BIOGRAFIA
(n. 1765 - m. 1831) - Re di Sardegna 1821-1831

Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice, che allora era a Modena, ospite del duca Francesco I suo cognato, e, come vedemmo, affidò la reggenza al principe Carlo Alberto di Carignano.
Questi, giovane inquieto che aveva sognato per ambizione e per naturale inclinazione dello spirito un rinnovamento liberale in Piemonte, non aveva nè volontà nè qualità pari all'arditezza delle aspirazioni, ed era, in realtà, incapace di sottrarsi agl'influssi delle tradizioni piuttosto reazionarie e religiose della sua famiglia. Si era però compromesso coi liberali, e, come vedremo più avanti, si lasciò persuadere a concedere una blanda costituzione (in tutto analoga a quella che la rivoluzione aveva ottenuta in Spagna suscitando in tutta la penisola un incredibile entusiasmo).

Ma mentre in Lombardia già si sperava di vedere il giovane principe Sabaudo dichiarare la guerra all'Austria e varcare risolutamente il Ticino, iniziando la santa impresa della liberazione dell' Italia, Carlo Felice, da Modena, chiesto ed ottenuto l'aiuto austriaco per « ristabilire l'ordine » in Piemonte, revocò la costituzione ed ordinò a Carlo Alberto di costituirsi, quasi prigioniero, alle truppe fedeli alla monarchia stanziate in Novara. Questo atto del nuovo re di Sardegna segnò la fine della rivoluzione piemontese del 1821.

Carlo Felice, terzogenito di Vittorio Amedeo III, era nato il 6 aprile 1765 e aveva avuto il titolo di duca del Genevese. Di carattere freddo, amante della solitudine, dedito ad abitudini quasi claustrali, in gioventù aveva aspirato a ritirarsi dal mondo. Avendo la sua Casa perduta la Savoia, era stato costretto a mutare il suo titolo in quello di marchese di Susa. Nel 1798 aveva seguìto in Sardegna suo fratello Carlo Emanuele IV. Poi, quando questi era ritornato sul continente, in seguito alle vittorie austro-russe, era rimasto, col titolo di vicerè, nell'isola, che aveva governata molto saggiamente, migliorandovi la giustizia, promuovendovi la buona amministrazione, fondandovi un Museo di storia naturale ed un altro di archeologia, dando prova, durante un contagio, di animo benefico e noncurante del pericolo, e così meritandosi l'ammirazione e l' affetto del popoIo sardo.

Nel mese di ottobre del 1821 Carlo Felice entrò sollennemente in Torino, già pacificati dalle armi straniere e da una reazione feroce. Fu accolto da un silenzio glaciale.
In realtà, egli era, in un certo senso, estraneo a quanto era avvenuto. Personalmente, non aveva nè ambizione, nè bramosia di comando. Cosa strana per un Savoia, non apparteneva neppure all'esercito. Non si era aspettata nè aveva desiderata la corona, ed è molto probabile che se Vittorio Emanuele I fosse sceso tranquillamente nella tomba, egli avrebbe lasciato che il principe di Carignano raccogliesse la non ambita successione.

Ma gli eventi lo avevano « condannato al trono », ed egli subiva la corona, piuttosto che portarla. Amava il teatro, specialmente la commedia e il ballo, ed era un appassionato di belle arti e di antichità. La politica lo annoiava.
"Io non faccio il re per essere seccato", rispondeva ai ministri quando gli presentavano per la firma troppi decreti.

Il progresso, le novità, lo spaventavano. Quando, scoppiata la rivoluzione, egli si era trovato re da un giorno all'altro, senz' aver mai desiderato di diventarlo, non aveva voluto considerarsi successore di suo fratello prima che questi avesse confermata da Nizza la propria abdicazione, che, firmata in Torino durante i moti rivoluzionari, non doveva, secondo lui, esser stata spontanea. Poi, subendo l'influenza della moglie e della reazionaria Corte di Modena, si era adattato al suo destino e aveva iniziato il suo regno commettendo il grave errore politico dei provvedimenti reazionari spietati, eccessivi.

