Economia Italia - Inizio 1900

 La politica agraria

ITALIANA

Il totale asservimento degli interessi agricoli a quelli industriali del paese, che aveva costituito il perno della politica commerciale italiana dopo la tariffa doganale del 1887, continu� negli anni successivi, provocando un peggioramento della situazione, del quale la portata immediata si vide nelle drammatiche agitazioni avvenute fra il 1892 ed il 1898, e gli effetti lontani furono ancora visibili nell’arretratezza delle regioni meridionali e venete, che dureranno poi fino al 1960. Tutti gli errori commessi dalla classe dirigente italiana nel periodo 1880-1890 furono congegnati in modo da risolversi sempre in danno dell’agricoltura, e pi� specialmente di quella meridionale e di quella della  pianura Padana Veneta.

Su quest'ultima non dimentichiamo che al Mincio terminava il territorio che era stato prima governato dagli austriaci, e che dopo l'"annessione" all'Italia, il malcontento dei veneti, con la umiliazione del 1866, non era mai cessato verso i sabaudi; l'impressione di essere stati truffati rimase sempre costante (e si trascina ancora oggi). E i Savoia non avevano fatto nulla per alleviarlo questa insofferenza, anzi molte industrie manifatturiere, cantieri navali e soprattutto i commerci erano stati fortemente penalizzati, mentre prima (parliamo dagli inizi degli anni della  Restaurazione 1815 fino alla 1866 ) erano stati incentivati da Vienna per rifornire sia la Lombardia (che gli austriaci avevano brutalmente penalizzata, facendo fallire e chiudere molte fabbriche milanesi) sia lo stesso Veneto e in parte anche la stessa Austria. I grandi lanifici vicentini, i Marzotto e i Rossi, si erano fortemente avvantaggiati di quella situazione; cos� i cantieri navali, e cos� la bachicoltura che si era fortemente sviluppata nel roveretano, nell'alto vicentino e in altre zone del veneto.
La decadenza in questi settori su queste regioni insomma  fu notevole, l'economia locale non si riprese pi�, e perdurando anche nel ventennio fascista, la ritroveremo in Veneto ancora negli anni che vanno da secondo dopoguerra fin quasi alla fine degli anni 1960. 

Le rivolte, pi� forti al sud, che nutriva le stesse insofferenze dei veneti,  non potevano avere la forza necessaria contro le armi per capovolgere la situazione. Furono tentate (nel sud a sangue pi� caldo - ma sbrigativamente bollata come "brigantinaggio") ma non ebbero esito. Restava l’EMIGRAZIONE, e all’emigrazione ricorsero proprio queste popolazioni agricole abbandonate a se stesse, quasi dimenticate. Gli emigrati aumentarono da 112 mila-anno nel 1891 a 200 mila nel 1898-1900, per superare un complesso di 5 milioni nel periodo che va dal 1901 al 1913.

L’emigrazione per quanto struggente non fu per� priva di risultati favorevoli, traducendosi infine in un incentivo ad un notevole progresso tecnico (ma anche economico, si pensi alle forti rimesse degli emigranti). Per molti decenni le condizioni dell’agricoltura erano rimaste stazionarie, o avevano mostrato elementi modestissimi di trasformazione in meglio; l’aumento dei salari, conseguito con le agitazioni o dovuto alla scarsit� della mano d’opera disponibile dopo le emigrazioni in massa, rendeva pi� conveniente un pi� largo uso delle macchine, specialmente nella fertile pianura padana (quella a ovest) dove minore era la deficienza dei capitali e pi� avanzata la cooperazione agricola (non intesa come cooperative di coltivatori, che non esistevano, ma intesa come unione di latifondisti, gli unici che possedevano gi� grandi appezzamenti di terreni, che aumentarono dopo che molti piccoli proprietari avevano ormai abbandonato gli stessi per la mancanza di braccia (divenute costose) e per la scarsa produttivit� che era affidata ancora a mezzi arcaici. Molti per restare attaccati alla loro terra ricorsero alle ipoteche, ma in breve l'accumulo di queste, permisero ai "rapaci falchi" di piombare su di loro senza scupoli. Nella Lomellina, nel Vercellese, nel Novarese, nel breve volgere di anni scomparvero tutti i piccoli proprietari, sostituiti dai grandi che iniziarono a usare tecniche di cultura  d'avanguardia, fertilizzanti e macchine agricole.
Cavour di queste tecniche era stato anni prima (anche con qualche clamoroso rovescio) un anticipatore nelle sue tenute, poi su quelle dei principi Borghese che aveva prima amministrate poi fatte proprie. Nei primi tempi i nobili lo guardavano dall'alto in basso perch� -lui nobile- si era messo a fare l'affarista, e gli affaristi non si fidavano di lui perch� era un nobile e con alte protezioni.  Poi in entrambe le file aumentarono i realisti, e le file degli "affaristi della terra" aumentarono pari a quelli che facevano affari con le industrie, le banche, le esportazioni.

