E.A.POE


Le vicende relative al caso del signor Valdemar


 

NATURALMENTE non pretendero' di ritenere un fatto straordinario che il
sorprendente caso del signor Valdemar abbia provocato tante discussioni:
sarebbe un miracolo se cio' non fosse stato, date soprattutto le
circostanze. In seguito al desiderio di tutte le parti interessate di
tenere nascosta la vicenda al pubblico, per il momento almeno, o fino a che
non avessimo avuto occasioni per una ricerca piu' approfondita, in seguito
appunto ai nostri sforzi per ottenere questo, si e' sparsa tra la gente una
versione del fatto arbitraria ed esagerata, la quale e' divenuta fonte di
molte ipotesi sgradevoli ed errate e logicamente di grande incredulita'.
 
E' ora necessario che io dia i FATTI cosi' come li conosco. Eccoli in
succinto.
 
La mia attenzione, in questi ultimi tre anni, e' stata rispettivamente
attratta dal mesmerismo (o magnetismo animale, dal nome del medico
tedesco Franz Mesmer (1734-1815), ideatore di tale teoria. N.d.r), e circa
nove mesi or sono mi venne in mente cosi' all'improvviso che nella serie
delle esperienze da me sino a quel momento compiute vi era stata
un'omissione gravissima e assolutamente ingiustificabile, che cioe'
nessuno era ancora mai stato mesmerizzato in ARTICULO MORTIS. Era da
vedere per prima cosa se in tale condizione esistesse nel paziente una
suscettibilita' qualsiasi all'influenza magnetica; secondariamente, nel
caso che tale suscettibilita' esistesse, se questa fosse diminuita o
accresciuta dalla condizione predetta. In terzo luogo sino a qual punto,
e per quanto tempo, potessero essere fermate mediante questo processo le
pretese inesorabili della Morte. Vi erano ancora altri punti che
avrebbero dovuto essere accertati, ma i suaccennati eccitavano
particolarmente la mia curiosita', l'ultimo soprattutto, per la portata
vastissima delle sue eventuali conseguenze.
 
Nel guardarmi attorno in cerca di un soggetto grazie al quale io potessi
saggiare queste mie ipotesi, venni indotto a pensare al mio amico
Ernest Valdemar, il notissimo compilatore della "Bibliotheca Forensica" e
autore (sotto lo pseudonimo di Issachar Marx) delle versioni in polacco
del "Wallenstein" e del "Gargantua". Il signor Valdemar, il quale aveva
dimorato per lo piu' nel quartiere di Harlem, nello Stato di New York,
sin dal 1839 e' (o era) caratterizzato principalmente da un'estrema
magrezza della persona (i suoi arti inferiori rammentavano moltissimo
quelli di John Randolph), nonche', pure, dall'immacolato biancore dei
suoi baffi stranamente in contrasto con la nerezza dei capelli, i quali,
di conseguenza, venivano generalmente scambiati per una parrucca. Era di
temperamento spiccatamente nervoso, il che lo rendeva un soggetto ottimo
per le esperienze mesmeriche. Ero riuscito un paio di volte a farlo
addormentare quasi senza difficolta', ma ero stato deluso in altri
risultati che la sua particolare costituzione mi aveva naturalmente
indotto a prevedere. La sua volonta' non si era mai trovata
positivamente o totalmente sotto il mio controllo, e in quanto alla
chiaroveggenza, non ero mai riuscito a compiere con lui nulla di
concreto. Avevo sempre attribuito il mio insuccesso su questi punti alle
sue alterate condizioni di salute. Gia' alcuni mesi prima ch'io avessi
occasione di fare la sua conoscenza i medici lo avevano dichiarato
irrevocabilmente tubercolotico. Del resto era sua abitudine parlare con
calma della propria imminente fine, come di cosa che non poteva essere
ne' evitata ne' rimpianta.
 