Il regno di questo sovrano singolare, durò dieci anni, nei quali, sebbene egli non risiedesse mai a Torino (preferiva vivere a Genova o nelle sue ville di Covone e di Agliè) ed amasse occuparsi di tutto fuorchè degli affari di Stato, i suoi ministri promossero alcune riforme economiche, giudiziarie e militari, opportune e benefiche, ed arricchirono il Regno d'importanti opere pubbliche: ponti sul Ticino e sulla Dora, strade in Piemonte ed in Sardegna, il teatro di Genova, alcuni magnifici palazzi a Torino.
Ma, nota giustamente uno storico della dinastia, pochi in realtà e di scarsa importanza furono i fatti che del governo di questo principe si possono registrare. Egli aveva ereditato dal fratello un saggio progetto di riforme presentato da Prospero Balbo, ma non ne seppe praticare che una piccolissima parte e la meno importante. I più intimi amici del re, lo consigliavano a far qualcosa che desse soddisfazione ai sudditi. Gli stessi capi delle forze austriache ancora stanziati in Piemonte dopo i moti del 1821, incoraggiavano il governo ad agire in questo senso. E qualche cosa si fece, ma assai incompiutamente. Non era più l'intendimento di uno statista, come l'idea del conte Balbo, che dirigesse con larghe vedute e provvedesse a una saggia riforma: era invece l'opera di curiali che rattoppavano quanto era stato sfondato nella vecchia legislazione, tenendo dietro alle leggi francesi, ma senza nemmeno osare prendere di quelle il complesso. Era insomma, ripetiamolo, poca cosa e non buona ».

Nel 1824, quando Carlo Alberto ritornò in patria dopo un periodo di esilio trascorso in Toscana e dopo aver combattuti apertamente i costituzionali spagnoli, rinnegando così la causa liberale, Carlo Felice si riconciliò con lui, e, nel suo testamento del 5 marzo dell'anno successivo, lo istituì erede del trono.
Ad onore di Carlo Felice, a cui si potrebbero imputare non pochi torti, devono essere ricordati il rifiuto di entrare a far parte di una lega italiana che avrebbe dovuto essere presieduta dall'imperatore d'Austria (secondo una proposta fattagli a Genova da questo stesso imperatore, nel 1825) ed il bombardamento di Tripoli, eseguito in quell'anno dalla marina sarda, quando il bey ebbe la velleità di sottrarsi alle condizioni stabilite in certi trattati conclusi con Vittorio Emanuele I.

Fu moglie di questo re Maria Cristina, figlia di Ferdinando re di Napoli, nata il 17 gennaio 1779, sposata il 6 aprile 1807. Maria Cristina non diede al marito alcuna prole, cosicché il ramo primogenito della Casa di Savoia si estinse. Ella morì in Savona il 12 marzo 1849.
Nell'aprile del 1831, Carlo Felice si ammalò gravemente, e, affidata alla moglie la reggenza dello Stato, si spense il 27 di quel mese, in Torino. La sua salma fu, secondo la sua volontà, portata ad Altacomba, dove egli stesso aveva fatto restaurare splendidamente l' antichissima chiesa sabauda. Frattanto, la rivoluzione scoppiata a Parigi offuscava nuovamente l'orizzonte europeo.

Termineremo questi rapidi cenni con un giudizio dell'imparziale Predari : «Di questo principe di tempra dura, inamabile, inflessibile nei suoi propositi, di animo molto religioso ma forse troppo degenerante nella bigotteria (sì che fu, più che non volessero la ragion civile e la convenienza politica, partitante della sétta divenuta famosa sotto il nome di « la Cattolica », la quale di tanto male fu causa al suo successore ed al paese) non si cita atto alcuno che non fosse leale, anche nei più deplorabili traviamenti del suo dispotismo, che fu illimitato... Indifferente, però, a qualunque sentimento di gloria, a quello stesso della gloria militare, che fu un retaggio perenne di tutta la Dinastia, egli abbandonò la vita senza lasciare né eredi, né eredità d'affetti, né una pagina alla storia che raccomandasse il suo nome ai posteri ».