IL NOVECENTO - quando comincia?
in realt� con una tragedia di proporzioni apocalittiche:
la prima guerra mondiale


UN CONFLITTO
con 10 MILIONI DI MORTI

L'episodio di Sarajevo rappresentò solo un formale pretesto dell'Austria per scatenare sui Balcani la guerra. Il 29 luglio l'Austria, dopo meno di ventiquattr'ore dalla scadenza dell'ultimatum alla Serbia e dalla proclamazione della mobilitazione generale, un suo contingente dell'esercito regolare in armi aveva passato il confine e già bombardava Belgrado. Vienna già da tempo aveva predisposto un piano d'invasione in Bosnia e in Serbia; aspettava solo l'ora X del casus belli. E se prestiamo fede a ciò che si è scoperto a distanza di molti anni negli archivi statali austriaci, che sono rimasti immacolati per quasi un secolo, sui rapporti dell'Austria con la Serbia, a Vienna sapevano perfino quando si sarebbe verificato il casus belli.

Sembra, infatti, che nei mesi precedenti all'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della Principessa Sofia ad opera dello studente serbo-croato Gavril Princip, facente parte dell'associazione segreta "La mano nera", il primo ministro serbo Nicola Pasic fosse venuto a conoscenza del disegno terroristico previsto dall'associazione anarchica e avesse prontamente informato i servizi segreti austriaci del probabile attentato all'Arciduca...... Ma il 28 giugno 1914, a Sarajevo, i servizi di sicurezza asburgici risultarono decisamente inefficienti. O meglio non fecero nulla. Avevano ignorato l'avviso, non perché fosse infondato, ma perché era quello che aspettavano da tempo. Un pretesto più che valido per stroncare definitivamente la Serbia, che era l'unica la forza emergente dei Balcani a minacciare l'egemonia austriaca sulla penisola balcanica. Se fosse veramente così, fu un pretesto molto cinico; sacrificarono l'Arciduca!

Vero o falso questa tesi, tuttavia, come scriveva Benito Mussolini (sull'Avanti, n 288, 1914) "�non è più lecito dubitare fin dal primo giorno che l'Austria vuole la guerra ad ogni costo, l'attentato di Sarajevo non è che un pretesto senza il quale ne avrebbe cercato un altro non meno ridicolo. Pretesto ridicolo, ma anche ignobile. In sostanza il militarismo austriaco ha iniziato la sua fruttuosa speculazione guerrafondaia su due feretri e, mentre lacrimava su di essi, pensava a sfruttarli".
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UNA PAGINA DI

di Gian Piero Piazza

I presagi che accompagnano l'avvento del Novecento sono all'insegna di un moderato ottimismo e allo scoccare dei fatidici rintocchi che proiettano l'umanità nel nuovo secolo da ogni parte del globo si alzano i calici per brindare a cent'anni di pace, di benessere e di prosperità. Certo non sono tutte rose e fiori, le conquiste del progresso tecnologico hanno radicalmente mutato l'aspetto della società che sull'onda dell'era industriale è tormentata da esasperate contraddizioni e dalla lotta di classe, ma le premesse per un futuro di relativa serenità non mancano. Le maggiori potenze d'Europa guardano con fiducia alla continua espansione del mercato, ormai proiettato su sfera mondiale grazie alla celerità dei trasporti e al potenziamento della flotta mercantile che consente di approdare nei mari dell'immenso continente asiatico fonte di sempre più proficui scambi commerciali. Ma è sul predominio dei profitti che il fuoco cova sotto le ceneri e che nel volgere di appena 14 anni sfocerà nello spaventoso incendio che devasterà l'Europa, la prima guerra mondiale, alimentata dalle contese territoriali e dai conflitti economici fra le grandi potenze tradizionali europee, l'impero austro-ungarico, quello tedesco, la Francia, l'Inghilterra e la Russia. La causa scatenante del conflitto, l'attentato di Sarajevo in cui persero la vita l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e la moglie Sofia, è soltanto il pretesto casuale che ha condotto al cruento inasprimento di un equilibrio instabile, tanto fragile da precitare nel più disastroso dei modi.