Allorche' incominciai a riflettere su quanto ho accenato prima, fu
logicamente naturalissimo che io pensassi al signor Valdemar. Conoscevo
troppo bene la salda mente filosofica dell'uomo per temere da LUI
scrupoli di qualsiasi genere, ne' d'altronde egli aveva parenti in
America che potessero intromettersi. Gli parlai francamente del mio
progetto, e con mia sorpresa vidi di avere fortemente suscitato il suo
interesse. Dico con sorpresa perche', sebbene egli mi avesse sempre
concesso di servirmi liberamente della sua persona per le mie esperienze,
non aveva mai dimostrato prima d'allora una speciale simpatia per quel che
io facevo. Il male che lo minava era di quelli che permettono un calcolo
esatto intorno al tempo della conclusione letale, e infine ci accordammo
ventiquattr'ore prima del momento che i suoi medici avrebbero decretato
essere quello del trapasso.
 
Sono trascorsi ormai piu' di sette mesi da quando io ho ricevuto da parte
del signor Valdemar in persona il seguente biglietto:
 
"Caro P...
"Puo' anche venire ADESSO. D... e F... sono concordi nel dichiarare che
io non potro' durare oltre la mezzanotte di domani, e ritengo che
abbiano colto pressoche' esattamente nel segno.
 
Valdemar".
 
Ricevetti questo biglietto circa mezz'ora dopo che era stato scritto, e
in capo ad altri quindici minuti mi trovavo nella camera del morente. Non
lo vedevo da dieci giorni, e rimasi esterrefatto dallo spaventoso
mutamento avvenuto in lui durante quel breve intervallo. Il suo volto
era soffuso di una tinta plumbea; gli occhi avevano perduto ogni luce, e
la sua emaciatezza era tale che la pelle gli si era rotta sugli zigomi.
Soffriva di un'espettorazione abbondantissima: il polso era appena
percettibile. Egli aveva conservato pero' in modo sorprendente non solo
le sue piene facolta' mentali, ma anche una certa somma di energie
fisiche. Si esprimeva udibilmente, prendeva senza aiuto alcuni
medicamenti palliativi, e, allorche' io entrai nella sua stanza, era
intento a segnare a matita alcuni appunti su un taccuino. Era seduto sul
letto appoggiato contro una montagna di cuscini. Lo vegliavano i dottori
D... e F...
 
Dopo aver stretto la mano di Valdemar presi in disparte questi signori e
ottenni da loro una relazione minuta circa le condizioni del paziente.
Il polmone sinistro era da diciotto mesi in uno stato semiosseo o
cartilaginoso, ed era divenuto naturalmente del tutto inservibile agli
scopi della vita. Anche il polmone destro, nella regione superiore, si
era parzialmente se non totalmente ossificato, mentre la regione
inferiore non era piu' che una massa di tubercoli purulenti confondentisi
gli uni negli altri. Esistevano varie perforazioni assai vaste, e in un
punto era avvenuta un'aderenza permanente alle costole. Questi sintomi
rivelati dal lobo destro erano di data relativamente recente. Il
processo di ossificazione era progradito con rapidita' assai insolita;
ancora un mese prima non ne era stato notato il minimo sintomo, e
l'aderenza era stata scoperta soltanto tre giorni innanzi.
Indipendentemente dal processo di consumazione, il paziente era sospetto
di aneurisma dell'aorta, ma in questa regione i sistemi ossei rendevano
impossibile una diagnosi esatta. Entrambi i medici erano d'opinione che
il signor Valdemar sarebbe morto verso la mezzanotte dell'indomani
(domenica). Erano in quel momento le sette del sabato sera.
 
Nell'allontanarsi dal capezzale dell'infermo per discorrere con me, i
dotti D... e F... gli avevano rivolto un saluto finale. Non era nelle
loro intenzioni di ritornare, ma su mia richiesta promisero che
sarebbero venuti a dare un'occhiata al paziente, verso le dieci della
sera successiva.
 
