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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI 1883-1886

FASCIO DELLA DEMOCRAZIA - PENTARCHIA - IL COLERA

IL FASCIO DELLA DEMOCRAZIA - LA PENTARCHIA - INONDAZIONI NELL'ALTA ITALIA - II PELLEGRINAGGIO NAZIONALE AL PANTEON - IL COLERA - IL DISEGNO DI LEGGE SULL'INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO - SESTO MINISTERO DEPRETIS - LE CONVENZIONI FERROVIARIE - LUIGI CASTELLAZZO - SETTIMO MINISTERO DEPRETIS - I REGOLAMENTI UNIVERSITARI - LA PEREQUAZIONE DELL'IMPOSTA FONDIARIA - L' "OMNIBUS FINANZIARIO" - DISCUSSIONE SULL'ASSESTAMENTO DELL'ESERCIZIO FINANZIARIO 1885-86 - IL DISCORSO DEL CAVALLOTTI - PIETRO SBARBARO - SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA - LA XVI LEGISLATURA - ATTACCHI AL MINISTERO PER L'INGERENZA NELLE ELEZIONI

II TERREMOTO DI CASAMICCIOLA
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IL FASCIO DELLA DEMOCRAZIA

Il trasformismo e la conseguente coalizione dei partiti moderati produssero un'apparente coalizione dei partiti radicali. A un loro congresso tenuto a Bologna l'8 agosto del 1883, al quale parteciparono SAFFI, CAVALLOTTI, CAMPANELLA, BOVIO, CENNI, COSTA e i rappresentanti di oltre trecento associazioni, fu costituito il "Fascio della Democrazia" con un comitato centrale formato da GIOVANNI BOVIO, FELICE CAVALLOTTI e ANDREA COSTA.

Quasi nello stesso tempo, "i più autorevoli uomini della Sinistra", che dissentivano dal trasformismo e avversavano Depretis, si stringevano in una lega. Sorse così la "Pentarchia", così chiamata perché costituita da cinque uomini politici, GIUSEPPE ZANARDELLI, ALFREDO BACCARINI, BENEDETTO CAIROLI, FRANCESCO CRISPI, GIOVANNI NICOTERA.
Il 18 novembre, Crispi tenne al Politeama di Palermo un discorso politico, in cui, fra l'altro, disse:

"L'antica Sinistra si è ricostituita .... I governi immorali e che non hanno il sentimento della giustizia portano gli Stati alla perdizione .... I moderati hanno sete di potere. Stanchi di fare l'opposizione, e convinti che combattendo il Ministero non sarebbero giunti a riafferrare le redini del Governo, si sono fatti alleati dell'on. DEPRETIS e lo hanno incoraggiato nelle vie della reazione, discreditandolo così in mezzo alle popolazioni, le quali, deluse, hanno dovuto convincersi che siamo ritornati là dove eravamo prima del 18 marzo 1876 ....
La ricostituzione della Sinistra non è un'opera negativa, ma si è fatta per l'affermazione dei grandi principi di governo, altre volte proclamati e che vogliamo attuati".

Il programma definito di "pura sinistra" dagli stessi esponenti, insiste sulla libertà di parola e sul diritto di riunione stabiliti dallo Statuto, ma non sufficientemente garantiti, secondo i "Pentarchi", dal governo in carica.

Il 25 novembre, vigilia dell'apertura della Camera, i "Pentarchi" si riunirono a Napoli. Al banchetto dato in quella circostanza al Grand Hotel presero parte molti deputati e parlarono CAIROLI e ZANARDELLI il quale riaffermò la sua fede politica, rimproverò a Depretis il nuovo indirizzo e li additò come "nemici da combattere, più dei repubblicani, socialisti e clericali, perché miravano a distruggere l'unità della patria".

La pentarchia sarebbe stata una forza temibile se i suoi componenti fossero stati concordi; i cinque invece si accordarono soltanto nel combattere il Depretis; per il resto CRISPI e NICOTERA tendevano verso la Destra, CAIROLI, ZANARDELLI e BACCARINI verso l'Estrema Sinistra e ciascuno di essi non aveva stima degli altri né fiducia in loro. Fu per questo che la vita della pentarchia ebbe una breve durata e non riuscì ad esercitare in Parlamento una seria opposizione.
La Pentarchia voterà unita l'ultima volta nel 1887, poi CRISPI e ZANARDELLI accetteranno di far parte dell'ultimo ministero del "nemico" Depretis (4 aprile), poco prima della sua morte (29 luglio), e sarà lo stesso CRISPI ad assumere (7 agosto) la presidenza del consiglio.

