HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNI 1821-1880 (9)

 LETTERATURA  
del SECOLO XIX    ( inizio e metà Ottocento)

( Letteratura e Politica nel Risorgimento )
" Dalla contemplazione all'azione "

GIUSEPPE MAZZINI
POLITICO, FILOSOFO, LETTERATO
(2)

di Francesco De Sanctis

* MAZZINI COME FILOSOFO E POLITICO
* MAZZINI LETTERATO E CRITICO
* CARATTERISTICHE DELL'INGEGNO DI MAZZINI
* MAZZINI COME SCRITTORE
* MAZZINI E L'ITALIA

(sentenza di condanna a morte di Mazzini)
________________________________________________________________________

MAZZINI COME FILOSOFO E COME POLITICO

 

In Mazzini c'é il filosofo. Egli é certo pensatore, perché ha tutto un sistema intorno alle sorti dell'umanità: come Condorcet, come Vico ed Herder ed Hegel crede che la storia, al pari della natura, abbia le sue leggi e tenda al progresso. Basta questo a fare di lui un filosofo ? Tutto ciò che ha in mente é risultato di un lavoro anteriore, ma non é una filosofia. Prima la filosofia tendeva ad affermare l' idea del progresso umano, oggi la filosofia o deve negare o trovare la legge del progresso, dev'essere scienza della storia, come ha detto un mio amico ed egregio scrittore, Nicola Marselli; altrimenti, si resta in un vago indefinito e metafisico. - Ora, studiando tutti gli scritti de Mazzini, non trovate niente di serio, niente che possa farvi dire che in lui é un serio pensatore, un filosofo vero.

Mazzini é uomo politico. Cos'é l'uomo politico? È quello il quale ha una conoscenza adeguata dello stato di fatto in cui si trova un paese, e, lasciando gl'ideali ai filosofi, sa trovare le idee concrete attuabili in quelle condizioni. Aveva egli un'idea esatta dello stato reale del paese?
Propose i mezze più convenienti, dato quello stato, a realizzare il suo programma di libertà ed unità nazionale? - Tutti risponderete: no. La sua ultima discussioni ad amarezze furono naturali, perché si fabbricò un'Italia ideale e, lavorando su quell'ideale, s'ingannò nella scelta dei mezzi : poi se la pigliò col popolo italiano, ma la stessa amarezza mostra l'inefficacia di lui come uomo politico.
Nondimeno, par poco tempo agli ebbe in mano il potere, e specialmente nelle sue relazioni con il governo francese, mostrò abilità che nessuno supponeva in lui
regnum regnare docet. Ed in tutto il resto del tempo ha potuto essere centro d'una grande agitazione europea senza mezzi, senza potenza, senza grande agiatezza, con la sola forza della sua parola. Questa è veramente la parte grande di Mazzini. Non possiamo dirlo filosofo o pensatore o riformatore religioso; egli é stato il grande cospiratore ad agitatore europeo, e, come tale, ha esercitato grande influenza sulla gioventù, perché sentiva il bisogno di trovare ciò che fa vibrare le fibre dalla generazione di cui voleva servirsi, etrovò infatti ed espose in modo sintetico ed efficace certe idee che potevano produrre impressione ed operare sugli animi, come Dio e Popolo, Pensiero ed Azione, la vita è missione, etc.

Non era necessario filosofare su queste idee già accettata dagli uomini intelligenti, e, dette in modo efficace, esse dovevano far vibrare tutta le corde che sono nel cuore umano.
Soprattutto, vediamo, dunque, in Mazzini l'agitatore e inventore di formule felici ed efficaci. Fra queste ci sono due le quali formano per Mazzini il titolo di gloria più serio par la posterità a costituiscono la parte più meritoria e più originale del suo sistema.
La prima é -
non vi è umanità senza patria; la seconda é: - pensare ed operare, la vita è dovere, il dovere è sacrificio.
Al tempo che comparve Mazzini, vi era una certa Carboneria universale di cui i fili arano nelle mani dei re l par combattere le idee di patria a di nazionalità si poneva in mezzo un'idea di falso cosmopolitismo, di libertà universale, che traeva origina dalla Rivoluzione francese. In Italia la principale ragione per cui l'idea di nazionalità é venuta così tardi, tanto che si é quasi formata ed attuata solo in questo secolo, sapete quale é stata? Sapete perché, mentre la Francia, l'Inghilterra, la Spagna si costituivano a nazioni, l'Italia rimase scissa in tanti Stati i quali si combattevano l'un l'altro, con sì poca coscienza dell'idea unitaria che, quando gli stranieri vennero ad invaderla, quando la dominavano spagnoli, tedeschi a francasi, quando aveva innanzi a sé tanta vergogne, i suoi poeti si gloriavano di quelle vergogne ? Era appunto per il falso cosmopolitismo. L'Italia, da Dante a Machiavelli, che primo determinò l'idea di patria, aveva avuto sempre davanti l'Impero romano antico restaurato. Dante voleva l'impero restaurato e ne metteva il centro in Alemagna, ed invocava un imperatore tedesco nel suo trattato
De Monarchia.

Questa osservazione molto sottile la dobbiamo al Sismondi cha la espone nella sua
Storia delle repubbliche italiane. - Merito di Mazzini é che, quando era assediato da tanti democratici europei i quali gli parlavano di società europea, egli tenne fermo nell'idea che vera basa del cosmopolitismo e della futura federazione europea dev'essere la ricostituzione della unità nazionali, e predicò e sostenne tale idea anche contro i suoi amici.