Quando se ne furono andati discussi apertamente col signor Valdemar
intorno all'argomento della sua fine imminente, nonche', e con maggiori
particolari, intorno all'esperienza che mi proponevo di tentare. Egli si
dichiaro' tuttora dispostissimo e anzi impaziente di parteciparvi, e
insistette perche' iniziassi subito. Ero assistito da un infermiere e da
una infermiera, ma non mi sentivo d'imbarcarmi in un compito di quella
fatta con testimoni cosi' poco sicuri, nel caso avvenisse una catastrofe
improvvisa. Rimandai percio' il tentativo alle otto circa della sera
seguente, allorche' la venuta di uno studente di medicina che conoscevo
abbastanza bene (il signor Teodoro L.....l) mi libero' da ogni ulteriore
scrupolo e incertezza. Era stato in origine mio desiderio di attendere
il ritorno dei medici, ma fui indotto a procedere, prima di tutto dalle
incalzanti suppliche del signor Valdemar, e in secondo luogo dall'intimo
convincimento che non avevo un minuto da predere, poiche' lo vedevo
declinare rapidamente e a vista d'occhio.
 
L.....l ebbe la bonta' di aderire al mio desiderio che egli stendesse
cioe' nota di tutto quanto accadeva, ed e' proprio dai suoi appunti che
ho raccolto riassumendoli o copiandoli PAROLA PER PAROLA quanto sto ora
per narrare.
 
Mancavano circa cinque minuti alle otto quando, prendendo la mano del
paziente, lo pregai di dichiarare, quanto piu' chiaramente gli era
possibile, al signor L....l, se egli (Valdemar) era realmente
consenziente che io iniziassi l'esperimento di mesmerizzazione della sua
persona nelle sue attuali condizioni.
 
Mi rispose debolmente, e tuttavia con voce chiaramente udibile: - Si,
desidero essere mesmerizzato; - aggiungendo subito dopo: - Temo che lei
abbia rimandato l'esperienza gia' di troppo.
 
Mentre diceva questo incominciai a eseguire i passaggi che altre volte
avevo trovato particolarmente efficaci in un soggetto quale il suo. Egli
rimase evidentemente influenzato dal primo movimento laterale della mia
mano attraverso la sua fronte, ma benche' esercitassi tutti i miei
poteri non ottenni alcun ulteriore effetto notevole se non alcuni minuti
dopo le dieci, quando cioe' sopraggiunsero, mantenendo fede al loro
impegno, i dottori D... e F... Spiegai loro in poche parole quel che
avevo in animo, ed essi non mi fecero alcuna obiezione, affermando anzi
che il paziente era gia' entrato in stato agonico. Procedetti allora
senza esitazione, sostituendo pero' ai passaggi laterali quelli con moto
verso il basso, e affissando il mio sguardo unicamente entro l'occhio
destro del paziente.
 
Il polso era ormai impercettibile e la respirazione rantolante, con
pause di mezzo minuto.
 
Questo stato rimase pressoche' immutato durante un quarto d'ora. Al
termine di questo periodo pero' dal petto del morente sfuggi' un sospiro
naturale benche' profondissimo, e l'affanno stertoroso cesso'; vale a
dire, il rantolo agonico non era piu' udibile; le pause non diminuirono.
Le estremita' del paziente erano fredde come il ghiaccio.
 
Cinque minuti prima delle undici percepii i primi segni inequivocabili
dell'influenza mesmerica. Il roteare vitreo dell'occhio si muto' in
quell'espressione di inquieta disamina INTERIORE che non si avverte mai
se non nei casi di sonnambulismo, e sulla quale e' del tutto impossibile
ingannarsi. Con pochi rapidi passaggi laterali feci tremare le labbra
come in un sonno incipiente, e con pochi altri le chiusi del tutto. Non
mi sentivo soddisfatto, tuttavia, e continuai percio' energicamente
nelle mie manipolazioni, esercitando al massimo la volonta', finche' non
ebbi irrigidito totalmente le membra del dormiente, non prima pero' di
averle fissate in una posizione apparentemente comoda. Le gambe erano
dostese in tutta la loro lunghezza, e cosi' anche le braccia, o
pressapoco, e queste posavano sul letto a una giusta distanza dai lombi.
Il capo era assai leggermente sollevato.
 