LA PREVISIONE DI LENIN - In una lucida analisi della situazione prebellica LENIN aveva così preconizzato il precipitare degli eventi:
"Occhi molto avveduti avrebbero potuto, prima dell'agosto 1914, avvertire da molti segni che un profondo spostamento si era andato creando nell'equilibrio sia economico che politico fra le maggiori potenze d'Europa e del mondo. Il Regno Unito, che fino al 1870 aveva goduto di un primato indiscusso nel commercio internazionale, e che trovava la più sicura difesa e garanzia di questo primato nel dominio incontrastato dei mari per mezzo della sua potentissima marina militare e mercantile, vede dopo quell'anno salire con rapidità impressionante la produzione delle industrie tedesche e le sue esportazioni in tutti i mercati del mondo, compreso quello inglese. Ma soprattutto i progressi della Germania furono sentiti in Inghilterra come una grave minaccia quando Guglielmo II volle fare dell'impero germanico una grande potenza marinara con un programma di costruzioni navali che in un tempo relativamente breve avrebbe dovuto assicurare al suo Paese una marina da guerra tale da contrastare agli inglesi il dominio dei mari".

A rinfocolare le tensioni e le rivalità fra le potenze europee avevano tra l'altro contribuito accomodamenti sottobanco e pateracchi bilaterali più o meno occulti che avallavano i soprusi territoriali di una Nazione purchè non fossero in contrasto con la complice controparte. Negli anni precedenti l'avvedutezza politica del cancelliere tedesco OTTO von BISMARCK aveva favorito la creazione di uno strumento diplomatico che avrebbe dovuto garantire all'Europa il mantenimento della pace, quella Triplice Alleanza sottoscritta per la prima volta nel 1882 e rinnovata nel 1912 fra Germania, Austria e Italia e che prevedeva anche rapporti di buon vicinato con la Russia e l'Inghilterra. Ma gli interessi privati contrastano con la pacifica convivenza, le mire espansionistiche nell'area dei Balcani degli Imperi Centrali, Germania e Austria, irritano profondamente lo Zar di Russia, che manifesta identiche aspirazioni su quei territori. I rapporti dell'Inghilterra con la Russia diventano tesi per l'interesse di quest'ultima verso l'Estremo Oriente e si inaspriscono anche nei confronti della Germania, che persegue tenacemente il rapido sviluppo della sua potenza economica, militare e commerciale voluto da Guglielmo II e minaccia di conquistare anche i mercati mediorientali, con grande preoccupazione pure della Francia.

LA MOSSA DEGLI INGLESI - Gli inglesi di conseguenza agiscono per evitare di essere colti in contropiede e stipulano un'alleanza con il Giappone per bloccare l'avanzata delle truppe zariste in Estremo Oriente avvicinandosi al contempo alla Francia, che dal canto suo non aveva esitato a creare tensioni e imbarazzi tra i firmatari della Triplice Alleanza scendendo a con l'Italia. Tra le varie "convenzioni" stipulate nei nostri confronti, la Francia acconsentiva al governo italiano di invadere e conquistare la Libia in cambio della nostra neutralità nell'eventualità che venisse aggredita dalla Germania. Ma le manovre "informali" per seminare zizzania non finiscono qui. Francia e Regno Unito nell'aprile del 1904 firmano un'alleanza ufficiosa, l'Entente Cordiale, letteralmente un'Intesa Cordiale, seguita 3 anni dopo da un clamoroso voltafaccia della Russia che sottoscrive un'alleanza con l'Inghilterra. La ragione dell'imprevedibile passo è provocata da diversi fattori, in primo luogo la sconfitta russa in Estremo Oriente unita alla necessità di una duratura pace interna dopo i primi moti rivoluzionari del 1905 che mettono addirittura in pericolo il trono dello Zar Nicola II, cui va ad aggiungersi il permissivo atteggiamento inglese nei confronti della Turchia, ritenuta non più intoccabile, e che sta entrando di fatto nella preoccupante sfera d'influenza del tallone germanico. Vengono pertanto così a modificarsi repentinamente i due blocchi contrapposti di potenze militari, con la Germania, l'Italia e l'Austria unite dal patto della Triplice Alleanza e l'Inghilterra, la Francia e la Russia legate ufficiosamente dall'Intesa.

Gli anni successivi registrano una situazione di apparente distensione continuamente messa in forse da momenti critici, il più significativo dei quali è rappresentato, nel 1908, dall'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Impero austro-ungarico di Francesco Giuseppe. L'episodio provoca la dura reazione della Russia unitamente a quella di Francia e Inghilterra e scatena le violentissime manifestazioni delle frange nazionaliste serbe. L'intervento armato russo viene scongiurato solamente dalla scarsa preparazione militare delle armate zariste e il colpo di mano dell'Impero austriaco riesce sgradito anche all'Italia, che non condivide la politica balcanica di Francesco Giuseppe, in contrasto con i suoi nuovi interessi per quelle zone.