La seconda formula ha grande importanza, specialmente rispetto allo spirito nazionale in Italia:
Pensare ed operare! Ricordata che l'Italia era la terra classica dei letterati e dei filosofi astratti, gente accarezzata dai principi, intenta coma i giullari a farli ridere, convinta cha la letteratura e l'arte stiano nel foggiare belle invenzioni. Letterati, pittori, artisti di ogni sorta, filosofi, tutti avevano il pensiero diviso dall'azione. Anche nella scuola neo-romantica, capo il Manzoni, mancava l'azione. Secondo merito di Mazzini é aver messo l'azione a base del pensiero nazionale, é aver fatto di essa stessa mezzo alla redenzione nazionale.

La vita è dovere e sacrificio ! Gli italiani nella loro storia hanno tra secoli vergognosi di decadenza, secoli di degenerazione di fibra, di fiacchezza morale, in cui essi si abituarono a fare il contrario di ciò che dicevano, in cui diventò sistema il corteggiare, il ricorrere a vie oblique, - il che ci ha procurato l'opinione di essere noi tutti Machiavellini: c'era una profonda mancanza di carattere. Mazzini sentì che, per rifare la nazione, bisognava rifare il carattere, e specialmente convincere gli animi che si deve operare sino al sacrificio di sé: da ciò l'altra sua formula notevolissima, l'insurrezione è educazione.

Dunque, avere rigettato il cosmopolitismo e voluto l'unità nazionale, avere messo alla base dell'edificio nazionale la restaurazione del carattere e il concetto che la vita deve servire non all'individuo ma all'umanità, anche a costo di sacrifici, - tutto ciò che pure ha prodotto i suoi frutti in Italia suscitando una gioventù senza esempio ne' secoli passati, la quale ha combattuto tanto per la patria, tutto ciò é grande titolo di gloria.

MAZZINI LETTERATO E CRITICO

E' notevole in Mazzini l'unità e la coerenza di tutti gli aspetti della vita: quindi lo troveremo in letteratura come lo abbiamo trovato in religione, in filosofia, in politica.
Quando egli venne su, Manzoni aveva compiuto la sua orbita con i
Promessi Sposi e la sua scuola si era stabilita e predominava in Italia. Cesare Cantù, Tommaso Grossi, Silvio Pellico, D'Azeglio, Tommaseo, erano nomi già conosciuti e riveriti. Mazzini si dette agli studi letterari con un bagaglio di cognizioni il quale, se assolutamente non può parere sufficiente, oltrepassava le cognizioni comuni delle classi intelligenti di allora. Aveva studiato i classici italiani, non era ignaro della letteratura tedesca e inglese, soprattutto della francese; e non solo conosceva le opinioni letterarie messe in voga dagli Schlegel, dal Cousin, dal Villemain e da altri, ma personalmente conosceva parecchi di quelli che andavano per la maggiore.

Non era cultura sufficiente. Ciò si può dire soltanto quando uno sceglie un ramo solo di cultura ed in esso
si profonda e lo guarda da tutti i lati in modo da acquistare speciale competenza per quelle cose. In lui la coltura é estesa, ma nessun ramo di essa ha fatto oggetto speciale dei suoi studi; in nessun ramo egli é calato sino a quelle profondità per cui si acquista seriamente il titolo di uomo colto. Nell'esilio, girando per l'Europa, acquistò molte cognizioni personali di poeti russi, polacchi, tedeschi, specialmente in mezzo all'emigrazione, la quale rappresentava allora ciò che di più colto era in Europa. Ma le agitazioni politiche non gli lasciarono il tempo di approfondire le sue conoscenze; e gli avvenne come a motti altri, di vivere più tardi a spese del bagaglio giovanile, che per lui non era certo poca cosa quindi, anche inoltrato negli anni, la sua coltura era su per giù la stessa.

Ferveva la lotta fra classici e romantici. Inutile dire che Mazzini e, con lui tutta la gioventù che in Genova ed in Livorno lo circondava, fin dal principio si chiarì per il romanticismo, il quale, per lui e per quei giovani, era quel medesimo che in politica la rivoluzione francese: era la libertà dell'arte rivendicata, come la rivoluzione era la libertà individuale rivendicata sulle rovine del passato; si rivendicava la libertà e la spontaneità del genio contro le imitazioni classiche e la letteratura arcadica, accademica, vuota, che dominava in Italia. Ma come in politica combatteva la rivoluzione francese perché si appoggiava sull'individualismo, da cui egli credeva non potesse uscire se non anarchia e materialismo, - anarchia perché alla libertà individuale mancava un centro ed un freno, materialismo perché tutto era benessere individuale - così in letteratura combatté anche l'individualismo. Quella non gli pareva letteratura nuova, ma espressione ultima di una già esaurita.

Le letterature, esaurendosi, hanno un gran genio che rappresenta non il nuovo ma l'antico, quasi sintesi delle evoluzioni già da esse compiute. Quindi, mentre Mazzini vede in Napoleone il grande individuo che pone fine all' individualismo, considera Victor Hugo e Rossini come gli ultimi rappresentanti dell'arte fondata sull'individualismo. Conseguenza di quest'arte è il genio abbandonato a sé, l'anarchia, l'arte ridotta a puro materialismo, a puro fatto storico: infatti, erano in voga allora i romanzi storici senza qualche idea superiore che desse significato ai fatti: questa letteratura doveva finire nel puro plastico.
Secondo Mazzini, Victor Hugo é l'anarchia nell'arte, non la fine d'un'autorità capricciosa attinta in Aristotile, in Orazio, in Gravina ed altri. - E Rossini? In un lavoro sulla musica, Mazzini discusse la questione: Rossini non é creatore d'una musica nuova, é il restauratore dalla musica italiana, il principe dalla melodia cui sfuggono tutti i misteri dell'armonia, é il grande artista che a tutto dà precisione di contorni, che analizza una passione in tutte la sua piaghe fino agli ultimi limiti; ci si veda il finito, il plastico musicale, non l'armonia, quella potenza che vi stacca dalla terra e vi porta nel regno delle ombre, de' chiaroscuri, dell'indefinito, del vago, dove é grande la musica tedesca.

