ANNO 1831

Seconda parte

27 APRILE - Le complicazioni viste da una parte (l' austriaca, la papale oltre i vari duchi tornati a dominare nei piccoli stati con questa mini-restaurazione dopo la ribellione) e le speranze di un cambiamento di una politica vista dall'altra parte della barricata (i reazionari), fanno entrare in fibrillazione le due fazioni, quando in questo 27 aprile viene a mancare re CARLO FELICE e sale sul trono il nipote CARLO ALBERTO.

I primi - gli stati reazionari - temevano le arcinote giovanili idee liberali del nuovo re ed erano in allarme, mentre gli altri - i liberali - da anni aspettavano questo momento, e gioivano per le stesse ragioni che ora invece inquietavano i reazionari. Erano euforici perchè convinti di avere con Carlo un alleato.

Carlo Alberto salito sul trono, spegne però sul nascere le rinate speranze dei liberali che avevano aspettato fiduciosamente gli ultimi dieci anni, convinti che di fronte allo zio, Carlo si era dovuto sottomettere per sopravvivere. Invece CARLO li delude, inizia subito a fare l'assolutista e il reazionario e stronca con la persecuzione e anche nel sangue ogni rivolta. Giuseppe Mazzini, con la salita al trono del principe, fiducioso anche lui, dall'esilio, gli rivolge ("volevo provocarlo" dirà poi per non ammetere di aver sbagliato - ma forse lo fa per conoscere immediatamente le intenzioni del nuovo sovrano) un accorato appello - una lettera aperta - che lo invita a mettersi a capo del movimento di riscatto nazionale per realizzare l'unione, l'indipendenza e la libertà d'Italia.

La "risposta" con la condotta reazionaria del sovrano non lasciò dubbi. Fu tale, da spingere Mazzini a formare una organizzazione cospirativa e patriottica del tutto diverso da quella carbonara, pervasa da oscuri riti, simbologie ascetiche di tipi religioso e con una apparato segreto che assomigliava più ad una setta religiosa che non ad una forza reazionaria, che ha invece bisogno di collegamenti, di contatti aperti e soprattutto ha bisogno di agire, sfidando la feroce repressione, con i pericoli già messi in conto. La rivoluzione - secondo Mazzini - bisognava farla nelle vie e nelle piazze delle città e non con il sistema delle oscure congiure di palazzo e senza il popolo protagonista. La coscienza nazionale non doveva essere una prerogativa degli appartenenti ad una casta, ma patrimonio di tutto il popolo della nascente Nazione Italia, e che potenzialmente già lo possedeva questo patrimonio; ed era la lingua e la tradizione culturale della penisola dentro i confini naturali, usi e costumi che non erano nati in un giorno, ma avevano alle spalle venti secoli. Bastava riannodare questi fili per riuscire nell'impresa. Francia, Germania, Inghilterra, pur giovanissime patrie, erano ritornate alle loro origini, per ritrovare l'orgoglio della propria etnia culturale e formare così una coscienza nazionale nel proprio territorio.

Le guerre imposte da Napoleone erano diventate infatti guerre nazionali. Napoleone nel bene e nel male aveva risvegliato lo spirito guerriero; la "spada" l'aveva per primo lui sfoderata e l'aveva fatta sfoderare ai "mini e micro popoli" europei, anche se poi con la stessa "spada" divenuti grandi, colpirono poi lui. Paradossalmente i suoi nemici quando con la sua "arma" sconfissero lo stesso Napoleone, lui colse la sua più grande vittoria. Se ne resoro conto molto più tardi.

Se prima Napoleone sembrò a tutti un semplice ambizioso conquistatore di territori, dopo, lo resero immortale. L' anacronismo dei piccoli regni e ducati fu poi chiaro a tutti.

Non furono vittorie di armi le sue, né conquiste territoriali, ma le vittoria dello spirito dei grandi popoli fino allora ridotti in frantumi su piccole "terre", ridotti in soggezione da mille anni di feudalesimo; chiamata prima di Napoleone questa gente - non dimentichiamolo - gleba, priva di diritti politici e civili.

Non aveva certo insegnato Napoleone agli uomini a diventare servi e guerrieri di un piccolo "cortile", ma li aveva chiamati a una nuova coscienza, a una nuova dignità, dignità di popoli e di nazioni libere. La sua frase a Sant'Elena che abbiamo già accennato in altre circostanze la menzioniamo anche qui: "confisco a mio vantaggio le due forze in ascesa del XIX secolo; il liberalismo e il nazionalismo".
Siamo alle soglie del XXI secolo, e Napoleone resta sempre in primo piano nella Storia Europea e nella Storia d'Italia.