LE CALAMITA' IN ITALIA
TERREMOTO - ALLUVIONI - COLERA

Quattro mesi prima del banchetto politico "pentarchico" di Napoli, l'Italia era stata afflitta da una gravissima sciagura che era venuta ad aggiungersi a quelle prodotte dallo straripamento del Po, dell'Adige e dei fiumi del Veneto nell'estate del 1882. La sera del 28 luglio del 1883 un tremendo terremoto aveva distrutto Casamicciola, nell'isola d'Ischia, aveva devastato gli altri comuni dell'isola e ucciso alcune migliaia di persone, in alta stagione là arrivate da ogni parte d'Italia per la cura delle acque termali.

(VEDI PAGINA DEDICATA AL TERREMOTO DI CASAMICCIOLA)

In quell'occasione Governo e privati fecero a gara per alleviare il dolore dei colpiti e recare loro soccorso. UMBERTO I volle accorrere sul luogo del disastro per confortare con la sua presenza i superstiti e i parenti dei tanti morti, che furono secondo le cifre ufficiali 5000.
Il lutto per il disastro di Casamicciola non impedì ad alcuni di proporre un pellegrinaggio nazionale al Panteon, per commemorare il venticinquesimo anniversario dello storico discorso pronunciato da Vittorio Emánuele II il 10 gennaio del 1859. Il pellegrinaggio avvenne dal 9 al 22 gennaio del 1884 e fu davvero un avvenimento nazionale perché vi parteciparono larghissime rappresentanze di tutte le province.
Ma nella stessa estate del 1884, dopo il terremoto di Casamicciola e le alluvioni nella valle Padana, un'altra grave sciagura desolava l'Italia: il colera.

In seguito a notizie provenienti dalla Birmania, dove si erano registrati casi di colera, il 23 aprile alle navi provenienti da quel paese era stato imposta la quarantena nei porti italiani. Qualche caso si era verificato in Francia e quindi il 24 giugno fu imposta la quarantena prima alle navi provenienti da Tolone, poi da tutti i porti francesi sul Mediterraneo.
Ma era ormai troppo tardi. Indubbiamente qualche emigrante stagionale per sfuggire al contagio in Francia fece ritorno a casa con il morbo in incubazione già addosso.
Infatti, il primo caso in Italia si registra in Italia il successivo 28 giugno a Saluzzo (Cuneo), e si era ormai diffusa in Liguria, Piemonte, Lombardia.
Il 22 agosto scoppiava con violenza alla Spezia e quasi contemporaneamente a Busca, in provincia di Cuneo, dove in tre giorni ci furono 108 malati e 58 morti. A partire dal 31 agosto, complice il caldo, il morbo scoppiò improvvisamente a Napoli con 60 casi, ma che dopo cinque giorni giunsero a 900 e a metà settembre erano già 15.927 in città e nei piccoli centri, con una mortalità del 50%, quasi 8000 morti. Poi il colera iniziò ad infierire a Genova e si diffuse in quasi tutto il territorio italiano.

Umberto I, ai primi di settembre, doveva recarsi a Pordenone, per assistere alle corse, ma saputo che a Napoli infieriva il colera preferì correre in quest'ultima città e inviò al sindaco di Pordenone il famoso telegramma: "A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore; io vado a Napoli".
Dopo la precedente tempestiva presenza a Casamicciola dopo il disastro, e quella di ritornare subito a Napoli nel secondo tragico dramma, UMBERTO dimostrò tanta bontà d'animo da meritarsi il titolo non solo di Re ma di "re Buono". Il non "soldato" sfoderò un gran coraggio non sui campi di battaglia, ma nelle corsie degli appestati.

La sera dell'8 settembre, accompagnato dal duca d'Aosta e da Depretis, il sovrano giunse nella capitale del Mezzogiorno e con vero sprezzo del pericolo e davanti a un nemico invisibile, si diede a visitare gli ospedali e i quartieri infetti di Porto, di Pendino e di Mercato, confortando i colerosi e rialzando lo spirito depresso dei Napoletani. Per i colpiti dal morbo contribuì alle cure e ad alleviare le loro sofferenze con alcune somme personali.
Nella stessa occasione, emuli dell'esempio del sovrano, si distinsero nel portare soccorso ai colpiti dal morbo le squadre volontarie dell'alta Italia, di cui fecero parte Cavallotti, Fratti, Costa, Maffi, Bovio, Filippo Turati, Anna Kuliscioff ed altri.