Che cosa é, per Mazzini, Manzoni e la scuola manzoniana? Vorrei leggervi una pagina dove agli parla di Manzoni e farvi sentire con che rispetto filiale ed amore e riverenza ne parla, simile quasi ad amante che si volge al suo ideale. E parla della scuola manzoniana con grande rispetto; la sua ira é tutta contro i disertori di quella scuola, nella quale trova sincerità a convinzioni. Per lui, Manzoni é la bandiera della libertà nell'arte, rappresenta la lotta contro il classicismo, rappresenta il romanticismo italiano; pure, per dolcezza naturale e per il principio della rassegnazione religiosa, Manzoni sentiva una voce segreta che gli diceva: tu non sei nato alla lotta. Quindi si contentò di segnare le linee d'una nuova letteratura e non ebbe animo di andare innanzi a cavare le conseguenze di quelle premesse. Perciò Mazzini loda le tragedie par l'indirizzo generale e trova che in esse, essendo lirici i cori, manca il dramma: con Manzoni non nasce il dramma in Italia.

Naturalmente, per la scuola é più severo e, riconoscendo che la rassegnazione, la preghiera, la dolcezza sono qualità lodevoli di essa, la combatte come uomo politico e come scrittore, perché sfibrata, non fondata sul diritto che ogni uomo ha di farsi valere.
Infine, fa un'osservazione ch'é quasi il compendio di tutte le sue opinioni critiche intorno alla scuola manzoniana; - é curioso che, mentre essa vuole la religione come unità dei credenti, nel campo morale e letterario ha solo innanzi a sé l'individuo e l'educazione individuale come se così si potesse formare una nazione. - Insomma, anche qui il peccato é l'individualismo.

E quale letteratura nuova agli sogna? Ricordate qual'é la rivoluzione ch'egli sogna, poiché in lui trovate sempre vicini il filosofo, l'uomo religioso, il politico, il letterato. Per combattere l'individualismo in politica fa sforzi per rialzare il principio di autorità e, sprigionandolo dagl'individui, siano papi, siano imperatori, lo metta nel popolo, nell'umanità; in qualche cosa di universale, che è come espressione di Dio. Appunto questa stessa é la base della nuova letteratura, ricostituire il principio di autorità sprigionandolo da Orazio e da Aristotile, da Omero e da Virgilio, da classici e da romantici, e mettendolo in qualche cosa di collettivo e di superiore, nella verità universale la quale per lui é Dio, giacché Dio emana la verità : quello che in letteratura é ideale, per lui é verità. E crede che vi siano tre specie di verità : verità storica, i fatti, il reale, - verità morale, il vero fondato sui princìpi, - verità assoluta, la fonte da cui sgorgano i princìpi. La realtà é, come dice Dante,
ombrifero prefazio del vero, ed il vero é Dio: in altri termini, il reale é la traduzione del vero, ad il vero é la traduzione della verità universale, suprema, analizzata e distinta in princìpi.

A quei tempi erano in gran moda i sistemi trinitari. Hegel era capo di tutti con la famosa triade, una triade aveva Augusto Comte, e l'aveva anche Cousin, riproduzione di quella di Hegel, il vero, il bello ad il buono. Questo rappresentare la verità a scalini é un ritorno al sistema scolastico derivato dalla teologia. Per trovare il segreto della triade di Mazzini basta ricordare cha Dante stabilì la stessa triade semplicemente con parole diverse. Per Dante il fondo dall'arte era intendere, amare e fare, intelletto che acceso di amore opera, concordia dell'intendere e del fare mercé l'anello dell'amore.
Mazzini rappresenta le stesse idee in linguaggio moderno. Il vero, il bello e il buono - é la stessa formula di Dante: il bello sarebbe
l'amore o l'arte come mezzo per passare dall'intendere al fare. In tre versi Dante con la sua maniera magnifica riassume tutte le sue idee:
Luce intellettual piena d'amore,
Amor di vero ben pien di letizia,
Letizia che trascende ogni dolzore.


L'amore, se vi trasporta
immagini di ben seguendo false, é sensualità, é cosa materiale, volgare: letizia é la soddisfazione che si ha facendo il bene, é nella concordia dei pensieri e delle azioni. - « Il finito e l'infinito e la loro relazione » di Cousin, e la formula di Hegel riprodotta anche da Gioberti, e la triade di Mazzini é questo concetto di Dante.
Da tutto questo quali conseguenze derivano ? Come in politica, in filosofia, in religione, Mazzini si allontana dall'individualismo e pone la base sociale nell'essere generale, Umanità; - così mette la base dell'arte nella verità universale, non interpretata da questo o da quello, ma liberamente dal genio. Come l'umanità é essa direttamente interprete di Dio, senza che vi sia in mezzo un papa od un imperatore, così il genio interpreta la verità universale senza l'aiuto di alcuno.
Messo a fondamento dell'arte l'universale, in pratica cos'é la letteratura che Mazzini vagheggia? Come non ammette letterature nazionali, aspira ad una letteratura europea, anzi, allargandone i limiti, cosmopolita. Ed in un discorso d'una certa importanza, tenuto conto specialmente della sua età, perché giovane ancora quando lo scrisse, trova argomenti abbastanza plausibili per dimostrare che, quando la civiltà si allarga e c'é comunanza d'idee nelle varie nazioni, la letteratura acquista caratteri di universalità. Crede che già siamo all'epoca in cui la letteratura, spogliata delle particolarità nazionali, si fa europea.