SANGUINOSO PRETESTO - La pace è davvero in bilico, ancorata a un filo sempre più instabile e sottile che si spezza inesorabilmente il 28 giugno 1914 quando lo studente GAVRILO PRINCIP (VEDI - COME SCOPPIA UNA GUERRA), affiliato a un'associazione patriottica serba, uccide con quattro colpi di pistola l'arciduca Francesco Ferdinando e la consorte in visita a Sarajevo, la capitale dello staterello che l'Austria ha forzosamente occupato. L'attentato è considerato dall'Austria alla stregua di un gravissimo gesto provocatorio della politica serba palesemente intenta alla conquista delle province meridionali slave e provoca la durissima reazione dell'Imperatore austro-ungarico che decide di invadere la nazione che mette in serio pericolo la stabilità dell'impero alle frontiere con i Balcani. La Germania dal canto suo esprime un tacito consenso alla liquidazione della Serbia da parte austriaca. Il Kaiser Guglielmo II è fermamente convinto che l'operazione militare sarà risolta con una guerra lampo limitata ai soli due Paesi in causa, senza rischi di ingerenze esterne, ma la Russia s'intromette e dal 20 al 23 luglio lo Zar, dopo aver ottenuto l'appoggio della Francia, ordina la mobilitazione generale delle sue truppe. Il 28 l'Austria dichiara guerra alla Serbia, seguita il primo agosto dalla Germania che apre le ostilità con la Russia dopo il rifiuto di smobilitazione alla formale richiesta espressa da Guglielmo II. Due giorni dopo anche la Francia ordina la mobilitazione ricevendo come contropartita l'immediata dichiarazione di guerra della Germania, che i primi di agosto per invadere la Francia non esita a violare la neutralità del Belgio e del Lussemburgo, Paesi politicamente legati all'Inghilterra. E anche il Regno Unito entra nel conflitto.

Scoppia la tragedia definita dallo storico Hermann Suderman " la più colossale imbecillità che il genere umano abbia mai compiuto dal tempo delle Crociate" che trascina in un inferno di fuoco, di orrori e devastazioni una folla strabocchevole di civili inermi e 16 milioni di combattenti mobilitati in una logorante guerra di trincea. Tra alterne vicende, fulminee avanzate e altrettanto rapide ritirate, si aprono le ostilità sui diversi fronti, quello orientale che vede impegnate le truppe russe contro quelle tedesche e austriache, quello occidentale sul suolo di Francia dove gli austro-tedeschi combattono contro gli anglo-francesi, nei mari e nell'aria.Nei primi dieci mesi del conflitto che sta lacerando l'Europa l'Italia se ne sta a guardare, relegata in una posizione di riflessiva e prudente neutralità. I pesanti strascichi della guerra di Libia del 1911 gravano seriamente sull'economia del Paese già prostrato dagli ingenti costi in opere di ricostruzione in seguito al disastroso terremoto di Messina del 1908 e i ceti più deboli, oberati dalle tasse straordinarie introdotte dal governo per risanare il bilancio si dimostrano insensibili ai primi nascenti aneliti di un coinvolgimento italiano nella guerra. L'Italia d'altronde sta attraversando uno dei momenti cruciali della sua storia, il progressivo passaggio tutt'altro che indolore dalla civiltà contadina a quella industriale con tutti i traumi sociali innescati dalla condizione operaia in conflitto con l'inasprirsi della legge del profitto tipica del capitalismo. Alle sparute frange di interventisti, i nazionalisti favorevoli all'entrata in guerra sostenuti dall'alibi morale della liberazione del Sudtirolo e dell'Istria dal giogo austro-ungarico e della riunificazione di Trento e Trieste alla Patria, appoggiate da qualche gruppo di potere che vede nell'entrata in guerra nuovi sbocchi di risorse economiche , rispondono le masse popolari decisamente contrarie con una manifestazione passata alla storia sotto la denominazione di "settimana rossa".