E non certo per aver conquistato questo o quel territorio. Dimenticheremmo che Napoleone ha fatto riscoprire l'anima dentro questi territori. E paradossalmente nelle nazioni che lo combattevano; a farla scoprire e a consolidare quest'anima - fu proprio Napoleone. Ognuna ne uscì più forte! Compresa la dormiente Italia.

Ritorniamo proprio all'Italia, ai fuochi che come abbiamo già visto in questi primi mesi dell'anno stanno nuovamente divampando sotto le ceneri napoleoniche, e nel bene e nel male a infiammare l'anima dei protagonisti. I carboni ancora ardenti, stanno incendiando mai come prima d'ora l'Italia, con i cittadini disposti ad accettare questa volta tutti i rischi. I sudditi dimostrano di avere una più ampia visione degli stessi sovrani.

Infatti, lo sconcertante Carlo Alberto, fra due anni, nel '33 ordinerà i primi arresti fra i militari accusati di cospirazione repubblicana organizzata dalla Giovine Italia, l'associazione costituita da Mazzini il 14 agosto proprio quest'anno 1831, in una riunione segreta a Marsiglia, poco dopo la inutile "lettera supplica" aperta accennata sopra. Carlo Alberto non afferra l'importanza storica della proposta mazziniana; prosegue ciecamente con le ipocrisie, l'ambiguità la presunzione e il sinistro assolutismo, ancora più inflessibile di quello dello zio. Farà perdere all'Italia l'occasione di unirsi e correre insieme alle altre nazioni, che stanno decollando in Europa, in questo periodo tutte ai nastri di partenza della nuova era industriale e liberale. 40 anni di ritardo politico, culturale ed economico che l'italia non recupererà più.
Del resto Metternich - uno che se ne intendeva di uomini dopiogiochisti, ed era lui stesso un maestro di quest'arte -scriveva: "Carlo Alberto é tanto ambizioso quanto vacillante; propende verso il dispotismo e mette in ridicolo i liberali, pretendendo da loro solo gli incensamenti che gli tributano gli intellettuali. Altrimenti li manda sul patibolo con mille pretesti". (A. Bross - Metternich, rapports, vol. CLXIII)

Nel maggio del '33 Carlo Alberto pubblicherà un regio editto contro gli scritti della Giovane Italia mazziniana, e la "sua" Gazzetta Piemontese pubblica una fantomatica congiura contro il sovrano, che provoca un'ondata di arresti (ma alcuni pensarono a un'invenzione, un pretesto per eliminare così ogni opposizione, colpendo indiscriminatamente nel mucchio ). Seguirono processi e condanne a morte per tutti coloro che diffondevano, o solo leggevano, gli scritti della Giovine Italia. Fu accusato perfino Vincenzo Gioberti cappellano di corte. Molti alti ufficiali a Torino, Genova, Alessandria, Chambery, furono giustiziati non come cospiratori, ma solo per essere indirettamente a conoscenza dei fatti e non averli denunciati. Gli arresti proseguirono e furono molti anche in altre parti d'Italia dopo il sequestro del baule di Mazzini a Genova - con lui proveniente da Marsiglia diretto a Ginevra - con la scoperta all'interno di scritti vari e alcuni nomi, trasmessi subito ad altre polizie italiane e austriache.

Il 9 MAGGIO, dopo un breve processo é condannato a morte CIRO MENOTTI insieme con VINCENZO BORELLI il povero notaio che aveva semplicemente rogato l'atto di un nuovo governo e la relativa decadenza del duca di Modena, Francesco IV. Saranno impiccati in un luogo non pubblico, per evitare disordini popolari, il 26 maggio.

10 LUGLIO - Si ritorna al Medioevo. Con il Regno di Sardegna (Carlo Alberto di Savoia), le tre potenze europee, la Russia, la Prussia e l'Austria, con un protocollo s'impegnano col ferro e col fuoco a conservare il potere temporale del papa. Si dissociano le altre due potenze: Francia e Inghilterra.
I più zelanti sono gli austriaci e si atteggiano a veri e propri paladini del papa: promettono che stroncheranno, in tutte le città, con ogni mezzo qualsiasi moto di ribellione. Il grande esercito stanziato a Verona é sempre pronto a intervenire, a varcare il Ticino a ovest, il Po a sud.

1 SETTEMBRE - Rivolta anche in Sicilia, nella città di Palermo. A guidarla un certo DI MARCO, un doganiere. Non ha però la sollevazione di molta gente, e il suo progetto naufraga. Arrestato con altri undici che hanno partecipato ai disordini, finiranno tutti fucilati il 26 ottobre.