D’altra parte il miglioramento del tenore di vita degli operai delle industrie (quasi tutte concentrate nel triangolo GE-TO-Biellese-MI)  favorendo il consumo interno dei prodotti agricoli pi� pregiati, ne faceva aumentare il prezzo e ne assicurava un pi� facile collocamento, fattori che si trasformavano in uno stimolo al progresso agricolo generale di alcuni territori  che avevano adottato la razionalizzazione, i fertilizzanti, sfruttato le comunicazioni ferroviarie. Quindi aumento dell'uso dei concimi chimici, dei quali cresceva contemporaneamente l’offerta per la cresciuta produzione nazionale e le pi� copiose esportazioni all'estero. Il valore dei concimi chimici adoperati nel suolo italiano, calcolato in 27 milioni di lire nel 1899, era aumentato dei beni cinque volte nel 1913.

Lo sviluppo dell’agricoltura dopo i due decenni anteriori alla guerra fu poi favorito dalla politica economica dello Stato, orientata fin dagli inizi del secolo verso un minore disinteresse nei riguardi dell’economia agraria. L’onere del debito ipotecario gravante sulla terra diminu� per effetto della riduzione generale del tasso d’interesse e per le facilitazioni fiscali dei mutui. Ma ormai c'era stata la fuga, e queste facilitazioni avvantaggiarono proprio i medi e i grandi proprietari.

La media delle operazioni negli ultimi tredici anni anteriori alle guerre si triplic�, passando dai 24 milioni del 1901-1905 ai 73 milioni del 1910-13. Altre disposizioni furono emanate a proposito del credito agrario, ma esse non ebbero l’effetto sperato per l’apatia e la diffidenza dei piccoli agricoltori, che di quella forma particolare di aiuto non volevano saperne; per lo pi� preferivano ricorrere con la maggior larghezza alle operazioni di credito ordinario. Quindi altro vantaggio per i grandi che sapevano come muoversi nelle disposizioni  e dentro le grandi banche.

Infatti proprio a inizio secolo divenne pi� vasta ed organica la legislazione diretta ad ottenere un miglioramento nella utilizzazione delle terre. Il mantenimento delle protezioni doganali a favore del grano, aveva assicurato all’agricoltura (altro regalo ai grandi - i piccoli non l'avrebbero mai potuta ottenere) una compensazione del danno che le derivava dalle pi� forti protezioni concesse a vari settori industriali in pieno sviluppo. La coltivazione del grano in genere dava per� rendimenti modesti perch� la loro media ancora fra il 1909 e il 1913 si mantenne fra il 10 e gli 11 quintali per ettaro. Vi erano vaste zone dove il raccolto si era spinto fino ai 30 quintali per ettaro, tuttavia pi� estese erano quelle dalle quali si ricavavano 24 quintali e, cinque volte maggiori quelle che davano fra i 20 e i 24 quintali per ettaro.

Al progresso della cerealicoltura si accompagnava quello della produzione degli ortaggi e delle leguminose, ed un aumento della produzione della frutta, in primo luogo degli agrumi soprattutto per i mercati esteri. Mentre era stazionaria la produzione dell’olio, con le sue caratteristiche annate alterne buone e cattive, presentava una notevole espansione la produzione del vino, con il rovescio della medaglia per�, perch� la eccezionale caduta dei prezzi che ne deriv�, fece inaugurare la serie delle disposizioni a favore della distillazione dei vini, che � continuata con interruzioni saltuarie, fino ai giorni nostri.

Alla decadenza della coltivazione della vite e della bachicoltura, si contrapponeva, nelle piante industriali, una certa espansione della canapa, mentre il grande sviluppo della floricoltura, specialmente in Liguria ed in vicinanza di alcune grandi citt�, tendeva a far assumere a questo nuovo settore un carattere nettamente industriale.

Anche nell’allevamento del bestiame, nel corso dei cinquant’anni esaminati, si possono constatare alcuni sensibili progressi: i dati delle varie indagini statistiche compiute nel 1876, nel 1887 e nel 1908, segnalano un aumento costante  del numero di capi. La cultura delle foraggiere, non era per� abbastanza estesa da assicurare l’alimentazione del bestiame nelle annate di scarse fienagioni e l’allarme destato da scarsezza di foraggi induceva spesso (sempre i piccoli) agricoltori ad effettuare rovinose vendite di bestiame. Tuttavia il cammino verso un pi� razionale assetto di questo settore fu piuttosto veloce e negli ultimi anni precedenti la guerra fu addirittura eccezionale, facendo alzare sensibilmente il valore di tutto il patrimonio zootecnico nazionale.

In conclusione vale per� la pena di osservare che tutto quanto avvenne in assenza (anche se ci furono alcune disposizioni) di vere e proprie direttive di politica agraria; l'unica politica seguita fu di lasciare esclusivamente ai grossi proprietari di terre (gli unici a poterlo fare) l’iniziativa di scelte del modo migliore di sfruttamento (ovviamente compreso lo sfruttamento dei braccianti, che molto spesso erano gli ex piccoli e piccolissimi proprietari di "fazzoletti" di terra, andati in disgrazia).

vedi anche UN NOVECENTO AL RALLENTATORE 


TORNA A CRONOLOGIA    o  ALLA PAGINA PRECEDENTE