Scrive a tale proposito Giuliano Procacci in "Storia degli italiani" edito da Laterza: "Sotto questo nome un po' troppo impegnativo si è soliti designare un moto di piazza che, con tutti i caratteri dell'improvvisazione e della spontaneità sconvolse per una settimana il Paese ed ebbe per epicentro la Romagna e le Marche, una zona in cui l'opposizione anarchica, socialista e repubblicana aveva profonde radici. Fu una rivoluzione provinciale, guidata da duci provinciali, i romagnoli Benito Mussolini, Pietro Nenni e l'anarchico Errico Malatesta, animata da passioni provinciali e municipali... i grossi centri industriali e operai del Paese, chiamati a scendere in sciopero generale per solidarietà con gli insorti di Ancona e delle Romagne risposero solo in parte all'appello del partito socialista e della Confederazione generale del lavoro.
Se la Settimana rossa non era una rivoluzione, e per certi episodi era stata addirittura una caricatura della medesima, ciò non impedì che essa apparisse un minaccioso sintomo rivoluzionario a quei conservatori che della rivoluzione avevano una visione altrettanto approssimativa quanto quella di molti rivoluzionari del momento.Tale era Salandra ( il presidente del Consiglio designato nel marzo 1914), che fece inviare nelle Romagne centomila uomini e tale era anche il Re, che rimase fortemente impressionato dai pronunciamenti repubblicani che la Settimana rossa aveva dato luogo".

LO SMACCO DI CESARE BATTISTI - La maggioranza degli italiani si dimostra dunque contraria all'intervento armato come dimostra lo scarsissimo successo dell'irredentista trentino Cesare Battisti che sarà poi fucilato dagli austriaci per diserzione, approdato in Italia per un giro di propaganda anti-austriaca. I vertici politici sono invece discordanti sull'opportunità di coinvolgere le masse popolari in una guerra e sui giudizi circa le loro reazioni, ma Sidney Sonnino, un fiorentino figlio di un ebreo italiano e di madre inglese che qualche mese dopo avrebbe ricoperto la carica di ministro degli Esteri, scrive senza peli sulla lingua in una lettera inviata a Salandra di essere favorevole alla mobilitazione se non altro per scongiurare il pericolo di disordini e di opposizione a qualunque provvedimento urgente e per risolvere almeno in parte il problema della disoccupazione.

Insomma, i governanti e il Paese reale si trovano schierati a contrastare sparuti manipoli di interventisti come osserva Ernesto Ragionieri nella sua "Storia d'Italia" edita da Einaudi: " Senza dubbio alcuni settori interessati alle fabbricazioni militari rimasero all'inizio perplessi e incerti di fronte alla prospettiva dell'intervento e da molte parti si vide nella neutralità una condizione ottimale per incrementare gli affari.

Assai più combattive si dimostrarono fin dall'inizio le forze economiche emerse e rafforzatesi con il processo di concentrazione degli anni successivi alla crisi del 1907. Insofferenti delle forme e delle istituzioni parlamentari, dei controlli che esse comportavano, tali forze premevano per una politica di espansione territoriale cercando in ogni modo di conquistarsi nuovi e più ampi spazi di potere nello Stato e sullo Stato, nella prospettiva di un rafforzamento del protezionismo e di una dilatazione delle commesse pubbliche di cui si erano nutrite e ingrassate esasperando temi e toni della lotta politica.
Una volta di più appare che i nazionalisti costituirono la chiave di volta di tutto l'interventismo. Essi approdarono alla tesi dell'intervento a fianco dell'Intesa dopo aver sostenuto in un primo tempo l'allineamento con gli Imperi Centrali palesando, come del resto altri settori dello schieramento politico, una chiara volontà di partecipare alla guerra non tanto per obiettivi precisi, quanto per uscire dalla crisi nella quale la società italiana si dibatteva. Ecco perchè nell'interventismo confluirono come in un crogiuolo uomini e tendenze politiche di provenienza così diversa e perchè in esso si realizzarono tante conversioni altrimenti difficilmente spiegabili".

MUSSOLINI SI "CONVERTE" Tra queste conversioni vale la pena di citare quella clamorosa operata da Benito Mussolini, ardente pacifista e direttore dell'organo del partito socialista l' "Avanti!", il quale fino al 20 ottobre 1914 si batte con tutto il fervore della sua indole rivoluzionaria contro l'entrata in guerra, ma improvvisamente cambia opinione e presenta alla direzione del partito un ordine del giorno in cui caldeggia un atteggiamento possibilista. La sua mozione viene ovviamente respinta e a Mussolini non resta che dimettersi e fondare un suo giornale, il "Popolo d'Italia", dalle cui colonne promuove una campagna interventista in piena regola.