I precursori di questa letteratura sono, secondo lui, Goethe, Byron e - ricordate, che quando Mazzini scriveva, Monti era morto da poco e Manzoni non aveva acquistata ancora la sua grande importanza - Vincenzo Monti. Li chiama
precursori, non fondatori precursori, perché in Goethe vede un carattere comprensivo che oltrepassa la patria tedesca, sì che, come la Divina Commedia, il Faust appartiene a tutto il mondo; - perché Byron, per energia di espressione e libertà, oltrepassa la forma inglese, - e infine perché Vincenzo Monti per ricchezza di armonie oltrepassa il circolo delle forme strettamente italiane. Precursori, non fondatori, perché in ognuno di essi Mazzini trova un ma. Goethe é grande, ma scettico, e Mazzini voleva fondare la nuova letteratura sulle sue dottrine, comprese le religiose; Byron é terribile, pieno di passione ma anche scettico e di più disperato sino alla follia; Monti ha carattere di precursore - crede Mazzini - per la sua melodia, ma in lui é disarmonia fra quanto pensa e quanto sa, e naturalmente, essendoci sollevati a questa altezza, Monti deve andare in seconda linea.

E, volendo mostrare come in questi tre, già si sente qualche cosa di europeo, analizza il
Faust e senza difficoltà vi trova qualità universali. Di Byron dice: quest'uomo, scettico tanto da far rizzare i capelli per lo spavento, alla fine sentì il vuoto della sua dottrina ed andò a morire in Grecia per la civiltà europea; é già cosmopolita, già si stacca dalla disperazione e dall'incredulità. Ma non ci é dunque ancora il fondatore della letteratura europea: dove sorgerà? Non in Francia, perché questa ha finito la sua missione con l'individualismo, e l'ultimo suo poeta é Victor Hugo. Non in Germania, perché i tedeschi se ne stanno nelle ombre, e nel vago allora non si poteva supporre che la Germania così presto sarebbe stata positiva ed avrebbe mostrato tanta forza d'azione, allora non si vedevano che le nebbie germaniche. In Francia, osserva Mazzini, é il contrario, in Francia domina troppo il finito, in Germania troppo il sentimento dell'infinito: a ciò bisognava aggiungere la forza d'azione. Già indovinate che il paese predestinato é Roma. Come ne uscì l'unità religiosa, così ne uscirà l'unità letteraria: quindi egli chiama italo-europea la nuova letteratura.

Non seguirò Mazzini nello sviluppo delle sue dottrine e ne' suoi giudizi critici. Noterò solo che ha lasciato lavori critici importanti, specialmente notevoli quelli che scrisse in Inghilterra e che ancora là sono pregiati come molti scritti di Foscolo.
I difetti di queste opinioni sono gli stessi che delle opinioni sue religiose, politiche, filosofiche. Lì é l'uomo preoccupato dell'universale, che non tiene in gran conto le differenze nazionali ed individuali: in letteratura é il medesimo. Innanzi tutto, non comprende l'ideale come arte, ma come verità, e la verità appartiene alla filosofia. Comincia con un inno alla libertà dell'arte e poi per odio all'individualismo imprigiona l'arte di nuovo e la chiude nella verità o falsità d'un concetto.

Per lui quell'arte é importante la quale rappresenta un contenuto vero, ed é spregevole quella che rappresenta un contenuto falso: quindi rigetta Goethe e Byron, perché vi trova un contenuto contrario ai suoi propri concetti, e leva alle stelle una poesia che tutti oggi hanno dimenticata,
l'Esule di Pietro Giannone, perché ha contenuto patriottico; e perciò loda solo Berchet. Questo sostituire il contenuto e la sua natura alla vita dell'ideale poetico, è un grave sbaglio.
Quando parlo di uomini che tanto rispetto, sono uso a guardare queste cose non assolutamente, ma rispetto ai tempi; e se ricordate i tempi in cui Mazzini pensava tutto quel che vi ho esposto, troverete non poco da lodare. La letteratura italiana era senza contenuto, si nutriva di ciance e di frasche, era arcadica ed accademica, senza niente di vitale: comprendete l'utilità e la serietà della teoria di Mazzini quando per opposizione a quella letteratura ed a quell'arte puramente formale si getta ad un altro estremo, all'importanza del contenuto. Anzi, questo diventò carattere della nostra letteratura. Eccetto Manzoni, se guardate gli scrittori ed i poeti di quel tempo, ci trovate arte ? No, altre preoccupazioni ne impedirono lo sviluppo, specialmente le preoccupazioni politiche, e quando un uomo ha il cuore pieno di impressioni e passioni politiche, religiose o filosofiche, non può avere il puro sentimento artistico. Lo stesso fu in Germania, e lo dico non a biasimo ma per constatare un fatto: avemmo letteratura politica. Oggi che da molti punti di vista la parte politica é esaurita e si tratta non di costituzione politica ma di educazione e di ricostruzione del sentimento religioso, oggi é più facile, se la materia dell'arte non manca, ricostituire il sentimento dell'arte ch'ebbe l'Italia così profondo nel 500 e poi smarrì nella sua decadenza.