3 OTTOBRE - Rientrando a Modena, dopo la liberazione austriaca, risalendo sul trono, Francesco IV, inizia una grande espulsione dalle cariche pubbliche e bolla come "infedeli del regno" i sudditi che hanno partecipato ai moti. Poi procede a una severa rimozione nei quadri militari. Ai primi toglie benefici, i secondi li affida ai processi della severa giustizia.
Più generosa Maria Luisa a Parma: libera tutti i rivoltosi arrestati, anche quelli finiti sotto processo, e non accetta più le delazioni che stavano seminando il reciproco odio fra i cittadini.

22 DICEMBRE - L'anno termina con l'inquietante presenza in Italia di un potente esercito austriaco fatto stanziare a Verona. Conta oltre 100.000 uomini ed é dotato di un'impressionante cavalleria.

A comandare quest'esercito di pronto impiego, c'è un generale austriaco, non proprio giovane - ha 65 anni - ma sarà un protagonista in Italia fino a quando ne avrà 92 di anni, fino al 1858: é il Generale Conte di Radetz, meglio conosciuto come il generale RADETZKY, comandante supremo dell'esercito austriaco in Italia, sinistro protagonista della Cinque Giornate di Milano nell'insurrezione del 1848, poi a Goito, Custoza, Novara, contro CARLO ALBERTO di SAVOIA, che per il momento è ora alleato degli Austriaci e del Papa, ma poi preferirà (puntando un'altra volta su un "cavallo" perdente) "schierarsi dall'altra parte e farsi (tradendo i parenti) sostenitore dei liberali, quando vedrà quasi a portata di mano la Lombardia. Proprio lui che quest'anno ha mandato a morte anche i semplici lettori degli scritti della Giovine Italia.
La sua ossessione era l'ambizione di avere un regno grande come quello dei cugini francesi, austriaci, inglesi: Un grande regno sempre bramato da lui e dai suoi avi per oltre ottocento anni, e sempre senza risultato pur alleandosi disinvoltamente e con tanto cinismo, alternativamente (un numero considerevole di volte) ora con uno, ora con l'altro paese, e molto spesso firmando patti d'alleanza e di amicizia con uno mentre in gran segreto ne firmava un altro con il nemico (lo farà anche l'ultimo della dinastia, dal 1914 al 1943).

Una grande truffa per gli italiani anche il suo Statuto Albertino. La "Carta costituzionale concessa dall'alto per grazia del sovrano" e non come espressione della sovranità popolare; del popolo che aveva combattuto proprio per ottenere questo potere e non per regalare un regno ad un sovrano inetto e ambiguo e dal comportamento due volte "traditore".

Nel '34 CARLO farà condannare a morte Garibaldi, Ramorino, Volentieri e Borel; il primo scampò alla fucilazione sfuggendo a un tranello tesogli a Genova. Poi Carlo Alberto, Garibaldi lo aggregò al suo carro (ma controllandolo che non andasse oltre) per sfruttarne vergognosamente il carisma, che non era certo da confrontare con quello dei suoi inetti generali che lui aveva messo in campo contro gli austriaci quando si era deciso a combatterli. Lui aveva un solo scopo, puntare su Milano e prendersi la Lombardia. I problemi dell'Italia non gli interessavano proprio per nulla.

Lo STATUTO di CARLO ALBERTO si componeva di 81 articoli, 22 dei quali erano dedicati a delineare i suoi poteri. Insomma era tutto fatto in casa. Uno Statuto che attraversò mille bufere, ma rimase fino al 1948! Cento anni esatti di sciagure! Dovute al continuo voltafaccia dei Savoia. Fino all'8 settembre del 1943, fino all'ultimo istante, con il tradimento, la fuga, la dissociazione dai fatti tragici di un ventennio vissuto in una vergognosa connivenza (e qui non viene a soccorso la verità dei fatti dei servili storici, ma ci sono le testimonianze dei giornali dell'epoca, grondanti di entusiastici panegirici sabaudi.

Con quello Statuto (fondato sul censo) si formò poi l'Unità d'Italia, ma al primo Parlamento (lo chiamarono liberale !) con un trasformismo spettacolare si riciclarono 85 principi, marchesi e duchi. I nobili "albertini" uscirono colpevoli dalla porta rivoluzionaria e rientrarono tutti innocenti subito dopo dalla finestra feudale lasciata aperta dai Savoia.