Questa massiccia diffusione del morbo nella grande città campana fu dovuto allo stato disastroso del sistema fognario e a un centro caotico fatto allora di fondachi (i "bassi" popolari). Fu l'occasione per fare approvare il 15 gennaio del 1885, un progetto (dello stesso Depretis) di sventramento di Napoli per riportarla ad una condizione di vivibilità. Che fu poi anche criticato, perché privilegiava solo il "decoro" del centro storico a scapito del problema principale dell'intera città che era in sostanza il sistema fognario, causa prima della propagazione del colera.
Il "risanamento", finanziato dallo Stato e con il contributo dei maggiori istituti bancari, fu affidato ad un'apposita società. Il compito fu assolto ("benissimo") trasferendo i quartieri popolari verso la periferia e sventrando la parte centrale antica, facendo posto ai bellissimi quartieri con i nuovi insediamenti borghesi.

Il colera con una nuova ondata epidemica infierisce nel corso del '85, in diverse province italiane (focolai ad Alessandria, Genova, Novara, Piacenza, Rimini, Parla, Reggio Emilia, Caserta), Drammatica invece la situazione a Palermo con molti decessi. (nel solo giorno 19 settembre si registrarono 189 morti). La città in settembre fu isolata dal resto del Paese, causando sollevazioni popolari; si è costretti a presidiare l'isola con diciassette battaglioni per il mantenimento dell'ordine pubblico.
Il colera continuerà a infierire in gran parte della penisola anche nel gennaio del 1886.

SULL'INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO

Sul finire del novembre del 1883 si era iniziata alla Camera la discussione sul disegno di legge presentato dal ministro BACCELLI. Con la riforma contenuta nella sua proposta, Baccelli voleva dare piena autonomia all'insegnamento universitario (finanziaria, disciplinare e didattica). Il disegno fu combattuto da CAIROLI per il timore che i clericali se ne avvantaggiassero fondando università libere; da BONGHI e da SPAVENTA che vedevano nella legge la fine della libertà d'insegnamento; e da parecchi altri; tuttavia l'11 dicembre fu approvato il "concetto informatore" della legge e il 28 febbraio del 1884, dopo la discussione degli articoli, fu approvato dalla Camera dei Deputati con 143 voti contro 135.

Pochi giorni dopo, avendo la maggioranza della Camera elettiva accordato la parola all'on. NICOLA FARINA, cui l'aveva negata DOMENICO FARINI, questi si dimise da presidente della Camera e a questa carica fu eletto con pochissimi voti di maggioranza MICHELE COPPINO, candidato ministeriale. La scarsa maggioranza ottenuta dal ministero nella votazione del disegno di legge sull'istruzione superiore, nell'elezione presidenziale di Coppino, e l'ostilità dell'Ufficio centrale del Senato al disegno di BACCELLI consigliarono il DEPRETIS a rassegnare il 20 marzo 1884, le dimissioni del Gabinetto.
La riforma universitaria non sarà più presentata al successivo ministero Depretis, né dopo questo.

Il giorno dopo, il 21, il re diede l'incarico di formare il nuovo ministero allo stesso Depretis, il quale il 30 marzo formò il suo sesto Gabinetto ottenendo la presidenza e il portafoglio dell'Interno, affidando a COPPINO l'Istruzione, al FERRACCIÙ la Grazia e Giustizia, a BENEDETTO BRIN la Marina, a BERNARDINO GRIMALDI l'Agricoltura e lasciando MANCINI agli Esteri, MAGLIANI alle Finanze, CENALA ai Lavori Pubblici e FERRERO alla Guerra. In sostituzione di Coppino, alla presidenza della Camera fu eletto GIUSEPPE BIANCHERI, della Destra.
Durante le vacanze estive, ritiratosi per malattia il Ferrero, il portafoglio della Guerra fu dato a RICOTTI, di Destra; anche Nicola Ferracciù si ritirava e la Grazia e Giustizia fu affidata ad ENRICO PESSINA, di Sinistra, cui succedeva più tardi il TAJANI.