Che diremo poi dell'ideale artistico di Mazzini fondato non su questo o quello individuo, ma sul popolo ? - poiché egli, come vuol fondare un'Italia ed una società del popolo, vuol fondare anche una letteratura del popolo. Se si limitasse a dire che nelle antiche letterature il popolo non compare o compare soltanto per essere frustato, che in esse l'individuo piglia troppo spazio e non ne lascia all'essere collettivo, - sarebbe nel vero. Uno dei progressi moderni della letteratura é il dare appunto gran parte al popolo, non perché compare direttamente, ma perché le idee ed i sentimenti che essa esprime oltrepassano gli individui. Mazzini però vorrebbe proprio il popolo, non a guisa di coro qual'è nelle tragedie di Manzoni, ma come agente principale che detronizza Giovanni da Procida e Masaniello e dice a quelli: son io; la loro opera sarebbe stata inutile senza me.

Dove ci mena questa teoria? Come si può nella letteratura detronizzare l'individuo ed al suo posto mettere l'essere collettivo? La letteratura é l'eco della vita e nella vita non trovate che individui: gli esseri collettivi sono costruzioni logiche della mente umana, e potete farne uso in filosofia, nella storia, non già nell'arte e nella poesia. E quando volete proprio rappresentare l'essere collettivo e cacciare da voi l'individuo vivente nelle contraddizioni e nelle varietà dell'esistenza, non avrete più l'individuo poetico ma una personificazione, un individuo metafisico, tipico, mitico, l'arte simbolica e mistica del Medioevo, la quale é il difetto, non il pregio di Dante. Sapete qual'é per Mazzini il più grande individuo poetico? È il marchese di Posa; - un individuo di fantasia uscito dalla mente giovanile di Schiller riscaldata dalle opinioni che allora la Francia metteva in voga, un simbolo che rappresenta idee, non già se stesso. Quel personaggio, dunque, che giustamente viene, non dico criticato, ma considerato a questo modo da tutti i critici di Schiller, é per Mazzini il più grande personaggio poetico: così nell'arte finisce proprio la vita.

CARATTERISTICHE DELL'INGEGNO MAZZINIANO

Base dell'ingegno di Mazzini é la collettività. Quando un oggetto gli si presenta, sua naturale inclinazione é di scorporarlo, togliergli le differenze particolari, individuali, farne un universale, e l'individuo diventa il collettivo ed il generale, - patria, Dio, religione, famiglia, ecc. - Ottenuto il generale, Mazzini se ne appassiona. Tutto ciò non é opera di astrazione filosofica, fatta a freddo mercé l'intelligenza; tutto ciò fa impressione sulla sua fantasia, fa vibrare le corde del suo cuore. E poiché l'uomo non si può appassionare del genere o della specie, egli forma un individuo metafisico; il generale per lui acquista tutti i particolari di un individuo, e ne fa la descrizione in cui vi par di vedere una persona, mentre non c'é che il generale circondato da apparenze individuali. E quando l'ha riscaldato con l'immaginazione e la passione che ha in sé, avete almeno davanti un individuo dai contorni precisi e determinati, che, se non é il vero, può almeno farne le veci? In queste creazioni fittizie di Mazzini trovate sempre un
"di là", qualcosa come nel chiaroscuro, che rappresenta il vago, l'indefinito, qualcosa che non potete mai cogliere: quando siete innanzi a quella Giunone, e volete stringerla fra le mani, vi trovate la nuvola. Se posso dir così, il suo ingegno, quando ha dato apparenze di vita, di sangue, di calore alle sue idee, fa come i sacerdoti, i quali sogliono avvolgere la divinità nel fumo degl'incensi e toglierne la vista per renderla venerabile: egli attornia quell'individuo di immagini e ve ne ruba la vista. Avete davanti come la cima di un monte, la quale potete soltanto intravedere, perché circondata di nuvole. Questo di là dà un'impronta particolare al suo ingegno, nel quale tutti riconoscono un carattere mistico, religioso, profetico.

E qual'é il carattere di Mazzini? Senza dubbio, é una di quelle fisonomie alte sulla volgarità e che, se talvolta non ispirano simpatia ed amore, impongono sempre rispetto. Vi trovate davanti un uomo superiore: nei suoi scritti c'é una certa elevatezza morale che nasce dal concetto suo dell'uomo e della vita. Prima di Mazzini c'era l'individuo eguale agli altri e libero: per Mazzini é qualche cosa di più, é collaboratore dell'umanità, un uomo che non é tutto chiuso e finito in sé, ma é divenuto membro effettivo dell'umanità con la missione e col dovere di sviluppare le sue forze, di sacrificarsi anche a beneficio di tutti.

Amore e sacrificio sono la base del concetto che Mazzini ha dell'umanità. E capite quanta dignità, oltre la verità, sia in questo concetto, anche dal punto di vista artistico, e quale morale ne nasca. In molti punti é una morale che si incontra con l'evangelo, col sentimento della fratellanza umana, con la legge suprema dell'amore. Manca però a questa morale una parte evangelica, che Manzoni ha saputo appropriarsi con tanta simpatia: la dolcezza, la rassegnazione, l'umanità, la preghiera. Pare che, per questi due, il vangelo sia stato diviso in due parti: uno si ha appropriato quanto c'é di energia, di sacrificio e di amore, l'altro quanto c'é di dolcezza.