Quando ebbi terminato tutto cio' era mezzanotte in pieno, e io chiesi ai
signori presenti di esaminare le condizioni di Valdemar. Dopo brevi
esperimenti costoro dichiararono di trovarlo in uno stato insolitamente
perfetto di TRANCE mesmerica. La curiosita' di entrambi i medici era
grandemente eccitata. Il dottor D... decise subito di restare presso il
paziente tutta la notte, mentre il dottor F... si congedo' con la
promessa che sarebbe ritornato all'alba. L.....l e gli infermieri
rimasero.
 
Lasciammo indisturbato Valdemar sino alle tre circa del mattino. A
quell'ora mi avvicinai a lui e lo trovai esattamente nelle medesime
condizioni di quando il dottor F... si era allontanato; vale a dire che
giaceva esattamente nella medesima posizione; il polso era
impercettibile; la respirazione lieve (o per meglio dire appena
avvertibile, e verificabile soltanto avvicinando alle labbra uno
specchio); gli occhi erano naturalmente chiusi, e le membra rigide e
fredde come marmo. Tuttavia l'aspetto generale non era certo quello
della morte.
 
Nell'avvicinarmi a Valdemar, feci una specie di semisforzo nel tentativo
di influenzare il suo braccio destro a seguire il mio, che feci passare
dolcemente innanzi e indietro sulla sua persona. In questi esperimenti
su di lui non ero mai del tutto riuscito prima d'allora, e certo non
speravo molto di riuscirvi adesso, ma con mio stupore il suo braccio
assai prontamente, seppur debolmente, prese a seguire ogni direzione da me
indicata col mio. Decisi di arrischiare qualche parola di conversazione.
 
- Signor Valdemar, - dissi, - dorme? - Non mi diede risposta, ma
avvertii un tremito intorno alle labbra e mi sentii percio' indotto a
ripetere la domanda una seconda volta. Alla terza tutto il suo corpo fu
agitato da un brivido lievissimo; le palpebre si dischiusero sino a
lasciare intravedere un segmento bianco del globo oculare; le labbra si
mossero pigramente, e da esse in un sussurro a stento udibile uscirono
queste parole:
 
- Si; adesso dormo. Non mi svegliate! Lasciatemi morire cosi'...
 
A questo punto gli tastai le membra e le sentii piu' rigide che mai. Il
braccio desto, come prima, obbedi' alla direzione della mia mano.
Interrogai nuovamente il sonnambulo:
 
- Sente ancora dolore al petto, signor Valdemar?
 
La risposta ora fu immediata, ma perfino piu' impercettibile della
precedente:
 
- Nessun dolore... Sto morendo...
 
Non ritenni prudente di disturbarlo oltre proprio in quel momento, e
null'altro fu detto o fatto sino al ritorno del dottor F..., il quale
giunse poco prima dell'alba, ed espresse il piu' illimitato stupore nel
trovare il paziente ancora in vita. Dopo avergli tastato il polso e
avergli avvicinato uno specchio alle labbra mi prego' di rivolgere
nuovamente la parola al sonnambulo. Obbedii e dissi:
 
- Signor Valdemar, dorme ancora?
 
Come per l'innanzi, trascorsero alcuni minuti prima che potessi ottenere
una risposta; e durante questa pausa il morente parve raccogliere tutte
le sue energie per parlare. Alla quarta ripetizione della domanda disse
debolissimamente, con voce appena percettibile:
 
- Si, ancora... Muoio.
 
I medici dimostrarono ora il parere, o meglio il desiderio, che
Valdemar fosse lasciato indisturbato in quel suo stato di apparente
tranquillita', sino al sopravvenire della morte, la quale, secondo
l'opinione generale, era ormai questione di pochi minuti. Decisi
nondimeno di rivolgergli la parola ancora una volta, limitandomi a
ripetere la domanda postagli in precedenza.
 