Fu chiamato, quello che Carlo Alberto emanò nel '37: Nuovo Codice di Leggi Civili. Di "nuovo" non c'era quasi nulla, la legge era feudale, e di civile c'era solo l'abuso questa volta legalizzato. Nel '38 emanò anche la Carta Reale, per indennizzare con i soldi dello Stato (dei cittadini) i diritti feudali aboliti. Fu una truffa, anche doppia, perchè l'indenizzo era superiore in molti casi al valore degli antichi diritti feudali, dei terreni incolti, selvaggi, deserti, acquitrinosi, o contrade con case di fango pagate come palazzi, Un favore ai nobili non da poco, fra l'altro fatto con obbligazioni garantite dallo Stato o denaro contante, ricavato da imposte ghermite a un popolo nella più nera miseria. Il Piemonte di Casa Savoia era in questo periodo una delle contrade agricole italiane più arretrate e meno "illuminate" d'Europa. (alcune sacche, nel basso Piemonte hanno - ancora oggi nel 2000 - il retaggio di questi anni infausti del regno oscurantista sabaudo).

Pesò fortemente - fin da questo primo anno di regno - la condotta di Carlo Alberto, prima con un'annunciata avversione e poi con una dichiarata guerra ai primi moti di libertà, ma soprattutto pesò la sua inettitudine e l'ipocrisia nei comportamenti successivi. 
Sconvolgenti furono quelli del '48-49! Per timore di perdere il trono, mostrò una palese ostilità nei confronti dei volontari delle forze repubblicane, e boicottò con un ritardo sciagurato perfino l'intervento del suo esercito piemontese contro l'austriaco Radetzcky, ormai sconfitto, ma salvato e vincente con il provvidenziale inetto suo comportamento. Fu in ogni caso sempre chiara l'intenzione di Carlo: ridurre la Guerra Nazionale ad una conquista puramente dinastica, utilizzando i sudditi come servi e i soldati come carne da macello. Strumentalizzò così bene la ignorante opinione pubblica, che essa convinta di conquistare la sua libertà, si scannò al grido "viva il Re" per regalare un regno e mettere sul trono un "piccolo" uomo con il codino, la cipria e il cappello di "monarca" dei tempi più bui e più tirannici, mentre altri paesi progredivano a vista d'occhio.

Ma il popolo si culla sempre nell'ignoranza, anche quando è libero di evolversi e trasformarsi. Ed é forse anche giusto che sia poi punito nel modo più sconsiderato. Cioè utilizzato come un sonnambulo a destra e a sinistra, spinto avanti e poi fatto tornare indietro, comunque sempre strumentalizzato e sfruttato da un ambizioso despota per i suoi fini. Se lo merita! "Il soccombente, nella dura selezione umana é lui! nell'evoluzione sempre lui! l'uomo ignorante!" Nietzsche.

Soccombente, fu poi lo stesso Carlo Alberto. Il grido di traditore risuonò anche nella famosa notte del 23 marzo del 1849. E fu proprio quel grido ad ucciderlo dopo pochi giorni, il 28 luglio. Non si era evoluto!

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*** IL 29-AGOSTO- FARADAY (autodidatta (legge i libri che rilega) quindi non ha nessuna base storica nè scolastica; malgrado ciò diverrà un grande fisico. Divertendosi con alcuni esperimenti scopre l' INDUZIONE ELETTROMAGNETICA.
Fa passare la corrente da una spira all'altra producendo un flusso variabile di un campo magnetico. Consiste nel produrre una forza elettromotrice indotta in un circuito detto indotto. Una esperienza chiave e risolutiva per il futuro del MOTORE ELETTRICO che apparirà fra poco.

*** Il 17 OTTOBRE - FARADAY fa un'altra scoperta. Il tipo di induzione magnetica. Risultato: Si genera corrente elettrica dal movimento di un magnete; e a sua volta utilizzando il magnete genera corrente elettrica.
Siamo quasi alla grande scoperta che rivoluzionerà l'industria e il mondo della produzione.
Sta per essere costruito il primo MOTORE ELETTRICO.
Occorre ancora però l'invenzione di un oscuro PACINOTTI: la dinamo e l'alternatore con l'indotto ad anello; "L'anello di Pacinotti" (1865) , che non brevetta. Si impossessa dell'invenzione GRAMME, che nel 1869 ci pensa lui a brevettarlo, risulta così lui l'inventore della Dinamo. Anche se esiste la pubblicazione di Pacinotti su "Nuovo Cimento" del 13 maggio 1815. L''anello ancora oggi porta il suo nome, a dispetto del bramoso "inventore" Gramme.

*** A Padova costruito dall'architetto GIUSEPPE JAPPELLI, si apre un celebre caffè: il PEDROCCHI. Frequentato da artisti e letterati, la sua fama arrivò poi nel 1845, quando dai suoi celebri tavolini di marmo, alcuni frequentatori diedero vita a un "settimanale" artistico letterario con il titolo omonimo Il Caffè Pedrocchi.


FINE ANNO 1831



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