LE CONVENZIONI FERROVIARIE

Sul finire del novembre del 1884 si cominciò alla Camera la discussione sulle convenzioni ferroviarie. Il disegno di legge, presentato dal ministro GENALA ed esaminato da una Commissione, di cui facevano parte gli onorevoli LA PORTA, DI SAN GIULIANO, MAFFI, DI RUDINÌ, ZANARDELLI, GIOLITTI e COLAJANNI stabiliva che le ferrovie fossero esercitate dalle Società Mediterranee, Adriatica e Sicula, e già sul disegno avevano riferito favorevolmente gli onorevoli BARAZZUOLI CURIONI e CORVETTO.

Il disegno di legge fu combattuto dagli onorevoli SPAVENTA, LUZZATTI, BERTANI, FORTIS, COSTA, SIMONELLI e SAVINI, che difesero l'esercizio di Stato; fu invece difeso dai deputati LACAVA, COLAJANNI, PERUZZI, SALARIS e POZZOLINI, dal ministro GENALA e dal Depretis, il quale, fra l'altro disse che:
"�l'esercizio di Stato delle ferrovie significava la trasformazione del Governo in un'impresa industriale e commerciale; e diventerebbe un elemento perturbatore delle finanze del paese, come tutte le questioni di orario, di treni, di tariffe ed altro diventerebbero questioni politiche, le quali avrebbero un'eco nel Parlamento, ne diventerebbero il giornaliero castigo, la costante preoccupazione e incepperebbero il buon andamento delle cose del Governo"

Nella prima metà di dicembre il dibattito si chiuse; il 25, BACCARINI presentò un ordine del giorno di assoluta sfiducia nel Governo, ma fu respinto al pari di un altro ordine del giorno contrario alle Convenzioni; fu invece approvato quello della Commissione che invitava la Camera a discutere gli articoli. La discussione procedette con estrema lentezza, ostacolata da discorsi ostruzionistici, fra cui numerosi quelli dell'on. SANGUINETTI
Il progetto prevede di affidare la gestione dell'intera rete ferroviaria a tre società private, alle quali si assegna anche la costruzione di mille nuovi chilometri di ferrovie. Nel colossale affare, oltre il sostegno di capitali stranieri, come Francia e Germania, sono coinvolti banchieri italiani, potenti gruppi finanziari, ma anche singoli aristocratici latifondisti uniti attorno alla Banca generale e al Credito mobiliare.
Nonostante la forte opposizione alla legge, la Camera approvò il disegno il 6 marzo del 1885 con 226 voti contro 203 e il Senato il 26 di aprile.

IL CASO CASTELLAZZO

Nello stesso dicembre del 1884 (mentre si discuteva la convenzione ferroviaria) vi fu alla Camera una discussione che destò molto interesse in tutta la nazione e specialmente a Mantova. Era stato eletto deputato di Grosseto LUIGI CASTELLAZZO, che, come in altre pagine di questa storia abbiamo letto, aveva denunziato nel 1852 i suoi compagni di cospirazione, alcuni dei quali avevano lasciato la vita sulle forche di Belfiore. Perseguitato dal rimorso, il Castellazzo aveva cercato di espiare le sue colpe votandosi alla causa santa della patria ed aveva valorosamente combattuto nelle guerre del 1859 e del 1866, aveva cospirato a Roma nel 1867 e, liberato dal carcere dopo la Breccia di Porta Pia, era andato a raggiungere Garibaldi in Francia .

L'on. FINZI accusò il Castellazzo come spia dell'Austria; sorsero accese polemiche e quando fu chiesta la convalidazione dell'elezione del Castellazzo gli onorevoli CHINAGLIO e ADAMOLI domandarono che si sospendesse ogni deliberazione fino a quando non si fosse indagato sui fatti di cui era stato accusato il neo eletto. La proposta di sospensione trovò due oppositori negli onorevoli APORTI e CRISPI, i quali sostenevano che la Camera non aveva il diritto di immischiarsi in questioni d'indole morale, essendo i casi d'eleggibilità e ineleggibilità stabiliti dalla legge.
CAVALLOTTI fu d'avviso che l'elezione bisognava convalidarla, ma, affermando che la Camera, in certi casi doveva ricordarsi di essere la tutrice di alti interessi morali e perciò oltrepassare la parola della legge, propose che contemporaneamente fosse fatta un'inchiesta sulle accuse mosse al Castellazzo.
"Io - dichiaró - vi dico che se una di quelle accuse fosse vera, se una stilla sola del sangue dei martiri pesasse sul nome di Luigi Castellazzo, su quest'uomo ribattezzato nel sangue, io, dopo la sua lunga espiazione, crederei quest'uomo degno della pietà profonda del poeta, lo riguarderei come l'Edipo moderno, colpito dalla collera dei numi, ma gli contenderei il supremo onore concesso ad un libero cittadino nel suo paese".
L'elezione del Castellazzo, che non volle però metter mai piede alla Camera, fu convalidata e l'on. FINZI per protesta si dimise da deputato.