Mentre parlavo si produsse nell'aspetto del sonnambulo un mutamento sensibile.
Gli occhi si aprirono da soli, lentamente, roteando, le pupille scomparvero
all'insu'; la pelle assunse una sfumatura cadaverica, venendo a rassomigliare
non tanto alla pergamena, quanto a un foglio di carta bianca. E le macchie
circolari tipiche dell'etisia che sino a quel momento erano risaltate con
evidenza al centro di ciascuna guancia, si estinsero a un tratto. Uso
quest'espressione, poiche' la subitaneita' della loro scomparsa mi diede la
sensazione dello spegnersi di una candela sotto un soffio di fiato. Il labbro
superiore, contemporaneamente, si accartoccio' scostandosi dai denti, che prima
ne erano stati completamente coperti, mentre la mascella inferiore cadde con uno
scatto secco, lasciando la bocca spalancata e rivelando in pieno la lingua
enfiata e annerita. Immagino che tutti coloro che si trovavano nella stanza
fossero da tempo abituati agli orrori della morte, ma in quel momento l'aspetto
di Valdemar era cosi' terribilmente spaventoso, che tutti si ritrassero
istintivamente dal letto.
 
Ho l'impressione di essere giunto al punto di questa mia narrazione in cui tutti
i miei lettori rimarranno irriducibilmente increduli. Ma e' mio compito
limitarmi a proseguire nel racconto.
 
Il corpo di Valdemar non presentava ormai piu' il benche' minimo segno di
vita, e giudicandolo morto stavamo per affidarlo alle cure degli
infermieri, allorche' avvertimmo nella lingua un forte movimento
vibratorio, il quale si protrasse per forse un minuto. Al termine di
questo, usci' dalle mascelle contratte e immobili una voce quale sarebbe
demenza da parte mia tentare di descrivere. Vi sono in realta' due o tre
aggettivi che potrebbero essere usati con sufficiente approssimazione
per raffigurarla; potrei dire per esempio che il suono di quella voce era
aspro, spezzato, cavo; ma essa e' indescrivibile nel suo spaventoso
complesso, per il semplice motivo che un suono simile mai e' giunto a
orecchie umane. Vi erano pero' in essa due particolari che giudicai
allora, e giudico tuttora, come abbastanza caratteristici
dell'intonazione, e anche abbastanza adatti a rendere l'idea della sua
extraterrena stranezza. Prima di tutto, sembrava che la voce giungesse
alle nostre orecchie, alle mie almeno, da una distanza enorme, o da
qualche profonda caverna sotto la superficie della terra. In secondo
luogo essa m'impressiono' (temo veramente che mi sara' impossibile farmi
intendere) cosi' come una sostanza gelatinosa o glutinosa impressiona il
senso del tatto.
 
Ho parlato sia di "suono", sia di "voce". Intendo dire con questo che il
suono aveva una sillabazione distinta; oserei anzi aggiungere:
meravigliosamente, sorprendentemente distinta. Valdemar PARLAVA
evidentemente in risposta alla domanda che io gli avevo rivolto alcuni
minuti prima. Gli avevo chiesto, si ricordera', se dormisse ancora. Egli
ora mi rispose:
 
- Si; no; HO dormito, e adesso, adesso... sono morto.
 
Nessuno dei presenti cerco' di dissimulare, o tento' di reprimere,
l'orrore indicibile, raccapricciante, che queste poche parole, cosi'
pronunciate, erano destinate a suscitare. L.....l (lo studente) svenne.
Gli infermieri lasciarono immediatamente la stanza e nulla pote' indurli
a ritornare. Non tentero' di spiegare al lettore le mie impressioni
personali. Per circa un'ora ci affaccendammo in silenzio, senza
proferire una sola parola, a cercar di rianimare L.....l. Quando questi si
riebbe ci rimettemmo allo studio delle condizioni di Valdemar.
 
Queste erano rimaste in tutto e per tutto come io le ho piu' sopra
descritte, a eccezione che lo specchio ora non offriva piu' traccia di
respirazione. Un tentativo di cavar sangue dal braccio falli'. Devo
inoltre aggiungere che quest'arto non era piu' soggetto alla mia
volonta'. Invano tentai di fargli seguire la direzione della mia mano.
Il solo indice tangibile dell'influsso mesmerico era ora avvertibile nel
moto vibratorio della lingua, ogni qualvolta io rivolgevo una domanda a
Valdemar. Sembrava ogni volta li' li' per rispondere, ma non aveva piu'
volitivita' bastante. Alle domande rivoltegli da altri appariva essere
del tutto insensibile, per quanto io cercassi di porre ciascuno degli
astanti in RAPPORTO mesmerico con lui. Credo di avere ormai riferito
quanto e' necessario per la comprensione dello stato del sonnambulo in
quel momento. Vennero mandati a chiamare altri infermieri, a alle dieci
lasciai la casa in compagnia dei due medici e di L.....l.
 