Questa morale di Mazzini é troppo alta per noi miseri mortali: in mezzo alla comune degli uomini somiglia alla grancassa che nell'orchestra suona talvolta, non sempre: é una morale eroica, buona in certe occasioni, quando le nazioni si risvegliano per la loro libertà e indipendenza. E mi spiego quale impressione abbia fatto nella generosa gioventù, cui s'indirizzava, questa dottrina del sacrificio della vita imposto come dovere.

Ma noi guardiamo l'influenza di un uomo. E evidente che l'eroismo non si può comandarlo come regola generale della vita; l'umanità rimane molto di sotto a quell'ideale. Eppure in questo, come nell'ideale evangelico, é qualcosa che vi attira e v'ispira rispetto: non sono precetti che un uomo, stando a mensa, dia sulla temperanza o sulla frugalità; sono concetti che Mazzini espone come consigli a tutti, e di cui dà per primo l'esempio. Aggiungete che noi siamo sicuri della sincerità sua. Ora che la morte mette termine alla parzialità ed alle calunnie, ed abbiamo davanti non più un uomo vivo ma una memoria, sentiamo tutti come probità, lealtà, disinteresse, sacrificio di sé alla patria, costituiscano un tipo eroico, da cui egli traeva autorità quando domandava agli altri eroismo.

Certo, se devo rendere conto delle impressioni che ho ricevute leggendo i suoi scritti, non vi é in tutto ciò qualche cosa di vicino a noi, di così reale che noi possiamo sentirci uniti a lui, pieni per lui di amore e di simpatia. Ma c'é sempre ciò che impone rispetto e proibisce la distrazione. Nel suo ingegno c'é un po' troppo del pedagogo, dell'uomo che sta in cattedra ad insegnare: nella sua morale c'é un po' troppo del Catone rigido, il quale domanda troppo e s'irrita di ogni debolezza; c'é del crudo e dell'esagerato, da cui appunto non viene simpatia; ma c'è anche sincerità e dignità che c'impone rispetto.

Quest'uomo, che abbiamo delineato con coscienza ed imparzialità da tutti i punti di vista, che cosa può essere come scrittore? I caratteri della scuola democratica, ve li dissi, sono: partire dalle idee e mettere a base della letteratura un'idea assoluta, stile sintetico e poetico, lingua oratoria, in generale opposizione alla letteratura della scuola liberale. Se dicessi che questi sono i caratteri di Mazzini come scrittore, non avrei detto niente ancora: essi li trovate in tutti gli scrittori democratici italiani, in Guerrazzi, in Niccolini, in Berchet. Sono cose generali. Messe queste prime linee generali, dobbiamo fare la pagina di ognuno, cioè vedere che cosa ognuno ha portato di suo, d'individuale, nella letteratura.

In mezzo alle idee comuni, alle qualità generali della scuola democratica, che cosa ha messo di suo Mazzini?
Egli vede i fatti attraverso il prisma dei suoi concetti. Per spiegarmi, ricorrerò ad un paragone, che piglierete non come adeguato a Mazzini, ma come più efficace a farvi comprendere il mio concetto. C'era un uomo, celebre tabaccone, che, mentre parlava, tirava continuamente tabacco. Un giorno, stando in mezzo alla maggior concitazione di un discorso interessante, ad un tratto, fra un un'apostrofo ed una comparazione, cacciò fuori la sua la tabacchiera e pigliò del tabacco: era una di quelle stonature che tolgono l'effetto alle parole più veementi. Qualcosa di simile vedete in Mazzini. Alcuni preconcetti sono così fissi nella sua mente, - e d'altra parte, non sono dati fuori come idee ma sempre vestiti di un abito dottrinario e filosofico - che, quando vuol persuadere o concitare, si trova sempre in mezzo a quelle forme ripetute sempre allo stesso modo; sì che ne viene dissonanza e stanchezza.

Vi porterò come esempio un suo lavoro giovanile, perché sapete che più un uomo va innanzi e sempre più diventa simile ad un orologio e ripete se stesso senza avvedersene, mentre al principio sono i momenti della creazione.
Egli stava a Marsiglia, quando già era avvenuta la rivoluzione del 1830 in Francia. In quel fervore di speranze e di timori, scrisse una lettera a Carlo Alberto, il famoso cospiratore del '21 del quale Berchet imprecava al tradimento, sperando che il principe ancora avesse potuto sentirlo. Ricordo a quanti costò la prigionia quella lettera, che girava di nascosto e suscitava le ire della polizia. E quanto entusiasmo destò, voi non potete sentirlo, perché il frutto non lo avete desiderato, ve lo trovate innanzi mondo e fresco. E quante immaginazioni riscaldò! Rileggendo ora quella lettera, in fondo vi ho trovato una specie di sillogismo rivolto a Carlo Alberto: -
"Voi siete sul trono, tutta Italia freme: che farete? volete resistere al popolo? col ferro o con la corruzione? se col ferro, ve ne verrà questo; se con la corruzione, ve ne verrà quello. Dunque, una
via sola vi resta; pronunziate la grande parola che vi darà gloria imperitura: l'Italia sia libera ed una!"

Questo é il concetto. Leggendo, a volta a volta, fra una apostrofe ed un'altra, compare la dottrina, una maniera filosofica di dire che vi raffredda e produce subito dissonanza.