IL BILANCIO

Il 17 giugno del 1885 fu votato a scrutinio segreto il bilancio degli Esteri, che fu approvato con 163 voti contro 159. Il ministro, in seguito al risultato di questa magra votazione, presentò le dimissioni; ma anche questa volta il Re affidò l'incarico di formare il nuovo Gabinetto al DEPRETIS, il quale costituì il suo settimo ministero con gli elementi del vecchio. Soltanto due ministri non furono riconfermati: MANCINI e PESSINA.
Il DEPRETIS prese, oltre la presidenza, l'interim degli Esteri, TAJANI il portafoglio di Grazia e Giustizia.
Il 6 ottobre fu annunciata la nomina del generale Di ROBILANT, ambasciatore a Vienna, a ministro degli Esteri.
Nel novembre dello stesso anno 1885, un gran pandemonio sollevarono alla Camera i regolamenti universitari del ministro COPPINO, che avocavano al Governo la nomina dei rettori, diminuivano l'annuo compenso ai docenti privati e, per non dire delle altre disposizioni restrittive, una delle quali proibivano agli studenti di far parte di associazioni politiche. L'onorevole BACCELLI presentò una mozione contro il Governo; BOVIO parlò contro i regolamenti; la Camera non poté pronunciarsi perché il 19 dicembre prese le vacanze natalizie.

LA PEREQUAZIONE FONDIARIA

Nello stesso novembre del 1885 iniziò alla Camera la discussione sul disegno sulla perequazione dell'imposta fondiaria, presentato da MAGLIANI nel 1882 e modificato dalla Commissione esaminatrice presieduta da MINGHETTI. Il dibattito fu lungo ed aspro e assunse il carattere di dissidio tra il nord e il sud. Molti parlarono pro e contro il disegno; chi ne assicurò la vittoria fu Minghetti, il quale nella seduta del 16 dicembre riuscì a commuovere e a convincere la Camera:

"Il suo scopo è che ciascuno contribuisca in proporzione dei propri averi ai carichi dello Stato; che da un capo all'altro d'Italia l'imposta fondiaria sia riscossa in modo eguale e proporzionato, di modo che ogni contribuente paghi e senta di pagare la medesima aliquota di tutti gli altri rispetto al proprio reddito imponibile .... La perequazione che noi vi presentiamo è uno dei simboli dell'unità della Patria. L'Italia non è una nazione federale; è un popolo uno, sotto l'impero della medesima legge; di conseguenza il primo pensiero, dopo la riunione dei vari Stati d'Italia in un sol Regno, fu quello di unificare i tributi. Nel primo triennio, dopo la proclamazione del Regno, si unificarono le tariffe doganali, le tasse di registro, la ricchezza mobile, il dazio consumo. La fondiaria non poté esserlo, perché mancavano gli elementi per farlo, ma si volle un conguaglio provvisorio, e con esso la promessa formale che entro tre anni, nel 1867, si sarebbe proceduto alla perequazione definitiva. Le ragioni del lungo indugio, voi le sapete, furono cagioni fortunate, perché aiutarono a compiere l'unità d'Italia; ma nessun ministro poté sottrarsi al dovere imposto dalla legge .... Vi par possibile, signori, conservare come catasti estimativi quelli degli antichi Stati d'Italia ? Davanti ad un catasto geometrico unico, sarebbe questa una stravagante contraddizione. Ma non sentite voi, signori, che in questa conservazione dei vecchi catasti c' è un ricordo dei vecchi Stati italiani? Che c' è qualche cosa che accenna alla negazione dell'unità della Patria?".
Dopo il discorso di MINGHETTI si votò il passaggio alla discussione degli -articoli e il 5 febbraio del 1886 la Camera approvò il disegno con 290 voti contro 91. Anche il Senato nello stesso mese, approvò la perequazione fondiaria.