Quel voltafaccia gli costa l'espulsione dal partito. I giochi diventano maturi per una vasta campagna di propaganda a favore del coinvolgimento italiano nella guerra, sostenuta alacremente dal poeta soldato Gabriele d'Annunzio e da schiere di intellettuali con l'appoggio pressochè incondizionato dei più importanti quotidiani nazionali. Sotto il poderoso condizionamento delle manifestazioni interventiste che fanno leva sull'amor di patria masse di studenti e di piccolo-borghesi abbracciano la causa della guerra facendo vacillare la fermezza finora espressa dai responsabili del potere politico.

Ma con chi schierarsi sul campo di battaglia? Con l'Intesa o La Triplice? Francesi e inglesi da una parte e tedeschi dall'altra intrecciano concitate manovre diplomatiche per accaparrarsi i favori del nuovo alleato e benchè il governo italiano abbia regolarmente ratificato nel 1912 il patto di Alleanza con gli austro-tedeschi il ministro Sonnino scende in campo per negoziare l'adesione dell'Italia in cambio di concessioni territoriali.

SI MERCANTEGGIA L'ALLEANZA Le richieste comprendono la restituzione del territorio a nord fino al Brennero e a est fino alle cime delle Alpi Giulie, compresa l'Istria. Inoltre tre quarti delle province austriache della Dalmazia e la baia albanese di Valona che garantiscono all'Italia il controllo dell'Adriatico e una frontiera di terra facilmente controllabile. Gli austriaci si limitano a offrire il Trentino ma alla fine prevale comunque la fazione antitedesca e il 26 aprile 1915 Sonnino firma il patto di Londra, cui segue il 4 maggio la denuncia della Triplice Alleanza. E il 24 maggio i soldati italiani attraversano il Piave entrando a capofitto in una guerra massacrante che in 41 mesi lascerà sul campo di battaglia un milione di feriti e oltre 700.000 morti, con interi villaggi rasi al suolo dalle incursioni e dai bombardamenti nemici. E' una guerra spietata che ha il suo culmine nella rovinosa disfatta di Caporetto in cui il nemico decima le nostre forze facendo prigionieri ben trecentomila militari italiani.

Ma è soprattutto la guerra dei poveri, di soldati improvvisati strappati a forza dalla popolazione contadina con chiamata obbligatoria alle armi cui molti non risposero sfidando le ire dei tribunali militari. Si calcola che fra il 1915 e il 1918 abbiano prestato servizio militare nel nostro Paese oltre 5 milioni di uomini e che nello stesso periodo i tribunali militari abbiano istruito circa 870.000 procedimenti penali di cui 470.000 per renitenza alla leva. Acquattati nel fango delle trincee i soldati-contadini patiscono il freddo e la fame sotto il rombo delle artiglierie nemiche e vengono decimati dalle mitragliatrici durante gli assalti al grido di "Avanti Savoia!" impartito da ufficialetti poco più che ventenni e smarriti quanto loro.

Le avanzate e le ritirate sono eseguite quasi sempre a piedi, il vestiario è scadente e inadeguato, i soldati hanno sempre troppo freddo o troppo caldo e i servizi di sussistenza e sanitari si rivelano in tutta la loro carenza. Come se non bastasse, questi uomini che appartengono al passato devono fare i conti con i progressi della tecnica che il nemico ha raggiunto anche sul piano bellico: obici micidiali, mitragliatrici dalla devastante potenza di fuoco, atroci armi chimiche come i gas asfissianti, mezzi motorizzati blindati che seminano il terrore e la morte. Ma nonostante tutto i nostri riescono a riscattarsi eroicamente sconfiggendo il nemico a Vittorio Veneto.

E il 4 novembre 1918 possono finalmente inneggiare stremati e laceri alla vittoria. La guerra è finita, con dieci milioni di morti fra i vari contendenti. I vincitori si spartiscono l'Europa mettendo in ginocchio la Germania con il Trattato di Versailles e non si accorgono che quella mortificazione già prelude all'avvento di una tragedia ancora più cruenta e colossale, la seconda guerra mondiale.

GIAN PIERO PIAZZA

Ringrazio per l'articolo
(offerto a Cronologia)
il direttore di

 

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