Poiché il suo ideale é la verità universale, trovate in lui un generalizzare, un personificare, ed un esagerare. Quando si ha davanti, non la verità com'é nella vita, nel complesso della sua esistenza, ma qualche cosa di dottrinario e di assoluto, non potete che esagerare, perché ogni assoluto é esagerazione. Quindi la tendenza a non dire mai le cose come si presentano all'intelligenza, ma per rapporti e metafore.
Prendete questa stessa lettera. Vuol dire una cosa già detta da Machiavelli. Ricordate con che magnificenza, con che precisione di contorni, con quanto senso della realtà Machiavelli presenta l'Italia ai Medici nella conclusione del suo celebre
Principe. Vedete ora come Mazzini rappresenta l'Italia, il che meglio delle mie osservazioni varrà a mostrarvi i suoi caratteri come scrittore:

"Sire, non avete mai cacciato uno sguardo, uno di quegli sguardi di aquila che rivelano un mondo, su questa Italia, bella del sorriso della natura, incoronata da tanti secoli di memorie sublimi, patria del genio, potente per mezzi infiniti.... E non avete mai detto: la è creata a grandi destini? Non avete contemplato mai quel popolo che la ricopre, splendido tuttavia, malgrado l'ombra che il servaggio stende sulla sua testa, grande per istinto di vita, per luce d'intelletto, per energia di passioni?...
Riunisci le membra sparse e pronuncia : E mia tusta e felice; tu sarai grande siccome è Dio creatore, e venti milioni di uomini esclameranno: Dio è nel cielo, e Carlo Alberto sulla terra."


Qui sentite quel non so di mistico e di religioso che, come ho osservato, egli mette in tutto. L'Italia é presentata come una donna circondata di memorie; il popolo italiano, personificato anche lui, diventa popolo tipo. Non trovate qui l'Italia di allora, ma caratteri poetici e generali, non l'individuo vivente, ma un'Italia alla maniera de Filicaia, come nella giovane età la personificò anche Leopardi. Leggete per esempio:
l'Italia patria del genio. Ma il genio non ha patria, e patria del genio potrebbe dirsi anche la Grecia. Sono frasi che escono dall'immaginazione senza quel limite e quella misura in cui é la verità dell'ideale.

MAZZINI COME SCRITTORE

Posta la base e l'ideale, di cui vi ho parlato, che cosa può essere lo stile di Mazzini? Egli vi presenta sempre proposizioni chiuse in se stesse, senza espansione: non fa che ripetere l'antica forma italiana, quando l'analisi non aveva dato ancora movimento alle immaginazioni. Non é la forma genetica di cui é maestro Manzoni, la quale non vi stanca mai, sì che alla fine del libro sentite dispiacere di non aver altro da leggere e vorreste tornare da capo. Non c'é sviluppo di idee, é un andare da una a un'altra cosa senza cammino intermedio. Quando leggete una serie di sonetti, dopo il primo avete bisogno di riposarvi prima di passare al secondo, che é tutt'altro: così un libro di Mazzini non lo divorate, non lo leggete continuamente dalla prima all'ultima pagina; avete bisogno de riposarvi sempre quando una proposizione finisce e ne viene un'altra. È sintesi questa; ma perché costituisca la grandezza dello scrittore le manca la profondità, perché Mazzini getta le idee come oracolo, non vi si profonda, non ne vede la radice e la sorgente come farebbe un grande pensatore o un grande filosofo. Quando la sua idea l'ha vestita nell'apparenza più splendida, é soddisfatto; né cerca sotto l'apparenza la vita nascosta da cui essa nasce. - È sintesi, manca però di estensione; perché, siccome aborre dal particolare, siccome l'arte per lui é quell'apparenza splendida, vede l'idea solo dall'aspetto che lo ha attirato. La sua immagine piace, ma rimane semplice immagine, senza la varietà de diversi aspetti, senza la profondità di quel solo. Non avendo l'abitudine di rendere l'idea nel modo immediato, diretto e preciso, con cui si presenta alla mente, si scalda e rende l'idea per via d'immagini che accoglie insieme intorbidandoglisi l'immaginazione. Quindi il suo stile é tutto immagini, ha qualche cosa di comune con quello di Victor Hugo e di Guerrazzi. Ma le immagini bastano a dare interesse all'idea? No, perché non cavate dall'intimo di essa, ma da un repertorio generale, preso specialmente dal Medioevo e dalla Bibbia, e diventato, a poco a poco, sua maniera di esprimersi.
Certe volte, nella concitazione, gli escono forme vivaci ed anche originali. Quando, per esempio, dice
« ciò che ad altri popoli é morte, all'Italia è sonno », sia vero o no, la forma è uscita da una fede viva nella durata d'Italia, é piena di senso e fa impressione. Ma di tali immagini ce n'é poche. Egli non ha l'osservazione diretta della natura, perché le immagini o vengono dall'intimo stesso d'una cosa che si presenta all'immaginazione, o dalla natura. Con questo si spiega perché ogni immagine di Dante ha qualcosa di suo. Mazzini ha scritto così sul tamburo, come gli veniva; ed il cerchio angusto delle sue immagini, lasciando stare il Medioevo e la Bibbia, è tutto nella musica e nella luce: quindi spesso vi parla di fede raggiante, di armonia, ecc.