L' OMNIBUS FINANZIARIO

Verso la fine del novembre del 1885 il ministro AGOSTINO MAGLIANI presentò alla Camera un disegno di legge - che poi fu chiamato "omnibus finanziario". Vi erano contenuti gli aumenti daziari sull'alcool, sul caffè, sugli zuccheri, sui tabacchi, gli aumenti delle tasse sugli affari ecc. Prima la giunta e poi la Camera, approvarono il disegno di legge respingendo soltanto le riforme delle tasse di registro e bollo.
Il 24 gennaio del 1886, il Magliani, relazionando sull'esposizione finanziaria, dichiarò che, essendo aumentate le spese, il miglioramento del bilancio si era arrestato e vi era un disavanzo di circa 70 milioni. Un mese dopo cominciò l'accesa discussione parlamentare sull'assestamento del bilancio per l'esercizio finanziario 1885-86, che durò dal 22 febbraio al 5 marzo.
Molti deputati presero parte alla discussione per contestare la relazione del ministro impegnato a dissimulare il disavanzo solo allo scopo di giustificare aumenti di "spese allegre" (fu infatti soprannominato il "ministro dell'allegra finanza"). MINGHETTI, svolgendo un suo ordine del giorno in cui sosteneva la necessità di una politica finanziaria molto severa, con molta franchezza attaccò con un temerario discorso:
"E' tempo di spezzare questa catena di ferro che lega elettori a deputati e deputati a ministri, che corrompe l'esercizio del più sacro dovere e cancella persino il sentimento della patria comune. Sia il tribunale tempio di giustizia non arma di sofisti. Sia la scuola campo di disciplina, di studio e non palestra di arruffamenti politici. Sia il lavoro ed il risparmio la via dell'onore e non l'intrigo e l'impudenza. Cessi questa gazzarra di feste, di ritrovi, di monumenti fatti non per onorare i grandi morti, ma per dare un piedistallo a pigmei viventi che cercano modo di sfogare la propria vanità. Sia la legge inesorabile per tutti, e l'amor della patria non si misuri che dallo spirito di sacrificio".

CRISPI si scagliò contro la politica di DEPRETIS che sostenne essere dannosa alla nazione. Accennando al banco del Governo, disse:
"Mettete un uomo energico là; ma non l'uomo che piega, che cede, non l'uomo che, per farsi una maggioranza, ha bisogno di beneficiare i deputati, i quali alla loro volta devono beneficiare gli elettori; l'uomo con un programma sicuro, attorno al quale si riuniscono uomini sicuri e convinti; ed allora, signori, potrete sperare che questi sette popoli decrepiti e viziati dal dispotismo divengano popoli seri e virtuosi".

Contro il Gabinetto parlarono anche SPAVENTA, BOVIO, FORTIS, CAIROLI, ZANARDELLI, BACCARINI e più accanitamente di tutti CAVALLOTTI che fu più polemico del Minghetti:

"E noi avremo veduto in due o tre anni tanti convincimenti mutarsi, tanti programmi impegnanti la fede data lacerati, gettati per aria a brandelli, eretto a teoria di governo quello che sarebbe ascritto a biasimo sanguinoso dell'ultimo dei gentiluomini, il diritto di mancare alle più formali, solenni, sacrosante promesse; avremo veduto come teoria educatrice, conteso ai giovani il diritto di appassionarsi per tutto ciò che faceva battere il cuore delle generazioni che li hanno preceduti, per tutto ciò che lasci lusinga e speranza di una generazione migliore; e di ricambio intanto, estendersi, crescere, all'ombra di conciliazioni innominabili, all'ombra dei chiostri protetti e rifiorenti estendersi una ben altra propaganda educatrice, quella degli eterni corruttori della coscienza, degli eterni nemici della patria: e la superstizione bottegaia protetta, intanto che si indice la guerra ai ricordi dei sacrifici e del martirio, a tutto ciò che nel nome della patria ingentilisce gli spiriti, eleva in alto i cuori; e la coscienza popolare uscire indignata dalle aule della giustizia per andarsene a protestare alle urne; e gli interessi materiali, abilmente, sapientemente, meditatamente accarezzati prendere ogni giorno più il posto dei principi e dei grandi interessi nazionali; e il parlamentarismo, questa che dovrebbe essere la più alta funzione del pensiero e dello spirito della patria, questa che dovrebbe essere la più alta scuola educatrice del carattere nazionale, il parlamentarismo, io dico, sotto un lavoro paziente, minuto, tentatore di coscienza, tentatore dell'ora della vanità o del bisogno, e di quell'ora approfittante, trasformarsi a poco a poco in quella scuola di particolarismo gretto, di egoismi, di scoraggianti audace, di piccoli intrighi, di piccole astuzie, di una politica piccina; il parlamentarismo ridotto alla senile abilità del comporre giorno per giorno, comporre e ricomporre le maggioranze, non secondo i principi che definiscono i partiti, ma secondo le debolezze che trascinano i convincimenti degli uomini; e il bilancio, povera vittima espiatoria, quelle debolezze contentarle tutte, soddisfarle tutte, fare le spese di tutte; il bilancio, già un dì rifiorente, ora mostrante i fianchi sanguinolenti come perseguito dai morsi di una muta di segugi; il bilancio, povera vittima rassegnata, costretta, per colmo di abnegazione cristiana, a pagare perfino i panegirici alla stampa di quelli che lo hanno così aspramente conciato; e questa manipolazione faticosa di carattere e di coscienza, questo lavoro affannoso, questa gara invisa, gelosa, minuta d'interessi locali e di appetiti, ogni giorno di più sostituirsi ai ricordi dei grandi giorni, quando la patria nel Parlamento sovrastava ogni cosa, e in nome delle grandi idee si davano le grandi battaglie; e il paese disgustato, rivoltato da questo esempio educatore, che dall'alto gli viene, accasciarsi ogni giorno di più nella sfiducia di ogni alto ideale: tutto ciò avremo in tre anni veduto, e non dovrebbe esser lecito lasciarsi sfuggire qua dentro un grido di protesta contro questo decadimento morale, contro questo morale sfacelo; e dire: guai al ministro, guai all'uomo, fosse pur benemerito per antichi servigi, su cui cada la responsabilità di averlo cagionato, perché neppure una vita settantenne e rispettabile, neppure lo zelo di semisecolari servigi riscatterebbero tre anni di questa devastazione morale, come i sudori di mesi, le fatiche lunghe dell'agricoltore non riscattano mezz'ora una grandinata sulle viti del suo campo".

DEPRETIS pronunziò un lungo discorso, ribattendo alle accuse mossegli e facendo rilevare l'importanza delle riforme attuate sotto il suo governo.
Il 5 marzo, finita la discussione, l'on. MORDINI presentò un ordine del giorno favorevole al ministero e la Camera lo approvò con 242 voti contro 227 approvando così il bilancio di stretta misura.


PIETRO SRARBARO - LA XVI LEGISLATURA
ATTACCHI AL MINISTERO PER L'INGERENZA NELLE ELEZIONI

I 15 voti di maggioranza, ottenuti all'ordine del giorno Mordini il 5 marzo, mostravano chiaramente quanto era numerosa alla Camera l'opposizione a DEPRETIS, e quest'opposizione parlamentare era un segno evidente del malcontento del paese. Questo si manifestò in modo abbastanza chiaro nelle elezioni suppletive del primo d'aprile del 1886, e specialmente in quella di Pavia dalla quale uscì vincitore PIETRO SBARBARO.
Questi era savonese, insegnava diritto all'Università di Parma ed era, dotato di grande ingegno e di vastissima dottrina nel campo giuridico, filosofico, storico ed economico; di temperamento molto diverso, SBARBARO si era messo in urto con BACCELLI, ministro della Pubblica Istruzione e, avendo lui assunta la difesa degli studenti universitari che tumultuavano per l'abolizione degli esami biennali, era stato destituito.
Appena persa la cattedra, lo SBARBARO iniziò una campagna ferocissima contro BACCELLI, DEPRETIS e tutti gli altri suoi nemici politici e personali, i quali essendo potentissimi e vedendosi continuamente assaliti dalle "Forche Caudine", il giornale fondato proprio dallo Sbarbaro, non lasciarono in pace l'ex-professore, lo perseguitarono per farlo star zitto, e riuscirono a farlo condannare dalla Corte d'Appello di Roma a sette anni di carcere.
La pena parve ed era eccessiva. Lo Sbarbaro fu dipinto come la vittima delle camorre politiche e, diventato proprio per questo popolarissimo, fu con una straordinaria votazione eletto deputato a Pavia. Il Consiglio dei Ministri ordinò l'immediata scarcerazione dell'ex-professore, che da una marea di popolo fu portato a braccia dal carcere fino a Montecitorio.
Ma le peripezie dello Sbarbaro non erano finite. Lui ricominciò ad attaccare i suoi nemici sui giornali la "Penna" e la "Penna d'oro", e il procuratore generale chiese alla Camera l'autorizzazione a procedere.
Il 14 aprile SBARBARO parlò per un'intera seduta, facendo l'auto difesa, ma la Camera accordò l'autorizzazione su relazione dell'on. ARCOLEO. Pietro Sbarbaro fuggì in Svizzera, ma, essendo poco dopo, ritornato in Italia, fu arrestato.

