenza del sovrano; questi il 4 giugno inaugurava a Roma il monumento nazionale a Vittorio Emanuele II e, nel frattempo, a Roma e a Torino si inauguravano due grandi esposizioni e la reale Accademia dei Lincei promuoveva una pubblicazione con l'intento di rilevare tutti i progressi fatti dall'Italia nel cinquantennio della sua unità ed indipendenza.
Fra le voci solenni dei discorsi commemorativi che esaltavano, non senza retorica, l'opera del Risorgimento, si alzava gagliarda intanto la voce dei giovani liberali e dei nazionalisti, che -sognando prosperità e grandezza- in un altro modo volevano celebrare il cinquantenario del Regno: "spingendo" l'Italia verso le coste libiche.
Ma non erano solo gli italiani a esaltarsi con la campagna nazionalista, che quasi tutti i giornali "spingevano", ma anche il Re e Giolitti giudicarono che il momento propizio era arrivato�

�di questo momento e di questa guerra ("desiderata" da molti)
ci occuperemo nel prossimo capitolo

� che abbraccia buona parte del rimanente anno 1911 > > >

Fonti, citazioni, e testi

Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
ALBERTO CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso. (8 puntate su Oggi, 1950)
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano 1907
MACK SMITH, Storia del Mondo Moderno - Storia Cambridge X vol.
MONDADORI . Le grandi famiglie d'Europa - I Savoia. 1972
O' CLERY - The making of Italy - Kegan&Trubner, Londra 1892
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini
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