Per mostrarvi questo suo modo di rappresentare le cose più semplici, e queste immagini che, a forza di essere ripetute, diventano comuni, e questa povertà di repertorio, vi citerò un suo brano, quantunque basti aprire un suo libro per accertarsene. Vuol dire una cosa assai semplice, cioè che i nostri padri ci hanno lasciato un'eredità di sacrificio e di martirio, e noi non abbiamo dimenticato di raccoglierla: ed ecco come si esprime "Per venti anni di eroismo e di sacrificio non vi è fiume di oblio. - I padri avevano suggellato la fede col sangue; ma, come il secondo Gracco, avevano cacciato una stilla di quel sangue verso il cielo esclamando: frutti il vendicatore. Quel sangue ardeva nelle vene de' figli, e la fede de' padri si affacciava raggiante, incoronata della palma del martirio, bella di speranze e di eterne promesse"
.
Ricordate Dante nel Conte Ugolino; - il metter Dante dirimpetto a Mazzini vi dà segno della mia grande venerazione per quest'ultimo - :
E se le mie parole esser den seme
Che frutti infamia al traditor ch'io rodo:


sono versi stupendi per precisione di immagini. La stessa idea vuole esprimere Mazzini, e lo fa con quel non so che di esagerato e di superlativo, che gli è proprio. Non uno, ma tutti i padri versano sangue, e di quel sangue prendono una stilla e la lanciano al cielo; - questo personificare i padri, e la voce che grida: frutti il vendicatore, e poi di nuovo il sangue che arde, e la fede (altra personificazione) che si affaccia
raggiante (Mazzini fa grande uso del raggiare) ecc., tutto ciò sarebbe troppo anche in una tragedia.
Che cos'é la lingua di Mazzini? Scriveva in inglese ed in francese così bene come in italiano, quindi la sua lingua ha un po' della speditezza logica del francese ed è penetrata di elementi stranieri, perché egli vagheggiava una lingua universale, ed é solenne come di chi insegna una verità oratoria, come di chi vuol persuadere. Una lingua siffatta può aprirsi la via in mezzo ad una gioventù intelligente, ma non nel popolo, ed i suoi scritti, come alle colonne d'Ercole, si arrestano nelle università, non vanno oltre, mentre la lingua della scuola manzoniana si fa larga via nel popolo.

MAZZINI E L'ITALIA

Concludendo: che cosa é Mazzini? Non il profeta, come molti l'hanno chiamato; è, come si chiamò egli stesso, il precursore, - uno dei tanti uomini di valore, i quali, chi in un modo, chi in un altro, chi con maggiore, chi con minore efficacia scrivono alcune linee dell'avvenire, credendo che la pagina sarà compiuta secondo quelle linee, sicuri che l'avvenire sarà secondo quelle previsioni. Invece l'avvenire é creato da leggi storiche e naturali.

Avete in lui un primo programma di unità e di libertà nazionale.

Quelle sue linee ora sono la storia, ma storia fatta per altre vie e per altri mezzi lo stesso avvenne al grande precursore della Bibbia; intravide la terra promessa, ma non ci entrò lui, Mosè, ci entrò Giosué.
Rimane un programma ulteriore, più o meno esattamente conforme a quel complesso d'idee; ed é: - l'unità politica é vana cosa senza la redenzione intellettuale e morale, vana cosa é aver formato l'Italia, come disse d'Azeglio, senza gli italiani. - Questo programma non fu dato a lui, non é dato alla generazione contemporanea di compierlo, rimane affidato alla nuova generazione.

E quando si farà qualche passo nella via della libertà e dell' eguaglianza, qualche progresso nella via dell'emancipazione religiosa, qualche cammino nella via dell'educazione nazionale, certo, voi, nella vostra giustizia, guarderete lì in fondo e vedrete l'uomo che aveva levato quella bandiera, lo ricorderete con rispetto e direte:
"ecco il precursore"
Questo é il vero carattere, questa è la vera importanza é la vera gloria di Mazzini.
------------------
Morto a Pisa il 10 marzo 1872, le sue spoglie furono portate da Pisa a Genova. Nel viaggio, nelle stazione ma anche su tutto il percorso, si assiepò il popolo commosso a veder passare il treno mortuario. E fu detto che più che un trasporto funebre il viaggio fu un trionfo.
Scese un campo Giosuè Carducci dedicandogli una iscrizione. Non vogliamo soffocarla con dei commenti, ma per i giovani che non conoscono la storia, in questa iscrizione c'è tutto condensato il Risorgimento Italiano nei suoi casi principali, e rammenteremo loro soltanto che il Mazzini ebbe questo grandissimo merito, di far chiara a tutta la nazione l'idea dell'unità e libertà italiana, non si stancò mai di predicarla e di adroparsi per attuarla, fondandosi sul popolo che nel 1848 egli appunto nelle forze popolari confidò per la resistenza contro gli Austriaci, e poi contro i Francesi e gli Spagnoli e i Borbonici, quando resse come tiumviro, nella memorabile difesa, le sorti della Repubblica ROmana; e che ebbe a soffrire di vedersi escluso dai grandi fatti del 1859-60 e dalla liberazione di Roma nel 1870, tenuto in sospetto, e ufficialmente (se non nella realtà) condannato ed esiliato, così che, quando si spense, abitava a Pisa costretto a nascondersi.

Ecco l'iscrizione che gli dedicò il Carducci:



Fine
Appena possibile continueremo - sempre di DE SANCTIS con
"LA VITA LETTERARIA NEL RISORGIMENTO"

Ci volgeremo al movimento POLITICO-LETTERARIO DI NAPOLI, con ROSSETTI, COLLETTA, PUOTI, SETTEMBRINI; torneremo al NORD e al CENTRO ITALIA con BERCHET, NICCOLINI, GUERRAZZI, oltre che analizzare quella "MALATTIA ROMANTICA" che ormai cammina verso il REALISMO e L'ARTE NUOVA.

NOI QUI ORA DOBBIAMO FARE UN PASSO INDIETRO E RITORNARE
ALL'ITALIA DEL 1821 > > >



TABELLONE TEMATICO - I RIASSUNTI - HOME PAGE