Nel pomeriggio ritornammo tutti insieme a visitare il paziente. Le sue
condizioni erano rimaste precisamente le stesse. Discutemmo alquanto
circa la convenienza e la possibilita' di risvegliarlo, ma non tardammo
ad accordarci che non avremmo ottenuto con questo alcun risultato
positivo. Era evidente che la morte (o cio' che di solito si definisce
morte) era stata arrestata dal processo mesmerico. Tutti convenimmo che
risvegliare Valdemar sarebbe equivalso a provocare la sua immediata o
comunque rapida disgregazione.
 
Da quel momento sino al termine della scorsa settimana, DURANTE DUNQUE
UN INTERVALLO DI QUASI SETTE MESI, continuammo a recarci giornalmente a
casa di Valdemar, accompagnati di quando in quando da uomini di medicina
e altri amici. In tutto questo tempo il sonnambulo e' rimasto ESATTAMENTE
come io l'ho descritto. Gli infermieri lo sorvegliavano senza
interruzione.
 
Fu venerdi' scorso che decidemmo finalmente di tentare l'esperienza del
risveglio, di cercare cioe' di destarlo; ed e' (forse) lo sfortunato
risultato di quest'ultimo esperimento che ha suscitato tante discussioni
nei circoli privati, e cio', in una parola, che io non posso fare a meno
di giudicare un risentimento popolare ingiustificato.
 
Allo scopo di liberare Valdemar dalla TRANCE mesmerica, usai i soliti
passaggi. Questi rimasero per un certo tempo infruttuosi. Il primo
indice di rinascita fu rivelato da un abbassamento parziale dell'iride.
Venne osservato, come particolarmente degno di nota, che questa discesa
della pupilla fu accompagnata da una irrorazione profusa di icore
giallastro (da sotto alle palpebre) di odore pungente e fetidissimo.
 
Venni successivamente consigliato di tentar d'influenzare il braccio del
paziente, come per l'innanzi. Questo tentativo pero' falli'. Il dottor
F... espresse allora il desiderio che io formulassi una domanda. Obbedii
e chiesi:
 
- Signor Valdemar, puo' spiegarci quali sono attualmente le sue
sensazioni o i suoi desideri?
 
Per un attimo le guance si reinvermigliarono delle loro caratteristiche
macchie d'etisia; la lingua vibro', o meglio roteo' violentemente nella
bocca (benche' labbra e mascella restassero rigide come per l'innanzi) e
infine quella medesima voce spaventosa che gia' ho descritta proruppe:
 
- Per amor di Dio! Presto! Presto! Mettetemi a dormire. Oppure...
presto! svegliatemi! Presto! VI DICO CHE SONO MORTO!
 
Ero indicibilmente sconvolto, e per un attimo rimasi incerto su quel che
dovevo fare. Tentai dapprima di ricomporre il paziente, ma, fallito
questo tentativo per la totale sospensione della volonta', ritornai sul
mio operato e con altrettanta energia lottai per svegliarlo. Questa
volta mi avvidi subito che sarei riuscito o per lo meno mi lusingai che
tra breve il mio successo sarebbe stato completo, e sono certo che tutti
nella stanza erano preparati ad assistere al risveglio del paziente.
 
Ma a quanto in realta' avvenne, non era davvero possibile essere
preparati.
 
Mentre eseguivo rapidamente i passaggi mesmerici tra esclamazioni di
"morto! morto!" che letteralmente PROROMPEVANO dalla lingua anziche'
dalle labbra del paziente, tutto il corpo di questi, immediatamente,
nello spazio di un solo minuto, forse anche meno, si rattrappi', si
sbriciolo', in una parola si CORRUPPE e si DISSOLSE sotto le mie mani.
 
Sul letto, di fronte a tutti i presenti, non rimase che una massa quasi
liquida di putridume ributtante, spaventoso.

 


Fine

 

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