Quell'esigua maggioranza della votazione del 5 marzo indusse il DEPRETIS a porre fine alla XV Legislatura. La Camera fu sciolta il 27 aprile del 1886, e furono convocati i comizi elettorali per le elezioni generali da tenersi il 23 maggio.
I nemici di DEPRETIS, primo fra tutti il CRISPI, durante il periodo elettorale combatterono i1 presidente del Consiglio; questi non mancò di ingerirsi nelle elezioni per assicurare al suo Gabinetto la maggioranza. E l'ebbe, ma non numerosa. Le Romagne rimandarono alla Camera ANDREA COSTA ed elessero l'anarchico AMILCARE CIPRIANI, la cui elezione fu poi annullata.

La XVI Legislatura fu inaugurata il 10 giugno del 1886. Il sovrano in un discorso accennò alla necessità di ridurre le spese per consolidare maggiormente il bilancio, raccomandò il nuovo codice penale e accennò a dei provvedimenti per l'esercito e la flotta, promettendo in entrambi un aumento di potenza.
A presidente della Camera fu eletto il BIANCHERI e l'Assemblea accordò subito l'esercizio provvisorio fino a tutto il mese di dicembre.
Il 22 giugno, rispondendo ad un'interpellanza dell'on. DI SAN DONATO sulla condotta dei Governo durante le elezioni, DEPRETIS affermò di aver solo voluto che gli eletti sarebbero stati la genuina espressione della volontà della nazione; alcuni giorni dopo fu CAVALLOTTI che attaccò il Governo di arbitrii e di ibride alleanze nel periodo elettorale, narrando episodi e adducendo prove di corruzioni e di pressioni, affermando che si era perfino pubblicato a spese dello Stato un libello contro il Nicotera e documentando che i candidati ministeriali per avere l'appoggio dei clericali si erano impegnati a non votare mai leggi contrarie alla libertà e ai diritti della Chiesa.

DEPRETIS smentì alcuni fatti riferiti dal Cavallotti nei suoi confronti, e di altri sostenne che non ne sapeva nulla; riguardo al libello contro il Nicotera, disse che gli uomini politici erano esposti alle critiche e alle maldicenze della stampa e lui, Depretis, più degli altri, come provava il linguaggio di un giornale di Piacenza, che lo chiamava "amico dei ladri e delle spie".
Infine sostenne che il Governo aveva il diritto di appoggiare i candidati ministeriali. CAVALLOTTI non si ritenne soddisfatto delle dichiarazioni del presidente del Consiglio e propose un inchiesta parlamentare sulla condotta del Governo durante le elezioni, ma la Camera respinse la proposta e il 29 giugno, su un ordine del giorno di BONGHI, votò la piena fiducia al ministero.

Questa era riconfermata nel gennaio del 1887, quasi alla vigilia dell'episodio di Dogali che commosse profondamente l'Italia; causò le dimissioni del governo (ricostituito poi ancora da DEPRETIS -che però morì il 22 luglio); riempì l'anno di densi avvenimenti che avranno conseguenze rilevanti nella politica interna ed estera; e registrò anche l'ascesa al potere di FRANCESCO CRISPI, l'uomo che dominerà la politica italiana negli anni successivi.

Ma prima di narrare questi avvenimenti, che iniziano con il primo ministero Crispi, dobbiamo fare una lunga panoramica sulla politica coloniale italiana, ripartendo dal "lontano" 1852, prima ancora dell'Unità d'Italia.

�periodo dall'anno 1852 al 1887 > > >

Fonti, citazioni, e testi
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano 1907
MACK SMITH, Storia del Mondo Moderno - Storia Cambridge X vol.
MONDADORI . Le grandi famiglie d'Europa - I Savoia. 1972
F. COGNARSCO Vittorio Emanuele II - Utet 1942
PATRUCCO C. Documenti su Garibaldi e la massoneria - Forni 1914
O' CLERY - The making of Italy - Kegan&Trubner, Londra 1892
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1890 -De Agostini
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